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Messina. Operazione antimafia Beta e scempi ambientali sul Torrente Trapani

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“E’ indubbio che da tutto il complesso delle opere eseguite risulta una palese violazione dell’art. 2 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, con gravi rischi per l’incolumità pubblica; in altri termini, non si è affatto in presenza di scelte meramente inopportune sul piano urbanistico-amministrativo ma di un vero e proprio contrasto dell’intero strumento urbanistico e degli atti esecutivi consequenziali a precetti imposti per il corretto governo del territorio a tutela dell’interesse collettivo alla sicurezza e salubrità degli insediamenti abitativi”. Così scrivevano i giudici della Seconda sezione penale del Tribunale di Messina (presidente il dottor Mario Samperi) nella loro sentenza di primo grado emessa il 13 luglio 2016 a conclusione del procedimento relativo ad uno dei più devastanti piani di lottizzazione dell’area sovrastante il Torrente Trapani, il complesso La Residenza Immobiliare, 239 unità abitative per più di un migliaio di nuovi residenti su una superficie totale di 81.050 mq ad alto rischio idrogeologico. “Le macroscopiche violazioni accertate sono state commesse nel quadro di una trasformazione rilevantissima del territorio in contrasto con i numerosi parametri urbanistici esaminati”, aggiungevano i giudici peloritani. “Il complesso delle violazioni riscontrate (sotto il profilo del vincolo idrogeologico ed ambientale, delle variazioni non autorizzate, del cronogramma eseguito e dell’inadeguatezza delle opere di urbanizzazione) ha posto in evidenza che il programma costruttivo e gli atti concessori erano affetti da una serie di palesi illegittimità di tale portata da non poter sfuggire a nessuno degli imputati”.
Al processo di appello in corso presso la Sezione penale del Tribunale di Messina (presidente la dott.ssa Maria Celi), come un fulmine a ciel sereno è giunta due giorni fa la richiesta di prescrizione per quattro degli imputati da parte del Sostituto procuratore generale Santi Cutroneo: si tratta di Giuseppe Pettina (rappresentante legale della società di costruzioni Pett Srl); Silvana Nastasi (responsabile della Se.Gi. Srl); Franco Lo Presti (rappresentante della Residenza Immobiliare Srl e delle Imprese C.O.C. e Costa Srl, recentemente rinviato a giudizio nell’ambito del procedimento Beta sulle attività criminali del gruppo Santapaola-Romeo nella città dello Stretto); il costruttore Biagio Nicola Grasso (già titolare della Carmel Srl – società subentrata alla Se.Gi - e padre del collaboratore di giustizia Biagio Grasso, condannato a 6 anni e 4 mesi al primo troncone del processo Beta). Assoluzione con formula dubitativa la richiesta invece per il quinto imputato, l’ingegnere Giuseppe Rando, all’epoca dei fatti dirigente pro tempore del Dipartimento “Attività edilizie e repressione abusivismo” del Comune di Messina. Al processo di primo grado, il Tribunale aveva condannato ad un anno e tre mesi di reclusione e 20.000 euro di ammenda più altri 6 mesi di reclusione e 10.000 euro per i sei reati contestati al costruttore originario di San Piero Patti, Giuseppe Pettina e a Silvana Nastasi; ad un anno e tre mesi più 20.000 euro di ammenda invece per Franco Lo Presti, Nicola Biagio Grasso e Francesco Rando.
Per i danni prodotti, gli amministratori delle società coinvolte nell’affaire Torrente Trapani erano stati condannati altresì al risarcimento dei danni a favore del Comune di Messina e del WWF Italia, associazione ambientalista rappresentata in giudizio dall’avvocata Aurora Notarianni. Proprio il WWF, con un esposto all’Autorità giudiziaria del 30 aprile 2009, aveva segnalato “possibili abusi edilizi in violazione delle norme di tutela vigenti in materia ambientale”, durante la realizzazione delle opere da parte de La Residenza Immobiliare. “Oltre a presentare irregolarità procedurali per la normativa vigente, queste opere assumono carattere di elevato rischio idrogeologico che la città, a seguito di quanto accaduto anche recentemente, non può essere in grado di sopportare senza possibili gravi rischi futuri”, denunciava il WWF. “La Valutazione di Incidenza risultava inoltre priva della importantissima valutazione delle opere congiuntamente ad altri piani e/o progetti, rendendo di fatto tale importantissimo strumento, inutile e inconsistente (…) Numerosi sbancamenti anche di notevole entità erano visibili a distanza nell’area in esame, mentre si evidenziava una notevole situazione di instabilità dei pendii, segnati da evidenti solchi di scorrimento delle acque piovane e punti di frana”.
Amaro il commento della legale di fiducia del WWF dopo la formalizzazione della richiesta di prescrizione al processo d’appello.“La lottizzazione abusiva e i reati ambientali sono fatti gravissimi perché mettono a rischio la vita delle persone come sempre più spesso siamo costretti a constatare”, ha dichiarato l’avvocata Notarianni. “Auspico che la Corte non accolga la domanda dei terzi acquirenti di revoca della confisca con restituzione del bene avendo disposto, dopo la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, per l’apertura di un nuovo fascicolo. Del resto, la Cassazione nella sentenza Oro Grigio sulle costruzioni abusive a valle del Torrente Trapani ha confermato la legittimità della sanzione della confisca con demolizione delle opere, ed in esecuzione di questa decisione più volte il Wwf ha richiesto agli uffici competenti l’acquisizione dell’area al patrimonio del Comune e la demolizione degli scheletri delle costruzioni abusive. Invece in quest’area si continua a costruire senza aver verificato se le opere di urbanizzazione sono state realizzate o se le imprese hanno pagato i relativi oneri al Comune di Messina”. Aurora Notarianni lamenta infine che le richieste di prescrizione per quattro imputati e di assoluzione con formula dubitativa per l’ingegnere Giuseppe Rando siano state fatte contestualmente al deposito in giudizio di un verbale del 17 maggio 2018 del collaboratore milazzese Biagio Grasso, dove sono riportati particolari inediti e inquietanti sul sacco edilizio del Torrente Trapani.
“Per quanto riguarda le irregolarità del complesso edilizio realizzato da parte della Se.Gi., in precedenza riconducibile a Oscar Cassiano e della Pett S.r.l., facente capo ai fratelli Pettina, so che tra l’altro il direttore dei lavori dell’epoca, ing. Piero Battaglia, ha certificato la realizzazione dell’85% delle opere di urbanizzazione primaria che invece non erano state realizzate, se non in maniera minima, e certamente non superiore al 50%”, ha dichiarato Grasso davanti ai Pubblici ministeri Liliana Todaro e Fabrizio Monaco. “Tale circostanza era nota ai funzionari comunali dell’epoca, i quali, secondo quanto mi hanno riferito i Pettina (Antonio ed i figli Salvatore e Antonino), in cambio di 14 appartamenti nel corpo D o H (individuabile nel terzo lotto perché consta di un edificio di 14 alloggi) hanno omesso qualunque controllo e rilasciato atti illegittimi. I riferimenti di Pettina al Comune di Messina erano l’ingegnere Rando e l’ingegnere Cucinotta, per come riferitomi anche da Oscar Cassiano e dall’avvocato Antonio Giuffrida, detto bluff (…) Nino Pettina aveva come riferimenti Rando e Cucinotta per la copertura in relazione alla morosità nel pagamento degli oneri concessori, che avrebbe condotto al blocco dei lavori; di fatto, i controlli relativi a questi pagamenti non venivano attivati o comunque non portati a risultato”.
“Cassiano, appunto, quando mi cedette l’operazione Torrente Trapani mi disse che alcuni immobili Pettina se li era riservati perché erano destinati a ricompensare funzionari pubblici per favoritismi di cui aveva beneficiato nell’iter amministrativo relativo alla realizzazione degli immobili”, ha aggiunto il collaboratore. “L’ing. Battaglia era il direttore dei lavori delle opere di urbanizzazione primaria; gli fu venduto un immobile con notevoli migliorie all’interno che ovviamente non pagò. Il valore dell’immobile era di gran lunga superiore alle prestazioni professionali che egli aveva reso. Delle corruzioni dei pubblici funzionari appresi nel corso di alcuni incontri con Pettina e Cassiano. Mi fu consegnata da Silvana Nastasi, precedente amministratore della Se.Gi., su indicazione di Oscar Cassiano, una scrittura privata tra la Se.Gi. e la Pett con cui si concordava che le opere di urbanizzazione sarebbero state pagate al 50% tra le due imprese, in virtù di accordi intercorsi tra Cassiano e Antonino Pettina. Mentre in realtà tenendo conto degli appartamenti da realizzare, in quota parte, dalle due imprese, la Se.Gi. avrebbe dovuto pagare molto meno rispetto alla Pett. In questo accordo al 50% si teneva conto delle somme che il Pettina avrebbe dovuto spendere per la realizzazione degli alloggi da destinare a politici e funzionari compiacenti, come riferitomi da Cassiano e Pettina. Pettina mi fece il nome dell’ing. Rando, e del presidente del consiglio comunale di Messina dell’epoca, di cui non mi sovviene il nome, come funzionari compiacenti (…) Sull’area vi era la ZPS; successivamente, dopo il 2010, vi fu uno studio dell’Università che segnalava il rischio idrogeologico sull’area. Le valutazioni ambientali erano presenti, i pareri positivi c’erano, ma non erano conformi alle cubature ed alle reali caratteristiche dell’opera. Ho constatato una serie di irregolarità nella realizzazione delle palificazioni, di grande importanza. Francesco Arena era dapprima direttore dei lavori per conto di Pettina; poi fu indicato anche da Domenico Bertucelli come direttore dei lavori nella Carmel”.
Nel corso del suo interrogatorio l’imprenditore Biagio Grasso ha aggiunto di aver saputo da Pettina che l’ingegnere Arena era stato indicato come direttore dei lavori “perché aveva un parente che faceva il magistrato”. “Non so altro; io lo incontrai solo due volte”, ha verbalizzato il collaboratore. “Bertuccelli mi disse che l’Arena era intervenuto presso gli uffici giudiziari di Messina, per ottenere il dissequestro dell’area, ma non ho elementi per aggiungere altro. Mi consta che nel cantiere della Carmel si lavorava anche se i lavori erano stati sospesi. Sia l’avvocato Andrea Lo Castro che Arena rassicuravano sul fatto che i lavori del Torrente Trapani potevano continuare; Arena si vantava che poteva avere un occhio di riguardo da parte degli uffici giudiziari. Era soprannominato Birra Messina”.
Biagio Grasso ha poi ricostruito il complesso iter realizzativo delle opere nel Torrente Trapani. “La Residenza Immobiliare trasferì le operazioni a due società, la Pett e la Se.Gi., in epoca antecedente al mio subentro nella Se.Gi., tramite l’imprenditore Fabio Lo Turco; la Residenza restò, invece, gravata da cartelle esattoriali per milioni di euro. Il trasferimento delle operazioni dalla Residenza alle due società su citate fu curata da un consulente fiscale di Messina, all’epoca aveva lo studio nella zona del viale Regina Margherita, nella curva vicino all’istituto San Luigi; questo consulente sosteneva che gli immobili della Residenza in quanto destinati al Comune di Messina fossero non pignorabili. Le quote del geometra Gravina, prestanome di Cassiano, nella società la Residenza, poi deceduto, attraverso una scrittura privata fasulla, fatta dopo la morte del Gravina, vennero cedute a Lo Presti. La corruzione di pubblici funzionari del Comune di Messina mi fu confermata anche dall’avv. Giuffrida, oltre che da Pettina e da Cassiano”. Il costruttore milazzese si è pure soffermato sulle opere eseguite contestualmente dall’impresa Costanzo. “I lavori furono eseguiti in maniera minore e difforme rispetto al progetto (opere di urbanizzazione primaria nel terzo lotto), dunque, il direttore dei lavori ne certificò falsamente l’esistenza”, ha verbalizzato Grasso. “La corruzione di pubblici funzionari è dimostrata anche dal frazionamento in lotti dell’opera e dal relativo crono programma, come mi fu detto da Pettina, Giuffrida e Cassiano. Costoro mi dissero, infatti, che la compiacenza era dimostrata anche dall’autorizzazione data al frazionamento e quindi delle opere di urbanizzazione. La quantità di appartamenti approvata era abnorme rispetto sia alla potenzialità della viabilità già esistente sia rispetto alle infrastrutture progettate (…) Sul Torrente Trapani è stato realizzato uno scarico abusivo delle acque, più o meno dove si trova la sede di impresa di carro attrezzi. Nel cantiere manca una palificata nella strada che si trova sotto il corpo E; Battaglia ne ha falsamente certificato l’esistenza….”.
