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Germania. Il No degli insegnanti al matrimonio scuole - forze armate

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La banalità del male. Aule e cortili convertiti in caserme; parate, cori e bande di studenti e soldati; lezioni di costituzione, convivenza, storia, lingue straniere e ginnastica con generali e ammiragli; visite guidate a basi, installazioni radar ed aeroporti militari; attività-studio su cacciabombardieri, carri armati, sottomarini e fregate di guerra; alternanza scuola-lavoro nelle forze armate o nelle aziende produttrici di armi di distruzione di massa. Non passa giorno che le istituzioni scolastiche italiane di ogni ordine e grado sperimentino militarismi e militarizzazioni, nel silenzio-assenso di buona parte dei docenti, dei genitori e degli studenti. Eppure, aldilà delle Alpi, decine di migliaia di pedagogisti, educatori ed insegnanti operano e lottano per affermare il principio-dovere che l’istruzione sia indirizzata alla difesa della pace contro tutte le guerre, al pieno sviluppo della personalità umana, al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
“La formazione presso i soldati e le soldatesse significa educare ad uccidere”. L’opinione, netta e inequivocabile, è dell’organizzazione sindacale tedesca GWE – Gewerkschaft, Erziehung und Wissenschaft che raccoglie oltre 280.000 iscritti del settore dell’educazione, della ricerca e del lavoro sociale e di cura. GWE, aderente alla Confederazione sindacale tedesca, ha avviato da tempo una campagna contro quella che è “la tendenza delle scuole a contaminarsi sempre di più con le forze armate”. Alla vigilia dell’Hessentag (la rinomata festa che si tiene ogni anno a Karbach dal 25 maggio al 3 giugno, coinvolgendo l’intera regione dell’Assia), la potente organizzazione sindacale ha inviato una lettera aperta al Ministro dell’istruzione della Germania, stigmatizzando l’intenzione di alcune scuole di portare gruppi di studenti allo stand di “formazione professionale” che l’esercito federale tedesco allestisce nella festa-kermesse. “La GWE è del parere che l’esercito federale non sia un datore di lavoro come tutti gli altri”, si legge nella missiva. “Denunciamo la falsa-retorica che trasforma le operazioni militari in missioni di pace, dai presunti fini non di guerra, ma umanitari. Chi affida la propria formazione all’esercito, infatti, può in ogni momento e contro la propria volontà, essere inviato in queste missioni, nelle quali si corrono gravi rischi. La prospettiva è quella di vivere in un Risiko, dove ci si ferisce e si ferisce, oppure direttamente si uccide”.
Nel ribadire che l’orientamento professionale è uno dei compiti fondamentali della scuola, GWE – Gewerkschaft, Erziehung und Wissenschaft ha espresso tuttavia il timore che i giovani studenti dell’Assia possano essere influenzati negativamente dalla “campagna pubblicitaria e di consulenza dell’esercito basata sui propri interessi”; così sono stati invitati dirigenti e docenti a “riflettere sulla responsabilità di avere in affido studentesse e studenti” ed in conseguenza ad “annullare le visite programmate allo stand delle forze armate”. Sembrano anni luce da quanto avviene invece in Italia, dove l’“orientamento” alla carriera militare è ormai un’attività del tutto “istituzionalizzata”, con vere e proprie “attività formative e didattiche” realizzate non solo nelle caserme e nelle installazioni belliche, ma soprattutto sempre di più all’interno dei plessi scolastici.
Due anni fa, il sindacato dei lavoratori della scuola della Germania aveva promosso una campagna contro il reality show “The Recruits” (Le Reclute), sulla vita quotidiana di otto giovani militari tedeschi assegnati alla missione delle Nazioni Unite in Mali. Il reality, un successo straordinario con oltre 45 milioni di visualizzazioni sui social network, secondo quanto ammesso dalle stesse forze armate tedesche aveva come target prioritario i giovani e gli studenti. “The Recruitsè un vero e proprio film di azione, la cui estetica è chiaramente indirizzata a rendere positiva l’immagine della guerra”, ha commentato Ilka Hoffmann, della direzione di GEW. “Non ogni cosa è positiva così come è invece rappresentata nel reality. Le persone possono morire nel corso di questa missione in Mali, oppure tornare a casa traumatizzati. Le forze armate tedesche non possono volere persone che fanno ingresso in esse per un mero senso di avventura”.
Il sindacato GWE – Gewerkschaft, Erziehung und Wissenschaft, congiuntamente a Terres des Hommes ed altre organizzazioni non governative tedesche ha promosso anche una campagna contro le attività di “sensibilizzazione” delle forze armate nelle scuole tedesche, dirette agli studenti di 16 e 17 anni di età. “Si tratta di vere e proprie attività di reclutamento che violano la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo approvata a New York il 20 novembre del 1989”, hanno spiegato i promotori dell’iniziativa.
La Convenzione, ratificata dal Parlamento italiano  il 27 maggio 1991, all’art. 38, comma 3, prevede espressamente che “gli Stati parti si astengono dall’arruolare nelle loro forze armate ogni persona che non ha raggiunto l’età di quindici anni; nell’incorporare persone aventi più di quindici anni ma meno di diciotto anni, essi si sforzano di arruolare con precedenza i più anziani”.

Gli artigli della Marina sull’Università di Messina

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Università degli Studi di Messina con le stellette. Giovedì 31 maggio, presso il Comando della Marina Militare ospitato nell’antico Forte di San Salvatore della città dello Stretto, il contrammiraglio Nicola De Felice, Comandante Marittimo della Sicilia ed il Magnifico Rettore dell’Ateneo di Messina, Salvatore Cuzzocrea, hanno firmato un accordo per sviluppare “sinergie e rapporti di collaborazione” nelle “diverse aree di comune interesse e potenziali partenariati strategici”.
L’accordo enfatizza “il ruolo fondamentale del mare per l’Italia, quale elemento da cui dipendono significativamente la sicurezza, l’economia, la prosperità del Paese stesso ed il cui libero uso deve essere garantito”. Secondo il Comando della Marina Militare per la Sicilia e l’Università degli Studi di Messina, la partnership sinergica si snoderà in molteplici campi: dall’acustica subacquea alla ricerca, innovazione, sperimentazione, formazione e istruzione; dall’educazione digitale alla “storia e cultura del mare, della marittimità e della sicurezza marittima”, alla tutela dell’ambiente e della salvaguardia del patrimonio marino e marittimo “coniugando un consolidato ruolo nell’iter formativo dei giovani alle carriere nazionali ed internazionali ad un’irrinunciabile sensibilità per l’interesse nazionale nella dimensione marittima”.
Dal testo dell’accordo si evince con chiarezza l’aspirazione a costituire a Messina un vero e proprio complesso militare-industriale-accademico. Già dall’anno accademico 2017-18, l’Ateneo peloritano ha avviato un Corso di Laurea triennale in “Scienze e Tecnologie della Navigazione” presso il Dipartimento di Ingegneria e con la collaborazione del Centro Universitario di Studi sui Trasporti “Elio Fanara”, diretto dalla professoressa Francesca Pellegrino. Aperto ai diplomati degli istituti superiori, agli studenti lavoratori e militari di Capitaneria di Porto, Marina, Carabinieri e Guardia di Finanza, il corso in “Scienze e Tecnologie della Navigazione” si avvale anche del supporto dei Dipartimenti di Scienze chimiche, biologiche, farmaceutiche ed ambientali; Scienze matematiche e informatiche, Scienze fisiche e Scienze della terra; Scienze politiche e giuridiche. “L’obiettivo è quello di formare figure professionali capaci di rispondere alle esigenze del mercato del trasporto marittimo, ed intende fare acquisire agli allievi le conoscenze e le competenze necessarie ad utilizzare tecniche e strumenti in uso nel settore della navigazione ed avviarli ad operare in contesti lavorativi marittimi, portuali e dei trasporti”, spiega il Consiglio del Corso di laurea. “Il cluster marittimo è destinato a svolgere un ruolo cruciale per la creazione di posti di lavoro e il rilancio dell’economia del nostro Paese”, ha invece dichiarato il Rettore Salvatore Cuzzocrea. “Occorre uno sviluppo coerente di politiche specifiche, anche e soprattutto nel mondo accademico, tese in particolare, per quanto riguarda il nostro Ateneo, ad assecondare la vocazione mediterranea ed europea della città e dell’area dello Stretto”.
Nel dettaglio, la collaborazione tra l’Università degli Studi di Messina e la Marina Militare si incentrerà prioritariamente su “attività di ricerca, progetti, iniziative legati alle reciproche esigenze nell’ambiente marittimo; tirocini curriculari, workshop, seminari, master congiunti e corsi di formazione per studenti, dirigenti, funzionari ed operatori e “di lectio magistralis di alti rappresentanti delle parti su tematiche di interesse comune oltre che produzione di pubblicazioni e documenti fìlmici congiunti su riviste specializzate e di settore”. Ateneo e Marina avvieranno pure progetti di scambio di dati e personale, nonché consulenze tecniche “per lo sviluppo e l’impiego dei laboratori/sistemi imbarcati a bordo delle Unità Navali che operano per il contrasto all’inquinamento da idrocarburi; la salvaguardia dell’ambiente marino e l’esecuzione dei campionamenti in mare di livello base con eventuale rilascio di attestati, ecc.”.
L’accordo prevede inoltre lo sviluppo di “partenariati strategici in attività di ricerca per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”. Sono previsti infine seminari ed esercitazioni da svolgere presso la sede della Marina Militare di Messina con l’ausilio del personale in servizio e collaborazioni in alcuni progetti di ricerca, con “particolare riferimento ai Programmi comunitari Horizon 2020, Life, ERASMUS +, Fondi Strutturali e d’Investimento Europei 2014-2020, bandi nel campo della difesa dell’ambiente ed altri progetti europei di cooperazione territoriale e trans-regionale”.
Un po’ più di “ambiente” di qua e di là, ma alla fine la ricerca scientifica accademica viene cooptata e finalizzata a fini bellici, mentre sempre maggiori risorse finanziarie nazionali ed europee vengono dirottate verso la produzione di sistemi d’arma, di distruzione e morte.

Quando i bambini di Guidonia “adottano” il sorriso dei soldati…

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Parate, fanfare, bande e cori di soldati e studenti; visite guidate a caserme, porti, aeroporti e basi militari. Più militarizzata del solito l’edizione 2018 della Festa della Repubblica italiana. Per il 2 giugno, sono stati “reclutati” un po’ in tutta Italia decine di migliaia di studenti e insegnanti, in posa sull’attenti e  mano al petto, sotto il tricolore e accanto ai reparti d’élite delle forze armate. Tra le iniziative più controverse spicca certamente quella promossa dal 60° Stormo dell’Aeronautica Militare di stanza a Guidonia (Roma), a cui hanno preso parte circa 800 giovani degli istituti scolastici dell’intera provincia di Roma, gli ospiti delle Case Famiglia del territorio ed alcune associazioni di volontariato che operano nel campo della disabilità.
Adotta un sorriso di un soldato il discutibilissimo titolo delle attività organizzate dal personale del 60° Stormo alla vigilia della “Rivista” per la Festa del 2 giugno. “Il progetto mira a creare una possibilità di contatto tra le realtà sociali attraverso una comunicazione comune, quella di sorridere insieme”, si legge nel sito internet dell’Aeronautica Militare. “La fatica della marcia sotto il sole o sotto l’acqua, l’impegno di tutti gli organizzatori per la buona riuscita viene ricompensata dal sorriso, anche se timido, che i bambini e gli adolescenti esternano senza pregiudizio o filtro ma in maniera del tutto incondizionata”.
È dal 2007 che il Comando del 60° Stormo di Guidonia “invita” gli studenti degli istituti dei comuni limitrofi per “avvicinarli al mondo delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e di tutte le realtà che prendono parte alla Rivista della Festa della Repubblica”, spiega l’ufficio stampa dell’Aeronautica. “L’incontro tra il personale militare di Guidonia e gli studenti delle scuole medie e superiori avviene attraverso la presentazione dei simboli, delle uniformi e della storia dei Reparti che ogni anno prendono parte alla Sfilata. Per i bambini delle scuole elementari invece l’avvicinamento viene mediato dal gioco e dal contatto con il personale, i mezzi ed in particolare i cani dei cinofili”.
Altri particolari sulle discutibili finalità “educative” del progetto Adotta un sorriso di un soldato vengono fornite da una delle sue principali collaboratrici, Annamaria Cecchetti. “La consapevolezza delle specialità professionali del Ministero della Difesa favorisce la conoscenza più diretta e tangibile della realtà di un’Istituzione impegnata su territorio nazionale e all’estero a garanzia dell’incolumità di tutti gli italiani”, ha dichiarato Cecchetti.  “L’attività ludica e culturale allo stesso tempo si trasforma in un valore aggiunto che consolida quella relazione emotiva, la quale attraverso l’espressione facciale del sorriso, innesca automaticamente sentimenti quali l’empatia, la serenità e la voglia di stare tutti insieme uniti nella gioia. Riconoscere i Reparti attraverso le loro uniformi e le attività esperienziali, quali la marcia insieme ai soldati, sono stati i punti cardini della relazione soldato-bambino in Patria”.
Intitolato alla memoria dell’aviatore Alfredo Barbieri, caduto in combattimento nel 1916, l’aeroporto militare meta delle attività educative pro “sorriso empatico-militare” di centinaia di bambini, è situato nel comune di Guidonia Montecelio. Attualmente è sede di vari enti dell’Aeronautica Militare, quali il Centro logistico polivalente, la Direzione di Commissariato, il Centro di selezione AM e il 60° Stormo che ha il compito di svolgere i Corsi di Volo a Vela per i frequentatori dell’Accademia Aeronautica. Al 60° Stormo sono attribuite pure importanti “attività promozionale dell’immagine della Forza Armata”, mediante lo svolgimento dei corsi di “Cultura Aeronautica”, predisposti dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica in accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione (MIUR). I corsi interessano gli studenti delle scuole medie superiori in ambito nazionale e sono articolati in una parte di istruzione a terra sui principi basilari del volo ed una parte pratica in volo su velivoli addestratori Siai S.208/M. Il reparto di volo supporta inoltre le attività del Comando Scuole Aeronautica con l’ausilio dei caccia-addestratori MB339A/CD e SIAI 208 e dell’elicottero leggero multiruolo NH500/E.
Nello scalo aeroportuale di Guidonia ha pure sede la Scuola di Aerocooperazione, l’Istituto Militare Interforze di “formazione specialistica e valenza tecnico-operativa nel campo dell’interpretazione di immagini telerilevate ed in quello della cooperazione aeroterrestre e aeronavale”. I corsi della Scuola di Aerocooperazione sono aperti, oltre che al personale militare delle forze armate italiane, anche a quello dei paesi partner della NATO e dei Paesi partecipanti al programma internazionale di Partenariato per la Pace dell’Alleanza Atlantica: Armenia, Austria, Azerbaijan Bielorussia, Bosnia ed Herzegovina, Finlandia, Georgia,Irlanda. Kazakistan, Kirghizistan, Malta, Moldova, Russia, Serbia, Svezia, Svizzera, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan. Una lista dove sono tanti i Paesi coinvolti direttamente in sanguinosi conflitti o che certo non brillano nel rispetto dei diritti umani e nella difesa delle libertà.

Come trasformare una villa per bambini in poligono paramilitare

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Può accadere di tutto a Messina, città-caserma dove proliferano comandi e infrastrutture militari di tutte le forze armate. Perfino che il giorno in cui è fissato l’appuntamento per il voto per eleggere il nuovo sindaco e il consiglio comunale, qualcuno abbia ritenuto plausibile “riconvertire” a fini paramilitari uno dei rari polmoni verdi esistenti, la “Villa Sabin” che sorge di fronte il Museo Nazionale, più nota tra i messinesi come “Baby Park”, il piccolo parco-giochi per bambini.
“Nella giornata di domenica presso Villa Sabin andrà di scena il Soft Air, gioco basato sulla simulazione di tecniche con attività ludico ricreativa: ad organizzare l’evento l’Associazione Sportiva Dilettantistica Belvedere, iscritta al CONI attraverso il referente del Movimento Sportivo Popolare, Angelo Minissale”, l’annuncio pubblicato da buona parte delle testate online di Messina e provincia.Aggregazione tra ragazzi e salvaguardia della natura. Sono questi i principi e i valori trasmessi dall’Associazione Sportiva Dilettantistica Belvedere, il cui scopo è quello di promulgare il soft air, una disciplina riconosciuta dal CONI come tiro tattico sportivo. L’evento previsto a Villa Sabin è solo il primo di 5 appuntamenti distribuiti tra il mese di giugno e settembre. Gliatleti - come spiegano la dottoressa D’Angelo Ramona e  Francesco Morgante, Presidente e vicepresidente dell’Associazione Dilettantistica - affronteranno un percorso a tempo con il regolamento del tiro dinamico”.
Attività ludico-ricreativa, amore per l’ambiente, aggregazione dei giovani, i “valori” della domenica war game di un manipolo di adulti in mimetica, scarponi e fucili mitragliatori simil veri. Invece delle code ai seggi e un salto al mare, pronti questi ad occupare Villa Sabin per trasformarla in un vero e proprio poligono paramilitare. Conseguente la protesta di chi ha colto pericoli, contraddizioni, disvalori pedagogici ed educativi di un evento “privato” in uno spazio pubblico e per cui annualmente i contribuenti del Comune arrivano a pagare 4.000 euro per il suo “affitto” all’Autorità Portuale, titolare dell’area. “Ma quale gioco-sport di socializzazione a protezione ambientale…”, il commento di alcuni genitori e insegnanti più attenti. “Il softair è un’attività basata sulla simulazione di tecniche, tattiche e usi militari. Per praticarlo, vengono utilizzate delle riproduzioni di vere armi da fuoco da guerra, dette air soft gun e i partecipanti vestono un abbigliamento simile se non identico a quello in uso dalle varie forze armate dei paesi del mondo (mimetiche, polo, scarpe, ecc.). L’autorizzazione di questa pratica a Villa Sabin è un atto indegno. Non ci sono parole, solo la vergogna di essere nati e cresciuti in una città che oggi scopriamo essere pure piena di sognatori di morte….”
Sì, ma chi, come, quando e perché ha autorizzato i war games al Baby Park, nel giorno riservato alle elezioni amministrative? “Ho contattato il Dipartimento verde ed arredo urbano e non ne sa niente di iniziative a Villa Sabin”, ci risponde l’assessore comunale all’ambiente Daniele Ialacqua. “Sto scrivendo nota agli uffici affinché si accerti chi e a che titolo abbia eventualmente dato autorizzazione e se essa non vi fosse, come sembra, di diffidare chiunque a svolgere attività in ville cittadine che oltre ad essere contrarie ai principi pacifisti ai quali l’amministrazione s’ispira, possono arrecare danno ai loro fruitori”.
Nella tarda mattinata di mercoledì 6 giugno, giunge la nota ufficiale di Daniele Ialacqua. “Con una lettera indirizzata al sindaco, Renato Accorinti; al dirigente il dipartimento Cimiteri e Verde Urbano, Domenico Manna; al segretario/direttore generale, Antonio Le Donne; e alla Polizia Municipale, ho richiesto informazioni in merito ad un evento di soft air in programma,  domenica 10 a villa Sabin e la sospensione dell’eventuale autorizzazione e/o vigilanza a salvaguardia dell’incolumità dei cittadini”, scrive l’assessore comunale. “Considerato che lo scrivente che ha delega del sindaco per le aree verdi, non ha mai autorizzato lo svolgimento di tale attività né era al corrente di tale evento, si richiede con la presente se, quando e da chi sia stato eventualmente autorizzato. Considerato altresì che tale tipo di attività, fatte salve le considerazioni che si possono effettuare sulle finalità del gioco e le perplessità in merito alla sottesa culturabellica, confliggente con i principi pacifisti espressi da questa Amministrazione comunale, può mettere a rischio l’incolumità dei fruitori della villa, tra cui bambini, si chiede di verificare la possibilità di sospendere in maniera immediata qualsiasi eventuale autorizzazione, qualora esistente, visto che il luogo non è adatto allo svolgimento di attività di tale tipo. Nel caso in cui non vi sia alcuna autorizzazione, si chiede di vigilare affinché non vengano svolte attività che, come il soft air, mettano a rischio l’incolumità dei cittadini e si richiede al comando della Polizia Municipale di supportare l’azione di vigilanza del dipartimento cimiteri”.
Mentre resta il mistero sull’esistenza o no di un’autorizzazione da parte della burocrazia amministrativa comunale alla conversione di Villa Sabin in poligono per l’addestramento paramilitare, via facebook giunge il commento di uno degli organizzatori dell’evento soft air, Angelo Minissale, presidente del Movimento Sportivo Popolare e noto maestro di judo.“Considero le sue affermazioni degne di un uomo non amante dello sport”, ci ha scritto Minissale. “Tra le sue qualità umane trovo solo un messaggio logico. La non conoscenza del mondo dello sport. Molto probabilmente sta’ cavalcando il momento politico che vive questa città. Come responsabile dell’evento e rappresentante del movimento e quindi a conoscenza del settore e di quanti ragazzi amano questa disciplina, ricordo che è più dannoso un cellulare in mano che un fucile elettronico con proiettili biodagranti e che il sof air è uno sport che non ha nulla da essere definito guerra. L’evento di domenica 10 veniva organizzato in uno spazio circoscritto e a tutela dei pochi fruitori che stanno godendo una villa che è stata pulita dagli stessi organizzatori. Probabilmente l’articolista vede fantasmi di giorno. Volevo inoltre ricordare all’assessore che nella nostra richiesta era proposta oltre che la pulizia, l’organizzazione di eventi sportivi culturali e il mantenimento della villa che dovrebbe essere chiusa non avendo a disposizione uso dei bagni funzionali, che gli stessi a giorni a proprie spese avrebbe permesso ai fruitori di godere di un WC”.
Nei mesi scorsi, la comunità dei residenti filippini di Messina, aderente al Movimento Sportivo Popolare, aveva effettuato alcuni interventi di “pulizia volontaria” di Villa Sabin ed altri spazi verdi comunali. Le attività erano state promosse in particolare dal consigliere della Terza Circoscrizione, Alessandro Cacciotto, aderente MSP e “responsabile calcio della provincia di Messina per conto del Movimento”. L’avvocato Cacciotto, noto alle cronache per le sue esternazioni sui supposti “pericoli” per l’ordine pubblico derivanti dalla presenza a Messina di “migranti irregolari” o di richiedenti asilo “ospiti” nel lager-caserma di Bisconte, il 10 giugno concorre alla Presidenza della Terza Circoscrizione, alla guida della formazione di centro-sinistra che sostiene la candidatura a sindaco di Antonio Saitta (Pd).