Grasso si è poi soffermato su alcune delle aziende e degli imprenditori coinvolti nell’affaire Torrente Trapani. “L’IBG è un'impresa che i Pettina costituirono per salvare l’attivo della Pett, che infatti confluì nella IBG; alla Pett rimasero solo i debiti. Uno dei soci di fatto della IBG è Giampaolo Giuffrida, perché aveva prestato a Pettina e Bertuccelli circa 300 mila euro. La circostanza mi fu confermata da Salvatore Pettina, il quale mi disse che Giuffrida partecipava di fatto alla società con la quota di circa il 30%. I soldi Giuffrida presumo li tragga da attività criminali che non so specificare; mi risulta che compra e vende autovetture. Cassiano ha distratto dalla società Se.Gi. milioni di euro per la costruzione di un albergo a Lipari e di una villa di Cassiano all’Olgiata”.
Infine un passaggio sulla cooperativa edilizia Esperienza, anch’essa sul Torrente Trapani. “Un ruolo importante ha avuto Angelo Libetti, presidente di questa cooperativa (anche Lorenzo Mazzullo aveva rapporti stretti con questo soggetto)”, ha spiegato Grasso. “In generale, per quanto mi consta, Libetti gestisce gli affari di molte cooperative a Messina, ricevendo dagli interessati denaro in proporzione agli immobili da realizzare, in cambio del suo interessamento per la realizzazione degli alloggi e la gestione degli affari. Tra Pettina, Cassiano e Libetti vi era un accordo in forza del quale la cooperativa Esperienza avrebbe usufruito delle opere di urbanizzazione realizzate della Residenza, in cambio di 600 mila euro in nero che la cooperativa avrebbe versato alla Residenza medesima. In sostanza, Libetti non avrebbe mandato avanti un progetto per la realizzazione di 250 alloggi di interesse della cooperativa, adiacente al cantiere della Residenza; i funzionari comunali erano però a conoscenza del fatto che nella stessa zona sarebbero stati realizzati gli alloggi della cooperativa. Se la cooperativa avesse mandato avanti il progetto, ovviamente, le opere di urbanizzazione avrebbero dovuto essere diverse per adeguarsi all’aumentato carico urbanistico ed i relativi costi sarebbero lievitati notevolmente. Con questo accordo, invece, la cooperativa avrebbe poi beneficiato delle opere e la Residenza a sua volta avrebbe sopportato un costo per oneri di urbanizzazione più basso, ottenendo denaro in nero”.
Con una lunga nota inviata alla Gazzetta del Sud, l’imprenditore Angelo Libetti Giovinazzi (già dirigente Legacoop ed esponente prima del Pci, poi Pds, Ds, Pd e infine Art. 1 Mdp con cui si è candidato alle ultime elezioni amministrative) ha respinto ogni addebito e annunciato querela nei confronti del collaboratore milazzese. “Al di là che la mia storia e chi mi conosce testimoniano incontrovertibilmente che non sono aduso a pratiche in nero e meno che mai ad utilizzare risorse di una cooperativa per scopi non confessabili, addirittura di simili importi, mi corre l’obbligo di precisare che non sono presidente della coop. Esperienza, né mai in essa ho rivestito il ruolo di amministratore e/o di semplice socio”, scrive Libetti. “Ho, semmai, avuto rapporti con la cooperativa Esperienza, come legale rappresentante della coop. Città del Sole ’81, in quanto con essa avremmo dovuto procedere all’attuazione di un Programma costruttivo localizzato sul Torrente Trapani, ma distinto e diverso da quello della Residenza”. Smentendo qualsiasi contatto o “trattativa” con gli imprenditori Pettina e Cassiano, Angelo Libetti osserva infine che “solo chi non conosce la normativa sull’Edilizia economica e popolare, e quella urbanistica sull’attuazione dei programmi costruttivi (…) potrebbe solo pensare di poter avviare e chiudere simili accordi economici sull’utilizzo di opere di urbanizzazione pubbliche di un qualsiasi Programma costruttivo”.

Operazione Beta 2. La borghesia mafiosa e il sacco del Torrente Trapani

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Facce pulite per dialogare e stringere relazioni d’affari con la borghesia e i salotti buoni di Messina, città da bere, divorare, lottizzare, cementificare, saccheggiare. I rampolli della famiglia criminale imparentata e socia dei famigerati Santapaola-Ercolano di Catania: istruiti, intraprendenti, glocal, ma quando è necessario anche risoluti e violenti. Appaiono così le ultime leve della criminalità messinese nelle informative e nelle ordinanze degli organi inquirenti da cui sono scaturite le operazioni antimafia Beta e Beta due sugli affari illeciti della famiglia Romeo e dei consiglieri-consigliori del mondo di mezzo tra società, politica ed economia legale e grigio-illegale.
Due in particolare i personaggi che nell’ultima tranche dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Messina contro il clan Santapaola-Romeo mostrano indubbie capacità di interfacciarsi da pari a pari con i costruttori e gli imprenditori di grido, i principini del foro, bancari e commercialisti e perfino con qualche assiduo frequentatore delle innumerevoli logge massoniche. Uno è Maurizio Romeo, fratello minore del più noto Vincenzo Romeo a capo dell’organizzazione; l’altro è Ivan Soraci, sino ad oggi del tutto ignoto alle cronache giudiziarie, amico e socio del più giovane dei Romeo. “Maurizio Romeo e Ivan Soraci operano alle dipendenze dei capi, partecipano agli investimenti del gruppo, recuperano i crediti utilizzando metodi mafiosi, reinvestono capitali illeciti; con l’aggravante dell’essere l’associazione armata e con l’ulteriore aggravante di avere finanziato in tutto o in parte le attività economiche con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti”, riporta il Gip del Tribunale di Messina, Salvatore Mastroeni, nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali Beta 2, emessa il 19 ottobre scorso.
Gli accertamenti eseguiti nel corso delle indagini sulla figura di Maurizio Romeo hanno evidenziato che il predetto, in passato, aveva svolto saltuariamente attività lavorative presso alcune agenzie immobiliari del capoluogo dello Stretto, in particolare nel 2002 e 2003 presso le ditte Rizzotto Antonino Immobiliare e Casa Leader S.r.l.. “Dall’attività di intercettazione svolta, emergevano degli appuntamenti organizzati dal Romeo per istaurare trattative di vendita di immobili, benché egli non risulti svolgere formalmente alcuna attività professionale ed i dati INPS ultimi evidenzino che, sino all’ottobre 2017, Maurizio Romeo era dipendente della società di articoli sanitari Ekosan S.r.l., sempre riconducibile alla famiglia”, scrivono gli inquirenti. Ancora più poliedrico Ivan Soraci: dipendente dal febbraio 2006 all’agosto 2010 di Irrera 1910 S.r.l., la società a capo dello storico marchio di ritrovi-bar-pasticcerie; amministratore unico dal 15 febbraio 2007 al 14 settembre 2011 dell’Antica Pasticceria Irrera S.r.l., società “sorella” dell’Irrera 1910 attiva nella produzione industriale di dolci e nella gestione di catering; amministratore e socio (con Maurizio Romeo) della M.& L. S.r.l., società titolare del centralissimo esercizio commerciale adibito a salumeria-gastronomia denominato Botte Gaia, poi venduto nel 2015.
“Per Maurizio Romeo e Ivan Soraci emergono, specie con le dichiarazioni del costruttore Biagio Grasso, gli elementi di partecipazione all’associazione di Vincenzo Romeo”, riporta l’Ordinanza Beta 2. “Al riguardo, evidenziando la serie di attività e la complessiva partecipazione associativa, il collaboratore Grasso ha reso plurime dichiarazioni, il cui contenuto è agevolmente ricostruibile, seguendo di massima un ordine cronologico”. L’imprenditore di origini milazzesi, condannato a 6 anni e 4 mesi al primo troncone del processo Beta, ha fornitoai magistrati numerosi spunti d’indagine sulle operazioni finanziarie e immobiliari della famiglia Romeo, comprese quelle relative alla compravendita di articoli sanitari e farmaci, sino ad oggi inedite. “La Ekosan era di Benedetto e Maurizio Romeo; a tutti i fratelli sono riferibili plurime attività economiche, anche se la gestione degli affari è affidata a Vincenzo e Benedetto Romeo; vi era una sorta di cassa comune, nel senso che quando vi era necessità di denaro, ciascuno dei fratelli faceva fronte, prelevandolo dalle attività economiche o attingendo a fondi personali”, ha dichiarato Grasso.
Nel corso del suo primo interrogatorio, avvenuto prima della scelta di collaborare con la giustizia, il costruttore contiguo alla famiglia criminale peloritana aveva fornito numerosi elementi pure sul ruolo di Ivan Soraci, indicandolo come colui che lo aveva messo in contatto con l’organizzazione dei Romeo-Santapaola, procurandone di fatto il suo ingresso. “L’interrogatorio del 20 luglio 2017 – scrivono gli inquirenti - appalesa una certa tortuosità, con una serie di digressioni che appare meglio rimuovere, emergendo comunque nel complesso il contatto con la galassia Romeo e il modo di operare (che oscilla dagli investimenti imprenditoriali alle estorsioni) del Romeo e dei suoi accoliti”. Sempre secondo la DDA di Messina, Ivan Soraci “opera per l’associazione, ne rende strumento e vittima il Grasso e per certi versi inizia ad inserirlo nella cosca”.
Quel Signor Idirettore da Irrera
“Conosco Maurizio Romeo per mezzo di tale Ivan Soraci che era dipendente del bar Irrera dove uno dei soci era Giuseppe Denaro, nonché mio socio in un investimento insieme a Giuseppe Puglisi a Villafranca Tirrena area ex Pirelli. Ecco perché lo conoscevo, perché andavo lì insieme agli altri due soci e quindi lui era il direttore, diciamo, del locale. Eravamo coetanei, quindi nacque una simpatia. Circa due anni…”, dichiarava Biagio Grasso nel suo interrogatorio del 20 luglio 2017. Sei mesi più tardi, il neocollaboratore di giustizia aggiungeva altri rilevanti particolari sul Soraci e il Romeo. “Ivan Soraci era detto signor I ed è soggetto facente parte dell’organizzazione”, esordiva Grasso. “Rispetto a quanto ho già riferito sul suo conto, intendo precisare che il Soraci iniziò come dipendente di Giuseppe Denaro, che, all’epoca, gestiva dei supermercati e successivamente divenne direttore di sala del bar Irrera. In questo periodo, si avvicinò alla famiglia Romeo, divenendo una faccia pulita da potere utilizzare come imprenditore, che intratteneva anche rapporti con le banche, utilizzando capitali dello stesso Romeo, così come è avvenuto con riferimento all’acquisizione della Botte Gaia, che è stata realizzata esclusivamente con mezzi e capitali di Vincenzo Romeo. Egli aveva rapporti con soggetti coinvolti in vicende di droga come il canazzo, ed anche per tale ragione non era considerato uomo pienamente di fiducia dei Romeo, perché, per quanto a mia conoscenza, questi non erano interessati al mercato degli stupefacenti. Grazie alla presenza dei Romeo, è riuscito ad estorcere a Giuseppe Denaro, a titolo di buonuscita, la somma di 80.000 euro in contanti…”.
Sempre secondo il costruttore milazzese, fu proprio Soraci a cooptarlo in due fallimentari operazioni immobiliari che lo avrebbero trasformato in pochi anni da socio-partner dei Romeo a vittimadi estorsione del medesimo gruppo criminal-familiare. “Nel 2010 Ivan Soraci mi dice: Ti voglio presentare una persona che è nell’ambito della compravendita immobiliare”, verbalizza Grasso. “Io mi ero affacciato su Messina perché stavo vedendo quell’altra maledetta operazione che mi ha venduto l’ingegnere Cassiano. Quindi, mi presenta Maurizio Romeo che all’epoca lavorava con l’agenzia immobiliare di Francesco Mancuso, quella che c’è in via Garibaldi, Mancuso Immobiliare. Loro sono Gabetti. C’è Barca e Mancuso. Al che io, conobbi sto ragazzo, che all’epoca era ancora giovane, un ragazzino, e ci presimo un caffè. Dopo di che il Soraci mi incalza dicendo: No, dobbiamo fare lavorare sto ragazzo perché lo dobbiamo portare avanti. Mi devi fare la cortesia, se prendi l’operazione là sopra, dagli gli appartamenti da vendere”.
“Il carattere di Soraci è così, è stato sempre incalzante e poi questo suo modo di fare è quello che poi ha portato agli scontri con i Romeo e quindi a tutte quante le problematiche del caso”, aggiunge Biagio Grasso. “In uno di questi incontri mi presenta Vincenzo Romeo, dicendo: No, guarda, ti presento il fratello, Vincenzo Romeo, che poi alla fine, è lui il più grande dei fratelli, è quello che gestisce tutte quante le vicende e anche lui avrebbe piacere se c’è qualche operazione a farla, anche perché ha fatto qualche cosa, mi sembra che aveva detto con Bonaffini, sempre comprando e vendendo appartamenti e poi è uno forte nel campo dei giochi pubblici, quindi SISAL, io non sono esperto infatti non sono mai entrato in questo tema, però io lascio scorrere. Incalzano, incalzano, incalzano fin quando un giorno mi dicono: C’è un’operazione a Santa Margherita. Quella di Santa Margherita è un’operazione di 13 appartamenti che era intestata a tale Edil Raciti S.r.l., cui l’intestataria era una tale signora Lombardo che comunque era la moglie di sto gruppo Raciti. Perché avevano interesse a farmi fare st’operazione? Perché chi era l’intermediario fra la signora Raciti e il probabile compratore era un parente del Romeo, che però non ricordo il nome. La signora Lombardo sicuramente lo saprà, detto u pulici. Mi incontro con lei, guardo le carte e chiaramente cominciamo già con la prima operazione che non andava bene, perché su 13 appartamenti 8 erano stati venduti ricevendo degli acconti con prezzi di vendita assurdi, 800–900 euro al metro quadrato, solo e soltanto… Prezzi bassissimi. Con 800 euro non ci riesci manco a fare le baracche. E’ fuori mercato. E quindi dico ai Romeo: Guardate che l’operazione non la posso fare perché è inutile che la prendiamo. Io facevo il costruttore edile, quindi, chiaramente, se ti portano un’operazione già in corso con una palazzina costruita e il prezzo interessante, scappi e la guardi. Loro me l’hanno proposta per comprarla, completarla e rivenderla ai possibili clienti. In virtù di questo gli dico: Guardate che l’operazione, ragazzi, non c’è quindi non si può fare. Il Soraci mi dice: No, lo devi fare, fammi la cortesia. Gli ho detto: Guarda, a me non interessa, possiamo proporla ad un soggetto, che all’epoca era il dottore De Marco che è un consulente di Messina. Sono padre e figlio, sapevo che faceva piccole operazioni immobiliari. Comunque, vado da questo De Marco che mi presenta un soggetto, che è il signor Franco Lo Presti, che aveva contatti con lui. Mi dice: No, guarda, intestagli l’operazione a Lo Presti, vedi se lui la può portare avanti e poi si vede com’è tutta quanta la vicenda”.
E’ sempre lo stesso Grasso a spiegare le contorte modalità con cui sarebbe avvenuta l’operazione immobiliare nel villaggio di Santa Margherita. “In quella fase non era un’intestazione fittizia ma era un acquisto, perché il Lo Presti in teoria poteva avere la capacità per svilupparla. Allora dice De Marco: Vediamo, caso mai in qualche maniera… come fare.  Così l’operazione io l’ho girata direttamente a De Marco che ha detto: Gliela diamo a Lo Presti. Lui se la prende. In quella fase a me non interessa, però per fare una cortesia al Soraci e levarmelo da dosso, faccio questo passaggio: vado da De Marco, De Marco mi presenta Lo Presti e Lo Presti s’intesta l’operazione. Cioè, meglio, si compra l’operazione, anche perché essa era a costo zero, perché se chiaramente compri dove ha solamente sulla carta perdite e rischi poi di metterla in sesto all’imprenditore, ti accolli i debiti, ti prendi gli attivi e non gli riconosci niente, perché c’era già una palazzina costruita. Cioè, ancora oggi c’è un rustico costruito sul posto. Che poi quest’operazione finisce, vi do l’input…. Alla fine della fiera, c’è un accordo, un lodo arbitrale, una mediazione, e l’operazione è stata intestata a Daniele Mancuso…”.
Le indagini hanno dato riscontri oggettivi alle dichiarazioni del collaboratore. La signora Vincenza Lombardo, coniugata con Antonino Raciti, è risultata amministratrice unica della Edil Costruzioni Raciti S.r.l., società con sede legale in Via Nazionale, Santa Margherita, costituita l’8 febbraio 2008. Le visure camerali hanno poi accertato che l’imprenditore Franco Lo Presti ha acquistato nel giugno 2010 il 100% delle quote del capitale sociale della Edil Raciti. “In relazione al previsto passaggio delle quote della Edil Raciti a Daniele Mancuso, poi non avvenuto a causa della mancata presenza di Grasso, veniva acquisita in data 17 gennaio 2018, presso l’abitazione di Biagio Grasso, della documentazione contabile consegnata spontaneamente da Silvia Gentile con i documenti catastali e i conteggi vari riportati dell’Operazione Santa Margherita Ex Raciti – Mancuso”, annotano gli inquirenti.
I tentacoli della Piovra sul devastante affaire Torrente Trapani
Nel corso di diverse deposizioni, il collaboratore di giustizia Biagio Grasso si è soffermato su una delle operazioni più devastanti dal punto di vista urbanistico-ambientale della recente storia della città di Messina, la realizzazione di centinaia di alloggi nella centrale area del Torrente Trapani ad altissimo rischio idrogeologico. “Dopo di che, l’avvocato Giuffrida detto bluff, personaggio su cui potrei aprire duemila porte e duemila vicende, e che l’imprenditore Nino Pettina mi aveva presentato mi dice: Grasso stai cercando un’operazione a Messina? Ma ce n’è una che è bellissima che ho io e che tu conosci, anche perché del Torrente Trapani tutto quello che vedete là sopra l’ho costruito io e non ho preso soldi da nessuno, a cominciare da Pettina”, verbalizza il collaboratore. “Perché Pettina poi fallì pilotatamente, a me mi saltò 700.000 euro lui e 300.000 euro il fratello. L’avvocato Gulino, che è persona perbene a Messina, mi ha intavolato duemila cause che giustamente poi i Giudici alla civile mi hanno dato torto e quindi mi hanno bloccato i pagamenti. Poi su questo apriamo un capitolo molto importante, cemento, e tutto quanto il resto: concessioni edilizie, programma costruttivo, raggiri ai clienti, ecc…. Insomma mi  propongono questa operazione di Cassiano. Io, preso da una forma di riscatto nei confronti dei Pettina, perché ero rimasto molto male per come soprattutto il Giuseppe Pettina, che è quello peggiore dei tre, mi aveva ingarbugliato la vicenda, tra cui un appartamento che la mia compagna ha pagato per intero, venduto due volte, prima a me e poi all’ex direttore della Banca Popolare di Ragusa nonché facente parte, credo, della stessa loggia dei Giuffrida, quindi Carlo Giuffrida... cioè, La Spina e Giuffrida, dove persi un’altra causa con 150.000 euro di appartamento pagato, finito… Mi presentano quindi l’ingegnere Cassiano insieme a Giuffrida. Cassiano è molto esperto, infatti non è stato neanche condannato. L’operazione dalle carte era perfetta quindi faccio un accordo con Cassiano e gli dico: Dammi un X di tempo per organizzarmi e chiudiamo l’operazione. Mi ricordo che nel febbraio 2010 presimo un aperitivo al bar Irrera, e Soraci sente l’operazione e mi dice: Perché non fai l’operazione insieme a Romeo?, gli ho detto: Ma loro fanno i costruttori?, dice: Sì, hanno fatto operazioni con tizio, caio, sempronio e roba del genere…”.
“Mi ricordo che in quel periodo Vincenzo Romeo mi dice: Sì, però c’è un amico mio che mi ha dato informazioni che l’operazione non è male”, aggiunge Grasso. “L’amico suo era l’ingegnere Arena, fratello del magistrato donna, che poi era anche il direttore dei lavori per conto di Pett S.r.l.. Comunque, il Soraci insiste e gli dico: Ragazzi qua bisogna uscire almeno 60-70.000 euro e quindi se volete entrare nell’operazione ci vuole un X. Quanto volete?. La metà, 30.000 euro, dice Soraci e mi porta i soldi. Io mi incontro con l’ingegnere Cassiano e dico okay. Con loro faccio un accordo. Con Cassiano facciamo un pranzo presso l’Ossidiana, che è sotto lo studio dell’avvocato Giuffrida, consegno i soldi direttamente nelle mani di Cassiano, che lui prende e li versa, non so se 30 o tutti i 60.000, presso Unicredit di via Garibaldi, perché era cliente, pure lui, corporate, come lo ero io. All’epoca c’era il dottore Carbone come direttore…”.