Barcellona PG e quelle relazioni familiari all’ombra del Ponte…

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A quasi sette anni dall’alluvione che investì la città di Barcellona Pozzo di Gotto, forse sarà ricostruita una delle infrastrutture chiave per riportare alla normalità la viabilità nella costa tirrenica in direzione Milazzo, il Ponte in località Calderà, crollato per l’impetuosa pressione delle acque il 22 novembre del 2011. L’Amministrazione comunale della città del Longano ha reso noto che l’Associazione temporanea di imprese con capogruppo la Preve Costruzioni S.p.A di Cuneo (associate le aziende barcellonesi Co.Ge.Mar. Srl e Co.In.Sot. Srl) si è aggiudicata la gara d’appalto per la ricostruzione del ponte con un ribasso d’asta del 26%, per un importo ribassato di 1 milione e 709 mila euro. Il bando prevedeva un tempo massimo di realizzazione di un anno, ma le società si sono impegnate a completare l’opera in soli 135 giorni grazie a una “tecnica innovativa” che vedrà l’assemblaggio delle parti metalliche del ponte in un’area libera diversa da quella dell’installazione. Come ha rilevato il giornalista Leonardo Orlando sulla Gazzetta del Sud, il termine di consegna indicato nell’offerta, ha “fatto innalzare l’Ati al primo posto della classifica con un punteggio finale di 89,58 punti”. Per l’allestimento del cantiere per la preparazione ed il montaggio delle diverse componenti, la Preve Costruzioni e associate hanno presentato un contratto di comodato d’uso stilato con un privato per l’utilizzo di un terreno adiacente dove saranno predisposti i materiali da costruzione, “senza necessità di ricorrere al complesso sistema di trasporti eccezionali penalizzati tra l’altro dalla precarietà di collegamenti della zona con il resto del territorio”. In questo modo, secondo i proponenti, sarà possibile ridurre i tempi previsti per l’opera.
Dopo la consegna dei lavori di ampliamento del Cimitero di Zigari, con l’aggiudicazione dei lavori per la ricostruzione del ponte di Calderà sul torrente Longano disposta dalla Commissione di gara costituita presso l’UREGA di Messina, è raggiunto anche il secondo dei due punti programmatici prioritari di questa Amministrazione in materia di infrastrutture”, commenta entusiasta il sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto, Roberto Materia. “Sono fatti concreti che rispondono con la chiarezza dei fatti alle critiche sterili – alle parole – di taluni manifesti apparsi in città proprio in questi giorni. E’ un fatto, ad esempio, che il ponte sarà ricostruito soltanto grazie al finanziamento reso immediatamente disponibile dal Comune. L’aggiudicazione appena disposta segna il traguardo finale di un percorso lungo e faticoso, un traguardo raggiunto con un’azione concretamente sinergica dei vari Enti e dei diversi settori dell’amministrazione pubblica a vario titolo coinvolti nell’intervento”.
In verità, l’iter burocratico per il finanziamento, la progettazione, il conseguimento di tutte le autorizzazioni e la pubblicazione del bando di gara era stato tutt’altro che facile. Il 26 luglio 2017, la Giunta Municipale di Barcellona aveva deliberato l’approvazione in linea amministrativa del progetto esecutivo per il ponte, poche ore dopo la trasmissione del progetto definitivo da parte dell’ufficio tecnico della Città Metropolitana di Messina, l’ente responsabile dell’iter procedurale. “L’accelerazione definitiva è arrivata dopo il via libera della Cassa Deposito e Prestiti alla concessione del mutuo a carico dell’ente provinciale per la quota di circa 600 mila euro prevista in una seconda fase della procedura e destinata alla copertura degli oneri amministrativi”, spiegò al tempo l’amministrazione comunale.A metà settembre  2017 fu invece firmata la determinazione dirigenziale che consentiva la pubblicazione del bando di gara da parte dell’UREGA di Messina, per un importo complessivo di 3 milioni e 200 mila euro. Il bando per la ricostruzione del Ponte di Calderà venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana il successivo  25 novembre, stabilendo come termine per la ricezione delle offerte la data del 17 gennaio 2018 e il successivo 22 gennaio per l’apertura della gara.
Il 18 dicembre 2017 vennero pubblicati all’Albo Pretorio del Comune di Barcellona gli elaborati corretti e aggiornati all’ultima versione del progetto esecutivo, con tanto di inatteso “avviso di errata corrige” relativo all’importo totale dell’opera. Come spiegato dagli uffici tecnici del Comune di Barcellona e dell’Area Metropolitana di Messina, era cioè stato riportato in uno degli allegati progettuali un valore “errato” della somma prevista per l’espletamento dei lavori del Ponte. Allora tanti temettero l’ulteriore allungamento dei tempi di gara, ma alla fine, il 5 giugno 2018, la commissione presieduta dall’ing. Angela Palumbo dell’UREGA di Siracusa, dall’ing. Pietro Antonio Furnari dell’Ordine degli ingegneri di Catania e dal dott. Raffaele Lucchesi, funzionario del Comune di Barcellona, ha formalizzato la classifica finale della gara: al primo posto l’ATI Preve Costruzioni - Co.Ge.Mar. - Co.In.Sot.; seconda, l’impresa Ricciardello Costruzioni (66,56 punti ed un ribasso del 30,6%); al terzo posto, l’ATI composta dalle imprese Celi Energia, Geo Ambiente ed Eredi Geraci Salvatore (65,25 punti ed un ribasso del 14,4%).
Tutto bene allora? Non proprio tutto, non fosse altro che tra le vincitrici dell’appalto compare una società al centro di alcune importanti vicende giudiziarie, la Co.ge.Mar. Srl, con sede legale in via Kennedy 358, Barcellona Pozzo di Gotto. Attiva dal 1992, l’azienda di costruzione di opere pubbliche, impianti di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica, ecc., è stata infatti per lungo tempo nella titolarità e disponibilità del noto architetto e imprenditore Maurizio Sebastiano Marchetta, già vicepresidente del Consiglio comunale di Barcellona in quota Alleanza nazionale e, per sua diretta ammissione, affiliato ad alcune logge massoniche peloritane. Marchetta è imputato di “concorso in associazione mafiosa” in un processo in svolgimento presso il Tribunale di Messina. Secondo l’accusa, l’imprenditore avrebbe “concorso nell’associazione denominata famiglia barcellonese, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina, cui aderivano, tra gli altri, Giuseppe Gullotti, Giovanni Rao, Salvatore Di Salvo, Salvatore Ofria, Carmelo D’Amico, Carmelo Bisognano ed altri ancora, per i quali si è proceduto separatamente”. Sempre secondo i magistrati, “l’organizzazione mafiosa, avvalendosi della forza d’intimidazione permanente dal vincolo associativo e dalla condizione assoluta di assoggettamento e di omertà che ne derivava sul territorio, programmava e commetteva delitti della più diversa matura contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e la fede pubblica, con l’obiettivo precipuo di acquisire in forma diretta ed indiretta la gestione e comunque il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri”.In particolare, Maurizio Sebastiano Marchetta, “nella sua qualità di socio delle imprese Co.Ge.Mar ed Archimpresa”, avrebbe svolto attività economiche in “società di fatto e comunque per conto e nell’interesse di Salvatore Di Salvo  e di Carmelo Mastroeni”; Marchetta, inoltre avrebbe partecipato “ad una serie di turbative di aste ed appalti truccati anche per conto e nell’interesse” degli stessi Salvatore Di Salvo e Carmelo Mastroeni e di altri imprenditori ad essi vicini, tra i quali – citano i magistrati - il costruttore Mario Aquilia, condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Gotha 1, scattata il 24 giugno 2011.“In tal modo – scrivono i magistrati della DDA di Messina - ricavando vantaggi costituiti, per quanto riguarda Maurizio Marchetta, dallo svolgimento della propria attività imprenditoriale sotto la “protezione” e con l’“ausilio” dell’organizzazione mafiosa di riferimento, nonché potendo partecipare agli appalti pubblici truccati di cui sopra; per quanto riguarda l’associazione mafiosa barcellonese, in particolare Salvatore Di Salvo e Carmelo Mastroeni, ricavando il vantaggio di partecipare agli appalti pubblici truccati di cui sopra e di svolgere attività imprenditoriale “pulita” al riparo dai più penetranti controllo delle forze dell’ordine”. I reati contestati, secondo la Procura, sarebbero stati commessi in un periodo compreso tra il 1993 e il febbraio 2011.
L’avviso di chiusura delle indagini preliminari fu notificato al Marchetta nel febbraio 2017, mentre la richiesta di emissione del decreto di rinvio a giudizio venne formalizzata a settembre. All’udienza preliminare del 12 ottobre 2017, Maurizio Sebastiano Marchetta ha scelto il giudizio abbreviato; il processo è ripreso lo scorso 24 maggio, mentre la sentenza è attesa per il prossimo mese di luglio.
Recentemente, l’architetto-imprenditore ha comunque ceduto le proprie quote sociali della Co.Ge.Mar. al fratello Carmelo Marchetta, amministratore unico della società dal 25 maggio 2015 dopo aver ricoperto gli incarichi di direttore e responsabile tecnico. Dal 28 dicembre 2017, Carmelo Marchetta è contestualmente “socio unico” della Co.Ge.Mar., essendo entrato in possesso del 100% delle quote sociali della Srl (importo complessivo deliberato e sottoscritto di 92.880 euro).
Consolidata la partnership tra la Co.Ge.Mar. e l’altra società edile di Barcellona che concorrerà alla realizzazione del Ponte di Calderà, la Co.In.Sot. Srl della famiglia Sottile, con sede legale in via Sant’Andrea 142. Entrambe, infatti, hanno concorso con l’ATI guidata da I.CO.R.E.D. (Impresa Costruzioni Russo Edilizia) Srl di Palermo alla progettazione esecutiva e alla esecuzione dei lavori di completamento del nuovo teatro “Placido Mandanici” di Barcellona, importo dei lavori 4.274.495 euro (le opere realizzate tra il settembre 2010 e l’agosto 2012). Due anni fa, individualmente, Co.In.Sot. ha invece eseguito, sempre per conto dell’Amministrazione comunale del Longano, i lavori di ristrutturazione edile dell’Arena-spettacoli estiva “Montecroci”.

La lunga notte delle Scuole Armate italiane

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Se in tempi di “pace” le forze armate superano ogni limite di decenza nelle loro sempre più invasive occupazioni di scuole e attività didattiche, è doveroso interrogarsi su cosa potrebbe accadere in caso di “guerra guerreggiata” nell’Italia della cosiddetta Terza Repubblica. Peggio di così l’anno scolastico 2017-18 non poteva concludersi: sfilate, parate, cori e bande musicali di studenti e militari “uniti nel Tricolore”; party-saluti di alunne e alunni in basi e installazioni di guerra, con tanto di selfie ai piedi di cingolati, carri armati, cacciabombardieri e sottomarini; saggi ginnico-militar-sportivi  e gare di corsa al passo dei bersaglieri; borse di studio/formazione e certificazioni per l’alternanza scuola-lavoro nei corpi d’assalto dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica o nelle aziende dell’export degli strumenti di morte.
Sono centinaia ormai le “esperienze” didattico-educative che le forze armate, in assoluta autonomia e fuori da ogni doveroso controllo degli insegnanti, impongono alle studentesse e agli studenti italiani. Realmente impossibile censirle, ma tra quelle svolte nelle ultime settimane ce ne sono alcune che meritano essere menzionate per la loro gravità e il prevedibile impatto negativo sul processo di formazione e crescita di tanti nostri figli.            
Giovedì 31 maggio 2018, ad esempio, una rappresentanza del 9° Reggimento d’Assalto “Col Moschin” (il reparto d’eccellenza delle forze speciali di terra che opera in tutti gli scenari di guerra internazionali) si è recata presso l’Istituto scolastico “Leonardo da Vinci” di Guidonia (Roma) per incontrare gli alunni della scuola elementare. “Il primo incontro tra gli Incursori e la classe era avvenuto nei giorni precedenti proprio presso l’aeroporto militare di Guidonia dove i bambini assistevano alle prove della parata prevista per la Festa del 2 giugno ed in maniera del tutto spontanea ed assolutamente inattesa per gli uomini del Col Moschin, gli alunni si sono lanciati in acclamazioni e applausi riecheggiando il grido Arditilanciato dagli incursori”, riporta l’ufficio stampa dello Stato Maggiore dell’Esercito. “Incuriositi da tale spontaneo slancio, gli Incursori hanno avvicinato la scolaresca che li ha travolti con slancio affettuoso. In particolare un bambino, che si era infortunato poco prima, ha raccontato che siccome gli arditi sono i più coraggiosi tra i coraggiosi, avrebbe sopportato il dolore come loro. Non potendo lasciar passare così tale manifestazione di affetto gli Incursori hanno, a loro volta, fatto una sorpresa ai bambini e incontrandoli in aula regalando il crest del 9° reggimento Col Moschin e ringraziandoli da parte di tutti gli Incursori dell’Esercito”. Coronano l’articolo che ci riporta ai tempi più bui dell’Istituto Luce, numerose fotografie che ritraggono le lezioni frontali degli ufficiali-arditi in una classe di primaria dove le divisioni di genere sono giù belle e strutturate: i bambini mostrano orgogliosi bicipiti e pettorali, le bambine sorridono estasiate.
Innocenze rubate, coscienze stuprate, i corpi sottratti, cooptati, convertiti in icone di guerra e di morte. La “campagna” militare nelle scuole di Guidonia ha avuto un’indicazione precisa, inequivocabile: Adotta un sorriso di un soldato. Una serie d’iniziative che hanno coinvolto oltre 800 studenti delle scuole di ogni ordine e grado, promosse dal personale del 60° Stormo dell’Aeronautica Militare alla vigilia della “Rivista” per la Festa della Repubblica. “Il progetto mira a creare una possibilità di contatto tra le realtà sociali attraverso una comunicazione comune, quella di sorridere insieme”, si legge nel sito internet dell’Aeronautica. “La fatica della marcia sotto il sole o sotto l’acqua, l’impegno di tutti gli organizzatori per la buona riuscita viene ricompensata dal sorriso, anche se timido, che i bambini e gli adolescenti esternano senza pregiudizio o filtro ma in maniera del tutto incondizionata. L’incontro tra il personale militare di Guidonia e gli studenti avviene attraverso la presentazione dei simboli, delle uniformi e della storia dei Reparti che ogni anno prendono parte alla Sfilata. (…) L’attività ludica e culturale allo stesso tempo si trasforma in un valore aggiunto che consolida quella relazione emotiva, la quale attraverso l’espressione facciale del sorriso, innesca automaticamente sentimenti quali l’empatia, la serenità e la voglia di stare tutti insieme uniti nella gioia. Riconoscere i Reparti attraverso le loro uniformi e le attività esperienziali, quali la marcia insieme ai soldati, sono stati i punti cardini della relazione soldato-bambino in Patria”.
Non è andata purtroppo meglio a 3.000 studenti frequentanti gli istituti scolastici napoletani dove la Divisione “Acqui” (alla guida delle brigate terrestri d’élite “Granatieri di Sardegna”, “Aosta”, “Pinerolo”, “Sassari” e “Garibaldi”), ha oraganizzato e gestito in prima persona il Progetto Legalità, “per tracciare l’importanza delle Forze Armate e in particolare dell’Esercito Italiano, non solo nel solco del centenario della Grande Guerra, ma anche su alcune attività del territorio nazionale, come ad esempio con l’Operazione Strade Sicure”. “Nell’ambito delle attività didattiche e di orientamento del percorso scolastico – prosegue il comunicato dell’Esercito - un team di soldati della Acqui ha divulgato nelle classi l’importanza dei valori di fiducia, coraggio, solidarietà, dignità e sacrificio”.
Abdicando alle proprie funzioni costituzionali, tantissime scuole hanno affidato alle forze armate la rielaborazione e la narrazione “storico-culturale” della Prima Guerra Mondiale, una delle peggiori carneficine della storia dell’umanità. Un processo di mistificazione, quello condotto dai militi-arditi-insegnanti che culminerà con i Festeggiamenti della Vittoriadel prossimo 4 novembre, prevedibile apoteosi della partnership scuole–forze armate e della militarizzazione a fini dichiaratamente bellici del sistema educativo nazionale, contro il sapere libero e critico.
Ci troviamo di fronte a un processo inarrestabile? Non lo crediamo, anzi riteniamo che sia ancora possibile intervenire contro questa “marcia sulla scuola” di generali, ammiragli, paramilitari e nostalgici dell’Italia colonial-fascista. Per questo facciamo nostro l’appello lanciato qualche giorno fa da un gruppo di insegnanti (primi firmatari Luca Cangemi, RSU del Liceo “Lombardo Radice” di Catania; Marina Boscaino, docente e pubblicista di Roma; Dina Balsamo dell’IC “G.Romano” di Eboli; Natya Migliori dell’IIS di Palazzolo Acreide; Piero Bevilacqua, professore emerito di Storia Contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma, ecc.) per “aprire una riflessione generale che individui nella salvaguardia degli spazi di discussione e nel rifiuto della pervasiva presenza militare nelle scuole due nodi importanti”. “Chiediamo alle/ai docenti, alle studentesse e agli studenti, al mondo intellettuale di prendere parola e di avviare una stagione di impegno che leghi ancora più strettamente la lotta alla legge 107 a quella alla militarizzazione del sapere e all’autoritarismo e sin d’ora prepariamo un grande appuntamento di riflessione e di iniziativa per l’apertura del prossimo anno scolastico”, scrivono i promotori dell’appello docenticontrolaguerra.
Chi ha cuore le sorti della scuola pubblica italiana e ritiene doverosa e imprescindibile la difesa della sua vocazione autenticamente democratica, ugualitaria e pacifista, può socializzare nei territori e negli spazi scolastici la Campagna Scuole Smilitarizzate che è stata promossa da Pax Christi Italia “proprio per arginare la crescente invasione e occupazione dei militari nelle scuole, e rivendicare invece all’istituzione scolastica un ruolo educativo e di formazione delle coscienze nel solco della Costituzione per un mondo di pace”. Scuole Smilitarizzatechiede alle istituzioni di ogni ordine e grado di rifiutare ogni attività in partenariato con le forze armate, dalla propaganda all’arruolamento alla “sperimentazione” della vita militare degli studenti; dall’organizzazione di visite a strutture riferibili ad attività militari, all’alternanza scuola-lavoro nei corpi armati e nelle industrie belliche. “Ogni volta che la scuola spalanca le porte a chi propaganda la guerra, tradisce la sua specifica missione educativa e non tutela la propria sopravvivenza ed efficienza”, afferma Pax Christi. “Così si è creato il paradosso di una scuola che, da un lato, denuncia giustamente i tagli continui cui è sottoposta, dall’altro collabora con quella struttura militare che ingoia somme faraoniche per i suoi strumenti di morte, sottratte all’istruzione”.

Quel procedimento disciplinare contro l'insegnante-obiettore del tutto infondato...

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Stamani ho consegnato alla Dirigenza dell’Istituto “Cannizzaro – Galatti” di Messina, la memoria difensiva sul procedimento disciplinare avviato nei miei confronti in data 15 maggio 2018, a seguito delle dichiarazioni pubbliche espresse contro la realizzazione in ambito scolastico del progetto “Esercito e Studenti Uniti nel Tricolore”, promosso nei mesi scorsi dalla Brigata “Meccanizzata” Aosta in collaborazione con alcuni dirigenti di scuole e istituti della città di Messina.
Nello specifico, è stata chiesta l’archiviazione del procedimento disciplinare in quanto “infondato in fatto e in diritto”, perché tutti gli interventi di denuncia (con lettera aperta, articoli stampa, ecc.) contro l’infausta parata di propaganda militare svolta il 17 aprile presso l’istituto in cui opero come insegnante da 34 anni, sono stati fatti in maniera legittima e corretta, nel pieno esercizio del diritto-dovere di informazione, espressione e critica, anche “a fronte dell’irregolarità della procedura seguita per la realizzazione del medesimo progetto”.
Nella memoria si argomenta come ogni attività di intervento in ambito scolastico-educativo e didattico delle forze armate è palesemente in contrasto con le Convenzioni internazionali a difesa dei diritti dell’uomo e del fanciullo e degli stessi principi giuridici su cui si fonda la scuola pubblica italiana. “E’ evidente che un evento come quello Esercito e Studenti Uniti nel Tricolore finalizzato all’esaltazione degli atti di eroismo della Prima Guerra Mondiale, cozzi con l’obbligo delle Istituzioni Scolastiche all’educazione ai valori costituzionali fra i quali il ripudio della guerra previsto dall'art. 11 della Costituzione”, riporta nella memoria. “Ancora va ricordato come illustri costituzionalisti denuncino oggi la violazione dei principi degli artt. 11 e 45 della nostra Carta Costituzionale attraverso la partecipazione ad attività belliche del tutto incompatibili anche se presentate come missioni di pace”.
Con la convinzione e la serenità di aver svolto ancora una volta pienamente il proprio dovere di educatore e insegnante; fiducioso di un esito positivo del procedimento, colgo l’occasione per ringraziare coloro che mi hanno assistito dal punto di vista legale: l’avvocato Nello Papandrea del Foro di Catania, le avvocate Filippa Di Marzo e Paola Ottaviano, la consulente del lavoro Anna Bonforte, nonché i Cobas Scuola con il prof. Nino De Cristoforo per l’importante supporto tecnico-informativo. Con immenso affetto ringrazio tutte/i coloro che in queste settimane mi hanno fatto sentire il loro sostegno e solidarietà: forze politiche e sociali; organizzazioni del sindacalismo di base; associazioni pacifiste, antimilitariste, ambientaliste e antimafie; gruppi e comunità di religiosi; organi di stampa e testate giornalistiche; centri studi; accademici, intellettuali, attivisti politici, difensori dei diritti umani e artisti; gli oltre 1.600 firmatari dell’appello lanciato su Change.org No ai militari nelle scuole. Solidarietà con l’insegnante obiettore; il centinaio di docenti delle scuole di ogni ordine e grado che hanno promosso l’appello Contro la militarizzazione del sapere, in difesa degli spazi di discussione e libertà nella scuola italiana (primi firmatari i professori Luca Cangemi, Dina Balsamo, Natya Migliori, ecc.)”.
In attesa di conoscere l’esito finale del procedimento disciplinare avviato, continuerò le mie attività di documentazione e controinformazione sul sempre più invasivo processo di “occupazione militare” del sistema educativo-scolastico e universitario e di militarizzazione dei territori e della società. Sono certo che a partire dal prossimo anno scolastico, si rafforzeranno ovunque le reti di insegnanti, associazioni e intellettuali che promuovono attività e progetti di “cultura di pace” e si oppongono alla guerre, al riarmo, all’autoritarismo, alla violazione di diritti umani a tutte le ingiustizie economico-sociali.       