Con questo accordo Biagio Grasso entrava in possesso della società di costruzioni Se.Gi. S.r.l.. “All’epoca la Se.Gi. era della moglie e della figlia di Cassiano e questo mi ha fregato”, spiega l’imprenditore. “L’operazione era la costruzione dei famosi 96 alloggi a Torrente Trapani. Subito appena entro nell’ufficio mi dicono: Guarda che è arrivata due giorni fa una comunicazione da parte del Comune di Messina... perché io compro il 10 aprile presso il notaio Bruno e il 6 o 7 aprile il Comune di Messina aveva mandato la revoca della concessione edilizia, quindi, praticamente mi avevano fatto una truffa con i fiocchi e da là capivo l’urgenza di Giuffrida a farmi duemila telefonate. Al che cerco di capire come sono le cose, abbiamo guardato le carte e realmente là sopra avevano fatto un disastro perché non avevano ottemperato a quelli che erano gli ordini dei direttori dei lavori precedenti, non avevano fatto niente, avevano solamente fatto i ripiani per alzare le palazzine. Per questo motivo alla fine dico a Soraci: Guarda che l’operazione si è incartata quindi non so quanto tempo si perderà su questa vicenda e il Soraci già dimostra alterazione e mi dice: Ma tu sei l’esperto delle carte e se ti prendi un ruolo, la responsabilità è tua e devi corrispondere tu (…) Le cose vanno avanti, cerco di sbrogliare la situazione... Un giorno Soraci, Maurizio e Enzo Romeo mi convocano e mi dicono: Guarda, noi ci siamo fatti quattro conti, l’operazione l’hai sbagliata tu… Soraci mi aveva chiesto di fare entrare in partecipazione questi ragazzi, i Romeo, come socio non risultante, occulto. Su quell’operazione ha messo massimo 50.000 euro, tutti cash. Io poi gliene avrò messi 500 in quella operazione. Quindi mi dicono: No, noi abbiamo fatto i conteggi, l’operazione l’hai sbagliata tu, a noi ci devi dare 800.000 euro. All’epoca non so chi sono i Romeo… Io mi prendo del tempo, perché mi sono sentito confuso da quella pressione immediata e non programmata. Perché tu fai un affare con uno, va male e dopo quindici giorni quello ti chiede una cifra esorbitante e non capisci come ti devi comportare. Considerato che bene o male con questi soggetti un po’ particolari io sempre ci ho avuto da fare perché il mio mestiere, soprattutto al sud, è particolare, ho detto: Vabbè, vediamo, come ho dribblato quelli a Barcellona, vediamo se riesco a dribblarmi questi qua, mentre in realtà è tutta quanta un’altra mentalità, tutto quanto un altro pensiero. Perché lì, anche quando c’era Carmelo D’Amico, i due fratelli, con tre parole li dribblavi, questi qui no. Anche perché pensi che li dribbli e appena escono dalla porta si rifanno la strategia e tu fai altri tre passi indietro, quindi quello che non hai potuto mantenere oggi non puoi mantenerlo più perché diventa una palla di neve dove tu non ne esci più”.
“Quindi, l’operazione Torrente Trapani si blocca e io rimango con un presunto debito nei confronti di questi soggetti, che al momento ho sottovalutato, solo che il Soraci, penso su indicazioni degli altri, mi incalza in maniera violenta, violenta, violenta, violenta…”, aggiunge Grasso. “Io in quel periodo ho avuto la mazzata di Antonino Giordano; avevo avuto una mazzata di Pettina; avevo avuto un’altra mazzata con l’Impresa Portuale Garibaldi, che ancora ad oggi mi deve dare circa 7/800.000 euro; avevo avuto tutta una serie di inconvenienti, avevo poca liquidità… Nel frattempo conosco l’avvocato Andrea Lo Castro tramite l’avvocato Giuffrida, perché Lo Castro seguiva l’operazione di Pettina sempre a Torrente Trapani e Giuffrida non poteva fare altro che farmi buon viso a cattivo gioco e continuare a seguire la mia. Lo Castro mi considera intraprendente e mi propose diverse operazioni tra cui una che è la Else S.p.A. di Milano, gestita all’epoca da tale dottore Rossetto che ha lo studio in via Santa Cecilia... Questo Rossetto è un altro tipo molto ambiguo, perché girava in ambiti, anche lui, loggeschi credo. Era stato liquidatore della Rosi o Roti che era una società importantissima di Milano, parliamo di una liquidazione di quasi 200 miliardi di lire all’epoca. Io ero interessato a sganciarmi dal territorio di Messina, quindi l’opportunità di Milano la presi in maniera interessante. Vengo a Milano da solo, febbraio 2011, incontro l’ingegnere Carlo Vandoni che era il titolare e deus ex machina della Else S.p.A., persona super perbene, che insieme all’ingegnere Trevisan sono il numero uno e il numero due in Italia e in Europa per quanto riguarda Fondazioni Speciali, ed entro in un mondo totalmente diverso rispetto a quello che è la permeabilità messinese, quindi l’operazione la ritengo interessante. Essendo di livello molto grande, mi viene l’idea di chiamare a Carlo Borrella. Lui mi dice: Ottimo, stiamo attenti perché è una società che ha delle problematiche e ci facciamo anche aiutare da Giuseppe Barbera che poi ho saputo che è stato arrestato pure lui per una cosa fraudolenta. Perché lui era il vice presidente nazionale dell’associazione Fondazioni Speciali di tutta quanta Italia. La notizia di Else circola a Messina, io vado avanti, facciamo un accordo di risanamento sempre con Else, l’operazione la prendiamo io e Carlo Borrella e immediatamente mi ritrovo a Milano, senza nessun preavviso, Ivan Soraci e Maurizio Romeo. Avevano fatto atti di pedinamento credo, perché sapevano anche dove dormivo, in un hotel in via Fabio Filli. Quindi si sono piombati nell’hotel, incontrano Giuseppe Barbera e gli dicono: Chiama Biagio e digli che ci sono amici che lo vogliono salutare. Io mi avvio verso là e questi dice: Ah, qua hai l’operazione e a noi non ci dai una lira. Al che dico: Ragazzi se l’operazione mi va bene troviamo un accordo, perché non è che vi posso dare tutta quella somma, troviamo un accordo e vi liquido, così chiudiamo sta partita perché non ce la faccio più. Mi hanno minacciato in maniera violenta, siamo intorno a giugno 2011, ricordo una sera in via Vittor Pisani... Mi hanno talmente violentato psicologicamente quasi al contatto fisico che dai nervi scoppiai in lacrime dalla rabbia…”.
Da socio occulto a possibile estorto
Grasso ricorda di essere stato raggiunto altre volte a Milano da Maurizio Romeo e Ivan Soraci che reclamavano le somme da loro investite nell’operazione di Torrente Trapani; alla fine, veramente avvilito per il pressing, il costruttore cede. “Al che chiesi all’amministratore di ITC S.r.l. che era una società satellite con cui avevamo fatto l’operazione, di emettere 150.000 euro di assegni tratti presso la Banca di Credito Cooperativo di Landriano”, aggiunge il collaboratore. “La mia intenzione era: Ti do i 50-60 che hai messo, ti do un acconto basta che non ti fai vedere più, poi se ne parla (…) Rilasciai circa 30 assegni per un totale di 150.000 euro. Io firmai gli assegni in bianco e li consegnai a Maurizio Romeo e Ivan Soraci. Loro poi li intestarono a Fabio Lo Turco, il quale a sua volta li girò a soggetti o società tutte riconducibili a Enzo Romeo, tra cui Giovanni Marano, Giuseppe Spampianto, un tale Nunnari ed un tale Parlagreco, somme tutte oggetto della vicenda giudiziaria a Milano. Romeo era in parte destinatario finale della somma insieme ad Ivan Soraci, al quale verosimilmente saranno andati circa 40.000 euro”. In un successivo interrogatorio (12 febbraio 2018), Biagio Grasso ha specificato che relativamente all’investimento fatto da Vincenzo Romeo nell’operazione di Torrente Trapani, quest’ultimo avrebbe versato in contanti, in un paio di mesi, la somma di 100.000/150.000 euro, “per consentire l’acquisizione, da parte della società Solea, della Se.Gi. S.r.l. di Cassiano”.
“Questa è la prima estorsione grave che io ricevo, anche perché poi il Soraci mi dice: Queste somme considerale solamente per il disturbo, quelle del capitale rimangono sempre quelle e là ho capito che ero completamente in trappola”, conclude Grasso. “L’ultimo episodio che ci riguarda è avvenuto nel 2015, quando il Soraci mi ha chiesto il saldo di 40/50.000 euro per la fuoriuscita dall’operazione di Torrente Trapani, sebbene lui non avesse mai investito denaro, posto che soltanto io e Vincenzo Romeo abbiamo finanziato l’operazione. Proprio per sollecitarmi il pagamento di queste somme si inventò un giro di false fatturazioni emessa da una società di Catania, riconducibile ad Antonio Consolo, operante nella fornitura di impianti elettrici. Il Soraci con questo Consolo ha fatto anche degli investimenti a Malta, con denaro proveniente dalle attività mie e di Vincenzo Romeo, ove è stato aperto un bar nel quale ha anche lavorato Fabio Lo Turco per conto di Soraci…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 19 novembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/11/18/operazione-beta-2-i-documenti-inediti-la-borghesia-mafiosa-e-il-sacco-del-torrente-trapani/

Gli incomprensibili silenzi del collaboratore di giustizia Santo Gullo al processo contro il giornalista Mazzeo

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Tribunale di Messina, giovedì 15 novembre. Ennesima udienza del processo che mi vede imputato per il reato di cui agli artt. 81 e 595 comma 3 (diffamazione a mezzo stampa) a seguito di una querela presentata nell’agosto 2012 dall’allora amministrazione comunale di Falcone per l’inchiesta da me pubblicata sul periodico I Siciliani giovani (n. 7 luglio-agosto 2012), dal titolo “Falcone comune di mafia fra Tindari e Barcellona Pozzo di Gotto”. Mentre l’odierna amministrazione ha deciso di non costituirsi parte civile “poiché in parte ritiene di condividere il pensiero espresso dal Sig. Mazzeo”, l’ex sindaco Santi Cirella ha ritenuto insistere nel procedimento nei miei confronti a titolo personale, affidando la propria costituzione all’avvocata Rosa Ellena Alizzi, la stessa a cui l’amministrazione da lui diretta aveva affidato sei anni fa la querela nei miei confronti, affiancandole per tutto il dibattimento il fratello avv. Gaetano Cirella.
Nella mia lunga inchiesta venivano descritte alcune vicende che avevano interessato la vita politica, sociale, economica ed amministrativa della piccola cittadina della costa tirrenica del messinese (speculazioni immobiliari dalle devastanti conseguenze ambientali e paesaggistiche; lavori di somma urgenza post alluvione del 2008, ecc.) nonché le origini e le dinamiche evolutive delle organizzazioni criminali presenti nel territorio, organicamente legate alle potenti cosche mafiose di Barcellona Pozzo di Gotto.
Nonostante il 7 febbraio 2013 il Pubblico ministero del Tribunale di Patti Francesca Bonanzinga avesse depositato una richiesta di archiviazione nei miei confronti affermando che “la critica mossa dal giornalista non si risolve in un attacco sterile e offensivo nei confronti del denunciante ma in una amara riflessione sulla storia del Comune di Falcone, ove, il denunciante viene menzionato solo perché facente parte della gestione dell’Amministrazione Comunale”, l’avvocata Alizzi per conto del Comune presentò opposizione al decreto di archiviazione. L’8 luglio 2015, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, dott.ssa Ines Rigoli, decideva di rigettare la richiesta di archiviazione e ordinava al Pm di formulare l’imputazione a mio carico. Quattordici giorni dopo la Procura di Patti disponeva il rinvio a giudizio e dopo il trasferimento del fascicolo al Tribunale di Messina competente territorialmente, il 7 aprile 2017 prendeva il via il processo dal sapore sempre più kafkiano.
Ma andiamo all’ultima udienza di giovedì scorso, quando è stato chiamato a deporre come teste della difesa il collaboratore di giustizia Santo Gullo, già a capo dell’organizzazione criminale mafiosa operante nel territorio di Falcone congiuntamente all’allevatore Salvatore Calcò Labruzzo (entrambi condannati con sentenza passata in giudicato per gravissimi reati: omicidi, associazione mafiosa, estorsioni, ecc.). Il mio legale, l’avvocato Carmelo Picciotto, aveva richiesto la deposizione del Gullo per riferire su quanto di sua conoscenza relativamente al ruolo apicale del boss (oggi al 41bis) Calcò Labruzzo; su una eventuale partecipazione diretta di quest’ultimo alla campagna elettorale per le amministrative del maggio 2011 e su eventuali attività di condizionamento da part del gruppo criminale nella vita politica, economica ed amministrativa del Comune di Falcone (temi questi al centro della mia inchiesta giornalistica).
Il collaboratore di giustizia, assistito dal legale di fiducia avv. Valentino Gullino del Foro di Messina, ha esordito confermando le dichiarazioni rese contro l’allevatore falconese, specificando che lo stesso, alla vigilia delle elezioni amministrative, gli aveva chiesto di sostenere elettoralmente la propria nipote Maria Calcò Labruzzo, candidata con la lista sostenitrice dell’avvocato Santi Cirella e risultata poi la prima degli eletti in consiglio comunale. Santo Gullo ha però aggiunto che anche l’allora candidato della lista di opposizione ingegnere Carmelo Paratore (oggi sindaco del Comune di Falcone) si era rivolto a lui per il voto, dichiarazione questa che non ci risulta essere mai stata verbalizzata in passato dal collaboratore. Senza che nessuna delle parti in aula facesse esplicite domande in merito, lo stesso Santo Gullo ha aggiunto che “prima delle dichiarazioni rese come collaboratore di giustizia, Salvatore Calcò Labruzzo era persona incensurata”, ripetendo cioè uno dei ritornelli ripetuti più volte nel corso del dibattimento dal querelante e dalla sua legale (“prima del suo arresto con il procedimento antimafia Gotha nel giugno 2011, nessuno a Falcone era a conoscenza del ruolo criminale del Calcò Labruzzo”). In verità, l’allevatore era tutt’altro che “incensurato” o ignoto alle cronache giudiziarie. Salvatore Calcò Labruzzo risulta aver riportato una condanna nel 2001 dal Tribunale di Messina, con sentenza n. 301/01 RS, per pascolo abusivo (art. 636 c.p.); lo stesso è stato nuovamente condannato nel 2008 per danneggiamento e pascolo abusivo ed altri reati di analogo tenore. Gli inquirenti specificano pure che lo stesso “annovera diversi precedenti per truffa ai danni dell’AIMA, commessi nel 1999”.    
Ma non è questo che ha destato il mio stupore e la mia indignazione, ma invece l’atteggiamento assunto dall’avvocato Valentino Gullino che alle ripetute domande dell’avv. Carmelo Picciotto su eventuali conoscenze del collaboratore con tali Roberto Ravidà, Antonio Fugazzotto, Pietro Bottiglieri e Sebastiano Sofia (ex funzionari comunali, amministratori e imprenditori citati nella mia inchiesta su I Siciliani giovani), ha stoppato le risposte del proprio assistito opponendo il “segreto istruttorio” in quanto a suo dire, le dichiarazioni rese ai magistrati da Santo Gullo sui personaggi in questione “erano sottoposte a omissis”. Ciò concretamente ha impedito nei fatti che il teste riferisse alcunché.
Quanto dichiarato in sede processuale dal legale non ci risulta essere vero. Santo Gullo ha riferito in più procedimenti penali (Gotha 1, innanzitutto) numerosi particolari riguardanti i personaggi sopra citati (alcuni riportati perfino dagli organi di stampa) e dalle dichiarazioni è scaturito un processo contro uno di essi, l’allora tecnico comunale di Mazzarrà Sant’Andrea e Oliveri, Roberto Ravidà. Il 30 marzo 2015, al processo stralcio Gotha 3, svoltosi presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, lo stesso Ravidà è stato condannato a 7 anni di reclusione, pena ridotta a 5 anni al processo d’appello conclusosi sempre a Barcellona lo scorso 29 ottobre 2018. Come riporta il giornalista Leonardo Orlando del quotidiano Gazzetta del Sud nell’articolo pubblicato dopo la sentenza in appello, “secondo il racconto fatto dai pentiti Melo Bisognano e Santo Gullo, già dal 2000 e per l’intero decennio successivo, il geometra Roberto Ravidà, stringendo un vincolo con il Gotha della mafia di Barcellona e in particolare con Salvatore Sem Di Salvo, questo grazie all’intermediazione dello stesso ex boss Carmelo Bisognano, avrebbe garantito l’aggiudicazione degli appalti pubblici ad imprese vicine alla mafia di Barcellona o direttamente riconducibili allo stesso Sem Di Salvo. Lo stesso tecnico, più volte indagato e sempre scampato alle azioni giudiziarie, avrebbe indicato alla stessa famiglia mafiosa dei Barcellonesi le imprese da sottoporre ad azioni estorsive o comunque da avvicinare per assoggettarle al sistema delle tangenti, ottenendo in cambio benefici economici con elargizioni dirette di denaro”.
Ancora più sconcertante il fatto che proprio sui personaggi su cui l’avvocato Picciotto aveva chiesto di riferire esiste un lungo verbale riassuntivo di interrogatorio, reso proprio dal collaboratore di giustizia Santo Gullo alla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Messina (pubblici ministeri i dottori Vito Di Giorgio e Angelo Vittorio Cavallo) in data 28 settembre 2011 (procedimento N. 2853/2011 R.G. mod. 44 DDA), verbale che sarebbe stato acquisito invece (integralmente  e senza omissis) al fascicolo processuale Gotha 1 - Pozzo 2 (proc. 8319/10 R.G.N.R.).
Buona parte di questo interrogatorio è dedicato agli illeciti commessi da Roberto Ravidà. In particolare a pag. 7 del verbale viene riportata una dichiarazione del Gullo relativa all’interesse del gruppo di Salvatore Calcò Labruzzo per le attività del tecnico comunale: “I rapporti tra Roberto Ravidà e Sam Di Salvo si sono via via intensificati a partire del ’99 e fino al 2003, epoca dell’arresto del Di Salvo. I rapporti tra i due si intensificarono talmente tanto che, così come mi disse Salvatore Calcò Labruzzo all’incirca nel 2002 – 2003, le ditte estranee a Sam Di Salvo e a lui non riconducibili non riuscivano più ad ottenere alcun lavoro in quelle zone (…) Io e Calcò Labruzzo Salvatore parlavamo spesso del ruolo di Roberto Ravidà ed anche lui sapeva quale era il sistema che Ravidà utilizzava per ottenere i lavori”.
Faccio presente che proprio nella mia inchiesta giornalistica sul comune di Falcone, riportavo una dichiarazione resa al processo Vivaio da un altro collaboratore di giustizia, l’ex boss Carmelo Bisognano: “Per pilotare alcune gare, si avvicinavano alcuni funzionari pubblici, come i capi degli uffici tecnici di Falcone, tale Fugazzotto e di Mazzarrà Sant’Andrea, geometra Roberto Ravidà”. Aggiungevo poi che “sempre relativamente ad Antonio Fugazzotto, responsabile dell’ufficio tecnico di Falcone dalla seconda metà degli anni ’70, Bisognano ricorda di averlo raggiunto in ufficio, intorno al 2000, per discutere dell’appalto dei lavori di canalizzazione delle acque (…) Dopo una prima fase di attrito col sindaco Cirella in cui venne esautorato con la nomina a responsabile di un tecnico esterno, dopo la tragica alluvione che colpì Falcone nel 2008, il geometra Fugazzotto è tornato a fare da regista degli interventi che le imprese hanno messo in opera durante e dopo l’emergenza alluvionale”. Ebbene proprio nel verbale sottoscritto da Santo Gullo il 28 settembre 2011, ci sono alcuni passaggi riferiti proprio al tecnico comunale di Falcone (pagg. 8 e seguenti). “Fugazzotto Antonio è più riservato di Ravidà, ma anche lui frequentava personalmente soggetti quali Sam Di Salvo e Carmelo Mastroeni sempre per vicende relative ad appalti pilotati. Un altro esempio riguarda l’appalto per la realizzazione del mercato dei fiori di Falcone. I lavori furono appaltati in favore della ditta Grillo, vicina al Di Salvo, e furono realizzati intorno al 2005-2006, anche se credo sono rimasti incompiuti (…) Ribadisco che Roberto Ravidà e Antonio Fugazzotto hanno favorito varie ditte in occasione dell’aggiudicazione di appalti pubblici nei Comuni di loro competenza; a partire del 1999 tanto il Ravidà quanto il Fugazzotto hanno via via fatto fuori le ditte esterne non riconducibili a quelle del Di Salvo. In definitiva, dunque, questo sistema ha favorito l’organizzazione barcellonese, permettendo di lavorare alle ditte vicine o comunque riconducibili al Di Salvo. Come ho già detto, questo sistema fece sì che con il trascorrere del tempo le ditte non ricollegabili al Di Salvo iniziarono a lamentarsi in quanto rimanevano sistematicamente fuori dall’aggiudicazione dei lavori. Ciò si è protratto fino al 2003, e cioè sino all’arresto di Di Salvo, ed anzi non escludo che fu proprio qualcuno dei titolari di queste ditte esterne estranee al Di Salvo a fare scoppiareOmega. Come ho già detto, questo sistema cui partecipavano il Ravidà, il Fugazzotto ed il Di Salvo finì per scontentare anche me e Salvatore Calcò Labruzzo quali referenti immediati della zona, in quanto dovevamo astenerci dal sottoporre ad estorsione le ditte vicineal Di Salvo, così come richiesto da quest’ultimo”.
A pag. 9 del verbale d’interrogatorio, il collaboratore di giustizia torna a parlare di Fugazzotto. “Conosco Fugazzotto Antonio, detto Toni, tecnico comunale di Falcone tuttora in servizio. Non credo che sia a capo dell’ufficio tecnico di Falcone, almeno da quando è in carica il sindaco Cirella, con il qual ha avuto dissapori; non so essere più preciso in merito e non so se nell’ultimo periodo il Fugazzotto sia tornato a dirigere quest’ufficio. Mi risulta anche che il Fugazzotto abbia anche un ufficio privato. Fugazzotto ha svolto a Falcone le stesse funzioni che Ravidà ha svolto a Mazzarrà, nel senso che anche costui ha manipolato le gare in cambio di denaro. Non ho parlato direttamente di queste cose con il Fugazzotto, ma anche in questo caso ciò era risaputo. Volendo fare qualche esempio, sono a conoscenza che in un’occasione, all’incirca nel 1999-2000, la ditta di Sottile Sebastiano, di cui non ricordo il nome, pagò trenta milioni al Fugazzotto per ottenere l’aggiudicazione di un appalto a Falcone, credo avente ad oggetto la realizzazione di alcune case popolari o di una scuola. Successivamente, questi lavori furono svolti da una ditta vicina a Sam Di Salvo. In questo momento ricordo che il Fugazzotto dapprima si fece pagare i trenta milioni dal Sottile per vincere quell’appalto, e poi si fece consegnare un’altra somma dallo stesso Di Salvo, affinché egli aggiudicasse l’appalto in favore di quest’ultimo. Il Sottile, una volta perso l’appalto, si lamentò e pretese almeno la restituzione dei soldi da parte del Fugazzotto, cosa che non avvenne nonostante l’intervento di alcuni ragazzi di Mazzarrà. Ritengo che la vicenda finì lì, perché alla questione era interessato lo stesso Di Salvo. Non ricordo se questa vicenda mi fu rapportata da uno di questi ragazzi o da Salvatore Calcò Labruzzo. Mi risulta infine che Fugazzotto Antonio abbia creato una società di fatto con Sofia Sebastiano. con il quale ha in corso affari di varia natura….”. Proprio al costruttore Sebastiano Sofia e al di lui figlio Giuseppe Sofia dedicavo alcuni passaggi della mia inchiesta giornalistica, rilevando un potenziale conflitto d’interessi perché dopo le elezioni amministrative del 2011, il figlio veniva nominato assessore comunale dal sindaco Santi Cirella, nonostante i lavori pubblici ottenuti in passato dal padre.