Messina, 11 giugno 2018

Antonio Mazzeo, insegnante pacifista e antimilitarista

Messina, l’Operazione antimafia Beta e la ferrea legge del cemento

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Nuove verbalizzazioni con nomi “pesanti” quelle rese ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina dal costruttore Biagio Grasso, neocollaboratore di giustizia e imputato chiave del procedimento Beta sugli affari economici e finanziari della “famiglia” Romeo-Santapaola. Gli inquirenti hanno depositato al processo apertosi lo scorso 7 giugno, la trascrizione dell’interrogatorio del 2 febbraio 2018, quando Biagio Grasso fu invitato a riferire quanto di lui a conoscenza su alcune operazioni immobiliari in corso a Messina, protagonisti alcuni noti operatori locali.
“Nulla so in ordine a recenti operazioni in città da parte degli imprenditori Vincenzo Vinciullo a Antonino Fiorino”, esordisce Grasso. “Posso soltanto dire che i lavori di movimento terra del complesso immobiliare della zona ex Macina saranno effettuati da Giuseppe Mancuso, Daniele Mancuso o aziende a loro collegate. Tutto il movimento terra riguardante i cantieri di Vinciullo viene effettuato da Daniele Mancuso. So che il Vinciullo ha un’operazione a Torrente Trapani. Io e Vincenzo Romeo gli abbiamo proposto di acquisire altra operazione riguardante la Residenza Immobiliare Srl di Torrente Trapani alto. La circostanza relativa  alla realizzazione dei lavori di demolizione e ricostruzione nell’area ex Macina da parte di Daniele Mancuso mi è stata riferita dallo stesso, quando io e Romeo abbiamo proposto la cessione a Vinciullo di nostre operazioni immobiliari; lui infatti ci disse che il Vinciullo aveva già in corso di realizzazione molti altri progetti edilizi… Mancuso del resto faceva lavori anche per conto nostro su segnalazione di Vincenzo Romeo”.
Un vero e proprio signore dell’acciaio e del cemento, Vincenzo Vinciullo. Egli risulta amministratore unico, titolare e socio di numerose aziende di costruzioni e di import-export di prodotti siderurgici (Vinci Immobiliare; Rio Verde; Sole Mare; Residence Villa Dante; Marina di Vulcano; Edil Faro; Maré Costruzioni; Edileg; Dott. Enzo Vinciullo & C; Idea 2000; Immobiliare 4V srl; Archimede Residence). Le imprese di Vinciullo hanno realizzato di tutto e di più da una parte all’altra della città: villette a schiera in riva al mare in località Rodia; residence di lusso in località Margi, Torre Faro; i palazzoni “Manzoni” in pieno centro, “San Michele” sullo svincolo di Giostra e “Villa Nunzia” nel Viale Regina Margherita; il grande e brutto residence “Archimede” a due passi dall’ingresso autostradale di Boccetta; i complessi I Gabbiani” sulla Panoramica e “Marèa Santa Margherita, ecc.. L’ultimo “gioiello” è “La Nuova Macina”, proprio il complesso edilizio menzionato dal collaboratore Biagio Grasso: villette con giardino, locali commerciali e ampi parcheggi di fronte al Lago Grande di Ganzirri, nell’area che ha ospitato per decenni uno dei ritrovi più “cari” ai messinesi (ristobar, pizzeria, discoteca, ecc.). Una forza costruttrice inarrestabile quella di Vinciullo; solo una volta, nel 2012, gli fu soffiato in extremis l’affaire degli ex “Magazzini generali” nella centralissima via Vittorio Emanuele, zona porto, che l’Amministrazione Comunale intendeva cedergli nonostante fosse gravata dal pignoramento di alcuni creditori dell’ente locale.
Pur dichiarando di sconoscere la portata degli affari imprenditoriali di Vincenzo Vinciullo, il costruttore-collaboratore Biagio Grasso ha ammesso di averlo conosciuto personalmente. “Vorrei riferire di un episodio raccontatomi da Vincenzo Romeo che riguarda un omicidio commesso da Aldo Ercolano, cugino del Romeo, durante un pranzo al quale era presente anche l’imprenditore messinese Vincenzo Vinciullo e nel corso del quale si discusse di affari che riguardavano un’acciaieria di nome Megara che successivamente si è trasformata in altra denominazione sociale”, ha verbalizzato Grasso nell’interrogatorio condotto dai magistrati antimafia peloritani, il 10 gennaio 2018. “Il Romeo mi raccontò questo episodio per dirmi che il Vinciullo sapeva perfettamente lo spessore criminale della famiglia Romeo-Santapaola e che non avrebbe certamente rifiutato la proposta che noi volevamo fargli di acquisire alcune operazioni che eravamo intenzionati a cedere, tra cui quella relativa a Fondo Fucile, la cubatura di Torrente Trapani e Viale Italia. Infatti io ed il Romeo ci recammo presso l’abitazione-ufficio del Vinciullo sita nei pressi della Panoramica a Messina, unitamente a Gianni Doddis, quest’ultimo cognato di Daniele Mancuso e vicino al clan Romeo. Voglio precisare che il Doddis mi fece presente di essere capo elettore per la zona di Gravitelli di Emilia Barrile, Presidente del Consiglio comunale di Messina. Al Vinciullo abbiamo proposto di acquistare le operazioni sopra riferite ma lui si è riservato di valutare. Mi risulta che il Vinciullo sia anche agente generale per la zona di Messina di una acciaieria di Catania, credo si tratti di Acciaierie Siciliane, per il quale riceve una percentuale”.
Secondo il collaboratore, dunque, il gruppo criminale di riferimento, quello dei Romeo-Santapaola, avrebbe tentato di trasferire al Vinciullo una parte consistente dei propri investimenti immobiliari, in particolare quelli relativi agli alloggi di Fondo Fucile destinati all’Amministrazione comunale di Messina nell’ambito del progetto di risanamento dell’area e il trasferimento delle cubature di alcuni insediamenti abitativi dal Torrente Trapani, ad alto rischio idrogeologico, a un’ex area industriale della centrale via Salandra, progetto da cui si sperava di ottenere notevoli profitti finanziari.
L’intenzione di Biagio Grasso e Vincenzo Romeo di coinvolgere nei propri affari il potente signore dell’acciaio e del cemento era emersa nel corso di alcune intercettazioni ambientali del novembre 2014 (va comunque rilevato che Vinciullo non risulta tra gli indagati dell’Operazione Beta). Come riportano i Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) di Messina nella loro informativa di reato del 7 settembre 2015 e da cui è scaturita l’operazione antimafia Beta, “nelle conversazioni intercettate tra gli indagati il 20 novembre, ulteriori ansie, venivano esternate dal Romeo per la mancata monetizzazione degli investimenti in corso, che determinava una concreta difficoltà a poter contribuire alle contingenti esigenze economiche della famiglia Ercolano colpita da cospicui sequestri patrimoniali”. Nella stessa giornata, infatti, alcuni esponenti del clan Ercolano-Santapaola erano stati arrestati nell’ambito dell’Operazione Caronte della DDA di Catania sull’infiltrazione criminale nel settore della navigazione marittima e delle cosiddette “autostrade del mare”. “Romeo e Grasso discutevano dell’eventualità di vendere a terzi le iniziative imprenditoriali in atto, tra le quali quella per la realizzazione di molti appartamenti a Messina, precisamente in località Fondo Fucile”, annota il ROS. Il costruttore di origini milazzesi, in particolare, era stato intercettato mentre chiedeva a Romeo se era riuscito “ad avere con Vinciullo l’appuntamento diretto di faccia con lui. “Sì, io con lui l’appuntamento ce l’ho per dire ci sono pure i pro e i contro... perché lui quando vado io sanno io sono questo, hai capito? E già minchia dice come mai? Poi già domani esce un giornale, tanto, dice allora per dire è indagato…”, rispondeva Romeo. “Devi stare attento per questa cosa, perché appena domani vado, parliamoci chiaro, fanno quel ragionamento…. Certo, ammettiamo, domani lo chiamo, dice minchia vuoi vedere ah ... siccome lo sanno…”.
Il senso di quelle parole viene chiarito nel corso della conversazione del giorno successivo, quando Grasso e Romeo si soffermano ancora sul procedimento penale che aveva visto coinvolto il mafioso catanese Vincenzo Ercolano. Romeo rappresentava a Grasso di non temere le conseguenze di un’eventuale carcerazione bensì il fatto di non essere nelle condizioni, in quel particolare momento storico, di garantire particolari ricchezze alla propria famiglia nel caso in cui ciò fosse avvenuto, a causa dello stallo del momento a tutti gli investimenti effettuati con il complice (ed in merito sottolineava di non aver fortunatamente investito denaro proveniente dalla cassa della famiglia mafiosa di Catania)”, riportano gli inquirenti. “Tu mi credi io questa mattina non sono andato a cercare a nessuno per non sbagliare niente, per evitare io non ci sono andato da Vinciullo”, riferiva Romeo. “Perché io da Vinciullo potevo andarci oggi ... in qualunque veste anche se c’ho il morto dentro ci rido ... se gli devo piangere gli piango .... però in base alle situazioni io sono arrivato in un momento per dire io... Biagio... non mi sta più bene ... non perché per dire tipo ho buttato la spugna…”.
“Romeo appariva estremamente spaventato dall’eventualità di un suo imminente arresto, che qualora si fosse verificato, gli avrebbe precluso la possibilità di sostenere la sua famiglia con le attività illecite gestite fino a quel momento”, spiega il ROS dei Carabinieri. “Ed anche la possibilità di interloquire con altri affermati imprenditori edili locali, che in altri momenti avrebbero potuto accondiscendere alle richieste del sodalizio operando in sua vece attraverso credenziali societarie pulite, erano in quel periodo di forte pressione investigativa in grosse difficoltà per dare ausilio senza correre il rischio di rimanere, a loro volta, coinvolti nelle maglie della rete giudiziaria”.
L’ipotesi del sodalizio criminale di proporre l’affare al costruttore Vinciullo veniva così rinviata a tempi migliori. “In proposito, il Romeo sottolineava di poter contare in qualsiasi momento della collaborazione di tale imprenditore ma di non volerne approfittare per evitare di creargli difficoltà nel caso in cui fosse stata eseguita una misura cautelare patrimoniale nei suoi confronti”, aggiunge il ROS. “E’ necessario a questo punto un breve approfondimento idoneo a comprendere che le indicazioni fornite dal rappresentate della diramazione messinese di Cosa Nostra catanese riguardo alla disponibilità dell’imprenditore Vinciullo, collimano con i datati esiti delle attività investigative realizzate in Sicilia da diverse articolazioni del ROS confluite nell’attività investigativa denominata Sfinge-Grande Oriente, inerenti alla ricostruzione delle dinamiche associative che avevano caratterizzato l’articolazione nissena di Cosa Nostra nel periodo successivo alla cattura del rappresentante provinciale Madonia Giuseppe, nonché i rapporti tra la predetta consorteria, il vertice del governo regionale di Cosa Nostra(rappresentato, dopo la cattura di Salvatore Riina e Leoluca Bagarella, da Bernardo Provenzano) e le analoghe strutture esistenti nelle altre province siciliane. Tale attività, che aveva investito le Procure Distrettuali Antimafia di Caltanissetta, Catania, Messina e Palermo si era avvalsa anche degli esiti del rapporto di natura confidenzialeintercorso tra il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, già in servizio presso il ROS di Genova, e Luigi Ilardo, cugino di Giuseppe Madonia, a sua volta già condannato per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso, con l’accusa di essere il rappresentante provinciale dell’articolazione nissena di Cosa Nostra, fino alla sua morte (avvenuta in data 10 maggio 1996)”.
Proprio nell’ambito del “rapporto confidenziale” intercorso tra l’ufficiale dell’Arma e il mafioso nisseno, quest’ultimo aveva esibito diverse missive utilizzate nel 1994 per comunicare direttamente con il superlatitante Bernardo Provenzano, “tra le quali alcune attinenti alla regolamentazione dei pagamenti delle estorsioni a Cosa Nostrada parte della ditta Acciaierie Megara di Catania; controversie che avevano coinvolto diverse persone quali Domenico Vaccaro, Francesco Tusa, Nicolò Greco, Leonardo Greco e Vincenzo Vinciullo, gestore di fatto dell’azienda - ed in relazione alle quali Ilardo aveva richiesto l’intervento di Provenzano”.
Nella lettera del luglio 1994, il boss di Corleone aveva risposto di essere “intervenuto personalmente per dirimere la controversia; che a tal fine ne aveva parlato con Francesco Tusa dal quale aveva appreso che il di lui suocero, Greco Leonardo, aveva definito personalmente la questione, discutendone dapprima con l’interessato, Vincenzo Vinciullo, gestore di fatto dell’azienda, e poi con la famiglia di Catania;di avere parlato inoltre, su richiesta del Tusa Francesco, con il fratello del di lui suocero, Greco Nicolò, il quale aveva raccolto le lamentele del Vinciullo. Questi aveva manifestato la sua disponibilità a liquidare le pendenze pregresse con una somma forfettaria ed a riprendere per il futuro i pagamenti, a condizione che gli fosse indicata una persona di riferimento a Catania”.
“Alla luce di quanto sopra – concludono i ROS di Messina nell’informativa Beta - pare estremamente interessante che il predetto, a distanza di più di vent’anni, venisse nuovamente preso in considerazione per risolvere alcune problematiche connesse alla gestione degli investimenti imprenditoriali riservati da un rappresentante della medesima organizzazione criminale che in accordo con Provenzano Bernardo aveva mediato a metà degli anni ’90 il pagamento di ingenti somme di denaro a titolo estorsivo a Cosa Nostra”.
Prima di Biagio Grasso c’era già stato un altro importante costruttore peloritano a soffermarsi sulla figura del Vinciullo, Antonino Giuliano, anch’egli “collaboratore” di giustizia dopo l’arresto per le contestate contiguità con Michelangelo Alfano, l’imprenditore originario di Bagheria, vicino a Leonardo Greco, per decenni rappresentante di Cosa nostra a Messina. Il 23 marzo 2006, deponendo a un processo in corso a Catania, Antonino Giuliano ammise di conoscere “molto bene” il Vinciullo. “Veniva in ufficio da me, eravamo assieme sempre, alla villa a Rometta più avanti di quella di Michelangelo Alfano”, esordì il costruttore. “Vinciullo aveva rapporti con Alfano per lavori e si mettevano d’accordo come era la prassi là a Messina. Non si bisticciavano, però alla fine la parola era sempre quella di Alfano. Non è che Vinciullo può fare 30 appartamenti e si può guadagnare, i soldi sempre di Alfano uscivano. Vinciullo, insomma, costruiva con i soldi di Alfano (…)  Vinciullo conosceva il costruttore Giostra perché facevano lavori. A Messina tutte le grosse imprese sono questi qua, Vinciullo, Giostra, Pergolizzi, i lavori cioè se li dividevano loro. Perciò io che lavoravo in subappalto, per forza li devo conoscere. Anche perché ci sono le carte di Vinciullo, di cose che mi dava, i preventivi, e anche lui voleva fare una società con me e alla fine il mio avvocato mi disse non la fare, perché questo appena ti capita nelle mani, che tu sei più piccolo di lui, scompari…”.
Nel corso della deposizione, Giuliano si soffermò pure sui presunti “rapporti” di Vinciullo con alcuni funzionari del Comune di Messina. “Vinciullo non aveva problemi con la pubblica amministrazione perché pagava, perché dovevamo fare un lavoro assieme, a me non mi approvavano il progetto, lui dice All’urbanistica, a tutti i posti ci penso io, dice, tu non devi fare niente. Telefono io qua, non ti preoccupare. E telefonò una volta all’ufficio da me al Comune al dirigente e gli disse non ci sono problemi”. Non ci sarebbero stati problemi, sempre secondo Giuliano, anche sul fronte giudiziario. “Vinciullo mi diceva che aveva buoni rapporti con i magistrati. Tutte le cose che aveva, tutte le cause penali, le cose che faceva, gliele risolvevano…”.
Va comunque precisato che dagli atti del procedimento Beta finora disponibili non si ha notizia di indagini avviate nei confronti di Vincenzo Vinciullo a seguito delle dichiarazioni del collaboratore Biagio Grasso. Inoltre, per Vinciullo non è stato celebrato alcun processo in conseguenza delle confidenze fatte da Luigi llardo al colonnello Riccio o delle dichiarazioni rese agli inquirenti dal costruttore Antonino Giuliano.

Maxi appalto ad Astaldi per la stazione dei droni NATO di Sigonella

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La Sicilia non sarà solo la capitale mondiale dei droni USA. Nei prossimi mesi entrerà in funzione nella grande stazione aeronavale di Sigonella anche il nuovo sistema di “sorveglianza terreste” dell’Alleanza Atlantica, l’AGS (Alliance Ground Surveillance), basato su cinque droni-spia RQ-4B Global Hawk prodotti dalla holding statunitense Northrop Grumman.
A fine maggio, la NATO ha firmato un contratto per il valore di 60 milioni di euro con il colosso delle costruzioni Astaldi S.p.A. di Roma per la progettazione e l’esecuzione dei lavori di ampliamento nella base siciliana dell’area per le operazioni a terra (OPS Area) e di quella per le operazioni aeree (Flight Area) dei velivoli senza pilota impiegati con il sistema di sorveglianza AGS. Nello specifico, il progetto prevede la realizzazione di 14 edifici per una superficie complessiva di circa 26.700 metri quadrati, da adibire ad uffici per uso militare e di “rimessaggio-attrezzaggio degli aeromobili, con specifica impiantistica radio e dati per operazioni aeree specialistiche”.
I lavori sono stati affidati ad Astaldi dalla NSPA - NATO Support and Procurement Agency, l’agenzia specializzata della NATO per l’acquisizione di progetti e infrastrutture, con quartier generale in Lussemburgo. Il contratto, finanziato dai 29 paesi membri dell’Alleanza Atlantica, prevede una durata dei lavori di circa tre anni. Proprio alla vigilia della firma con l’NSPA, la società di costruzione Astaldi ha deliberato un aumento di capitale di 300 milioni di euro per coprire parte dell’esposizione debitoria, con l’ingresso di un potente socio giapponese, IHI Corporation. Contestualmente è stato varato un piano industriale con cessioni di rami aziendali e “ristrutturazioni del debito” che sarà finanziato da alcuni importanti gruppi bancari (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Banco Bpm) con la concessione di fidejussioni per 175 milioni.
Il sistema AGS della NATO vedrà operativi a Sigonella i Global Hawk Block-40 di ultima generazione, dotati di sofisticati sensori termici per il monitoraggio e il tracciamento di oggetti fissi ed in movimento. I droni potranno volare con un raggio d’azione di 16.000 km, sino a 18.000 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h, in qualsiasi condizione atmosferica. La stazione aeronavale di Sigonella ospiterà pure le postazioni per il comando e il controllo dei droni e circa 800 addetti della NATO. I dati rilevati dai velivoli senza pilota saranno prima analizzati a Sigonella e successivamente trasmessi grazie ad una rete criptata al Comando JISR, Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaisance della NATO, con sedi a Bruxelles, Mons e The Hague.
“La centralità della base italiana di Sigonella sarà nell’analisi e distribuzione delle informazioni ma anche nella formazione del personale”, spiega l’analista Alessandra Giada Dibenedetto del Centro Studi Internazionale (Ce.S.I.) di Roma.“Geograficamente l’asset siciliano è strategico per la sorveglianza del Sud Mediterraneo e da Sigonella inizierà un viatico per proiettare la stabilità proprio sul confine meridionale della NATO, in collaborazione con lo Strategic Direction South Hub, basato presso il comando militare dell’Alleanza Atlantica di Napoli e che dal 2017 ha la finalità di aumentare la capacità di identificare e monitorare le molteplici minacce dal confine sud della NATO, con un centro di coordinamento per le operazioni di anti terrorismo, raccolta ed analisi dati ed informazioni dettagliate sulle principali aree di crisi nell’Area del Vicino oriente e dell’Africa settentrionale (…) Come il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha più volte sottolineato, le sfide e le insicurezze che provengono dal fronte meridionale, tra cui attacchi terroristici nelle nostre città e la più grande crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale, non possono essere ignorate…”.
 “Il sistema AGS contribuirà a popolare il sistema JISR dell’Alleanza, incrementando la consapevolezza situazionale, e a garantire prevenzione e rapidità di risposta”, aggiunge Alessandra Giada Dibenedetto. “I sensori radar, infatti, essendo in grado di sorvegliare in un solo giorno centomila km quadrati di terreno, forniranno un’immagine completa della situazione a terra contribuendo a un numero di missioni quali la protezione delle truppe in campo e dei civili, sicurezza di frontiera e marittima, lotta al terrorismo e assistenza umanitaria in caso di disastri naturali. Osservando l’attuale scenario nel Medio Oriente, Nord Africa e Asia è possibile individuare tre missioni principali a cui il sistema AGS potrà contribuire: Operazione Sea Guardian nel Mar Mediterraneo, Resolute Support in Afghanistan e il programma di assistenza alle forze di sicurezza irachene (…) Nel quadro di una profonda collaborazione italiana nella strategia NATO per il sud, c’è da domandarsi se vedremo dispiegate in Sicilia anche delle Unità NATO di Integrazione delle Forze (Force Integration Units) piccoli nodi di comando e controllo attualmente presenti solo al confine est dell’Alleanza che precedono un eventuale intervento della Forza di Risposta Rapida della NATO...”.
Il centro di comando e controllo del sistema di “sorveglianza” AGS opererà in stretto coordinamento con il distaccamento dell’US Air Force (USAF Detachment 2) di Sigonella, preposto al coordinamento dei droni-spia Global Hawk e dei droni-killer Predator di stanza nella base siciliana. Anche alcuni dei droni Triton in via di acquisizione da parte della Marina militare USA saranno dislocati a Sigonella e saranno integrati ai Global Hawk della NATO e di US Air Force. Resta ancora nebulosa la data in cui sarà pienamente operativo il sistema AGS. Dopo i test nelle piste dello scalo siciliano nel dicembre 2015 e un primo volo controllato a distanza a fine dicembre 2017, il Comando NATO aveva annunciato che il programma sarebbe stato completato entro la primavera del 2018. Nel sito ufficiale dell’Alleanza, si legge invece oggi che “il primo Global Hawk della NATO dovrebbe raggiungere in volo dagli Stati Uniti alla sua nuova sede di Sigonella nel 2019”. Intanto nell’ultimo bilancio di previsione, l’Alleanza ha riservato all’AGS un maxi-investimento di 1,7 miliardi di euro per le “comunicazioni satellitari a supporto dei cinque droni di sorveglianza”, la maggiore voce di spesa dei programmi di sviluppo e potenziamento dei sistemi alleati di guerra avanzata.

La Grande Guerra della nostra Scuola

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Una carneficina come mai si era vista nella storia dell’umanità. “Un’inutile strage” giunse a definirla l’ultraconservatore Papa Benedetto XV nella sua lettera ai Capi di stato belligeranti l’1 agosto 1917. Pagine nerissime, indelebili nella memoria: l’olocausto di generazioni di giovanissimi; la diffusione planetaria di carestie, fame ed epidemie; le deportazioni di massa e i genocidi di popolazioni di civili; la proliferazione di ingiustizie sociali ed economiche e la negazione dei diritti e delle libertà che condizioneranno gli anni a seguire della “non pace”, generando ovunque immani dittature, fascismi e nazismi sino alla catastrofe, figlia e sorella, della Seconda Guerra Mondiale.
A un secolo dalla tragedia del Primo Conflitto Mondiale, quello del 1914-18, governi, forze armate, istituzioni accademiche e scolastiche si distinguono soprattutto in Italia nella promozione di tripudi e commemorazioni, quasi una sagra della retorica dei “valori” di Patria, famiglia, coraggio, sacrificio, eroismo e arditismo che erano spariti dal vocabolario e dalla didattica della Repubblica fondata sulla Costituzione democratica e antifascista. Una rielaborazione a 360 gradi di contenuti e “verità” che cancella crimini e orrori, occulta responsabilità, grazia le classi politiche dominanti, gli industriali, i banchieri e gli alti comandi dell’esercito e della marina militare. Grazie ad alcuni protocolli tra il Ministero della Difesa e quello dell’Istruzione, nelle scuole italiane, in regime di monopolio, è stata affidata agli ufficiali delle forze di terra, del mare e dell’aria la narrazione della Prima Guerra Mondiale, frutto di una rielaborazione storica di parte e parziale, in buona parte falsa o volutamente falsata. Così alle nuove generazioni (e mai era accaduto dal secondo dopoguerra ad oggi), non è dato sapere che nelle “intrepide” azioni nelle trincee perirono quasi dieci milioni di soldati (oltre trecentomila solo sull’Isonzo e a Caporetto), mentre altri ventuno milioni restarono tragicamente segnati nel fisico e nella mente. E nei seminari “storici” che si moltiplicano nelle scuole di tutta Italia, sempre più di rado si accenna al tributo di sangue della popolazione civile, nonostante il milione di donne, bambini e anziani assassinati dalle bombe e gli altri sei milioni di “non combattenti” che persero la vita per la penuria di cibo o a seguito dell’esplosione di terribili pandemie.
Nel corso del Primo conflitto mondiale, furono scientificamente pianificati genocidi e deportazioni di massa, confinamenti e lavori forzati, lager e “soluzioni finali”. Le Convenzioni e le norme del diritto internazionale furono ridotte a cenere e ai generali, dei onnipotenti, fu concesso il privilegio di poter decidere impunemente sulla vita e sulla morte dei militi sottoposti o dei cittadini residenti nei territori occupati o “liberati”. Gli storici, quelli veri, hanno documentato le rappresaglie ordinate dagli ufficiali italiani contro le popolazioni “ostili” che abitavano le terre d’Isonzo. Quando nel 1915, mesi dopo il giro di valzer del governo monarchico nelle alleanze internazionali, gli “irredentisti” filo-austriaci fallirono a Dresenza l’attentato contro un generale tricolore, un gruppo di civili innocenti fu passato per le armi; un centinaio, invece, quelli che furono fucilati nello stesso anno per vendicare l’attacco contro i nostri “eroici” bersaglieri. Oltre settantamila i deportati “non italiani” dai territori liberati ai campi di concentramento sorti come funghi nel Sud Italia e in Sicilia.
Desaparecidos dai racconti dei neodocenti delle forze armate i nomi, i volti, le storie di tutti quei ragazzi strappati con la forza dagli affetti familiari e dalle loro povere terre per poi essere vigliaccamente abbandonati al fronte e al “nemico” da inetti, cinici e vigliacchi comandanti. Ipocritamente negate ad alunni e studenti le modalità di funzionamento della cosiddetta “giustizia militare”: ben 350.000 i processi avviati dalle Corte marziali nostrane contro renitenti, obiettori, disertori o per insignificanti atti di “insubordinazione”, con oltre 150.000 pesanti condanne, 4.000 finanche alla pena capitale. Andò ovviamente peggio per quei soldati che furono fatti prigionieri dei comandi austro-ungarici: rei di appartenere all’esercito di un ex alleato traditore, furono trattati molto peggio dei militari di altri paesi belligeranti. Sempre gli storici non avvelenati dalla propaganda bellico-nazionalista, ci ricordano che dei 600.000 italiani catturati, 110.000 morirono in prigionia per fame o malattie.
No, non c’è più spazio per queste verità nella scuola italiana sempre più asservita alle geostrategie di dominio globale dell’establishment politico-militare-industriale. Una scuola che è sempre più in guerra, più di guerra, più per la guerra. C’è una data che segna inequivocabilmente ogni anno il processo di scientifica manipolazione delle coscienze e della Storia. Il 4 novembre, l’anniversario della “Vittoria”, il “Giorno dell’Unità nazionale” e “delle Forze armate”. L’ultimo, quello 2017, nel ricordo di Caporetto e della “resistenza” sul Piave, ha visto con le parate e le corone d’alloro al Milite ignoto, un impressionante numero di cerimonie “Cimic”, cioè civili-militari, dove però i “civili” erano sempre e dovunque scolaresche in libera uscita. Come ricorda l’Ufficio stampa del Ministero della Difesa, in una trentina di città italiane si sono tenute per l’occasione cerimonie ed iniziative militari quali Caserme Aperte e Caserme in Piazza, “con il coinvolgimento delle amministrazioni comunali e delle scuole, con la consegna di una bandiera ad un istituto scolastico, possibilmente intitolato ad un caduto”.
“Le celebrazioni del 4 novembre 2017 sono accompagnate anche dal video Noi per Voi, un messaggio chiaro, che rafforza il rapporto di fiducia e affetto tra i cittadini italiani e le Forze Armate, rapporto che si è accresciuto e consolidato nel tempo”, riporta la velina della Difesa. “Tante quindi le iniziative organizzate per celebrare la giornata che segnò la fine di quella che allora venne definita la Grande Guerra, per ricordare la data in cui andò a compimento il processo di unificazione nazionale che, iniziato in epoca risorgimentale, aveva portato alla proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861. Fu proprio durante la Prima Guerra mondiale che gli italiani si trovarono per la prima volta fianco a fianco, legati indissolubilmente l’un l’altro sotto la stessa bandiera nella prima drammatica esperienza collettiva che si verificava dopo la proclamazione del Regno”. Il gran ritorno del mito del Ventennio, quello della IV^ Guerra d’Indipendenza che consacra l’Unità e l’Identità della Patria.
La Sicilia, isola laboratorio delle strategia di guerra del XXI secolo in ambito nazionale, europeo, statunitense e NATO, ha assunto un ruolo chiave nei programmi MIUR-Difesa di rielaborazione storica e “sensibilizzazione” militar-patriottica delle nuove generazioni. Innumerevoli le attività con le bambine e i bambini di ogni fascia d’età e i preadolescenti. Il 10 maggio 2018, ad esempio, con una lettera ai dirigenti di tutte le scuole statali e paritarie della Sicilia, l’Ufficio Scolastico Regionale del Ministero dell’Istruzione ha invitato ad aderire e partecipare alle “Celebrazioni del centenario della Grande Guerra” organizzate dal Comando della Brigata Meccanizzata “Aosta”, il reparto d’élite e di pronto intervento in ambito alleato con sede nell’isola, in sinergia con il Comando Militare dell’Esercito “Sicilia”. Tre giorni di valori, memoria e musica da realizzare dal 22 al 24 maggio, l’anniversario dell’entrata in guerra, con lo scopo di coinvolgere gli studenti delle scuole secondarie di I e II grado della Sicilia per rievocarne i fatti salienti”, scrive l’Ufficio Scolastico. La conclusione a Messina, città che ospita il Comando della Brigata, con la “mostra di reperti e materiali bellici e degli elaborati realizzati dagli studenti” e un “concerto interforze” della Banda dell’“Aosta”, della Fanfara del 6° Reggimento Bersaglieri di Trapani e della Fanfara del 12° Reggimento Carabinieri “Sicilia”. “La finalità formativa è quella di favorire la valorizzazione del contributo di una generazione di giovani italiani al conflitto bellico”, conclude l’Ufficio scolastico regionale. Dulcis in fundo, la consegna da parte del Comandante della Brigata “Aosta” degli attestati di servizio ai pronipoti dei combattenti caduti in guerra, tutti studenti degli Istituti Comprensivi “Mazzini” e “Santa Margherita” e dell’ISS “La Farina – Basile” di Messina.
La “celebrazione” di fine maggio seguiva di qualche settimana un’altra detestabile operazione di manipolazione storica da parte della Brigata “Aosta”, il cosiddetto progetto Esercito e studenti uniti nel Tricolore, realizzato grazie alla collaborazione di alcuni dirigenti scolastici della provincia di Messina “per promuovere tra i giovani il valore dell’identità nazionale”. Ancora una serie di concerti musicali, incontri seminariali, alzabandiera e sventolii di stendardi verde-bianco-rossi da parte di bambini, uno su cinque figli di migranti ma nati e cresciuti in Italia, derubati del diritto alla cittadinanza “nazionale” dopo il rifiuto del Parlamento di approvare le norme sullo ius soli. “Esercito e studenti uniti nel Tricoloreè una delle molteplici iniziative che l’Esercito, propone agli studenti, nell’anno in cui ricorre il Centenario della Grande Guerra per ricordare quegli uomini nati tra il 1874 e il 1899 che tra gli angusti spazi delle trincee e le imponenti cime dei monti, dall’Isonzo alle Dolomiti, dal Carso al Piave fino al Monte Grappa, contribuirono in maniera decisiva all’unità nazionale, sacrificandosi con generosità e coraggio”, annunciano i promotori con le stellette. In tre mesi di “campagna”, sono stati occupati dagli ufficiali e dai concertisti dell’Aosta, gli auditorium, le aule, i cortili e le palestre dei principali licei e degli istituti comprensivi del capoluogo dello Stretto, con tanto di info-team finali di “orientamento educativo e occupazionale” per promuovere pure ai tredicenni accademie e profumate carriere militari.“Grande entusiasmo e coinvolgimento dei numerosi studenti presenti che, insieme alla preside e ai loro docenti, hanno unito le loro voci nell’Inno d’Italia esprimendo, con orgoglio, il senso di appartenenza al Paese e, indirettamente, al loro Liceo”, riporta la nota stampa emessa alla fine delle celebrazioni allo Scientifico “Seguenza”.  
Nessuna possibilità di dissenso è permessa ad alunni, genitori, e insegnanti; a Digos e Carabinieri è permesso di presidiare all’interno gli edifici scolastici e l’unica critica pubblica al progetto studenti-militare-tricolore è stata censurata da una dirigente con l’avvio di un procedimento disciplinare. Emblematico poi quanto accaduto al Liceo Classico “La Farina” quando alla vigilia della parata-concerto dell’Aosta, ignoti scrissero sul muro d’ingresso Brigata Aosta assassina. “Il liceo in tutte le sue componenti prende le distanze dal vile e oltraggioso gesto perpetrato proditoriamente a breve distanza dall’inizio della cerimonia dell’alzabandiera promossa dalla gloriosa BRIGATA AOSTA”, riportò in un comunicato la dirigente. “Le frasi offensive, frutto di posizioni ideologiche che non ci appartengono e nelle quali nessuno di noi si riconosce, colpiscono la dignità della scuola istituzionetanto quanto quella della Brigata Aosta che pure ha rallegrato i giovani studenti, commuovendo gli adulti, consapevoli di vivere un bel momento anche se in un clima artatamente reso meno sereno di quanto si voleva”. Un attentato alla dignità, alla pari del “danneggiamento dell’immagine e del decoro della scuola” contestato al docente-obiettore dalla dirigente dell’Istituto Comprensivo “Cannizzaro-Galatti”, discutibili valutazioni che comunque hanno il merito di cancellare con un colpo di spugna i sanguinosi interventi della “gloriosa BRIGATA AOSTA”: la repressione del brigantaggio nel Mezzogiorno d’Italia post-unitario; le (dis)avventure coloniali in Libia e Corno d’Africa; le odierne missioni “umanitarie” in Iraq, Afghanistan, Libano e Kosovo; le operazioni di controllo dell’“ordine pubblico” e “vigilanza” di certi obiettivi sensibili in Sicilia: centri-lager per migranti; cantieri delle grandi opere  inutili, ecc.. 
A fine gennaio, a Palermo, l’AGe (Associazione Italiana Genitori), in collaborazione con la Città metropolitana e l’Ufficio Scolastico Regionale hanno invece promosso la XIII edizione del Concorso Nazionale Tricolore Vivo, rivolto alle scuole dell’infanzia e a quelle primarie e secondarie del territorio nazionale con l’obiettivo di “diffondere, nelle giovani generazioni, l’amore, il rispetto e la dedizione ai simboli più importanti del nostro Paese”. “Il tema dell’edizione 2017-18 riprende l’art. 52 della Costituzione, La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino….”, si legge nel bando. “Viene chiesto di elaborare componimenti scritti e/o lavori informatici o grafico-pittorici che esprimano le proprie considerazioni sull’articolo della Carta, mettendo in risalto: il ruolo del cittadino nella difesa e salvaguardia dei confini della Patria; il significato oggi dell’espressione difesa della Patria; il valore e i compiti delle Forze Armate (Aeronautica Militare, Arma dei Carabinieri, Esercito Italiano, Marina Militare); lo spirito democratico a cui esse devono attenersi sia dentro i confini nazionali che nelle missioni estere”. Immancabile il riferimento di Tricolore Vivo alle celebrazioni del centenario del Primo Conflitto Mondiale. “Gli alunni partecipanti riceveranno una menzione speciale qualora trovassero – fra i ricordi della propria famiglia e dei propri conoscenti – reperti, testimonianze documentali o personali, cimeli della Grande Guerra”, scrivono i promotori. Epilogo del concorso i festeggiamenti “solenni” per ognuna delle forze armate: il 17 marzo 2018 a Pantelleria per la Marina Militare; il 5 aprile a Taormina per l’Aeronautica Militare; il 20 aprile a Monreale per i Carabinieri; a fine maggio a Palermo per l’Esercito.
La Sicilia nella Grande Guerra, il titolo della “mostra itinerante” che il Comando Militare dell’Esercito Sicilia ha invece promosso nelle maggiori città della Sicilia, “coniugando 120 lavori realizzati da ragazzi siciliani su temi di carattere culturale e sociale legati al periodo bellico, con preziosi cimeli storici esposti grazie alla fattiva collaborazione di collezionisti privati locali”. La mostra, realizzata da solo personale militare, “vuole essere un innovativo strumento per avvicinare le nuove generazioni alla storia dell’Unità d’Italia che altrimenti rischia di restare chiusa nelle mute pagine dei libri di scuola”. Alla fine di ogni evento, il colpo ad effetto: la consegna a una decina di studenti delle copie degli stati di servizio degli avi che hanno combattuto in guerra “a suggello del loro legame attraverso un secolo di storia”.
Un po’ più originali le iniziative promosse a Palermo dal Comando dell’Esercito per onorare “la mobilitazione dei nostri Padri verso il fronte della Grande Guerra”: oltre alle immancabili alzabandiera, fanfare, deposizioni di corone d’alloro, mostre di cimeli e uniformi, per la consegna dei fogli matricolari si sono privilegiati gli studenti nati nel 1999, per un ponte ideale, cent’anni dopo, con la sfortunata generazione dei “ragazzi del 1899, che hanno combattuto in trincea”. Il bis a Trapani, il 18 maggio, nella Caserma “Luigi Giannettino” sede del 6° Reggimento Bersaglieri. Centocinquanta studenti dell’I.S.S. “Leonardo da Vinci” e del Liceo Musicale “Vito Fazio Allmayer” di Alcamo a fare da spettatori della giornata-ricordo 1918-2018: tra guerra e pace cent’anni dopo Vittorio Veneto e “vivere un momento altamente significativo nel quale il Tricolore ricorda, ancora oggi, l’opera delle generazioni che fecero l’Unità d’Italia, l’eroismo di quanti combatterono per la Patria e il sacrificio di coloro i quali caddero nell’adempimento del dovere”. “A suggello di tale sacrificio – prosegue la nota degli organizzatori - sulle note de la canzone del Piave, la cerimonia è proseguita con una mostra statica dei mezzi e materiali in dotazione alla Forza Armata e il saggio ginnico, tipico della specialità dei fanti piumati…”.
Basta tutto questo per inorridire, ma al peggio, si sa, non c’è mai fine. Così è prevedibile che in vista del secolo d’oro dall’intrepida vittoria italica del 4 novembre 1918, all’inizio del prossimo anno scolastico esploderà ovunque la voglia di militarizzazione autoritaria degli istituti e del sapere. Un’ode alla guerra sacra, santa e giusta, che, speriamo, non vedrà muti e ciechi uditori, studenti, insegnanti e genitori democratici.

Articolo pubblicato in Casablanca. Le Siciliane, n. 54, maggio-giugno 2018.

Bambini in gita alla base Usa di Sigonella. Li accompagna il parroco

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Le attività-vacanze del GREST per bambine e bambini? Meglio nella grande base USA-NATO di Sigonella, piattaforma per le operazioni di bombardamento con droni o caccia con pilota in Libia e nell’Africa sub-sahariana. Accade in Sicilia, dove a conclusione di un anno scolastico che ha visto decine di istituti ospitare i Marines statunitensi, ci pensano parroci e animatori dei gruppi ricreativi estivi ad ottenere il pass per condurre i propri allievi in visita “educativa” presso la grande installazione bellica.
Il 25 giugno è stato il GREST dell’Oratorio “don Peppino Cutropia” di Milazzo a organizzare una “gita di istruzione” a Sigonella. “Che bella notizia”, annuncia il volantino-invito distribuito ai piccoli partecipanti alle attività di animazione ospitate nella parrocchia del Sacro Cuore. “Porteremo i bambini a visitare la base aeronautica italoamericana. Il tour prevede la dimostrazione dei pompieri americani, la vista della stazione metereologica e dell’osservatorio astronomico, la visita di un hangar dove sono custoditi gli aerei, la visione di un video sull’attività aeronautica italiana. Il pranzo sarà consumato presso la mensa della base e prevede un primo, un secondo con contorno, frutta e bibita”. Costo dell’uscita, pasto compreso, 25 euro a bambino.
All’appello hanno risposto quasi tutti favorevolmente e così, la mattina del 25 giugno, due pullman hanno lasciato Milazzo per raggiungere Sigonella. È stato il parroco del Sacro Cuore, don Dario Mostaccio, a documentare l’escursione in quella che è ormai nota come “la capitale mondiale dei droni-spia e killer”, con decine di foto e un paio di video in bella mostra sul suo profilo facebook. “Sfidiamo il tempo! Sigonella arriviamoooo…!, esordisce il religioso alla partenza da Milazzo. Ma anche la giornata trascorsa a Sigonella è ricca di fotogrammi ricordo con il centinaio di minori - tutti a viso scoperto e riconoscibilissimi - che posano d’avanti ai grandi aerei da trasporto truppe o ai pattugliatori antisom USA, nella grande sala mensa della stazione aeronavale. “Il cattivo tempo ci è rimasto alle spalle... La visita d’istruzione alla Base Aeronautica di Sigonella è andata benissimo!!!”, conclude entusiasta don Dario Mostaccio.
Una passione per armi, marines e strutture di guerra che non fa certo onore al sacerdote-educatore che, comunque, andrebbe perlomeno censurato per la disinvoltura con cui riproduce e pubblica sul suo profilo aperto FB le immagini e i volti dei minori. Economo presso il Seminario Arcivescovile “San Pio X” ed ex direttore della Pastorale Giovanile di Messina, padre Dario Mostaccio guida la Parrocchia del Sacro Cuore di Milazzo dall’ottobre dello scorso anno, dopo il trasferimento dalla vicina Parrocchia di “Santa Maria Immacolata” di Olivarella. Noto per le sue attività a favore dei giovani con disabilità, nel marzo 2014 Mostaccio fu vittima di un grave atto intimidatorio: il suo SUV Nissan Qashqai fu incendiato di notte da ignoti piromani.
Il parroco-guida GREST non è comunque l’unico estimatore mamertino delle proprietà “didattico-formative” della grande base di Sigonella. Dal 28 maggio al’1 giugno scorso, gli allievi dell’indirizzo “Trasporti e Logistica, Conduzione del mezzo aereo” dell’Istituto Tecnico “Majorana” di Milazzo sono stati impegnati infatti in attività di alternanza scuola-lavoro presso lo scalo aereo sotto il controllo dell’Aeronautica Militare italiana, grazie alla convenzione sottoscritta dal dirigente scolastico Stello Vadalà e dal Comandante del 41° Stormo di Sigonella. “Gli studenti hanno seguito il personale militare nelle varie e articolate attività di gestione dell’importante struttura, affiancando a rotazione gli operatori di controllo dello spazio aereo, i controllori di torre e radar, ufficiali e sottoufficiali del servizio meteo, i tecnici del gruppo manutentori velivoli, ecc.”, riporta l’Ufficio stampa dell’Aeronautica militare. “Lo stage ha dato l’opportunità di implementare le capacità relazionali e di team working necessarie all’interno di una struttura organizzativa complessa, i cui vari livelli interagiscono dinamicamente per offrire servizi essenziali per la difesa e la gestione del traffico aereo”. Una quarantina in tutto le ore di lezione frontale, “vere e proprie esperienze lavorative realidove gli studenti sono entrati in contatto con la realtà quotidiana dell’Aeroporto siciliano, passando dal fascino per il volo con la preparazione delle sortite insieme ai piloti ed equipaggi del velivolo multiruolo P72-A, alla complessità della meccanica e dell’elettronica dello stesso aeroplano in manutenzione…”.
Intanto il Comando dell’Aeronautica militare ha reso noto che a partire dal prossimo anno scolastico si moltiplicheranno le attività di alternanza scuola -lavoro nella base di Sigonella. Alla ripresa delle attività didattiche, sono previsti gli stage con gli studenti dell’Istituto Tecnico Aeronautico “Arturo Ferrarini” di Catania, dell’Istituto Tecnico Commerciale e Aeronautico “Fabio Besta” di Ragusa e dell’Istituto di Istruzione Superiore “G. Arangio Ruiz”” di Augusta, Siracusa. Al GREST e nelle scuole, insomma, tutti in mimetica…

Crimini ambientali e ipocrisie di Governo con i nuovi lavori alla base Usa di Niscemi

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Giustificare con le espressioni "manutenzione" o "messa in sicurezza del territorio" la necessità di avviare nuovi lavori infrastrutturali all’interno della base USA di Niscemi è l'ennesimo atto mistificatorio del Pentagono, delle holding partner del complesso militare industriale statunitense e del Governo italiano.
Si tratta infatti di interventi per un importo di oltre 3 milioni e mezzo di euro che comporteranno devastanti impatti ambientali e paesaggistici e saranno utili solo a potenziare il dispositivo di guerra della US Navy in Sicilia e la "protezione" del MUOS, il sistema satellitare ad uso esclusivo delle forze armate USA per le guerre globali del XXI secolo.
Ancora più grave che il governo - anch'esso del tutto ancorato al modello di fedeltà cieca agli Stati Uniti e all'Alleanza Atlantica - faccia da mero passa carte dei progettisti USA per chiedere alla regione Sicilia l'autorizzazione ai lavori. Sarebbe bastata una lettura dei progetti infatti per sollevare in sede bilaterale perlomeno dubbi e perplessità sulla reale portata e gli impatti dei nuovi lavori (che comunque saranno sempre abusivi perché interessano la zona A della riserva naturale orientata di Niscemi). Ricordiamo che comunque spetta allo Stato italiano lo studio sui rischi idrogeologici e le eventuali criticità di ordine ambientale esistenti nel territorio italiano e questi non possono essere pertanto monopolio del Pentagono o dei suoi contractor di fiducia.
Siamo inoltre convinti che le problematiche "ambientali" segnalate da US Navy a giustificazione dei lavori di potenziamento infrastrutturale siano comunque ben minori di quelle realmente esistenti a Niscemi: esse in buona parte sono il frutto delle dissennate modalità di "utilizzo" del territorio da parte dei militari USA nei trent'anni di vita della base di telecomunicazioni, dalla deforestazione selvaggia effettuata in occasione della sua realizzazione, agli scempi della rete stradale creata in piena riserva, allo sversamento continuo di veleni e idrocarburi nelle falde acquifere, agli abusivi e devastanti lavori per il MUOS, all'assenza di manutenzione e messa in sicurezza contro frane, alluvioni, ecc.
Aldilà delle loro inaccettabili funzioni di guerra, gli interventi programmati per il potenziamento infrastrutturale della base USA, se venissero approvati dagli organi competenti regionali, costituirebbero così l’ennesimo crimine ambientale e paesaggistico contro la riserva naturale esistente e l’intera popolazione locale.

Per tutto questo vanno respinti senza se e senza ma i nuovi interventi a Niscemi da parte degli organi competenti e va rafforzata ovunque la lotta per lo smantellamento del MUOS e della stazione di telecomunicazioni di NISCEMI.

De Luca e l’accoglienza. Il business ai poteri forti, le baracche ai migranti

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Ha le idee chiare in tema di buona accoglienza migranti il neosindaco di Messina Cateno De Luca. Inviperito per la decisione di trasferire temporaneamente nel lager-hotspot di Bisconte le vittime innocenti dell’ennesima campagna fascioxenofoba del ministro Salvini (i cittadini eritrei soccorsi nel Mediterraneo dalla nave Diciottidella Guardia Costiera), De Luca ha suggerito un “equo” scambio di ospitalità: i baraccati messinesi in albergo, i migranti nelle baracche peloritane.
Rispondendo all’agenzia AdnKronos, il sindaco emulo del padre-padrone del Viminale si è detto pronto a mettere a disposizione dei richiedenti asilo “quelle baracche dove attualmente vivono diecimila messinesi tra amianto, fogne a cielo aperto e sporcizia”. “Qualcuno mi accuserà di razzismo?”, domanda De Luca. “Prima, però, dovrà spiegarmi perché in quelle strutture fatiscenti può viverci un italiano, ma un migrante no. Per me questa gente ha la priorità rispetto ai migranti. Allora facciamo così, tolgo queste famiglie da lì e le metto in albergo e sposto i migranti nelle baracche. Gliele do tutte…”.
Un’uscita, quella del sindaco-guitto, che oltre a sapere di populismo e demagogia, è quasi del tutto priva di fondamento. Solo un piccolo gruppo di migranti, infatti, è ospitato attualmente a Messina in strutture che un tempo facevano da pensioni e hotel, mentre la stramaggioranza di essi è stipata nelle anguste camerate dell’ex caserma di Bisconte o nelle zincobaracche innalzate lo scorso anno al suo interno (probabilmente in violazione alle normative urbanistiche e al PRG) per oggi funzionare da hotspot, centro schedature, detenzioni ed espulsioni manu militari.
Per dovere di informazione, l’unica struttura alberghiera cittadina convertita in centro di accoglienza per adulti stranieri è l’(ex) hotel Liberty di via I° Settembre, a due passi dalla stazione centrale. Di proprietà del potente gruppo economico-imprenditoriale Franza, dopo la sua chiusura è stato trasferito in gestione alla Soc. Cooperativa “Liberty” onlus, intenzionata a realizzare una casa riposo per anziani a cinque stelle. Fallito il progetto, la onlus in mano a tre ex dipendenti della nota cooperativa servizi del terzo settore “Nuova Presenza” (Maurizio Carbone, Filippo Guerrera e Massimo Dente), grazie ad alcune discutibili ordinanze a firma dell’allora sindaco Renato Accorinti, dal febbraio 2016 ha convertito l’ex albergo in centro per minori stranieri non accompagnati (Casa Amal), prima per un numero massimo di 60, poi elevato a 120 ospiti, in deroga alle norme regionali. Grazie a specifica convenzione sottoscritta dalla Cooperativa “Liberty” con la Prefettura di Messina, dall’1 settembre 2017, il centro è stato aperto anche agli adulti stranieri (la capienza autorizzata è per 64 persone). Secondo quanto riportato dalla stessa Prefettura, per l’ospitalità dei migranti sarebbero già stati versati 59.745 euro nel 2017, mentre è di 466.579 euro la somma prevista per il 2018.
Numeri e profitti maggiori quelli relativi alle strutture di accoglienza per adulti stranieri in mano all’immancabile Croce Rossa Italiana. A Messina i centri CRI convenzionati con la Prefettura sono due: il primo è stato avviato il 13 luglio 2017 presso l’IPAB “Collereale” di via Sardegna (da quasi due secoli utilizzato come Casa di ospitalità per anziani) ed ha una capienza di 98 persone (46 gli ospiti attuali); il secondo, inaugurato l’11 agosto 2017, è invece ospitato in un immobile di Salita Villa Contino, di pertinenza dell’Azienda Ospedaliera “Piemonte – Centro Neurolesi Bonino-Pulejo” (capienza per 30 persone, ma inattivo dallo scorso luglio). Quanto rendono ai gestori questi due centri per migranti? I versamenti autorizzati dalla Prefettura per il biennio 2017-18 sfiorano già il milione di euro: si tratta infatti complessivamente di un importo di 978.775 euro...
Venticinque sono gli adulti stranieri ospitati presso l’ex Istituto di formazione professionale di viale Principe Umberto, accanto al Sacrario di Cristo Re, grazie alla convenzione del 29 settembre 2017 tra la Prefettura di Messina e il Consorzio Umana Solidarietà di Palermo (178.585 euro di versamenti previsti per il 2018). Il Consorzio è uno dei soggetti più attivi nella gestione di centri di prima accoglienza, SPRAR e strutture per minori stranieri non accompagnati nella Sicilia occidentale. Recentemente ha concorso senza successo alla gestione del CARA di Mineo, il più grande centro-hotspot per migranti di tutta Europa, in associazione con altri big del business migranti, la società romana “Tre Fontane” (gruppo La Cascina) e Medihospes di Bari (già Senis Hospes). Voti noti quelli dei manager-operatori de La Cascina e Medihospes: a partire dall’ottobre 2013, essi hanno gestito in regime di oligopolio i servizi di ristorazione e assistenza di quasi tutti i grandi centri di prima e seconda accoglienza a Messina, per adulti e per minori.     
Anche gli ordini religiosi hanno la loro parte. La Congregazione dei Padri Rogazionisti (proprietaria di alcuni degli immobili presi annualmente in affitto dal Comune per ospitare scuole materne, primarie e secondarie), il 19 luglio 2017 ha sottoscritto con la Prefettura di Messina una convenzione per l’accoglienza di 24 adulti stranieri presso il proprio Noviziato di via Panoramica dello Stretto (65.240 euro la spesa prevista nel 2017, 149.625 per il 2018). I Padri Rogazionisti operano anche nell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in partnership con il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Messina. L’ultima determina di spesa è stata emessa da Palazzo Zanca nella primavera di quest’anno ed è relativa alle spese sostenute per i minori nel II trimestre 2017 (45 euro pro capite): complessivamente 128.655 euro per le comunità Alloggio Ismaele, Casa Famiglia Cristo Re, Antoniana, Villa Sorriso e Antoinette. 
Presso la Casa di Accoglienza della Diocesi di via Masse (Castanea) è stato aperto il 27 ottobre 2017 un centro per 25 adulti (versamenti nel 2018 di 159.005 euro); il servizio è stato però affidato ad una società a responsabilità limitata, la “Lighthouse Multiservice Company”, sede legale in via Università n.1, amministratore l’ingegnere Damiano Catania, contestualmente amministratore unico e titolare della società di costruzioni Italrecuperi Srl (Via Ugo Bassi 161, Messina). “Lighthouse” cura in qualità di ufficio tecnico la “progettazione, realizzazione, manutenzione straordinaria e ordinaria” del patrimonio diocesano peloritano. La società ha ottenuto la gestione di altre due strutture di accoglienza per adulti stranieri nel comune di Santa Lucia del Mela. La prima è stata autorizzata dalla Prefettura in data 18 agosto 2017 presso I’Istituto Canonico “Luigi Calderonio” di Piazza san Francesco (16 ospiti per una spesa di 23.800 euro nel 2017 e 92.295 nel 2018); la seconda presso l’ex Seminario vescovile di Santa Lucia (25 migranti per un importo di 18.795 euro nel 2017 e 226.415 euro nel 2018).
Chissà se adesso il buon De Luca, al posto degli insufficienti alberghi, invocherà per i baraccati anche l’alloggio nei conventi o nelle case di riposo di antica memoria…