Rilevante poi rilevare che durante la sua deposizione al processo per diffamazione contro i cinque consiglieri comunali d’opposizione in corso attualmente presso il Tribunale di Patti sempre su querela dell’allora amministrazione Cirella, all’udienza del 20 febbraio 2017, l’ex assessore Giuseppe Sofia ha dichiarato testualmente di “aver conosciuto il signor Salvatore Calcò Labruzzo in giro, durante la campagna elettorale, durante i comizi, era presente…”. Lo stesso Sofia, rispondendo a specifica domanda dell’avvocato Spagnolo, difensore di uno degli imputati (Lo vedeva spesso a Falcone?), ha aggiunto: “No. Sinceramente non lo avevo… non lo conoscevo. Non lo avevo mai visto. Io l’ho conosciuto in quella circostanza. L’ho conosciuto perché era lo zio di una… di una nostra consigliere, della Calcò Labruzzo Maria…”.
Sempre nel corso dell’interrogatorio del 29 settembre 2011 con i magistrati della DDA di Messina, a pag. 11 del verbale, il collaboratore Gullo torna a soffermarsi sulla figura di Antonio Fugazzotto. “Mi risulta che costui sia molto vicino a Pietro Bottiglieri, soggetto che ha uno studio di consulenza del lavoro e che si occupa di affari immobiliari insieme all’ex fratello Maresciallo della Finanza, alcuni dei quali alle Isole ed altri a Falcone. Il Bottiglieri ha un referente politico alle sue spalle nel Comune di Falcone, che comunque ignoro. Mi risulta che attualmente il Bottiglieri sta gestendo l’area industriale di Falcone insieme al Dirigente della Camera di Commercio di Messina, Rocco Di Giovanni, residente a Falcone. Non credo che il Bottiglieri ricopra cariche politiche”.
In verità Pietro Bottiglieri, già assessore di Santi Cirella durante la prima amministrazione, è stato nominato vicesindaco nella seconda legislatura. E sempre al Bottiglieri avevo dedicato un altro passaggio chiave della mia inchiesta giornalistica. “L’ultima sorpresa nel piccolo comune tirrenico sa di squadrette, compassi, cappucci e grandi architetti dell’universo. L’odierno vicesindaco di Falcone, Pietro Bottiglieri, è risultato appartenere infatti alla loggia massonica “Ausonia” di Barcellona Pozzo di Gotto, sotto inchiesta dal 2009 per presunta violazione della legge “Spadolini-Anselmi” che vieta la costituzione di associazioni segrete (…) Pietro Bottiglieri, dopo aver prestato servizio trentennale quale ragioniere del Comune di Falcone, ha espletato il ruolo di esperto contabile nei Comuni di Terme Vigliatore e Furnari (entrambi poi sciolti per infiltrazioni mafiose). Infine l’ingresso nella politica attiva, prima da candidato a sindaco di Falcone nel 2006 e, dopo la sconfitta, da assessore della prima giunta diretta da Cirella. Con le amministrative 2011, Bottiglieri è divenuto il braccio destro del sindaco rieletto. Ciò nonostante sia divenuta pubblica la deposizione di Santo Gullo su un intervento del barcellonese Carmelo Messina, presunto affiliato al gruppo di Carmelo D’Amico, per comporre un rapporto estorsivo che le cosche locali intendevano imporre alla tabaccheria di proprietà dell’odierno amministratore. “Nel 1995 io ed il Calcò Labruzzo abbiamo avvicinato Pietro Bottiglieri”, ha esordito Gullo. “Egli temporeggiò e contattò tale Mida Nunzio, soggetto che si occupava di estorsioni ed amico dei fratelli Ofria… Sem Di Salvo contattò Carmelo Messina e gli disse di comunicare al Bottiglieri di pagare a me ed a Calcò Labruzzo, dal momento che era sempre la stessa cosa”.
Insomma, se all’udienza di giovedì 15 novembre del processo che mi vede imputato, non fosse stato impedito strumentalmente al Gullo di rispondere alle domande dell’avv. Carmelo Picciotto, avremmo avuta conferma della veridicità di quanto riportato nella mia inchiesta giornalista, nel pieno rispetto delle mie prerogative di difesa e del diritto-dovere di cronaca esercitato. Il collaboratore Santo Gullo avrebbe anche potuto riferire (e confermare) quanto verbalizzato con i magistrati della DDA di Messina Vito Di Giorgio e Angelo Vittorio Cavallo, sui lavori di somma urgenza che hanno interessato Falcone dopo l’alluvione che colpì l’hinterland nel dicembre 2008 e sulle modalità con cui il boss Salvatore Calcò Labruzzo si spese per sostenere la candidatura in consiglio comunale della nipote Maria Calcò Labruzzo.“So che ai lavori di somma urgenza resisi necessari a seguito delle alluvioni che hanno interessato i Comuni di Furnari, Mazzarrà ed altri, si sono interessati i mazzarroti, tra cui Salvatore Calcò Labruzzo e Ignazio Artino, ma non so altro”, riferiva Santo Gullo il 28 settembre 2011 (pag. 13). “La nipote di Salvatore Calcò Labruzzo è stata eletta al Comune di Falcone anche con i voti provenienti dalla sua famiglia. Salvatore Calcò Labruzzo mi chiese di raccogliere voti per lei, ma in questo caso non ricorremmo all’organizzazione, né ci avvalemmo di alcun mezzo illecito. Mi risulta che il fratello, però, pretendesse di ottenere dei lavori nell’ambito di tale Comune”, specificava il collaboratore a pag. 11.
Quanto avvenuto nel corso dell’ultima kafkiana udienza del mio kafkiano processo credo possa meritare l’attenzione da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina e del Servizio Centrale di Protezione dei collaboratori di giustizia…

Quella buona parola dell’editore Ciancio per le autorizzazioni del MUOS

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Anno 2008: il progetto d’installazione a Niscemi di uno dei terminali terrestri del sistema di telecomunicazione satellitare MUOS, strategico per le forze armate degli Stati uniti d’America, rischia di arenarsi alla Regione Siciliana. C’è bisogno invece di accelerarne l’iter ottenendo le autorizzazioni per avviare le opere all’interno della riserva protetta “Sughereta” in barba ai vincoli urbanistici e ambientali. Il Comando della base di US Navy a Sigonella freme e qualcuno prova a spendere il nome di uno degli onnipotenti dell’Isola, quello dell’editore-imprenditore-costruttore Mario Ciancio Sanfilippo. A Roma come a Washington si sa che non c’è Presidente o politico isolano che non si renda disponibile alle richieste o agli inviti del patron de La Sicilia. In fondo la buona parola pro-MUOS potrebbe valere in cambio una fortuna: l’Ok del Pentagono per realizzare nel Comune di Lentini un megavillaggio per ospitare sino a 6.000 marines Usa, oltre 670.000 metri cubi di costruzioni in un’area complessiva di 91,49 ettari nelle contrade Xirumi, Cappellina e Tirirò. Buona parte dei terreni destinati a ospitare centinaia e centinaia di villette per gli statunitensi sono di proprietà della famiglia Ciancio Sanfilippo, mentre il progetto è in mano alla Scirumi S.r.l., società controllata al 51% dall’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.A. di Vicenza e per il 10% dalla Cappellina S.r.l. di Catania (soci i due figli dell’editore etneo).
Tu mi dai il MUOS e io ti do il residence a Lentini  
L’ipotesi che Mario Ciancio Sanfilippo si sia speso in qualche modo a Palermo per contribuire ad accelerare l’iter autorizzativo delle opere per il MUOS di Niscemi è riportata all’interno del Decreto del Tribunale di Catania del 20 settembre 2018 che ha rigettato la richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza nei suoi confronti, autorizzando di contro il sequestro e la confisca di numerosi beni di cui Ciancio è titolare.
“Merita attenzione anzitutto la Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a., con sede a Vicenza, attiva sin dall’anno 1969, aveva già eseguito lavori per conto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America presso la base di Aviano”, scrivono i giudici di Catania nel capitolo dedicato all’affaire Scirumi di Lentini. “La Maltauro, inoltre, aveva acquistato l’impresa Ferrari di Genova, a sua volta acquirente della IRA Costruzioni di Graci e della Fratelli Costanzo, storiche imprese edili di Catania (originariamente appartenenti a soggetti vicini a Cosa Nostra etnea), ed aveva infine realizzato il centro commerciale Etnapolis, sito a Belpasso (Catania), la cui costruzione aveva costituito oggetto del procedimento penale denominato Dioniso”. L’azienda di costruzioni vicentina aveva nominato proprio consigliere rappresentante nella Scirumi S.r.l., tale Mauro De Paoli. Quest’ultimo ha ricoperto fino al 25 febbraio 2010 il ruolo di presidente del C.d.A. della società proponente il progetto di cementificazione a fini militari dei territori di Lentini. Il 23 settembre 2008 Mauro De Paoli veniva intercettato dai ROS dell’Arma dei Carabinieri mentre negli uffici dell’editore Mario Cianio Sanfilippo s’incontrava con quest’ultimo e un soggetto rimasto non identificato. “Nel corso della conversazione il De Paoli chiedeva l’intercessione del Ciancio Sanfilippo con l’allora neoeletto Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo affinché agevolasse l’installazione del MUOS (il contestato sistema di monitoraggio americano) in territorio di Niscemi, così da accreditare lo stesso Ciancio Sanfilippo e tutta la Scirumi presso il nuovo comandante americano di Sigonella (tale Chris Kinsley) al fine di concludere l’accordo con l’amministrazione militare statunitense che avrebbe portato alla realizzazione del progetto”, riportano i giudici del Tribunale di Catania nel Decreto del 20 settembre 2018.
Utile riportare quasi integralmente la trascrizione del dialogo a tre intercettato dagli inquirenti.
CM: Mario Ciancio Sanfilippo;
UU: Mauro De Paoli;
SS: soggetto sconosciuto.

CM: “Allora, come vanno le cose, intanto alla Maltauro... benissimo!”
UU: Benino.
CM: Ah, benino… Avete preso appalti dovunque... State facendo la Catania-Ragusa, state facendo ...
UU: No, quella non si sa se parte!
CM: Noi cercheremo di darle una mano  per farla partire...
UU: C’è un ricorso...
CM: Lo so, però le voglio dire, è una di quelle cose che deve partire! Noi come giornale siamo pronti a rintuzzare, a fare polemiche, accuse, cioè non si può più perdere tempo sostanzialmente, perché la perdita di tempo significa che poi costano il doppio!
SS: Questo è vero! Questo è vero!
CM: La Pizzarotti sta finendo...
UU: Sta finendo, sono in anticipo!
CM: Sta completando in anticipo, no, sono... sono ancora in tempo!
UU: Fuori no, sono i tempi contrattuali!
CM: Senta, per il resto?
UU: Questo mi sta a cuore adesso. Allora...
CM: Non è che lei... io leggo bene!
UU: I nostri amici americani hanno questo progetto...
CM: Un secondo, mi faccia leggere! (si registrano rumori provocati dallo
strofinio di carta; seguono secondi di silenzio, ndr) Che fanno a Niscemi?
UU: Devono mettere il MUOS... Si ricorda il famoso MUOS? Quel sistema interplanetario di comunicazione? E' ubicato a Niscemi, tutte le misure di disturbo...
CM: Senta, e perché a Niscemi?
UU: Molto probabilmente bisogna vedere com’è, dove si può piazzare... Come girano queste cose! Questa è una pratica addirittura da molti anni, ora loro stanno per giungere al loro obiettivo e il provvedimento ora è in Regione Siciliana! Loro dicono… che riusciamo a prenderlo o non riusciamo a prenderlo, attraverso l’Assessore Sorbello che fa il decreto, o attraverso il Presidente della Regione Lombardo, perché è Presidente anche dell’azienda forestale… Lui, come Presidente della Regione che può fare un’appendice e l’approva come Presidente dell’agenzia regionale delle foreste. Che avvenga questa cosa qua è importante... lo vedono che avvenga per merito vostro! Bon... è importantissimo che questa cosa avvenga per noi. Il nostro comune amico oggi, Saro, è andato a Palermo per cercare di togliere dal sacchetto questa cosa, così.. fermatevi un attimo... eccetera... perché è fondamentale! Loro mi dicono: “è fondamentale che avvenga questa cosa per merito vostro! È fondamentale!”. La posta è Scirumi!