Hotspot Migranti di Messina. Disumano e abusivo

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Una vera e propria baraccopoli superaffollata con decine di container di lamiere di zinco accatastate, tendostrutture, recinzioni e cancellate divisorie; pochi bagni fatiscenti e tre saloni con centinaia di letti a castello, uno attaccato all’altro, invadenti, soffocanti. Un moderno e infame lager per le politiche di “contenimento” e controllo dell’immigrazione dell’Unione europea e di tutti i governi succedutisi alla guida del Paese dall’agosto 2014, quando è stato aperto il Centro di prima accoglienza presso l’ex caserma “Gasparro” di Bisconte, Messina, ampliato l’estate 2017 con un’area zoo-hotspot per le procedure di identificazione, detenzione ed espulsione dei migranti “indesiderati”, in ossequio alle campagne elettoral-sicuritarie di Minniti-pd prima e di Salvini e pentastellati oggi.
Condizioni di vita insostenibili, disumane; per tanti, troppi, temporalmente sconfinate, mesi e mesi in attesa di un trasferimento in un centro degno e vivibile o per conoscere l’esito della propria richiesta di asilo. Un inferno invisibile, ben protetto dagli occhi della città da invalicabili mura. Ignoto ai potenti della Messina che conta, volutamente dimenticato da amministratori, politici, gruppi consiliari. Si è dovuto attendere l’epilogo della vergognosa odissea dei migranti sequestrati sulla nave Diciotti della Guardia Costiera perché l’esistenza del centro-hotspot di Bisconte ottenesse un po’ di attenzione mediatica. La nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Cateno De Luca, buon emulo del fascioxenobo padre-padrone del Viminale, ha così potuto “scoprire” l’hotel “Gasparro” per chiederne l’immediata chiusura e il trasferimento coatto degli “ospiti” nelle innumerevoli baracche che popolano le periferie peloritane. Nella sua smisurata foga demagogica, il sindaco De Luca un merito l’ha però avuto. Quello di scoprire negli archivi del Comune un documento sino ad oggi incomprensibilmente secretato, che proverebbe però l’insanabile abusivismo della zincobaraccopoli realizzata un anno fa a Messina.
L’atto in questione è stato redatto dal Dipartimento di Edilizia del Comune in data 10 maggio 2017 (due mesi prima cioè dell’avvio dei lavori per l’hotspot); reca in calce la firma della direttrice (l’architetta Antonella Cutroneo) ed è indirizzato alla “Tomasino Metalzinco Srl” di Cammarata, Agrigento, la ditta vincitrice dell’appalto per la “realizzazione di una struttura temporanea per l’accoglienza dei migranti” all’interno dell’ex infrastruttura militare. “Si rappresenta in via preliminare che dall’istruttoria tecnica di massima, effettuata sulla scorta della documentazione prodotta, risulta che l’intervento, proposto ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n. 380/01 lett. b), contrasta con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie del P.R.G. (Piano Regolatore Generale) e del P.P.R. (Piano Paesaggistico Regionale) Bisconte, ricadendo l’area in questione in zona V.p.u. – Verde pubblico e parco urbano”, annota la dirigente Cutroneo, dichiarandosi comunque disponibile ad incontrare i responsabili del progetto congiuntamente all’architetto Salvatore Parlato, altro funzionario del Dipartimento di Edilizia del Comune.
A supporto delle gravi considerazioni espresse, la dirigente allega una specifica relazione a firma del tecnico comunale Ignazio Collura, consegnata al Dipartimento il 9 maggio. “Dall’esame della documentazione trasmessa emerge che l’area interessata dall’intervento occupa una superficie di circa 3.800 mq all’interno della caserma “Gasparro”, in parte della particella 218 del foglio di mappa catastale 119 e ricade nel P.R.G. e nel P.P.R. attrezzature e servizi pubblici o di uso pubblico, in zona V.p.u Verde pubblico e parco urbano, art. 22, così come si evince nella cartografia fornita dall’Ufficio Pianificazione”, riporta il geometra Collura. “L’area sarà suddivisa in quattro zone, mediante l’utilizzo di recinzioni metalliche alte metri 2, distinguendosi così una zona destinata agli addetti del cento e promiscui; una zona alloggi; una zona mensa; un’area tecnologica. Sono previsti opere che riguardano: la sistemazione interna dell’area compresa la recinzione e la rimozione di un albero del quale si prevede il trapianto in un’altra area da determinare; lo spostamento del cancello d’ingresso; la collocazione di prefabbricati per ospitare i migranti costituiti da 22 moduli abitativi; la collocazione di prefabbricati per servizi (polizia, infermeria, vigilanza portineria, spogliatoi, docce, w.c….) a singola e doppia elevazione; una tendo-struttura da adibire a mensa”.
Seccamente negativa la valutazione complessiva del progetto. “Si rileva che la documentazione in atti, per quanto possa riportare una relazione dettagliata delle opere da realizzare, non risulta adeguatamente supportata da un grafico progettuale dettagliato”, spiga il tecnico del Dipartimento di Edilizia. “Considerato quanto sopra si rileva una incompatibilità del tipo di intervento con la zona di ricadenza del P.R.G., che comunque prevede il mantenimento delle alberature. Resta da valutare se il tipo di insediamento rispetta, oltre ai requisiti igienico-sanitari regolamentari, gli standard relativi al rapporto mq/utente, tale da garantire la vivibilità e la permanenza di persone”.
Ed è proprio sul tema “vivibilità” del lager-hotspot di Bisconte che la relazione tecnica del Comune esprime le sue riserve maggiori. “I moduli previsti in progetto sono collocati in linea ed accostati uno all’altro, posti lungo il perimetro dell’area di sedime, adiacenti al muro di confine alto circa 4/5 metri e a distanza di circa metri 1,00 (misura grafica); tale collocazione oltre a non essere regolamentare, non permette l’areazione dei locali”, spiega il geometra Collura. “I moduli abitativi sono composti da un monoblocco delle dimensioni di metri 5x6 da 12 posti letto, sprovvisti di idonee aperture per la ventilazione e l’illuminazione naturale...”.
Opere dunque in contrasto con le normative urbanistiche e del tutto “disumane”. Chi e che in modo ha poi autorizzato l’avvio dei lavori, ma soprattutto come mai l’allora sindaco Renato Accorinti e l’assessore competente ingegnere Sergio De Cola (a parole contrari all’hotspot) non hanno ritenuto di impedirne la realizzazione o rilevarne l’eventuale abusivismo e la comprovata violazione degli standard minimi di abitabilità ed accoglienza? E perché la politica dell’intera amministrazione del tempo si è caratterizzata per l’assoluta indisponibilità ad ascoltare le denunce degli operatori antirazzisti sull’insostenibilità e le incompatibilità del progetto di ampliamento del centro-lager di Bisconte?
Sin dal suo avvio, l’iter progettuale del megacentro semidetentivo di Messina era stato segnato da tortuosi passaggi burocratici e inattesi colpi di scena. Il bando per la “fornitura e posa in opera, comprensiva di trasporto, installazione, montaggio, manutenzione e smontaggio finale per la realizzazione di una struttura  temporanea costituita da tendostrutture e moduli prefabbricati, recinzioni  e cancelli, pensiline, arredi e cartellonistica per l’accoglienza dei migranti” era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 13 giugno 2016. In autunno c’era stato un primo affidamento dei lavori ad una nota azienda modenese di prefabbricati in legno, seguito da due ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale di Catania da parte delle imprese escluse, la loro riammissione, un secondo affidamento poi sospeso per l’offerta anomala della nuova azienda risultata vincitrice e, infine, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 2017 dell’’assegnazione definitiva dell’appalto alla “Tomasino Metalzinco” con un ribasso  di circa il 35,3% rispetto al valore complessivo a base d’asta di 1.932.000 euro. Per l’avvio dei valori a Bisconte si è dovuto attendere l’1 luglio 2017; buona parte delle opere in subappalto sono state appannaggio di altre piccole aziende con sede nel comune di Cammarata (la Siciliana Costruzioni Srl e la Focolari Srl), mentre la consegna della zincobaraccopoli è avvenuta ai primi di settembre 2017.
Un’ispezione a metà novembre da parte di un’equipe di Borderline Sicilia forniva un quadro dettagliato degli effetti dei nuovi lavori di ampliamento sulle condizioni di vivibilità e agibilità dei migranti all’interno del Centro. “Nonostante i lavori siano finiti da poco, anche dall’esterno è possibile constatare come le norme di sicurezza siano evidentemente inadeguate: si nota infatti l’esistenza di un’unica uscita di sicurezza, e se pensiamo che gli ospiti sono arrivati ad essere anche più di 600, possiamo facilmente immaginare l’impossibilità di gestione in caso di pericolo”, denuncia Borderline Sicilia.L’inefficienza dei lavori risulta ancora più evidente ascoltando i racconti di molti ospiti del CAS: a causa di forti allagamenti degli spazi in seguito alle recenti piogge, molti di loro sono stati costretti a dormire su brandine collocate all’interno di grandi tendoni. La precarietà organizzativa della struttura è facilmente percepibile sin dal primo impatto visivo esterno: gli spazi sociali sono nulli, i migranti sono obbligati a stendere i panni sulla rete divisoria, alcuni dei bagni sono chimici; l’acqua calda è disponibile solo in pochi momenti della giornata. Inoltre i vestiti e le calzature vengono distribuiti solamente al momento dell’ingresso e rimangono i medesimi per l’intero arco dell’accoglienza”.
“Gli ospiti dell’ex caserma sono, dunque, costretti a sopravvivere quotidianamente sotto il peso di un’accoglienza che fa acqua da tutte le parti e in un limbo di attesa senza data di fine; attesa che ha evidentemente il risultato, se non l’obiettivo, di incentivare la maggior parte degli ospiti a scappare da quest’apatia allontanandosi dal centro, complicando sempre di più il percorso del riconoscimento della protezione e il conseguente percorso di inclusione”, conclude l’organizzazione non governativa. “Siamo di fronte ad un circolo che si autoalimenta e che non fa altro che produrre da un lato irregolarità e dall’altro odio, xenofobia e pregiudizio. Specchio di questa realtà sono le diversificate proteste portate avanti sia dai dei residenti del Rione Bisconte sia dai migranti, che in numerose occasioni hanno provato a far sentire il proprio malcontento. Nonostante il silenzio mediatico, l’ultima contestazione da parte dei migranti è stata il 6 novembre 2017, in seguito all’allagamento di una parte del campo. La protesta non ha avuto effetti in quanto le condizioni sono rimaste le medesime…”.

Messina. Emilia Barrile, i Pernicone e il pressing in Comune per il concerto dei Pooh

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Pugno di ferro quello del neosindaco di Messina Cateno De Luca. La querelle a distanza con Calogero Ferlisi, da vent’anni alla guida della Polizia municipale, è sfociata in un procedimento disciplinare e nella destituzione di quest’ultimo. All’origine del conflitto istituzionale, una divergenza di vedute sulle modalità di repressione del commercio ambulante. De Luca ha inoltre deciso di trasferire provvisoriamente Ferlisi al dipartimento Patrimonio del Comune e ha affidato l’incarico ad interim di “capo” dei vigili urbani al dottor Salvatore De Francesco, dirigente del dipartimento Politiche Educative e Sviluppo Economico. Determinante per la promozione di De Francesco, il possesso del dirigente di un grado militare come “allievo ufficiale di complemento” della Marina militare.
Per certi versi, forse, inopportuna, la scelta di affidare il delicato incarico di Comandante della Polizia municipale a Salvatore De Francesco. Stando a quanto emerso nell’inchiesta giudiziaria Terzo livello che meno di due mesi fa ha condotto all’arresto, tra gli altri, dell’ex Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile, il dirigente sarebbe stato “avvicinato” proprio dalla Barrile “al fine di facilitare” alcuni imprenditori a lei vicini, interessati alla gestione del servizio ristoro e parcheggi dello stadio comunale in occasione delle partite del Messina calcio e di alcuni grandi concerti, in particolare quello dei Pooh nel giugno 2016. Va detto che i magistrati non hanno rilevato alcun comportamento illecito da parte di De Francesco (il dirigente non risulta infatti tra gli indagati). Ma quella della concessione dello stadio San Filippo è tra le vicende più eclatanti - secondo gli inquirenti - per provare come Emilia Barrile fosse capace di “interferire, in particolare, sull’operato degli uffici comunali, esercitando un’attività di pressione e di condizionamento, in ordine ad una pratica amministrativa di interesse dei fratelli Angelo e Giuseppe Pernicone (soggetti raggiunti da ordinanza di custodia cautelare nell’ambito della cosiddetta Operazione Matassa in quanto gravemente indiziati di essere partecipi di un pericoloso clan mafioso locale)”.
Per i magistrati peloritani, proprio in vista del concerto del popolarissimo gruppo musicale italiano, la Barrile avrebbe esercitato indebitamente il proprio status istituzionale per fare assegnare ai Pernicone le attività di stewarded i parcheggi nelle aree di pertinenza dello stadio, “ricevendo, in contropartita, dai Pernicone, la promessa che, in occasione del concerto in questione, nell’attività di ristorazione prevista, e nella percezione dei relativi introiti, sarebbe stata coinvolta anche la cooperativa Peloritana Servizi (o, comunque, altra impresa riferibile a Emilia Barrile e del commercialista Marco Ardizzone, o soggetti o costoro, parimenti, riferibili)”.
A partire dal mese di maggio 2016, in prossimità della stagione estiva, riprendevano, infatti, i contatti tra i fratelli Pernicone e il duo Barrile-Ardizzone: contatti che si erano interrotti una volta definita la questione relativa alla sistemazione della stagione calcistica”, scrive il Giudice per le indagini preliminari, dottoressa Tiziana Leanza. “L’oggetto di tale nuovo intensificarsi delle relazioni, testimoniato da una serie di telefonate volte alla programmazione di un incontro, veniva chiarito nel corso di una telefonata registrata il 2 maggio 2016 tra la Barrile e l’Ardizzone nel corso della quale la prima ragguagliava il secondo in merito all’argomento trattato con Pernicone Giuseppe durante un convegno appena svoltosi, attinente nella sostanza a una richiesta di intercessione della Barrile presso gli uffici comunali per far conseguire ai Pernicone la concessione del servizio parcheggi per il concerto dei Pooh, il cui organizzatore era un imprenditore catanese che a breve le sarebbe stato presentato”.
Il giorno seguente, secondo gli inquirenti, l’allora Presidente del Consiglio comunale “si attivava con Salvatore De Francesco, dirigente del Comune di Messina, responsabile ad interim del dipartimento Sport – Turismo - Cultura e Tempo Libero al fine di facilitare i Pernicone nel conseguimento delle concessioni cui ambivano”. La Barrile si prodigava inoltre a far ottenere all’impresa catanese la concessione di utilizzo del san Filippo. “Tanto si ricavava da una serie di contatti telefonici registrati tra il 5 e il 10 maggio 2016 tra la Barrile, il De Francesco e i due Pernicone, volti a concordare un incontro presso gli uffici del Comune per trattare la questione alla presenza, anche, dell’impresario catanese; incontro che aveva luogo il 10 maggio 2016”.
“L’intervento della Barrile sortiva I’effetto auspicato”, scrive il Gip del Tribunale di Messina. “Il giorno stesso, infatti, il dipartimento comunale delle politiche culturali e ricreative istruiva e proponeva alla Giunta, che la approvava in pari data, la deliberazione relativa alla concessione dello stadio san Filippo all’impresa Musica e suoni di La Ferlita Sebastiano & c. s.n.c. con sede in Catania, per la realizzazione del concerto previsto per il 18 giugno 2016. A distanze di poche settimane, la Giunta comunale, su proposta istruita dal De Francesco, quale dirigente del summenzionato dipartimento comunale, autorizzava la società del La Ferlita a gestire anche i parcheggi ubicati nell’area dello stadio, in occasione dell’evento musicale in questione”.
Nonostante l’esito positivo del pressing di Emilia Barrile, l’arresto dei fratelli Angelo e Giuseppe Pernicone, avvenuto in quegli stessi giorni nell’ambito dell’inchiesta Matassa, non consentiva di dare luogo alla “programmata spartizione” del servizio ristorazione e parcheggi. Al maxi-concerto dei Pooh, il catering sarà poi affidato all’impresa “L’Ancora” di Vincenzo Franza, mentre la gestione del parcheggio andrà ad un’impresa riconducibile a Raffaele “Lello” Manfredi.


Messina e il Terzo livello. Barrile “gioia” del superdirigente dei Vigili urbani

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Impianti brutti e del tutto insufficienti, troppo spesso inagibili. Non è facile fare sport a Messina, proprio per niente. Così anche la “spintarella” del politico di turno per facilitare o accelerare la concessione di un campo o di una palestra è perseguita da tanti sportivi. Il rendiconto è immediato: si rafforzano il prestigio personale e le reti clientelari ed elettorali. Tra i filoni dell’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia sul cosiddetto Terzo Livello che un mese fa ha condotto all’arresto - tra gli altri - della Presidente uscente del Consiglio comunale Emilia Barrile (già Pd, poi Forza Italia), candidata a sindaco all’ultima tornata elettorale, c’è pure quello relativo al pressing su amministratori e funzionari comunali per fare ottenere “in deroga” spazi sportivi alle società amiche.
Subito dopo gli arresti di Emilia Barrile e del suo inseparabile consigliere-consigliere Marco Ardizzone (un commercialista messinese residente a Subiaco con precedenti penali e vecchie supposte contiguità con il clan di Gravitelli), l’ex assessore allo sport, il comandante Sebastiano Pino, ha fornito alcuni elementi per comprendere come la potente politica cresciuta all’ombra di Francantonio Genovese, abbia provato a condizionare le scelte amministrative di gestione dell’impiantistica sportiva. Ascoltato dagli inquirenti come persona informata sui fatti lo scorso 7 agosto, Sebastiano Pino si è soffermato sulle modalità di assegnazione dei palazzetti dello sport alle varie società sportive. “Il PalaTracuzzi, il PalaRescifina ed il PalaRussello vengono gestiti direttamente dal Comune”, ha dichiarato l’ex assessore. “In particolare, con una delibera del 2016, era stato stabilito quali discipline sportive potevano essere praticate in ogni singola struttura. Il PalaRussello era destinato principalmente a pallavolo, pallacanestro, tennis da tavolo ed alla box. Inoltre la delibera  stabiliva che di volta potevano essere autorizzate altre discipline. Ricordo però, che tra quelle escluse vi era la pallamano poiché il montaggio delle porte e lo spostamento su ruote dei canestri alla lunga avrebbe danneggiato il parquet, aspetto questo, che c’era stato evidenziato dal Dipartimento manutenzione del Comune. Questa delibera fu successivamente integrata a seguito della temporanea inagibilità di altri impianti. Per i palazzetti gestiti dal Comune, le autorizzazioni venivano rilasciate dal dirigente del dipartimento nella persona di Salvatore De Francesco che comunicava ai responsabili degli impianti gli orari autorizzati all’uso e per ogni singola squadra”.
Sempre secondo Sebastiano Pino, nel corso del 2016 la presidente del consiglio comunale Emilia Barrile si sarebbe spesa in prima persona per far sì che il PalaRussello fosse utilizzato anche per la pallamano. “In particolare ricordo di essere stato contattato dal dirigente del dipartimento De Francesco, il quale mi faceva vedere una richiesta presentata da una associazione sportiva, credo la Messana, che voleva utilizzare il predetto palazzetto”, aggiunge Pino. “Mi riferiva inoltre, che la delibera non permetteva tale utilizzo e pertanto io gli dicevo che si doveva attenere ad essa in parola. Nell’occasione De Francesco mi ricordava che la figlia della Barrile giocava nella squadra che aveva fatto la richiesta e che pertanto la stessa era stata segnalata dalla Barrile. Io però ribadivo quanto asserito nella delibera. Dopo qualche giorno la Barrile si è presentata presso il mio ufficio a Palazzo Zanca perorando insistentemente che il predetto palazzetto potesse essere utilizzato anche per la pratica sportiva della pallamano, riferendosi alla squadra del Messana. Il suo atteggiamento era abbastanza pressante e tendente a minimizzare le problematiche che gli facevo presente e che erano alla base della delibera e a tutela dell’impianto. Anche se non riesco a collocare temporalmente il periodo, devo però rappresentare che per qualche mese il PalaRussello venne destinato alle partite di pallamano anche per le altre squadre, a causa di una inagibilità temporanea del PalaRescifina e del PalaMili”.
Successivamente Emilia Barrile si sarebbe interessata perché una squadra di calcetto a cinque potesse ottenere l’autorizzazione a giocare all’interno del PalaRussello. “Tale squadra era denominata Pompei, ma non ricordo se la Barrile abbia parlato espressamente con me o se sono stato contattato in merito dal De Francesco”, spiega l’ex assessore comunale. “Anche in tale occasione la mia linea era quella di osservare scrupolosamente quanto stabilito in delibera. Se non ricordo male, però, il PalaRussello fu assegnato temporaneamente a delle squadre di calcetto a seguito della inagibilità del PalaRescifina”. 
L’interlocuzione privilegiata di Emilia Barrile con Salvatore De Francesco, dirigente del dipartimento Politiche Educative e Sviluppo Economico e  responsabile ad interim di quello allo Sport, Turismo, Cultura e Tempo Libero (e da qualche giorno promosso dal neosindaco Cateno De Luca alla guida del prestigioso Corpo di Polizia municipale) è stata accertata dagli inquirenti anche per la vicenda relativa alla concessione dello stadio san Filippo in vista del concerto della nota band dei Pooh nel giugno del 2016 e per cui gli organizzatori prevedevano non meno di 30-35 mila spettatori.
“La lettura globale delle telefonate captate fanno chiaramente intendere che Barrile, sfruttando le conoscenze ed i contatti conseguenti al suo incarico presso il Comune di Messina, si adopera per facilitare gli imprenditori Giuseppe e Angelo Pernicone (persone queste in affari con la Barrile e Ardizzone) nei suoi rapporti con l’apparato comunale per risolvere più agevolmente la gestione dello stadio e dei parcheggi in occasione dell’evento musicale menzionato”, riporta la DIA di Messina nella sua informativa sul Terzo Livello del 6 ottobre 2017. Stando a quanto accertato dagli inquirenti, il 2 maggio 2016, Emilia Barrile raggiungeva telefonicamente Marco Ardizzone per rassicurarlo di essere intervenuta presso gli uffici comunali per far conseguire ai Pernicone la concessione del servizio parcheggi per il concerto dei Pooh, il cui organizzatore era un imprenditore catanese che a breve le sarebbe stato presentato. Due giorni più tardi la Barrile chiamava Salvatore “Salvo” De Francesco, per chiedergli di incontrarsi con urgenza per una cosa importante di cui discutere”. I due concordavano di vedersi in un noto bar sito in corso Cavour. Più tardi però era De Francesco a chiamare la Presidente del consiglio comunale per spostare l’appuntamento a Piazza Antonello. Nelle stesse ore la Barrile era raggiunta telefonicamente da Giuseppe Pernicone che chiedeva se ci fossero novità sulla concessione dello stadio san Filippo. “Sta provvedendo e poi ti spiegherò meglio”, rispondeva la donna.
“Con i dirigenti sono rimasti che si vedranno lunedì e che ci dovrebbe essere anche quello di Catania”, annunciava Emilia Barrile in una telefonata a Pernicone, il 5 maggio. “Vediamoci appena rientri a Messina perché la persona di Catania sarebbe arrivata martedì mattina e voglio parlare con te prima perché poi dovrà incontrarsi con De Francesco”, rispondeva l’imprenditore. I due si sarebbero visti poi il 7 maggio in centro. Tre giorni dopo Giuseppe Pernicone chiamava Emilia Barrile per informarla che l’organizzatore del concerto dei Pooh, il titolare dell’impresa Musica e suoni di La Ferlita Sebastiano & c. s.n.c. di Catania, stava per arrivare a Messina. “Alle nove hanno l’appuntamento da De Francesco”, aggiungeva. Come concordato, Pernicone richiamava Barrile prima di incontrarsi con il dirigente comunale. “Siamo qua che ti aspettiamo noi, è arrivato lui. Siamo fuori, ancora non siamo saliti…”. “Va beh, gli sto telefonando io a Salvatore, lui intanto con Salvatore può parlare”, rispondeva la Barrile in ritardo all’appuntamento. “E tu con lui quando parli?”, chiedeva Pernicone. “Il tempo che io finisco, l’urbanistica, dieci minuti ed arrivo là, intanto voi cominciate a parlare, ora ci chiamo a Salvatore”.
Come promesso Emilia Barrile contattava Salvatore De Francesco per comunicargli che erano arrivati quelli di Catania. “Quelle persone sono già da me”, rispondeva il dirigente. Poi le passava al telefono Angelo Pernicone, con cui Barrile scambiava alcune battute e poi comunicare che entro 20 minuti circa li avrebbe raggiunti. Subito dopo De Francesco contattava Barrile e l’aggiornava sulla discussione appena avuta con Pernicone e i suoi accompagnatori. “Gioia ascoltami, tu dove sei?”, domandava il dirigente comunale. “Dieci minuti e sono da te...”, rispondeva Barrile. “No, non vale la pena... stanno venendo loro, perché io gli detto tutta la situazione e quello che devono fare... loro già lo sanno... hanno bisogno di te, ma più lì che qui... quindi stanno venendo da te. Va bene? Ciao gioia, ciao”.
Come sempre, l’allora Presidente del consiglio comunale aggiornava telefonicamente il commercialista Ardizzone su quando avvenuto in mattinata. “Poi ti racconto, un’odissea!”, esordiva la Barrile. “Sono con l’organizzatore di Catania. Era bene che ti vedessi tu perché c’era pure Pernicone, ed io gli ho detto che la decisione è tua e non mia... quando potresti fare una capatina…”. “Intanto fatti dire quello che è, e così ci regoliamo”, rispondeva Ardizzone. Ed Emilia Barrile: “Lui può dare pure tutto ad un’unica società e poi tu… perché diceva qualcuno voleva tipo qualche bar perché sono venti punti bar, no? Una questione programmatica, quindi con loro non ci sono problemi di anticipo e quant’altro. Però devi parlarci tu insieme al responsabile e poi con Pernicone... A te stanno aspettando per sapere quando finire, comunque io le ho prese tutte le informazioni…”. “Benissimo! Alcune informazioni, tutte le cose, poi dobbiamo parlare pure con Franza...”, commentava Ardizzone. “No, loro dicono di no”, replicava Barrile. “Perché c’erano persone che volevano prendersi tipo un bar a zona, quindi loro lo danno ad una sola società e quella società lo subappalta ad altri, dando dei costi a gestione dei bar, però questa cosa me la diceva Pernicone, quindi è una cosa che devi fare tu, è una cosa troppo grande perché io possa parlare. Loro a Franza non gli vogliono dire niente... C’è pure l’opzione di dare solo la tribuna pure, ci sono tutte e due le opzioni, però Pernicone dice possiamo fare pure metà voi, metà noi, gli altri si possono dare ad altre società che lo vogliono... Io poi ti do il numero, in caso, del responsabile, del titolare, che me l’ha lasciato...”.
“L’intervento della Barrile sortiva I’effetto auspicato”, scrive il Gip del Tribunale di Messina nell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 30 luglio 2018. “Il giorno stesso, infatti, il dipartimento comunale delle politiche culturali e ricreative istruiva e proponeva alla Giunta, che la approvava in pari data, la deliberazione relativa alla concessione dello stadio san Filippo all’impresa catenese”. Ciononostante, alla fine, restarono fuori inaspettatamente dall’affare-concerto dei Pooh proprio gli imprenditori Angelo e Giuseppe Pernicone. Due giorni dopo il loro incontro con l’organizzatore di Catania e il dirigente comunale De Francesco, i due imprenditori-interlocutori di Emilia Barrile e Marco Ardizzone venivano arrestati nell’ambito dell’operazione denominata Matassa. Tre i capi di imputazione contestati ai Pernicone: associazione mafiosa (presunta affiliazione al clan operante nella zona sud di Messina capeggiato da Giacomo Spartà, detenuto al 41 bis, e retto da Gaetano Nostro); associazione semplice finalizzata al compimento di reati elettorali e intestazione fittizia di beni.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it l'1 settembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/09/01/messina-e-il-terzo-livello-barrile-gioia-del-superdirigente-dei-vigili-urbani/ 