CM: Cioè, lei dice... se fanno questo, fanno Scirumi! Questo è importante! Che collegano le due cose! Sicuro?
UU: No, sicuro no! Però... Non posso dire sicurezza! Con buona probabilità è così!
CM: Perchè lei dice, facendo questa hanno interesse ad avere... ed è sulla strada per Gela! Quindi sarebbero a mezza strada tra Gela e... Quindi, no, questa è delicatissima!
UU: E’ delicatissima! Ma perciò io mi sono permesso di disturbarla!
CM: Ma allora a questo punto dovrei sapere a che punto sono?
UU: Questo iter, questo qui del loro MUOS, sono nell’ufficio dell’Assessore Sorbello che potrebbe fare, potrebbe emettere il decreto...
CM: Ma che garanzie abbiamo noi che facciano Scirumi? Prima di muovermi, scusi, io ho bisogno di garanzie! Se devo fare una cortesia davanti ad una ipotesi soltanto!
UU: Garanzie non ne abbiamo, direttore, non possono dare garanzie... Se veniamo accreditati presso il Comando americano di Sigonella, molto di più di quello che siamo adesso, che stanno proponendo, il villaggio quello in più alto! Il nostro! … Io ce l’ho sul cuore e il nuovo comandante Kinsley ha questa missione e mi dice: “Mi agevolate molto...”. Oggi Saro è andato a Palermo, per togliere la pratica all’Assessorato... “Non la esaminate!” Eh... no... perché altrimenti il nostro intervento come si manifesta? E Kinsley, insomma: “L’abbiamo già ottenuto, che vi siete mossi a fare?”… Mettiamo la prossima riunione, non è che è un grande sacrificio, no? Oggi...
CM: Voglio capire... La mia preoccupazione è che da una cosa del genere... Che devo fare io... Non ne ho nessun vantaggio, non sono disponibile a farlo! Ho bisogno di avere una qualche certezza!
UU: Certezza non ne abbiamo ma una buona probabilità l’abbiamo!
CM: Non mi basta, onestamente! Allora, le potrei dire io, invece di chiederla come cortesia faccio un’informazione per sapere come la pensano, è diverso! Una cosa è dire: “Mi fa piacere che si faccia...”, e quindi...
UU: Però direttore, questa volta mi creda, dobbiamo dirgli: "Mi fa piacere che lo faccia!”. Questa volta mi deve credere... Io sono stato sempre freddo...
CM: Perché devo farlo io?
UU: Perché è la persona più autorevole che c’è...
CM: No, più autorevole no, scusi. Lei sa benissimo che queste cose si fanno in due modi, o facendo io il peso del giornale, “la politica della cosa”, oppure facendolo in un altro peso...
UU: Sì, mah... non è un grande favore, perché c’è già, lo hanno già a posto... E’ già munito, è già strutturato, non c’è nessun dosso da superare. E’ una... che la Scirumi ha necessità di accreditarsi con il comandante Kinsley, per cui l’Ufficiale di collegamento ci sta accreditando molto poco, dice: "Questi signori sono ben introdotti...”, eccetera, eccetera, eccetera e dice: “Fatemi questa cosa e io vi convoco tra quindici giorni!”. Quindici, venti, trenta giorni... Come Scirumi, sì! Come villaggio di....
CM: Convoca tra quindici giorni?
UU: La vicenda SCIRUMI è rimasta sempre abbastanza fredda, no? In questo modo... In passato io non sono mai stato entusiasta, oggi da una serie di notizie che mi vengono da loro, c’è molto fervore... Eh, stanno scaricando roba, sulle navi in largo...
CM: Di certo, la situazione internazionale è tutta a nostro favore...
UU: Eh, stanno scaricando materiale, hanno tutte le navi fuori che stanno scaricando... Napoli è piena di gente, non sanno dove metterla a dormire. Napoli, loro sono pieni di gente, hanno fatto l’Africa Corps, hanno costituito l’Africa Corps per munire l’Africa di piste...C’è il gruppo Genio per fare le piste aeroportuali, dei serbatoi, c’è una forza di pronto intervento... Non sanno dove metterla ma è facile che venga qui, molto facile! lo adesso sono moderatamente ottimista... Infatti poi dobbiamo assolutamente rivederci e se il dottor Simonetto non ha fiducia, vabbè, lo farà qualcun altro. Adesso lui è un po’, non è molto fiducioso nell’operazione il dottor Simonetto...
CM: Lui non è molto fiducioso perché non è molto fiducioso il suo cognato... Non ci crede più!
UU: Non ci crede più!. Mi diceva: “No, no... lasciamo, lasciamo...”,  però che si lasci o non si lasci questo è a prescindere. Questa è per Scirumi… andare dal comandante Kinsley,,
CM.: Questi, i lavori di questo chi li prende?
UU: No, se la fanno loro! Questo è necessario. La struttura implica arrivo di personale, questo era uno dei punti... dei tre punti... si ricorda? È necessario che avvengano questi tre fatti, questo è uno dei fatti che… arriva del personale specializzato anche, e non sono dentro qua. E serve a noi, a Scirumi, per essere accreditati presso di loro, voglio dire, abbiamo una compagine che oltre che valorizzare le casette, è molto introdotta, con percorsi molto agevolati...
CM: Senta, se io le fissassi un appuntamento? O fissassi l’appuntamento al Comandante?
UU: Come dice lei... Lei scelga la cosa migliore, sicuramente sarà quella da farsi!
CM: Mi lasci ventiquattro ore di tempo... Perché noi attualmente siamo sciolti... No, mi dispiace il fatto, veda, il fatto che Simonetto non ci creda più è una cosa che mi dispiace molto! Sì, lei sta dicendo... come stiamo parlando tutti con la verità!
UU: No, a me dispiace... lui ha altre cose per la testa e questa cosa è nata un po' lunga...
CM: In Sicilia oltre a questo cosa avete? Che avete i lavori dell’IRA...
UU: E dell’IRA Ferrari, perché ci sono lavori che il Comune non paga... Ci sono amministrazioni povere... Non è che dice: “Ma io che faccio? Quindi non ci credo, non ci credo... abbandoniamo”... Io faccio una convocazione, hannoconvocato dalla base di Sigonella, perché lui deve... il documento... Il progresso va al cinquanta per cento. Abbiamo una serie di cose positive, siamo delle persone che siamo inserite in diversi livelli bene, dobbiamo avere un po' di pazienza e aspettare, delle volte...
CM: Pazienza ad aspettare... Ma dobbiamo rinnovare il nostro accordo, perché allo stato attuale...
UU: Non c’è niente! Adesso, Scirumi si farà quello che deve fare lo stesso, ma di qua a fine anno, lui se ne vuole andare, entrerà, non so, l’immobiliare Europea, gli dà cinquecentomila euro per le spese sostenute e va avanti... Io adesso ho diversi segnali, mercoledì scorso ero a Roma...
SS: Infatti io vedo che tu ci credi molto di più di Simonetto…
CM: E lei è diventato ottimista!
UU: Da un po' di tempo però, non da molto tempo! Mah, ci sono indicatori che vengono qua... Allora, c’è un lancia missili russo che gira nel Mediterraneo... Cosa vuol significare? Significa! Significa! Significa!
CM: Significa che sicuramente siccome la Russia sta passando, ha stanziato il venticinque per cento... E’ chiaro che tutti quanti che nel Mediterraneo si adeguano... E Sigonella è il posto d’incontro ...
UU: L’incrociatore lancia missili sta girando qui nel Mediterraneo, era anni che non entravano qua...
CM; Prima ti diceva: “Aspettiamo le elezioni americane!” Se questo ti dice mettere, praticamente è più facile che esce... Obama perde ...
UU: Lui dice: “Aspettiamo, insomma ... ho bisogno di un villaggio.... I Marinai non vanno bene, che sono... Mineo è lontano, ne voglio fare un altro là!”. Questo mi sta dicendo! Non mi fate dire delle cose in più... io domani sera parto!
CM: Io domani sono a Roma però, eh, attenzione... Io parlo questa sera alle otto...
SS: Va benissimo...
CM: Senta, questa è riservata, nel senso che praticamente non la sa nessuno!
UU: Non la sa nessuno e ce la teniamo per noi! lo poi vedo Aldo D’Amico nel pomeriggio perché lo devo sollecitare di trovare una compagine attiva...
CM: Alternativa...
UU: Sì, lui avrà rischiato.. L’ha visto anche l’altra volta, era molto infastidito...
CM: Perché poi il signor Gesualdo D’Amico non ci sappia fare...
UU: Non si sono mai presi di pelle dal primo dal primo momento! Mai! Cioè, antipatia di pelle, mi creda, il percorso o veniva spianato...
“Da quanto precede – commentano in conclusione i magistrati catanesi - emerge come ancora una volta il Ciancio abbia sfruttato i propri legami e rapporti con esponenti del sistema politico siciliano al fine di assicurare un canale privilegiato per l’approvazione del progetto del villaggio per i militari statunitensi ora in esame, il cui iter amministrativo procedeva e si concludeva positivamente in tempi rapidi: detti legami gli consentivano di avere in anticipo la certezza dell’esito favorevole di tale iter, tanto da ottenere, ancora una volta, rilevantissimi profitti ricavati dalla plusvalenza dei suoi terreni, venduti quando erano ancora a vocazione agricola ma per i quali veniva corrisposto dalla controparte un prezzo elevatissimo come se già la detta destinazione fosse stata modificata. E tale certezza non poteva che essere comune anche alla controparte del Ciancio Sanfilippo (prima fra tutti la Maltauro, soggetto con notevole esperienza imprenditoriale), che non si sarebbe certo determinata ad effettuare detto onerosissimo acquisto se non avesse avuto adeguate garanzie in ordine alla concessione della variante urbanistica”.
Ma anche il progetto MUOS avrebbe goduto contestualmente di una positiva e rapida conclusione. Il 10 aprile 2008 l’Azienda Regionale Foreste Demaniali diede il proprio nullaosta con validità annuale per l’avvio delle opere all’interno della riserva naturale orientata di Niscemi. Il 18 giugno 2008 venne rilasciata l’autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Caltanissetta. Il 9 settembre 2008, su richiesta formale del Dipartimento di US Navy, venne convocata a Palermo una conferenza di servizi ai sensi della legge n. 6 del 2001,a cui parteciparono l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente, la Soprintendenza dei Beni culturali, l’Ispettorato Forestale di Caltanissetta (ente gestore della riserva), il Comune di Niscemi e i rappresentanti della Marina USA e del 41° Stormo dell’Aeronautica di Sigonella. In quella sede e all’unanimità fu espresso parere positivo al terminale satellitare di proprietà ed uso esclusivo delle forze armate degli Stati Uniti d’America.

Operazione antimafia Beta 2. Mister I e quel veliero carico di coca

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Una grossa partita di cocaina prodotta in Colombia; un veliero che solca l’oceano per raggiungere un porto sicuro del sud Italia; le ‘ndrine calabresi che si affidano a intermediari dalla faccia pulita d’oltre Stretto per cooptare gli esponenti di spicco dei clan di Barcellona Pozzo di Gotto. E’ quanto emerge da un inedito racconto del neocollaboratore di giustizia Biagio Grasso, il costruttore di origini milazzesi condannato a 6 anni e 4 mesi al primo troncone del processo Beta sulle attività economiche e criminali della famiglia Romeo-Santapaola di Messina. L’episodio su un ingente quantitativo di droga di provenienza sudamericana, giunta in Italia via mare nell’inverno 2009, è riportato nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali Beta 2 emessa il 19 ottobre 2018 dal GIP del Tribunale di Messina, nella parte riservata al presunto coinvolgimento nelle attività dei Romeo dell’imprenditore Ivan Soraci, sino ad oggi ignoto alle cronache giudiziarie peloritane. Arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, reinvestimento di capitali di provenienza illecita ed estorsione in concorso con l’amico-socio Maurizio Romeo, Ivan Soraci non deve rispondere del reato di traffico di stupefacenti, ma quanto è stato riferito da Biagio Grasso viene ritenuto comunque attendibile dal ROS dei Carabinieri.