Messina. L’assalto del Terzo Livello ai Centri per migranti

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“L’interesse di Emilia Barrile nel procurare posti di lavoro alle persone a lei vicine, si sviluppa in una più vasta rete relazionale volta a raccogliere ogni ulteriore opportunità lavorativa cui avviare i più fedeli e meritevoli dei suoi sostenitori; rapporta sempre a Marco Ardizzone le varie possibilità che si presentano e concorda con lui chi fare assumere e presso quale azienda, e ciò nell’ottica di una strategia volta ad ottenere i massimi benefici elettorali”. È quanto scrive il 7 ottobre 2017 la Direzione Investigativa Antimafia nell’Informativariepilogativa delle indagini svolte nei confronti dell’ex Presidente del consiglio comunale (e candidata a sindaco alle ultime elezioni amministrative) e su alcuni pregiudicati e imprenditori a lei vicini, finiti tutti agli arresti un mese fa nell’ambito della cosiddetta operazione Terzo Livello.
Un elaborato sistema politico-affaristico e clientelare, quello architettato dalla Barrile e dal suo consigliere-consigliore Ardizzone, che vedeva il pressing a tutto campo dell’esponente politica cresciuta all’ombra del ras Francantonio Genovese (già Pd poi Forza Italia), per far conseguire un’occupazione precaria a parenti, amici e sostenitori in aziende pubbliche, cantieri navali, società di navigazione, esercizi commerciali, supermercati e cooperative del terzo settore. Nelle mire di Emilia Barrile & C., non poteva mancare ovviamente il business dell’“accoglienza” richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati, esploso a partire delle false emergenze sbarchi dell’ottobre 2013 e che ha visto proliferare a Messina tendopoli-lager, hotspot per la detenzione, identificazione ed espulsione, centri di prima e seconda accoglienza, strutture “formative” per migranti e quant’alto. Titolari e manager di aziende di ristorazione, imprese edili e case di cura per anziani riconvertitesi in tempi record in gestori-operatori dell’accoglienza e praticoni-  sperimentatori di  “buone pratiche”. E centinaia tra neolaureati o disoccupati senza titoli di studio specifici trovatisi d’incanto a interpretare le figure professionali richieste nei centri migranti, in contesti complessi e pessime condizioni lavorative e stipendiali.
In un lungo capitolo dell’informativa Terzo Livello, la Direzione Investigativa Antimafia si sofferma specificatamente sui rapporti intercorsi tra Emilia Barrile e Benedetto Bonaffini, comunemente denominato Benny, “noto imprenditore messinese impegnato anche nel socialeattraverso le cooperative costituite per la gestione dei migranti e dei relativi centri di accoglienza”. Bonaffini, come riportano gli inquirenti, “dalla consultazione di fonti aperte viene citato quale responsabile per Messina della Cascina Global Service di Roma che aveva la gestione della tendopoli ove erano alloggiati gli immigrati e gestiva il centro di accoglienza per minori denominato Centro Ahmed in Messina, per conto della cooperativa Senis Hospes di Senise (Potenza)”. In verità, grazie all’interlocuzione ultraprivilegiata con la Prefettura e l’amministrazione comunale di Messina (sindaco Renato Accorinti), il potente imprenditore della ristorazione pubblica e privata ha avuto modo di gestire anche il maxi-centro realizzato presso l’ex caserma “Gasparro” di Bisconte, centri di “accoglienza di secondo livello” del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e finanche alcune attività del Centro “polifunzionale per immigrati regolari” inaugurato recentemente dal Comune grazie ai fondi PON Sicurezza del Ministero dell’interno. Ma poco importa. Importa invece quanto accertato dalla DIA sulla Barrile-Bonaffini connection in tema assunzioni e centri migranti, anche se, ad oggi, esse non sono state ritenute dai magistrati penalmente rilevanti.
“Per meglio comprendere l’importanza del ruolo ricoperto da Bonaffini - e, pertanto, la capacità di quest’ultimo di poter aiutare la Barrile garantendole l’assunzione di un considerevole numero di persone - occorre ricordare che, nel periodo in esame, l’emergenza degli sbarchi di immigrati, spesso dirottati nel porto cittadino successivamente al loro salvataggio in acque internazionali ed in seguito a precisi accordi stabiliti dal governo nazionale, ha messo la città di Messina in prima linea nell’accoglienza dei migranti”, riporta la DIA. “La vicenda, di notevole impatto mediatico, ha da subito imposto l’esigenza di creare, ampliare e comunque gestire, numerosi centri di accoglienza con la conseguente necessità di strutturare tutto l’indotto lavorativo che ne consegue. Per meglio esplicitare l’entità degli affari legati alla gestione di detti centri di accoglienza nella città di Messina, a mero scopo esemplificativo, si riportano il titolo di un articolo pubblicato il 15 agosto 2015 sul quotidiano on line Tempostretto e la sua parte introduttiva, che recita: Scambio di auguri in Prefettura: giovane migrante ringrazia per l’accoglienza al centro Ahmed. Attualmente il centro ospita 177 giovani. Dalla sua apertura, il centro, che ha può ospitare 224 persone, ha accolto 785 cittadini stranieri minori non accompagnati”.
Ma è soprattutto un altro articolo pubblicato il 6 aprile 2016 da Tempostretto.itdal titolo “L’accoglienza dei minori migranti, ancora pesanti accuse, denunce e un reportage fotografico”, ad attirare l’attenzione degli inquirenti. Si tratta del resoconto di un’audizione in commissione consiliare per i servizi sociali, promossa dall’allora presidente Donatella Sindoni (Pd), in cui erano intervenuti difensori dei diritti umani, sociologi, operatori sociali e responsabili delel coop accoglienza per affrontare le problematiche della gestione dei migranti in città. Un incontro tesissimo quello in Comune che aveva sancito la frattura (mai sanata) tra giuristi e studiosi di migrazione e diritti umani da una parte e l’amministrazione comunale e i professionisti privati dell’accoglienza dall’altra. “Come si evince dall’articolo suddetto, nel suo intervento in commissione Benny Bonaffini ha però difeso il lavoro svolto sino ad oggi dal centro Ahmed, anche alla luce di convenzioni e ordinanze che hanno affidato alla cooperativa Senis Hospes la delicatissima fase della prima accoglienza”, sottolinea la Direzione Investigativa Antimafia. “Bonaffini ha replicato che quando è stato aumentato il numero dei posti da 160 a 224 è stato stabilito che il personale sarebbe stato adeguato man mano che aumentavano i ragazzi ospiti della struttura. Casa Ahmed però offre molto di più di quanto sarebbe previsto dalla prima accoglienza, sono stati fatti tanti passi in avanti, abbiamo costruito una rete con alcuni istituti scolastici che non solo facilitano l’accesso a scuola ma attivano anche corsi di formazione per i ragazzi… Si tratta di affermazioni che qualificano univocamente la figura di Bonaffini quale responsabile del centro Ahmed ma, soprattutto, di dichiarazioni assolutamente in linea con le aspettative di Barrile che cercherà di far assumere alle dipendenze del centro, o comunque, per servizi funzionali alla struttura, persone da lei segnalate”.
Nella loro informativa, gli inquirenti spegano di aver registrato  tra la fine dell’anno 2015 ed i primi mesi del 2016 un “considerevole numero di telefonate” tra Benedetto Bonaffini ed Emilia Barrile, “conversazioni dall’apparente tenore amichevole ma che, in realtà risulteranno finalizzate all’organizzazione di appuntamenti tra i due interlocutori prevalentemente allo scopo di pianificare l’assunzione di più persone presso detti centri di accoglienza”. Conti alla mano, le operazioni di intercettazione della DIA hanno accertato l’esistenza di ben oltre duecento tra telefonate, messaggi e chiamate senza risposta intercorse tra l’imprenditore “sociale” e l’allora Presidente del consiglio comunale. Tutte conversazioni che però, annotano gli inquirenti, “sono state sempre particolarmente ermetiche e perlopiù finalizzate ad incontri presso bar o luoghi noti ad entrambi”.
In particolare, gli inquirenti segnalano alcune telefonate tra Barrile e Bonaffini il 4 e 5 marzo 2016 (un mese prima cioè della tumultuosa commissione consiliare a Palazzo Zanca), con le quali i due interlocutori concordano un appuntamento nei pressi del Bar Venuti, a due passi dalla centralissima piazza Università, indicato quale luogo più agevolmente raggiungibile da Bonaffini. “L’appuntamento verrà poi spostato per il pomeriggio dello stesso giorno sempre presso lo stesso esercizio commerciale”, annota la DIA. “L’appuntamento occorso tra i due, sarà, in parte, oggetto di una successiva conversazione intercorsa il 10 marzo questa volta tra Emilia Barrile e Marco Ardizzone sulle assunzioni che è riuscita ad ottenere e delle relative problematiche (…) Essa lascia trapelare l’interesse dei due interlocutori per la ghiotta opportunità offerta dal contesto storico-sociale descritto: posti di lavoro da distribuire a pioggia in base a criteri personalistici e non certamente in ragione delle singole capacità/professionalità; entrambi stabiliscono chi proporre per l’assunzione, con quale mansione, in quale località e per quanto tempo”.
Nello specifico Ardizzone chiede ad Emilia Barrile lumi in merito all’incontro da questa avuto nei giorni precedenti con Bonaffini e la donna risponde lasciando intendere che riuscirà a far assumere quattro persone. Sì, bisogna fare domani, me ne dà quattro a me…. riferisce Barrile. Ha vinto uno SPRAR, col Comune, questi minori non accompagnati e devono prendere tutto il personale e domani mi dicono le qualifiche… E su queste qua, lo posso disporre, devo vedere le qualifiche però perché come cercheranno lo psicologo, cercheranno pure l’OSA, possono cercare il giardiniere... Siccome a lui gli serviva pure il giardiniere, domani lui lo vuole mandato, perché fa su subito.it, fanno le assunzioni…. Ardizzone: Non gli avevi detto che mandavi Giacomo per provare?. Barrile: Eh, io volevo parlare con lui se se la sente, perché Giacomo là deve comandare, però gli stranieri mai se questo appena va là poi si spaventa perché questo è tutto strano, lo sai com'è, quindi o lui o Cosimo, che decidiamo? Decidiamo Giacomo, che è più grande, più bravo, più paziente, che dici? No, mandiamo a Cosimo, chiamo a Cosimo domani e gli dico, ti senti, mi fai questa cosa qua? Cosimo, perché gli fanno un contratto in fine al 30 di giugno, perché questi sono a scadenza di contratto, se poi il Comune sicuramente no? Gli rinnova la gestione, perché loro fanno la cosa dei minori non accompagnati, ormai hanno tutta la struttura, tutto quanto, poi gli fa il contratto a tempo indeterminato, mettiamo a Cosimo, che dici? Ma è pure vero che Domenico lo abbiamo mandato quella volta, ti ricordi che l’ho mandato per le cose degli immigrati che non è voluto andare perché si spaventava delle malattie? Che ho mandato poi il genero di ..., il nipote di Larino? Il figlio di Alessandra e anche il genero e ancora lavora là, messo in regola, full time, 36 ore settimanali, e lui allora si spaventava di prendere la malattia e me lo ha rifiutato…”.
Nel corso della stessa telefonata, Ardizzone s’informa se questo degli immigrati è sempre saltuario come lavoro. “No, fisso, però per ora hanno il contratto fino a giugno e poi ci sarà sicuramente la proroga, perché ormai il fatto che aprono una struttura di quelle che è uno stabile immenso dove ospitano minori non accompagnati che ormai ce li ha il Comune”, gli risponde Barrile. “Il Comune gli deve dare l’affidamento per altri tre anni, perché la struttura non è comunale, è di questa società, e il comune gli ha dato la gestione dei minori a questa società che già ha tutto…. Dove ci sono quello che mi dice che sono sautini, gli dico a Giacomo decidete voi chi vuole andare e mando o al padre o al figlio, io un posto ho per voi, premesso che dagli immigrati gli prenderà pure un inserviente, perché là poi ci sono altri quattro posizioni che tra una ventina di giorni devono aprire come SPRAR, o come tuttofare, o come OSA, o come assistente sociale…”.
Dal 12 al 15 marzo 2016 Emilia Barrile tenta ripetute volte di contattare Benny Bonaffini, sia con telefonate alle quali l’uomo non risponde, sia con messaggi dal testo mi dai appuntamento, mi dai tue notizie, ecc.. Il 24 marzo i due riescono finalmente a mettersi in contatto. “Più precisamente Emilia Barrile telefona a Benny Bonaffini che utilizza un’utenza intestata a La Cascina Scpa con sede in Roma”, riporta l’informativa. “I due concordano un appuntamento al bar situato nei pressi del cinema Apollo di Messina. Lo stesso pomeriggio, Barrile chiama Ardizzone dopo aver incontrato Bonaffini, e nel corso del colloquio, riferendosi ad un centro di accoglienza per migranti, la donna spiega al suo interlocutore che servono quattro o cinque persone da poter impiegare per il servizio di sorveglianza da espletare anche durante le ore notturne, per far sì che le donne non facciano entrare uomini nel centro di accoglienza e, comunque, per evitare la possibilità che venga esercitata l’attività di prostituzione. Barrile aggiunge che necessita assumere sia uomini che donne da suddividere in base alle necessità del centro, nonché la figura di un educatore e di altre professionalità qualificate; prosegue la sua spiegazione entrando nei particolari del contratto di assunzione - 18 ore lavorative più ore di straordinario da retribuire in base alle esigenze - e conclude l’argomento rappresentando ad Ardizzone che lei dovrà individuare, e comunicare entro il martedì successivo, 4 o 5 nominativi di persone da far assumere. I due continuano la conversazione parlando sempre di altre assunzioni che, seppur non riguardanti il centro Ahmed, di fatto risultano dimostrative dell’assunto precedentemente formulato”.
Dopo aver insistentemente provato a mettersi in contatto con Benedetto Bonaffini, Emilia Barrile riesce a fissare un incontro con lui per il 4 aprile 2016, subito dopo pranzo. In serata, l’esponente politica chiamerà il commercialista Ardizzone. “I due intratterranno una lunga telefonata durante la quale, come consuetudine, proseguiranno il loro resoconto sulle assunzioni, le mansioni, ed i datori di lavoro delle persone che intendono aiutare”, annota la DIA. “Ardizzone, in particolare, propone di mandare nei centri per migranti tale Mario, un cugino della Barrile, che però risulta condannato per violenza sessuale e, pertanto, lei spiega che con quella sentenza di condanna non può mandarlo a fare quel lavoro dove ci sono femmine”.
Nei giorni successivi, saranno intercettate ulteriori conversazioni tra la Barrile e Bonaffini. In particolare, il 17 aprile, al termine di un nuovo scambio di sms, i due concordano un appuntamento per il pomeriggio presso il bar adiacente al cinema Apollo. Dopo l’incontro, la donna ragguaglia immancabilmente Marco Ardizzone. “Mi diceva che aveva chiamato una, domani inizia, perché gli hanno dato, in pratica sono arrivati altri duecento immigrati e hanno preso un’Ipab, sono tutte cose regionali del Comune e però hanno bisogno la cooperativa che li gestisce e quindi hanno chiamato lui come cooperativa”, spiega Barrile. “Quindi i locali glieli mette l’Ipab e lui gli dà la gestione. Dall’elenco aveva due donne e sta chiamando a tutte e due. Una già l’ha chiamata stamattina ... Porta i documenti Nunzia e una la chiama ora per domani, cosi la vede subito e inizia pure questa. E poi mi ha detto comincio pure a chiamare gli uomini perché..., non è quel soggetto là, quello che mi diceva lui dei quattro, no... dice questa è stata una cosa all’improvviso..., ieri mi hanno chiamato, abbiamo fatto tutto ieri perché sono arrivati questi immigrati e quindi c’era necessità di questi locali e li hanno dato in gestione a me... Mi ha detto che quello là rimane sempre confermato, a fine mese quei quattro ragazzi, dice è un’altra cosa, però ora io me li chiamo tutti, perché visto che le emergenze qua sono all’ordine del giorno, cosi sono pronto… Intanto ora chiama quell’altra donna e chiamo pure Giacomo per un altro posto sempre, perché lui già ne ha tre di cose che gestisce... Gli ha fatto quattro ore, ventiquattro ore settimanale di contratto. Quattro ore a mattina più due rientri il pomeriggio di due ore. Va bene ventiquattro ore se uno ha gli assegni familiari già cinquecento euro più l’assegno possono arrivare a settecento; se questo ha tre figli a quei ottocento euro arriva. Con la fame che c’è…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 3 settembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/09/03/esclusiva-con-la-fame-che-ce-l-assalto-del-terzo-livello-al-centro-per-i-migranti-i-rapporti-tra-benny-bonaffini-e-emilia-barrile/ 

Messina e il Terzo Livello. “Ai centri migranti ci mandiamo fratelli e cugini…”

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Uno è il commercialista Marco Ardizzone, originario di Messina ma residente a Subiaco (Roma), “soggetto gravato da importanti precedenti giudiziari e di polizia che lo collocavano nell’ambito del gruppo criminale di Gravitelli riferibile a Giorgio Mancuso” (quest’ultimo protagonista delle cronache criminali dei primi anni ‘90, già affiliato al clan Costa e poi collaboratore di giustizia). L’altro è Carmelo Pullia, “pluripregiudicato per gravissimi reati, anch’egli gravitante nel medesimo gruppo criminale all’epoca alleato con il clan capeggiato dal noto Pippo Leo”, dipendente-supervisore della cooperativa sociale Universo e Ambiente, lavori in affidamento dai Comuni di Messina e Milazzo, dall’Azienda Meridionale Acque Messina (AMAM) e dall’Arsenale della Marina militare.
I due sono legati da un solido rapporto di amicizia, “tuttora molto forte, nonostante i quasi vent’anni di carcerazione patiti da Pullia stesso”, annota la Direzione Investigativa Antimafia. Il ciclone giudiziario scatenatosi in città con la recente operazione Terzo  livello sugli affari di una porzione importante del sottobosco politico-amministrativo locale, li ha travolti insieme alla ex Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile (prima Pd poi Forza Italia). Nell’ordinanza di custodia cautelare emessa a fine luglio, il Giudice per le indagini preliminari ha contestato in particolare a Barrile, Ardizzone e Pullia “di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di plurimi delitti contro la pubblica amministrazione”. Marco Ardizzone, intimo amico della Barrile, “fa da consigliere e mentore in ogni passaggio della sua vita pubblica e privata”. Dell’esponente politica, Carmelo Pullia né è invece il protettore, “incaricato di tutelarla, con ricorso ad atteggiamenti intimidatori, dalla irruenza dei soggetti appartenenti a vari contesti criminali, con i quali ella veniva a contatto, ed ai quali faceva favori”.
Le indagini sul Terzo livello  hanno documentato contatti frequentissimi tra il commercialista e il supervisore coop: i due, in particolare, grazie alla completa disponibilità dell’amica Barrile, provano a piazzare ove possibile stretti congiunti, amici e conoscenti. L’economia peloritana langue come non mai e le possibilità occupazionali sono ridotte al lumicino. L’esplosione dell’emergenza sbarchi a partire dell’autunno 2013 e la gestione sicuritaria dell’accoglienzamigranti generano però un’impennata nella domanda di “operatori” e di figure amministrative da impiegare nelle sempre più numerose strutture di ospitalità, attivate in città. Così anche Ardizzone e Pullia, tramite l’allora presidente del consiglio comunale, provano a ritagliarsi un ruolo da suggeritori e promotoridi manodopera a basso costo per i centri per richiedenti asilo e quelli per i minori stranieri non accompagnati.
“Una telefonata intercorsa il 7 aprile 2016 tra i due pregiudicati esplicita la loro comunione di intenti, che risulta essere in perfetta armonia con gli interessi, le valutazioni e le decisioni di Barrile, e questo in quanto anche Pullia ha interesse a segnalare qualche nominativo di suo interesse da fare assumere nei centri”, riporta la DIA nell’informativa sul Terzo Livellodel 6 ottobre 2017. “Questa settimana vediamo anche per questo ragazzo qua..., ora vediamo, o ai cantieri oppure anche lui dagli immigrati... Tanto sempre assunzioni buoni anche quelli per ora...”, spiega Ardizzone all’interlocutore. Replica Pullia: “Ma io già glielo detto... ma gli immigrati… non c’entra niente... lui mi ha detto che gli hanno cercato un elettricista per tre mesi, a prescindere del discorso là da Domenico che dice che non ha voluto. Domenico, capito? Ieri lo sai che mi sono incontrato, no? E mi ha detto che direttamente il principale gli aveva cercato un posto di elettricista, che neanche farlo apposta è il suo lavoro... E gli ho detto che problemi non ce ne sono e, infatti, eravamo rimasti che poi gli faceva sapere...”. Ardizzone: “Eh ho capito, ma siccome sabato si devono consegnare determinati curriculum, se poi gli dice No perché nel frattempo lo ha trovato... Io intanto sabato glielo faccio consegnare il curriculum, perché pure là servono quelli che fanno manutenzione... Infatti i curriculum degli immigrati li consegnano sabato, quindi io gli ho detto anziché darne quattro, dagliene cinque...”. Pullia: “Siccome mi ha chiesto, ora io domani, gliene dovevo portare un altro, capito? Diplomato in informatica, quindi può essere che gli può servire nella contabilità da qualche parte...”.
I quattro-cinque curricula sono destinati all’imprenditore Benedetto “Benny” Bonaffini, ex presidente di Confesercenti ed ex amministratore unico di Grand Mirci Srl (gestione mense e catering), già co-titolare della società di ristorazione Zilch Spa e - sempre in Sicilia - di alcuni esercizi in franchising delle catene Spizzico e Burgher King, ma soprattutto rappresentante o responsabile locale di Senis Hospes (poi Medihospes) e de La Cascina Global Service, le due holding nazionali che hanno controllato e controllano la gestione a Messina di quasi tutti i centri di accoglienza migranti (l’ex tendopoli del PalaNebiolo prima, l’hub per adulti presso l’ex caserma “Gasparro” di Bisconte poi; il centro di prima accoglienza minori “Casa Ahmed”; le strutture per minori stranieri non accompagnati MSNA di via La Farina e Contesse; due strutture del Servizio protezione per richiedenti asilo SPRAR, una per minori e l’altra per soggetti vulnerabili, donne singole o con figli).
“A riscontro di quanto dichiarato da Ardizzone a Pullia, sabato 9 aprile 2016 si registreranno alcune telefonate tra Emilia Barrile e Benny Bonaffini e successivamente tra la donna ed Ardizzone”, annota la DIA. Queste ultime daranno conto dell’appuntamento occorso in un bar del centro tra l’allora Presidente del Consiglio comunale e il ristoratore e di quanto dagli stessi pattuito in quella circostanza. “Ho approntato tutto quanto, siamo rimasti che lui adesso li chiama per i colloqui intanto a tutti, settimana prossima e si fa un’idea. Poi ci sediamo e mi dice le sue opinioni e così definiamo”, spiega Barrile. “Però, dice che forse quello che abbiamo subito è Giacomo, perché ci serve la figura per quel progetto. Poi mi fa sapere. Ora mi sto vedendo con un altro che ne sta aprendo un altro dove c’era il Liberty, l’hotel. Ora, mi diceva che già gli hanno dato, gli manca l’ultima autorizzazione, e là un domani sono più di 60 posti... Vediamo. Ora parlo con questo, sta venendo, mi sta raggiungendo, gli ho detto che volevo capire un attimo una cosina... Questo allora si prese il ristorante, si prese il coso... E niente, quindi, ora parlo con questo un attimo… comunque ora lui, settimana prossima, li chiama tutti, perché qualcuno aveva il curriculum e qualcuno no, e gli ho messo l’appunto col numero e vediamo poi quello che esce...”. Oggetto di discussione è il centro di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati (Casa Amal) che sta per essere autorizzato in via I° settembre, a due passi dalla stazione centrale (con ordinanza sindacale d’urgenza e in deroga alle normative regionali in materia), all’interno dell’ex Hotel Liberty di proprietà della Framon, gruppo imprenditoriale riconducibile alla famiglia Franza. “La proprietà sono nostri amici”, spiega Barrile. “Quelli sono dappertutto…”, replica Ardizzone.
La trasformazione del Liberty in un centro di accoglienza migranti, dopo il tentativo fallito da parte dei nuovi gestori (la Società Cooperativa Sociale Liberty Onlus) di adibirlo a casa di riposo di lusso, avrebbe infastidito in un primo tempo la Barrile poiché, come scrivono gli inquirenti, “l’apertura della Liberty Onlus presso l’omonimo hotel da parte di ditte rivali di Bonaffini potrebbe infatti sottrarre lavoro a quest’ultimo, con la conseguenza implicita di far diminuire la possibilità di impiego e quindi di nuove assunzioni da parte della Barrile”.
Il 17 aprile 2016 viene intercettata una nuova telefonata tra Emilia Barrile e Marco Ardizzone con tema l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. “Ora, mi diceva un altro che stanno aprendo dove c’era il Liberty che è di proprietà dei Franza, mi dice questo deve fare per forza ostruzione, tu lo conosci?, riferisce Barrile. “Gli ho detto , ma questo è vicino all’onorevole, ora io gliene devo parlare a lui, voglio vedere che mi risponde che a questo l’ha chiamato, lui mi ha detto No, prima eravamo casa di cura, li stiamo trasformando a quelli che avevamo là, prendiamo quelli, ma lui mi spiegava siccome loro hanno cento, devono fare trenta assunzioni, è obbligatorio, trenta assunzioni, dice perciò pure se ha a quelli, li deve integrare ancora e poi dice un’altra società che è di Marsala, a quanto sembra con la struttura che ci stanno facendo liberare e pulire... Francantonio (Genovese Nda) li stanno affittando a questi di Marsala, dice che sono miei concorrenti, io gliel’avevo fatto pure la proposta per quei locali, però non mi ha detto né sì e né no. Infatti lui gli ha potuto dire No, dallo a me, le solite cose e niente, perché questo è di Marsala. Ho detto Ma ha qualcuno a Messina? Dice No, non ne ha... è proprio lui, se li gestisce lui direttamente, non hanno riferimento a Messina... Gli ho risposto: Ma io ti ho detto se volevi andare alla Città del Ragazzo, tu hai detto questa settimana, ora prendo l’impegno e andiamo, dice in caso me li affitto là i locali, perché lui è in cerca di locali, se ha i locali prende i lavori in pratica, per ora è cosi, il Comune sta cercando locali ovunque…”. Secondo gli inquirenti, “quest’ultima conversazione fornisce numerose conferme relativamente ai rapporti affaristici intercorrenti tra Emilia Barrile e Marco Ardizzone, nonché a quelli esistenti tra i predetti - ovviamente Ardizzone per il tramite della Barrile - e Benny Bonaffini. È proprio l’imprenditore messinese che, grazie alla sua disponibilità, si dimostra strumento indispensabile per garantire l’assunzione di un considerevole numero di persone”.
“Al fine di agevolare Benedetto Bonaffini - comprendendo che all’ampliamento del numero di centri di accoglienza corrispondono maggiori profitti per Bonaffini e, conseguentemente, la possibilità di assumere molte altre persone – Barrile si interesserà al reperimento da parte di Bonaffini, nel più breve tempo possibile, di altri locali da destinare a centri di accoglienza”, rosegue la DIA. Così la presidente del Consiglio fa in modo che l’imprenditore prenda contatti con il professore Antonino De Domenico, responsabile della “Città del Ragazzo”, sita in via Pietro Castelli, Gravitelli, e ciò al fine di valutare la possibilità di affittare uno stabile per la successiva trasformazione in centro di accoglienza. Il 30 aprile Barrile chiama Bonaffini e concorda con lui un nuovo appuntamento nel corso del quale la donna promette di chiamare là, sopra, cioè la “Città del Ragazzo”, nella persona del De Domenico. Incontratasi in un bar con Bonaffini, la Barrile raggiungeva telefonicamente De Domenico. “Non appena De Domenico risponde, la donna spiega che un amico suo, Benny Bonaffini che si occupa anche degli immigrati, vorrebbe vedere i locali dove c’era l’asilo, nonché quelli dell’ente, ovvero della scuola, dove c’erano le classi”. I locali in questione si trovano sempre a Gravitelli, feudo elettorale della Barrile; in passato avevano ospitato l’Ente Formazione Addestramento Lavoratori (EFAL). Viene così concordato un appuntamento tra il ristoratore e il professore per il lunedì successivo. “Farò il possibile per presenziare all’incontro”, concludeva Barrile. Alla fine sarà solo Bonaffini a visionare i locali. “La scuola non è predisposta perché vi sono poche stanze molto grandi, mentre per quanto riguarda l’EFAL è sì e quindi manderò l’offerta”, spiegherà Bonaffini alla Barrile.
La frenetica attività di Barrile, mirata all’individuazione di nuove opportunità lavorative nei centri per migranti, genera però gelosia tra una delle “colleghe” in consiglio comunale. Il 17 giugno 2016 Marco Ardizzone riceve una telefonata dall’esponente politica amica. “Oggi Giovanna mi ha chiamato, Giovanna Crifò, dice una cosa che ti voglio dire, perché ce l’ho con te, non voglio... creare...,mi hanno detto che quello là, sugli immigrati, a te ti ha fatto 14 assunzioni”, riferisce Barrile al consigliore. “Gli ho detto, ma che cazzo state dicendo... e lei dice, No, va uno che vuole fare gruppo lo dice a tutti…”. “Il colloquio assume particolare rilevanza poiché, oltre al consueto resoconto sulle varie assunzioni, l’interlocutrice rappresenta di aver ricevuto delle lamentele da parte di un altro esponente politico, Giovanna Crifò (all’epoca dei fatti consigliere comunale, condannata in 1° grado a 4 anni e 10 mesi in seguito agli sviluppi dell’operazione Gettonopolie rieletta con Forza Italia alle ultime amministrative) che, avendo appreso che quest’ultima stava facendo assumere numerose persone sfruttando il fenomeno dell’immigrazione, avrebbe preteso la spartizionedi detti posti di lavoro”, riporta la DIA. “Ciò evidenzia inoltre che, nell’ambito delle rispettive funzioni - Presidente del consiglio la Barrile e consigliere comunale la Crifò - la capacità di offrire impiego ai cittadini assume rilievo fondamentale per implementare il consenso elettorale, e di questo ne sono perfettamente consapevoli sia Barrile che il suo mentore, Ardizzone”.
L’incidente di percorso con la Crifò non fa desistere tuttavia Barrile e gli inquirenti registreranno numerose telefonate e altri incontri con Benny Bonaffini, specie nel periodo compreso tra il 4 e il 20 luglio 2016. In quegli stessi giorni Ardizzone raggiunge telefonicamente Emilia Barrile per affrontare ancora una volta il tema migranti, anche perché direttamente interessato a che venisse assunto il fratello in un centro. “Oggi mi ha chiamato (Bonaffini nda), perché ora si devono fare..., anzi devo chiamare tuo fratello perché ha fatto lui la cosa su subito.it, e sta facendo le richieste lavorative tramite internet!”, spiega Barrile. “Che tu presenti il curriculum on line. Perciò lui mi ha detto, faglielo fare così, così poi faccio il colloquio e si evita che un domani qualcuno… perché è una cosa ufficiale…, lui ha fatto un bando…. Oggi mi ha chiamato e io non gli ho risposto, comunque io poi lo richiamo più tardi, perché lui poi vuole sapere la situazione… Io poi lo devo dire pure a quello perché allora mi aveva dato quel nome per fargli mandare il curriculum là! Meglio così, così è più, più... come si dice?... Anche se lui è un privato e può fare quello che cazzo vuole!”.
“Anche quest’ultima conversazione rende esplicito che, nel periodo in esame, la natura degli incontri tra Bonaffini e Barrile riguarda prevalentemente le occupazioni presso i centri di accoglienza per immigrati”, scrive la DIA. “Entrambi, presumibilmente nella piena consapevolezza di non poter affrontare liberamente per telefono dette argomentazioni, rinviano ai colloqui di persona la pianificazione dei loro progetti. In tale ottica, l’uso del portale on line subito.itquale strumento fittizio per la selezione dei candidati da assumere, consente a Barrile di celare il suo diretto coinvolgimento nelle assunzioni, ricevendo in tal senso anche il plauso di Ardizzone”. Conversazioni, messaggi e tentativi di telefonate tra Bonaffini e Barrile saranno registrati dagli inquirenti nei giorni successivi, e sino al 14 ottobre 2016, “impegni tutti caratterizzati sempre dall’alone di mistero generato dal linguaggio sibillino adottato dai due”.
Ma quante sono le persone che grazie alla Barrile sono state poi assunte nei centri gestiti da Bonaffini? “Io già cinque me li sono sistemati con gli immigrati... Mi sono sistemata già tre femmine e due mascoli e altri quattro me li stanno chiamando...”, dichiara l’esponente politica in una telefonata intercettata il 24 aprile 2016. Le indagini hanno consentito di accertare l’identità di due operatori raccomandati. Grazie all’acquisizione tramite il portale INPS delle liste aziendali della cooperativa Senis Hospes, relativamente agli anni 2016 e 2017, il confronto dei nomi dei dipendenti con quelli indicati nelle conversazioni ha permesso di individuare tra le persone cui Barrile fa esplicito riferimento, tale Natale Bertuccio, residente a Gravitelli ed ex dipendente della cooperativa Universo e Ambiente. “La consultazione dell’anagrafica INPS ha confermato infatti che Bertuccio ha lavorato alle dipendenze di Senis Hospes a decorrere dal mese di dicembre del 2016 e fino al maggio del corrente anno, mentre in precedenza, per un periodo di 23 giorni, lo stesso ha lavorato alle dipendenze dell’agenzia di lavoro interinale Humangest S.p.A., con sede legale a Pescara”, riporta la DIA. “Tra le persone da avviare al lavoro presso gli immigrati a cui Barrile fa riferimento in alcune conversazioni, compare più volte tale Giacomo. Il contesto complessivo del dialogo permette di individuarlo con certezza in Giacomo Crupi, cugino acquisito di Barrile e per molti anni formalmente amministratore unico della cooperativa Universo e Ambiente. Dalla visura nella banca dati INPS, questi, a decorrere dal mese di dicembre 2016 e per un periodo pari a giorni 22, risulta assunto alle dipendenze della Humangest S.p.A.. Nell’anno 2017, Crupi ha lavorato alle dipendenze della stessa società per complessivi giorni 67 relativi ai mesi di gennaio, marzo, aprile e maggio”.
Il periodo di lavoro e la società di impiego del Crupi sono perfettamente coincidenti con quelli di Natale Bertuccio ed è quindi presumibile che i due siano stati assunti insieme. “Si fa presente che la mancanza di spunti identificativi non ha consentito, allo stato, di individuare le altre persone che Barrile afferma di avere fatto assumere agli immigrati, ma i due nominativi riscontrati confermano che quanto affermato dall’esponente politica circa la sua concreta possibilità di ottenere assunzioni non è certo millanteria”, concludono gli inquirenti. “Si rappresenta inoltre che spesso i lavoratori vengono assunti tramite società di lavoro interinale, quindi il rapporto di lavoro avviene con la loro mediazione e per un volume di lavoratori notevole. Inoltre nel caso di specie la Humangest S.p.A. potrebbe non essere l’unica società di lavoro interinale cui la cooperativa Senis Hospes, di cui Bonaffini è braccio operativo a Messina, si sia rivolta”.

Barrile, Genovese e il Terzo livello. “Pd o Forza Italia? Meglio il salvadanaio…”

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Fine novembre 2015. Per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare, l’onorevole-imprenditore Francantonio Genovese torna libero e, a furor di popolo, tenta di riconquistarsi un ruolo da protagonista nella scena politica regionale e nazionale. Già leader giovanile della Democrazia cristiana, poi Cdu, Margherita e finalmente Partito democratico, Genovese era finito agli arresti nel maggio 2014 nell’ambito dell’inchiesta Corsi d’oro, sulla malagestione dei finanziamenti per la formazione professionale. La lunga detenzione lo ha portato a riflettere su quello che deve essere il suo prossimo passo. Meglio rompere drasticamente con i colleghi della forza politica che lo ha visto tra i fondatori e tra i maggiori contribuenti in termini di voti e risorse, per virare di 180 gradi e approdare nelle file del partito-azienda del cavaliere Silvio Berlusconi. Lo seguono in Forza Italia i suoi più stretti sostenitori, primi fra tutti il cognato Francesco Rinaldi (presidente del collegio dei questori dell’Assemblea Regionale Siciliana), il figlio Luigi Genovese (futuro parlamentare regionale), l’on. Maria Tindara Gullo e un nutrito gruppo di sindaci e consiglieri comunali della provincia di Messina. Tra i supporter nei secoli fedeli c’è pure la Presidente del consiglio comunale del capoluogo dello Stretto Emilia Barrile, eletta alle amministrative 2013 con un impressionante numero di preferenze, 2.517. Anche lei nel dicembre 2015 abbandona il Pd per condividere con Genovese & C. la svolta di centrodestra. Una scelta tutt’altro che semplice, tormentata, i cui passaggi salienti sono stati “fotografati” dalla Direzione Investigativa Antimafia nell’inchiesta sul Terzo livello, che un mese e mezzo fa ha condotto all’arresto della Barrile e di alcuni dei suoi più stretti amici e collaboratori politico-imprenditoriali.
“Il momento in cui l’indagine fornisce elementi di interesse su Emilia Barrile precede di poche settimane quello in cui la medesima, eletta in Comune nelle liste del Partito democratico (Pd), cambia schieramento politico seguendo, come molti altri consiglieri comunali, il suo referente politico, il noto Francantonio Genovese, nella sua migrazione dal Pd al partito di Forza Italia”, esordiscono gli inquirenti. A determinare la decisione di Emilia Barrile è la sua smisurata ambizione politica di “diventare parlamentare regionale o nazionale, la necessità di trovare il modo di creare unsalvadanaioper finanziare le future costose campagne elettorali, le attività poste in essere per curare il suo potenziale bacino elettorale”.
“Le ambizioni politiche personali di Barrile sono il movente principale di ogni sua azione”, annota la DIA. “Da consigliere di quartiere - è entrata nel consiglio comunale di Messina con le elezioni del 2008 per poi risultare, nelle successive comunali del 2013, il consigliere più votato. In virtù di questo risultato elettorale - e anche all’appoggio dell’onorevole Francantonio Genovese, cui è legatissima - ha ottenuto la nomina a Presidente del Consiglio Comunale. Questa carica ha ulteriormente accresciuto la sua influenza sugli apparati burocratici comunali…”.
In vista dell’ambito salto di qualità verso un seggio al parlamento regionale o nazionale, Barrile si adopera per ampliare la sua rete di relazioni a livello provinciale. “Questa volontà di candidarsi emergeva già dai dialoghi intercettati sulle utenze in uso a Francesco Clemente, prima ancora che le indagini portassero ad attivare l’intercettazione delle utenze di Barrile, e viene poi confermata da tutta l’attività tecnica successiva”, scrivono gli inquirenti. Francesco Clemente, professionista messinese notoriamente vicino alla potente famiglia D’Alia, già esponente dell’Udc e candidato alle elezioni regionali siciliane e provinciali, viene descritto come “soggetto in possesso di una vasta rete relazionale costruita e consolidata negli anni non solo in conseguenza della sua professione di ingegnere e imprenditore ma, soprattutto, a seguito della sua carriera politica e dei ruoli/incarichi ricoperti all’interno di istituzioni - egli, durante la sindacatura retta da Lorenzo Italiano è stato il direttore generale del comune di Milazzo”.
Al fine di non essere tradita nelle lotte politiche interne al Pd e ottenere così l’auspicata candidatura, sin dall’inverno 2015 Emilia Barrile prova a coinvolgere Francesco Clemente “che vede come un possibile alleato, da sistemare all’interno della segreteria politica di Genovese”. Il professionista ovviamente, “potendo trarre vantaggio dall’amicizia di Barrile e da quella di Genovese, si presta e partecipa a numerosi incontri conducendo, parallelamente all’attività politica, quella in favore proprio e dell’amico Vincenzo Pergolizzi, imprenditore edile di Milazzo, in quel momento, soggetto sottoposto a misura di prevenzione sia personale che patrimoniale caratterizzata dalla pericolosità sociale qualificata e destinatario, dall’ottobre 2012, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e del sequestro di beni e quote azionarie”.
Nel corso di una conversazione telefonica con la moglie, l’8 febbraio 2015 Francesco Clemente racconta di avere appena incontrato Emilia Barrile e che la stessa gli aveva riferito la propria intenzione di candidarsi alle prossime elezioni regionali, chiedendogli il suo sostegno, non tanto per cercare voti ma per farle da consigliere. “Di fronte alle perplessità dell’interlocutrice, Clemente insiste convinto che Barrile spaccherà, considerato che ha preso 2.600 voti al Comune a Messina quando il secondo ne ha presi meno di mille”, riporta la DIA. “Aggiunge che ha una holding di patronati e che guadagna notevoli somme da queste attività: Clemente spiega che i patronati che Barrile avvia in provincia sono un favore perché lei dà la sigla e poi delle pratiche negli uffici di Messina se ne occupa Barrile stessa, ma questi patronati non vengono dati casualmente, ma a persone comunque impegnate in politica che poi possono sostenerla. Dice, infatti, Clemente: uno lo ha dato al vice sindaco di Saponara, l’altro ad un consigliere di Barcellona, facendo intendere che Barrile si attende un ritorno elettorale. Infine Clemente spiega che Barrile vorrebbe essere guidata e magari poi proporrebbe come sindaco. La moglie gli suggerisce di darle questa assistenza; Clemente afferma che ci penserà perché ritiene Barrile una brava, venuta dalla strada che ha i voti per fare carriera e a cui tutti i politici di livello si rivolgono”.
Pur mantenendo uno stretto rapporto fiduciario con Francesco Clemente, è però il commercialista Marco Ardizzone ad assume il ruolo di “mentore” di Emilia Barrile, guidandola passo dopo passo nelle sue scelte politiche. “Ardizzone corregge i suoi comunicati stampa e gli atti che lei prepara, le suggerisce cosa dire nelle interviste e quale contegno tenere, le raccomanda di fare attenzione nelle sue comunicazioni che potrebbero essere ascoltate anche perché proprio in quei giorni era stata notificata la custodia cautelare a carico di alcuni membri del consiglio comunale per l’indagine Gettonopoli”, riporta l’informativa della DIA.
Sempre secondo gli inquirenti, lo stesso Ardizzone avrebbe partecipato in prima persona al processo decisionale che ha portato la presidente del Consiglio al passaggio dal Partito Democratico alle file di Forza Italia, seguendo il percorso intrapreso dall’on. Genovese. Tra il 9 e il 12 dicembre del 2015, il commercialista avrebbe addirittura lasciato la città di residenza, Subiaco (Roma), per raggiungere Messina e partecipare insieme alla Barrile ad “incontri sia di natura politica con esponenti politici regionali sia legati alla gestione di alcune cooperative”. “Questo passaggio è stato particolarmente travagliato in quanto Ardizzone, personalmente più orientato a non seguire Genovese, ha più volte sollecitato Barrile a farsi dare delle garanzie, anche di natura economica, da Genovese ed, analogamente, anche dagli esponenti del Pd. In particolare, si sarebbero dovuti offrire a Barrile delle opportunità economiche al fine di garantirle la capacità di finanziare il gruppo di persone che la sostengono e, inoltre, degli incarichi professionali in favore di professionisti segnalati da lei e che avrebbero devoluto parte dei guadagni in un così detto salvadanaiofinalizzato a sovvenzionare le future campagne elettorali della donna”.
Emilia Barrile s’incontra e sente telefonicamente l’on. Genovese sin dai giorni in cui l’imprenditore-parlamentare ha ottenuto la libertà dai domiciliari. Prima e dopo ognuno di questi incontri, la presidente del Consiglio comunale si confronta con Marco Ardizzone, “sia con conversazioni più o meno criptiche e sia attraverso messaggi e sia attraverso l’applicazione WhatsApp ritenuta più sicura”. Il primo contatto in questo contesto avviene il 28 novembre 2015 quando Emilia Barrile informa Ardizzone di un colloquio avuto con l’onorevole. I due, a dire della predetta, avrebbero parlato della volontà di Genovese di fare una selezione tra le persone del proprio entourage. “Questi, parlando delle proprie intenzioni politiche, avrebbe espresso rassicurazioni anche sul buon esito della sua vicenda giudiziaria – da cui sarebbe venuto fuori se non in primo, in secondo grado, perché l’unico aspetto che lo preoccuperebbe riguarderebbe alcuni fondi esteri che però, a suo dire, sono soldi del padre”, riportano gli inquirenti nella loro informativa di reato. “Barrile racconta ancora che Francantonio le ha suggerito di non partecipare agli attacchi politici contro Accorinti perché, se dovesse cadere, anche a lei ne avrebbe un danno; infine le ha raccomandato di stare attenta perché è sempre attenzionata”.
Il 3 dicembre 2015 l’esponente politica aggiorna Ardizzone circa il contenuto di un nuovo incontro avuto con Francantonio Genovese in cui questi le ha fatto la proposta di seguirlo nel suo cammino politico transitando con Forza Italia, unitamente al proprio cognato Franco Rinaldi e all’on. Maria Tindara Gullo. “Questa proposta, ovviamente, destabilizza Barrile che, nelle settimane seguenti, alterna incontri con i commissari del Partito democratico a Messina a quelli con Genovese, confrontandosi ripetutamente con Ardizzone, e talvolta anche con Clemente, in ordine alle valutazioni sulla convenienza di una o dell’altra scelta per la sua carriera; Ardizzone, con visione prosaica, la esorta a ricavare un vantaggio economico per sé e per le persone a lei vicine da questa scelta”, scrive la DIA. Il 4 dicembre, il commercialista suggerisce alla politica amica di discutere prima possibile con Genovese gli “aspetti pratici e i risvolti economici della proposta politica in questione, ed in particolare a proporre che si facciano dei contratti a professionisti segnalati da lei”.
“Tu gli devi dire ‘ste parole qua: senti gli altri hanno beccato, gli altri si pigliano 140 - 130 mila euro all’anno, se non di più”, spiega Ardizzone. “Se no ciccia mia sono dai 12 mila ai 15 mila euro al mese, a me mi arrivano 500 euro di merda. Tu questo discorso qua gli devi fare. Io capisco che tu mi dici la parola, il rispetto della parola o che, ma gli devi dire: io mica non mi fido di te. Io non mi fido della pressione che ti possono mettere gli altri un domani. Quindi mi devi dire tu come si possa trovare oggi un cosa per garantirmi. Che faccio? Faccio fare due contratti? A professionisti, a cose, per 100 ... due tre contratti da 40-50 mila euro a contratto per... 100.... per 10 mila 12 mila euro al mese. Dici: Io di questo mi preoccupo perché un domani tu mi dici è una questione di equilibri. No! e No! Perché tu lo sai, poi tu, invece di aiutarmi, se dopo mi blocchi, mi hai bruciato. Perché io di qua sono uscita sono passata di là. La gente ti dice che cambi bandiera e altro e quindi dammi una garanzia differente oggi! La tua parola mi sta bene e mi fido, però tu capisci che oggi io ho delle le necessità. Subito! Tu mi dici “devi stare attenta e non devi perdere tempo con quelle cose”. Eh, ma quelle cose mi danno quei quattro cinque mila euro al mese. Chi me li dà, se li lascio perdere? Io come faccio a dare come già li sto dando i 2 o 300 euro, i 500 euro alle varie persone del mio gruppo, quei tre quattro importanti che mi devo tenere? Gli dici poi: Dove li piglio? Perché la stessa cosa che fai tu, no? Che ha fatto la Gullo, che ha fatto quello e fatto quell’altro perché pure loro danno i 500 a uno, mille all’altro e se li tengono ... i sindaci o cosa…. Io ce li sto rimettendo con il mio per tenermi le persone del gruppo mio…. Dobbiamo trovare ora una formula pure che io possa garantire me ed il gruppo…”.
Nel corso della stessa conversazione telefonica, Ardizzone insiste con l’interlocutrice sugli aspetti economici da sottoporre a Genovese per finanziare i prossimi impegni politici. “Barrile dovrà dire che deve pagare mille euro al mese di mutuo per comprare un ufficio e quindi, per riuscire a garantire ai membri del suo gruppo delle entrate adeguate, è costretta arompersi il culocon tante altre cosette (riferimento alla cooperativa ed ai patronati N.d.R.)”, scrive la DIA. “Deve dirgli che lui (Genovese) deve mettersi nei panni di lei; ancora deve chiedere come lui intende garantirle 15 mila euro al meseperché in passato Barrile ha fatto già il passo indietro richiestole da Genovese mentre altri hanno avuto un ruolo politico più economicamente remunerativo. Quindi lei deve chiedere a Francantonio una garanzia, oggi, perché fra tre anni può nuovamente capitare che lui le chiede di fare il passo indietro”.
La mattina del 5 dicembre 2015, la Presidente del consiglio comunale ragguaglia il commercialista sull’esito del colloquio avuto con l’on. Genovese. “Barrile sente la necessità, a questo punto, di riflettere sulle scelte - comunica di avere un incontro con gli esponenti del Pd il lunedì successivo ma anche con loro prenderà tempo - e vorrebbe parlare di persona con Ardizzone prima di prendere una decisione”. Nei giorni successivi, i due tornano a confrontarsi. In particolare, l’8 dicembre Ardizzone le consiglia di affrontare con Genovese il discorso sulla sua persona. “Se gli vuoi dire chi sono, spiegagli che posso essere anche molto funzionale per i suoi interessi”, dice Ardizzone. “Digli: è un tipo molto particolare che ha accesso a tutto quello che vuole, se vuole, dal Vaticano in poi… E ancora che lui si è messo a riposo ma non è in pensione... che è stata una scelta sua, un po’ per le cose che sono successe, un po’ perché gli giravano i coglioni di accettare determinate imposizioni...”.
Nel corso della stessa conversazione, Barrile racconta ad Ardizzone di avere incontrato l’avvocato Giuseppe Terranova, esponente storico della Dc messinese ed ex assessore comunale, “già responsabile dell’Unione ciechi, che le ha dato la sua disponibilità a sostenerla politicamente qualunque scelta lei avrebbe fatto”.Dopo Barrile affronta invece con Ardizzone il tema dell’assunzione promessa da Francantonio Genovese alla propria figlia Stefania Triolo, “un posto all’Università che secondo la donna non va bene perché vi sarebbe il concreto rischio che la figlia sia riconosciuta, e ciò potrebbe esporla troppo e sarebbe sputtanata”. Il commercialista suggerisce di “farla entrare in banca, trovando d’accordo la Barrile in quanto si tratterebbe di un incarico nel settore privato, ma al contempo lei afferma di non volere perdere la possibilità di indicare una persona per l’università perché lì diventi un impiegato quasi statale e quindi aveva pensato ad una parente che non è riconducibile, una ragazza che lei ha cresimato”. In ultimo, Ardizzone torna sul discorso che Barrile deve fare a Genovese sulla propria persona, “cioè deve spiegare che si tratta di uno con cui si devono rispettare gli accordi e con la quale non rispettare la parola può essere problematico e che infine, egli è comunque disposto anche ad incontrare Genovese quando sarà a Messina nei giorni seguenti”.
Nel corso di quella stessa giornata, Francantonio Genovese incontrerà l’on. Gianfranco Miccichè, sancendo il suo passaggio nelle file di Forza Italia. “A questo incontro partecipano numerosi esponenti politici locali dell’entourage di Genovese ed anche Barrile si unisce loro per un certo lasso di tempo; poi aggiorna Ardizzone, in vari dialoghi, sulle attenzioni ricevute nell’occasione e sulla promessa di essere condotta ad incontrare Silvio Berlusconi”, riporta la DIA. “Il giorno seguente, Barrile riconosce ad Ardizzone il merito di averla fatta crescere e maturare con i suoi rimproveri e le sue incisive lezioni, di averla messa in grado di fare il salto di qualità. Riferisce all’interlocutore che l’onorevole Genovese si è complimentato con lei e che gli ha chiesto se gli porta Francesco Clemente perché gli serve come... perché tutti quelli che gli scrivevano i documenti e gli facevano la cosa politica li ha tolti o sono contro di lui e quindi non ha personale per formare la segreteria; invero Barrile aveva già accennato a Clemente questa possibilità, ma lui, come riferisce la donna ad Ardizzone - aveva detto di avere il grosso impegno dato dal proprio lavoro e si è reso disponibile a fornire un aiuto nei limiti del possibile ma facendolo esclusivamente per e in favore di Barrile”.
Il pomeriggio del 9 dicembre, Barrile è accompagnata da Marco Ardizzone in un bar nella centrale via Tommaso Cannizzaro per discutere con il deputato nazionale Ferdinando Aiello (vicecommissario del Pd a Messina) della sua eventuale permanenza nel partito. Dopo l’incontro, gli inquirenti intercettavano una conversazione tra il commercialista e il fratello Fabio Ardizzone, in cui il primo riferiva di avere parlato con l’on. Ferdinando Aiello ed un altro parlamentare nazionale del Pd, Ernesto Carbone, anch’egli originario di Cosenza e “che consegnerà loro il curriculum del germano…”. “Poi capirai gli equilibri pure tu, perché ora non è il caso che appaia io, è meglio...”, spiega Marco Ardizzone. “Di fronte alla prospettazione di seguire politicamente il partito democratico, Fabio palesa perplessità su come potrebbe reagire a questa scelta Genovese, e Marco lo tranquillizza evidenziando che c’è la possibilità che le vicissitudini giudiziarie di Genovese non siano finite e quindi ad andare con lui si rischia di perdere tutto”, annota la DIA. “Più avanti nella conversazione, quando Fabio evidenzia il desiderio di avvantaggiarsi economicamente della situazione, Marco lo tranquillizza precisando che il loro impegno non è dato a titolo di cortesia - anche perché fare una campagna elettorale costa intorno ai 100 mila euro - e per questo che spera di ottenere incarichi ben retribuiti, uno o più cose, la cifra intorno ai 150 dovrebbe essere! Così possiamo fare il salvadanaio ed in più avere le loro cose”. Dopo l’incontro con i commissari, Ardizzone consiglia dunque ad Emilia Barrile di restare nel Partito democratico, mentre lei si mostra ancora indecisa. Il 10 dicembre, la presidente del consiglio comunale contatta nuovamente l’on. Aiello “che le dà disponibilità per due cose tra quelle di cui avevano discusso il giorno precedente, concordando di vedersi il sabato seguente a Roma a causa degli impegni dell’onorevole”.
Alla fine Barrile decide invece di transitare nel gruppo consiliare di Forza Italia. “In questa fase coopta ancora Francesco Clemente - che il 13 dicembre 2015 redige per lei il comunicato per la stampa nei giorni in cui si sta decidendo questa transizione politica - pensando ad un suo inserimento nella segreteria politica di Genovese ovvero, da ultimo, ad un suo impiego in un incarico dirigenziale presso la società Siremar”, riporta l’informativa. L’incontro decisivo, ai fini della sofferta scelta di Barrile, avviene probabilmente il precedente 12 dicembre quando la stessa incontra Francantonio Genovese insieme a Clemente. Dal tenore di un successivo colloquio telefonico tra Ardizzone e la Barrile, gli inquirenti ritengono che uno dei temi chiave del summit con Genovese sia stata proprio l’ipotesi di un incarico di Clemente, “quale dirigente, all’interno della società Siremar, nella sede legale di Palermo e con un contratto di 5-6 anni”. “La Siremar è infossata dai dirigenti e quindi la devono riqualificare”, spiega Barrile ad Ardizzone. “Genovese ha la necessità di mettere persone di fiducia in questa società e Clemente è persona che lui stima, anche se per affidare l’incarico deve passare il vaglio di Franza”. Pure Francesco Clemente racconterà alla socia Domenica Milioti l’esito del loro incontro con l’on. Genovese. “Francantonio, sotto il profilo politico, ha intenzione di defilarsi indicando come suoi candidati Barrile e Rinaldi e vorrebbe che Emilia prendesse una stanza nella sua segreteria”, spiega Clemente. “Per me invece si tratta di fare il dirigente alla Siremar, dove ci sono 180 milioni di euro l’anno in finanziamenti, 400 dipendenti che diventano 700 nell’estate, ma non gli ho detto nulla”.
Un’intercettazione ambientale dello stesso giorno sull’autovettura in uso a Clemente, presente Emilia Barrile, fornisce l’ulteriore conferma delle proposte ricevute. “E’ di interesse come riferendosi alla probabile remunerazione per tale incarico, torni la questione - tanto cara e ribadita nei discorsi con Ardizzone - che parte dello stipendio sia destinata a creare un possibile fondo per la campagna elettorale di Barrile: La metà la dà a me, va bene? … Facciamo un salvadanaio…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 10 settembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/09/10/esclusiva-terzo-livello-i-rapporti-tra-genovese-e-la-barrile-pd-o-forza-italia-meglio-il-salvadanaio/ 

Il “sistema” Barrile. Cooperative e patronati in cambio di voti e prebende

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Quella che Emilia Barrile ha messo in piedi con il sostegno e la complicità di Marco Ardizzone “persona con trascorsi giudiziari che lo collegano agli ambenti della criminalità organizzata messinese degli anni novanta”, è una potente macchina clientelare - il sistema l’hanno definita gli inquirenti - che le avrebbe dovuto consentire il raggiungimento di altissimi traguardi nella sua carriera politica. L’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia di Messina sul Terzo livello che ad agosto ha visto l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare ai danni dell’ex Presidente del Consiglio della città dello Stretto e dei suoi più stretti consiglieri e collaboratori, ricostruisce alcune delle trame tessute dall’esponente politica per conseguire uno degli obiettivi più ambiti: una candidatura “sicura” alle elezioni politiche per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana o, meglio ancora, a quelle della Camera dei Deputati.
“Il passaggio di Emilia Barrile dal Partito Democratico a Forza Italia - seguendo le vicende del suo storico punto di riferimento, l’on. Francantonio Genovese - si sostanzia proprio nella speranza di un concreto appoggio per la candidatura e l’elezione in occasione delle prossime competizioni elettorali, siano esse regionali o nazionali”, annota la DIA. “Le conversazioni danno conto del tentativo del commercialista Ardizzone di ottenere, nel contesto di questa transizione politica, un incarico da cui ricavare il denaro da mettere da parte per sostenere la futura campagna elettorale. Barrile - che in ambito comunale può contare su un bacino di voti molto rilevante, al punto da essere stata il consigliere comunale più votato nelle elezioni del 2013 - ha assunto anche il ruolo istituzionale di Presidente del Consiglio, circostanza che ne ha aumentato il prestigio e la notorietà facendole assumere un’autorevolezza che, per sua stessa ammissione, prima non aveva. Al contempo questo ruolo pare per lei quello apicale nell’ambito della politica comunale, e la spinge a portare molto oltre le sue ambizioni con questo aumentando la necessità di ottenere più consensi”.
L’accordo per un seggio-poltrona nei teatri della politica di serie A sarebbe stato sottoscritto tra Emilia Barrile e Francantonio Genovese nei giorni successivi alla riconquistata libertà del parlamentare travolto dalle indagini sui cosiddetti Corsi d’oro. Il 14 dicembre 2015, nel corso di una telefonata intercorsa tra Barrile e Ardizzone, la donna, nel riassumere il contenuto di un colloquio avuto in precedenza con Genovese, spiegava all’interlocutore che il parlamentare le aveva fornito numerosi suggerimenti finalizzati ad una sua candidatura politica in ambito nazionale. “Il grande progetto politico di Barrile, caratterizzato dall’ambizione personale più che dall’interesse per il bene comune, necessita evidentemente di consenso e di appoggi indispensabili per emergere politicamente”, commentano gli inquirenti. “La donna sembra pervasa da un frenetico attivismo che la porta a tessere una rete capillare di amicizie e cortesie che hanno tutte uno specifico scopo. Contatta persone di ogni risma e, in cambio del futuro sostegno elettorale, li lega a sé attraverso piccoli o grandi favori, dalle assunzioni per persone da lei segnalate, ad interventi mirati presso gli uffici comunali, ovvero attraverso i suoi patronati e le cooperative occultamente da lei gestite o i contatti privilegiati creati presso l’INPS, e infine presentando coloro i quali hanno piccole o grandi ambizioni politiche all’on. Genovese presso cui perora le cause delle persone di suo interesse”.
“Per creare le condizioni per essere attrattiva per una platea di persone bisognose che vivendo situazioni di disagio si rivolgono a lei per richiedere un aiuto per ottenere posti di lavoro, anche a tempo determinato o part time, Barrile ha creato e di fatto controlla due società cooperative la Universo e Ambiente e la Peloritana Servizi, formalmente intestate a terzi comunque appartenenti alla sua cerchia, che sono servite in passato e servono tuttora a soddisfare, in prima battuta, queste richieste”, aggiunge la DIA. Le due cooperative, in particolare, erano utilizzate come “schermo per celare gli interessi economici di cui Barrile era portatrice, sia interfacciandosi con gli imprenditori amici allorquando arrivava il momento di riscuotere la contropartita economica al proprio interessamento, sia conseguendo l’affidamento di servizi dall’amministrazione comunale o da aziende municipalizzate, in modo da mascherare l’altrimenti evidente situazione di conflitto di interesse e, ancor più a monte, le illecite manovre compiute per ottenere la commessa”.
Emilia Barrile è instancabile nel procacciare lavori da svolgere con il personale delle cooperative in modo da “tenere in piedi il collaudato sistema che le permette di curare il proprio bacino elettorale ed aumentare il consenso politico”. Barrile si fa carico di tutto e di più: nel febbraio 2014, arrivava ad esempio a intestarsi lo svolgimento dei lavori di rifacimento di un bagno nello studio dell’onorevole Francantonio (al tempo ancora ben saldo alla guida del Partito democratico in Sicilia anche se già indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla malaformazione professionale), “preoccupandosi di contattare una persona capace di svolgere tale intervento”. Qualche mese dopo era ancora la Barrile a procurare un altro lavoro di edilizia, il rifacimento di un bagno, stavolta all’interno del Royal Palace Hotel (Gruppo Franza), assegnandolo a Giovanni Luciano, suo stretto collaboratore nella gestione delle cooperative vicine, e ad Antonio Barillà, titolare di ditte di edilizia e committente anche di AMAM per effettuare i sopralluoghi.
Attraverso il professionista-amico Francesco Clemente (già esponente dell’Udc e candidato alle elezioni regionali siciliane e provinciali), nel 2016 Emilia Barrile entrava pure in contatto con Salvatore Laganà, imprenditore nel campo dell’edilizia e titolare, tra l’altro, di interessi nel lido “La Punta” in località Torre Faro nella spiaggia antistante il Pilone. “Laganà prende contatti con Barrile e le rappresenta il problema di un parcheggio antistante il lido che proprio in quell’estate viene chiuso, nonché i problemi legati alla decisione del Comune di rendere la sosta a pagamento in quella porzione di litorale e queste circostanze creano un danno economico a Laganà che chiede a Barrile un intervento per perorare la sua causa”, riporta la DIA. “Tra i due nasce una relazione amicale e Laganà offre di fornire appoggio politico a Barrile e le organizza riunioni con commercianti della zona di Ganzirri. Alla fine del mese di giugno 2016, Laganà chiede se la donna conosca una ditta per fare le pulizie al lido dopo le serate. Barrile incarica immediatamente Luciano di effettuare il sopralluogo ed organizzare il servizio…”.
L’interesse di Barrile nel procurare posti di lavoro alle persone a lei vicine non si esaurisce con l’attività delle cooperative ma, come documentano gli inquirenti, si sviluppa in una più “vasta rete relazionale volta a raccogliere ogni ulteriore opportunità lavorativa cui avviare i più fedeli e meritevoli dei suoi sostenitori” ed ottenere così i massimi benefici elettorali. “Queste opportunità lavorative talvolta derivano direttamente dall’influenza di Barrile, altre volte, invece, si deve rivolgere all’onorevole Genovese, che a sua volta, ad un livello più elevato, svolge nei confronti di Barrile lo stesso ruolo che lei ha verso i suoi sostenitori”, riporta l’informativa della DIA. “La platea di potenziali sostenitori è, però, così vasta - e va sempre più ampliata dal momento che l’obiettivo di divenire parlamentare regionale o nazionale richiede un bacino di voti sempre più ampio – che Barrile si rivolge anche ad imprenditori a lei vicini i quali si prestano ad assumere le persone da lei segnalate. In taluni casi, come ad esempio, quello dell’imprenditore Benedetto BennyBonaffini - plenipotenziario di alcune cooperative che gestiscono i centri di accoglienza per i migranti accolti in città - le attività tecniche evidenziano l’accordo per l’assunzione di persone segnalate da Barrile senza che emerga qualunque cosa in cambio. In altri casi, invece, vi è quasi uno scambio sinallagmatico tra l’intervento di Barrile presso gli uffici pubblici per agevolare pratiche di interesse degli imprenditori e la richiesta di assunzioni per persone a lei vicine”.
Un altro strumento fondamentale utilizzato da Emilia Barrile per accrescere il proprio consenso elettorale e ricavare altresì importanti risorse economiche è quello dei patronati e dei CAF che operano sia sotto il profilo dell’assistenza fiscale e delle pratiche di sostegno al reddito sia sotto quello relativo alle varie forme di invalidità. “Anche in questo campo Barrile è all’avanguardia: nella città di Messina ne cura direttamente tre e lei stessa, personalmente, si occupa di istruire le pratiche più delicate e ne segue gli sviluppi, verifica il numero di iscritti facendo attenzione se qualcuno di questi non rinnova i mandati e cura molte delle pratiche recandosi personalmente presso gli uffici preposti per controllarne l’andamento ed incontrare persone”, spiegano gli inquirenti. “In particolare ha un rapporto privilegiato con tale Piero Santoro, dipendente della sede INPS di Messina con cui spesso si rapporta telefonicamente ed ancora più spesso di persona. Peraltro questa circostanza è notoria e già in passato era emersa nell’ambito di alcuni articoli di stampa della fine dell’anno 2010 che tratteggiavano vecchie vicende giudiziarie che hanno vista coinvolta Barrile, allorquando lei dipendente di Unilav S.p.A., società mista che fornisce personale all’Università, ove peraltro Barrile è tutt’ora impiegata ma in aspettativa, venne intercettata a bordo dell’autovettura dell’imprenditore suo amico Carmelo Pinto Vraca alla fine del 2007 e gli raccontava di un appuntamento con la moglie dell’allora rettore dell’università in cui le avrebbe fatto pesare il suo silenzio su una vicenda imbarazzante per la donna di cui Barrile era venuta a conoscenza, oppure gli faceva presente di avere ottenuto dei posti di lavoro per delle persone a lei vicine. Giova però segnalare che, per quanto consta da quel procedimento Barrile è uscita assolutamente indenne…”.
La potenza di fuoco (elettorale) del sistema patronati era argomento delle riflessioni telefoniche dell’amico Francesco Clemente. Nel corso di un colloquio con Monica Brancatelli, l’8 febbraio 2015, egli raccontava di avere incontrato Barrile e che questa, volendo candidarsi alle elezioni regionali, gli aveva chiesto aiuto e sostegno. “Lei ormai ha una holding”, spiegava con enfasi Clemente. “Di patronati ne ha cinque a Messina, uno a Saponara, uno a Barcellona… Guadagna dai patronati duecentomila euro l’anno… Mi si rumpi u culu, nel senso che ti succede di tutto no, dal 730 alla pratica di pensione. Poi considera che tutti quelli che lei sta aprendo in provincia praticamente gli fa un favore, perché gli dà la sigla e poi tante cose a livelli provinciale su Messina se la vede lei… E non li ha dati casualmente: uno ce l’ha il vicesindaco di Saponara, uno ce l’ha un consigliere comunale di Barcellona… Questa qua si prende diecimila voti e non se ne accorge...”.
Gli inquirenti ritengono che forse Clemente abbia esagerato sui numeri dei patronati in mano a Barrile, “ma non certo sui concetti che gli sono ben chiari”. Il 6 novembre 2015, è la stessa Barrile - nelle fasi della trattativa volta a restare al Partito Democratico o al transito in Forza Italia - a spiegare all’onorevole Ferdinando Aiello, vice commissario del Pd a Messina di “aver creato tre patronati per operare “in favore dei cittadini”. “I tre patronati cui fa riferimento Barrile hanno orari di apertura diversi tra loro, e ricevono il pubblico solo in alcune specifiche ore e giorni della settimana”, annota la DIA. “Il primo - quello più importante perché ha il maggior numero di utenti - è sito in via Pietro Castelli 48, rione Gravitelli, roccaforte storica di Barrile. Il responsabile è Margherita Adamo, che è anche responsabile tecnico della cooperativa Universo e Ambiente (la stessa Adamo è tra le socie fondatrici nell’ottobre 2006). Il secondo si trova nella frazione Briga di Messina ed è censito presso l’ufficio provinciale di Messina come sito in via Nazionale 84, frazione Santa Margherita. Questo, si comprende dal compendio di numerose conversazioni telefoniche è concesso in comodato gratuito e Barrile vi si reca con cadenza pressoché settimanale, di norma il sabato mattina. Questi due patronati sono censiti presso l’ufficio provinciale dell’INPS di Messina e sono collegati alla sigla ENASC con sede in Roma, acronimo di Ente Nazionale di Assistenza Sociale ai Cittadini, il patronato promosso dall’UNSIC (Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori). Il terzo, meno importante, è sito in località Tremestieri, e non è stato individuato negli elenchi pubblicati sul sito INPS forse perché associato ad un’altra struttura. Se ne comprende l’esistenza da numerose conversazioni originate dalla volontà di estromettere Barrile da quest’attività - invero, dai dialoghi si apprende che il luogo è destinato a sede del Pd e quindi, dopo la migrazione di Barrile a Forza Italia”.
Il 23 dicembre 2015, conversando con il consigliere comunale Carlo Abate, Emilia Barrile spiegava che i patronati appartenevano alla “rete di Vinci”. Per l’apertura e l’affiliazione dei patronati, l’ex Presidente del Consiglio comunale si era appoggiata infatti ad Antonino “Antonio” Vinci e a Fabio Vinci, entrambi residenti a Saponara. “Fabio Vinci è stato assessore di quel comune e ne è attualmente Sindaco avendo vinto le ultime elezioni amministrative di giugno 2017 con il 43,39% dei consensi”, riporta la DIA. “Inoltre, in alcune conversazioni Barrile fa riferimento anche a Vinci padre, identificato in Francesco Vinci, infermiere presso l’Ospedale Papardo, come colui il quale è sovraordinato anche ad Antonio e Fabio. Antonino e Fabio Vinci risultano essere dipendenti di UNSIC Sicilia, come emerge dalle liste degli anni 2015 e 2016, ma non sembra che ricoprano, almeno formalmente, incarichi direttivi; ciononostante le conversazioni circa il ruolo decisionale attribuito loro da Barrile sono chiare e plurime”.
In vista della promessa candidatura alle elezioni regionali o nazionali, Emilia Barrile si adoperava per promuovere l’apertura di nuovi patronati e aiutare altre persone, che poi dovranno sostenerla, nel trovare locali idonei e contatti giusti in zone della città o della Provincia ove ancora lei non è inserita. “Barrile si espone in prima persona mettendo a disposizione i propri contatti andando anche a visitare i possibili locali da adibire a Patronato per valutarne, sulla base della sua consolidata esperienza, il rapporto costi benefici”, si legge nell’Informativa della DIA. “L’8 gennaio 2016, Barrile contatta Antonio Vinci per informarsi sulla situazione dei patronati a Patti poiché lei è in compagnia di una persona che ha la disponibilità di una sede dove fare un punto di servizio per la gente e creare la possibilità di fare crescere lei su quel territorio. Barrile ritiene cosa migliore che si incontrino per capire come procedere per fare partire il progetto aiutandolo fino a quando non riesce a diventare autonomo (…)Dopo avere chiuso la conversazione con Vinci, Barrile chiama Antonella Foti Cuzzola, anch’ella dipendente di UNSIC Sicilia. Barrile, tra le altre cose, chiede alla donna quando verrà a Messina in quanto in quel momento si trovava insieme ad una persona che aveva già collaborato dalle sue parti e voleva organizzare un incontro a tre per attivare un patronato a Patti. (…) Qualcosa però non è poi andato a buon fine poiché della vicenda non si hanno più ritorno, ed anche con Antonella Barrile non ha avuto ulteriori conversazioni”.
Sempre all’inizio del 2016, Emilia Barrile si adopera per aprire un patronato anche a Scaletta Zanclea, e parlandone con Ardizzone, spiega che allo stesso sarebbe interessato “l’ex presidente del Consiglio Comunale di quel comune, che ha preso 160 voti…”. “Il soggetto interessato si identifica in Francesco Grungo che il 28 gennaio 2016 contatta Barrile per dirle che si sta attivando per i locali da adibire a patronato e chiederle la denominazione”, documenta la DIA. “Nei mesi successivi, però, non sono state captate ulteriori conversazioni inerenti l’apertura di questo patronato…”.
Un altro contesto cittadino in cui Barrile mira ad ampliare la sua presenza è il popoloso e difficile quartiere di Giostra. Stando a quanto accertato dagli inquirenti, nell’aprile 2016 Barrile entrava in contatto con il consigliere della V circoscrizione Giovanni Bucalo (rieletto con Forza Italia anche alle ultime amministrative), “fratello di Orazio Bucalo e Gioacchino Bucalo, entrambi pregiudicati per reati contro la persona ed il patrimonio il primo e contro il patrimonio il secondo, ritenuti affiliati al clan di Giostra facente capo a Luigi Galli” (pag. 204 dell’Informativa DIA del 6 ottobre 2017). Giovanni Bucalo, tramite un amico, proponeva a Barrile una “bottega grande ad un prezzo conveniente sita in piazza San Matteo, già utilizzata come patronato da tale Enzo Scognamillo”. “Barrile è molto interessata alla possibilità di ottenere quel locale e quindi avvia delle indagini, da una parta per trovare l’aggancio con la proprietaria del locale, dall’altra per verificare se questo Scognamillo ha ancora il patronato in funzione. Per questo secondo compito attiva tale Giuseppe Cutè, detto Pippo, che conosce personalmente Scognamillo e le conferma che il patronato è stato chiuso ma anche che il locale è già impegnato”.
Il pomeriggio del 26 aprile 2016, Emilia Barrile, accompagnata da Carlo Abate, si recava ad incontrare la proprietaria della bottega. In mattinata, l’esponente politica aveva parlato con Bucalo che, tra le altre cose, le aveva prospettato la possibilità di dividere l’affitto con un ragazzo che accanto a quella bottega aveva una postazione computer per le scommesse online ed “era interessato ad avere una stanza”. “Barrile prova a frenare questo interesse, ma è certamente preoccupata della piega che sta prendendo la situazione”, spiega la DIA. “Quindi racconta tutto ad Ardizzone che afferma più volte come il patronato non può condividere locali con un centro scommesse; la donna chiede consiglio e propone di farsi accompagnare lì da suo fratello, il noto pluripregiudicato Carmelo Pullia, trovando d’accordo anche Ardizzone, ma subito dopo si interroga se sia il caso di farsi vedere in quel luogo Pullia: Ardizzone dice che ne parlerà prima con il diretto interessato. Ardizzone quindi chiama Pullia e gli chiede se abbia difficoltà - implicitamente legati ai suoi trascorsi criminali - a recarsi con Barrile a vedere un locale a San Matteo, isolato 13, precisando, a domanda di Pullia, che la donna deve andare lì per aprire un patronato assieme a Bucalo; Pullia si rende disponibile. Barrile e Pullia concordano telefonicamente un incontro per le ore 13 di quel giorno, dopo il quale Barrile parla con Ardizzone per riferirgli di averlo incontrato, apprendendo però che, pur non avendo Pullia nessuna controindicazione o problema ad andare con lei per il sopralluogo, quel giorno non la può accompagnare perché ha già un impegno. Pertanto, lei dice che, dopo avere visto il locale, in ogni caso prenderà tempo sostenendo che deve parlare prima con il responsabile del patronato. Nel tardo pomeriggio, dopo avere visitato la bottega, Barrile racconta ad Ardizzone che il locale era brutto e vecchio e quindi non idoneo allo scopo. Bucalo, allora, le ha proposto di affittarlo per una non meglio specificata associazione in via di costituzione e Barrile si rende disponibile a proporlo alla proprietaria; infine afferma che avrebbe cercato un altro immobile più adatto in quella zona”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 12 settembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/09/12/esclusiva-il-sistema-barrile-coop-e-patronati-in-cambio-di-voti-e-prebende/
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