“Ivan Soraci era soprannominato signor I per il suo tono nobiliare assunto negli ultimi periodi”, ha raccontato il collaboratore di giustizia. “Il Soraci iniziò come dipendente di Giuseppe Denaro, che, all’epoca, gestiva dei supermercati e successivamente divenne direttore di sala del bar Irrera. In questo periodo, si avvicinò alla famiglia Romeo, divenendo una faccia pulita da potere utilizzare come imprenditore (…) Egli aveva rapporti con soggetti coinvolti in vicende di droga, ed anche per tale ragione non era considerato uomo pienamente di fiducia dei Romeo, perché, per quanto a mia conoscenza, questi non erano interessati al mercato degli stupefacenti”.
Nel corso dell’interrogatorio dell’11 gennaio 2018, Biagio Grasso ha fornito alla Direzione Distrettuale Antimafia ulteriori particolari sulla figura del Soraci. “Rispetto a quanto da me dichiarato circa eventuali contatti che io ebbi con il pregiudicato barcellonese Carmelo D’Amico per questioni di droga, mi sono ricordato che in effetti tra la fine del 2008 e il gennaio 2009, Ivan Soraci insieme ad un tale Gianfranco detto il canazzo, soggetto di circa 40 anni amico di Fabio Lo Turco e che è stato arrestato per fatti di droga, mi proposero un affare riguardante una grossa partita di sostanza stupefacente del tipo cocaina proveniente dal Sudamerica ed imbarcata su un veliero di proprietà di un soggetto, credo romano, sulla sessantina con problemi di diabete, che avrebbe dovuto transitare presso un porto sicuro in Sicilia per essere poi successivamente smistata con destinazione finale e rivenduta in Calabria, precisamente nella zona di Rosarno. Ricordo questo particolare in quanto con il Soraci e con il Gianfranco si è discusso della non opportunità di far transitare il carico direttamente nel porto di Gioia Tauro, sia perché trattandosi di un porto commerciale la presenza di un veliero avrebbe potuto destare sospetti, sia in quanto il margine di guadagno per l’intermediazione da parte dei siciliani sarebbe stato sicuramente inferiore. I due mi chiesero quindi nel corso di più riunioni avvenute presso il bar Irrera di Messina di fare da punto di contatto con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata di Barcellona con i quali sapevano che io avevo rapporti, per garantire sia la copertura mafiosa del transito, sia la sicurezza dell’operazione stessa. Io mi rivolsi pertanto a Carmelo D’Amico che conoscevo come il reggente del clan di Barcellona e con il quale avevo rapporti di lavoro in quanto lui era dipendente della MAP S.r.l., società di calcestruzzi, della quale era proprietario di fatto e che era intestata alla figlia di Salvatore Puglisi detto imbroglietta. Il D’Amico mi disse che l’operazione non gli interessava, ritenendola molto pericolosa e non avendo sufficienti referenze dei soggetti che proponevano l’affare”.
“All’epoca avevo già rapporti con Vincenzo Romeo, ma non ritenni di proporre a lui l’affare, sia perché non eravamo ancora in confidenza e sia perché sapevo che era un settore che lui ufficialmente non trattava”, prosegue il racconto di Biagio Grasso. “Di questa operazione so che Maurizio Romeo era a conoscenza sebbene non partecipò alle varie riunioni. Io conobbi anche il soggetto proprietario del veliero di cui ho parlato prima e lo incontrai presso la sua abitazione di Venetico, non so se fosse in affitto, e lui era in condizione di salute precaria. Soraci e Gianfranco mi dissero che la merce era già stata pagata dal proprietario del veliero e la quantità complessiva era di circa 500 kg. Essa era stata pagata ad un prezzo che credo si aggirasse intorno ai 5.000 euro al Kg, mentre sarebbe stata rivenduta a 30.000 euro. Ovviamente era stato previsto un compenso per la mia intermediazione, anche se non è stato quantificato. Non so poi come Soraci e Gianfranco abbiano risolto la questione. Ritengo di aver perso affidabilità di fronte Gianfranco, del quale comunque non mi fidavo neanche io ed è per questo che non mi dissero nient’altro dell’esito dell’operazione. Il contatto con i colombiani l’aveva la persona di cui ho parlato prima, proprietaria del veliero. All’epoca delle trattative il veliero era in navigazione dal Sudamerica all’Europa ed esso sarebbe arrivato tra il febbraio e il marzo del 2009…”.
La richiesta di supportare l’affaire veliero-cocaina da parte delle cosche calabresi è stata confermata dall’ex boss barcellonese Carmelo D’Amico, oggi collaboratore di giustizia. “So che Biagio Grasso era vicino a personaggi della ‘ndrangheta ma non so dire con chi; ritengo che ciò dipenda dal fatto che egli abbia effettuato dei lavori in Calabria”, ha verbalizzato D’Amico nel corso di un interrogatorio risalente all’8 agosto 2014. “Poco prima del mio arresto, Grasso mi chiese se poteva fare scaricare ad esponenti della criminalità organizzata calabrese 500 chili di cocaina, chiedendomi se potevo mandargli alcuni uomini della mia organizzazione per guardare le spalle ai calabresi nel momento in cui avrebbero scaricato la droga. Risposi al Grasso che poteva fare quello che voleva ma che io non gli avrei dato nessuno”.
Nell’ordinanza di custodia cautelare relativa al procedimento antimafia Beta 2, si specifica che “a seguito delle indicazioni fornite da Biagio Grasso”, i Carabinieri del ROS di Messina “hanno potuto identificare il soggetto di nome Gianfranco che, unitamente al Soraci, aveva proposto la cessione di 500 kg di cocaina, in Giovanni Bonanno alias canazzo, più volte arrestato per violazione dell’art. 73 comma 1 DPR 309/1990, definito anche da fonti aperte fornitore di sostanza stupefacente dei salotti bene di Messina”. Gli inquirenti hanno altresì accertato che all’epoca dei fatti Ivan Soraci era dipendente della società a responsabilità limitata Irrera 1910, proprietaria dell’omonimo bar-pasticceria di Messina dove secondo il collaboratore Grasso si sarebbero tenuti alcuni degli incontri del gruppo interessato a coinvolgere i barcellonesi nelle operazioni di sbarco della coca proveniente dall’America latina.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 22 novembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/11/23/le-rivelazioni-del-pentito-biagio-grasso-mister-i-e-quel-veliero-carico-di-coca/ 

Biagio Grasso e Beta 2. Certe spericolate operazioni della borghesia messinese…

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Contorte triangolazioni societarie per occultare i proventi di un’estorsione ai danni del costruttore amico e socio in spregiudicate operazioni immobiliari nella città di Messina. E’ uno dei filoni più importanti dell’indagine Beta 2 che un mese fa ha condotto all’emissione di un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 13 indagati che avrebbero operato illecitamente a favore della famiglia mafiosa dei Romeo-Santapaola. Tre di essi in particolare, il presunto reggente del gruppo criminale Vincenzo Romeo, il fratello Maurizio Romeo e l’incensurato imprenditore della ristorazione Ivan Soraci, devono rispondere del reato di associazione mafiosa ed estorsione “perché, in concorso tra loro, al fine di recuperare dal costruttore Biagio Grasso ingenti somme di denaro da loro asseritamente investite in operazioni immobiliari gestite dal Grasso, costringevano quest’ultimo a cedere e contestualmente Giuseppe Denaro ad acquistare la quota societaria del valore di 220.000 euro che la società Camel S.r.l. (fittiziamente intestata a Nicola Biagio Grasso, padre di Biagio) deteneva nella società P & F S.r.l.”.
Determinante per ricostruire la vicenda avvenuta nel secondo semestre del 2011 è stato il lungo e drammatico racconto fatto agli inquirenti peloritani dal costruttore di origini milazzesi Biagio Grasso, divenuto collaboratore di giustizia dopo l’arresto nell’ambito dell’inchiesta Beta 1. “Ivan Soraci e Maurizio Romeo erano fratelli”, ha esordito Grasso. “Ritengo che erano sempre rapporti, i loro, a dire di Soraci, esterni di business, d’affari però, in questo caso, è stato lui a mettermi nelle condizioni in cui io sono stato estorto di questa somma. Quest’altro fatto molto più grave è stato ideato e messo a punto dal Soraci. Lui capisce e intuisce che mi aveva messo in una questione psicologica di sottomissione. Ragion per cui che fa? Sapeva che io avevo la partecipazione insieme al costruttore Giuseppe Puglisi e a Giuseppe Denaro per un terreno a Villafranca che avevamo vinto all’asta e mi dice: Gli impegni si mantengono. Siamo uomini o siamo caporali? Fai una cosa. C’è il terreno là, lo vendi.... Gli dico: Okay, vendilo, la mia quota vale un milione, perché all’epoca valeva tantissimo quel terreno, è commerciale, metà glielo avevamo venduto a Eurospin e l’altra metà, avendo un’attività commerciale grossa là, aveva preso molto di valore. Dice: Sì, un milione, qua... là... Ora vedo. Che fa? Va dal suo principale diciamo, dal suo capo, che è Giuseppe Denaro e gli dice: Ti devi comprare la quota di Grasso, perché Grasso ha debiti con me. Al che mi chiama immediatamente Pippo Puglisi, con cui siamo molto amici... Giuseppe Denaro all’epoca era il proprietario di Irrera Bar. Il Soraci era direttore di Irrera. Giuseppe Puglisi è il figlio di Gianni Puglisi, Puglisi Costruzioni. Lui è stato anche presidente di ANCE Sicilia, insomma, un personaggio importante. E insieme a loro tre, io, che ero, diciamo, lo specialista dei capannoni, avevamo fatto questa società e ci siamo aggiudicati il terreno a Villafranca. Il Soraci lo sapeva perché era il dipendente di Denaro, anche perché gli seguiva cose bancarie, gli seguiva le carte, quindi sapeva tutte le situazioni, e obbliga in maniera, diciamo, pazzesca il Denaro a comprarsi il terreno. Ragion per cui a me mi chiama un giorno Pippo Puglisi e mi dice: Ti devo parlare urgente. Gli ho detto: Che c’è?, perché io non credevo che il Soraci riuscisse a trovare qualcuno che si compra un terzo di una partecipazione con altri due terzi di calibro di due imprenditori grossi. Chi lo fa? A meno che non siano in contatto. Dice: Vedi che mi ha chiamato Giuseppe Denaro perché Soraci gli dice che tu hai dei debiti importanti con lui e quindi ti devi vendere il terreno. Gli ho detto: Pippo ma cu si l’avi a cattari?, dice: No, vedi che lo sta obbligando a comprarselo. Ed io: Ma se Giuseppe Denaro in quel momento aveva fatto un investimento… Non ha soldi, come fa? Mi dice: Vedi che lo sta obbligando in maniera pesante e credo che gli abbia fatto il nome, perché io avevo anche i debiti con i Santapaola, no? Dopo di che il Denaro è costretto ad attivare un mutuo presso la Banca Popolare dell’Emilia Romagna, all’epoca c’era, e penso ancora ora, tale direttore che si chiamava Tonino, un mutuo di 250.000 euro per acquistare la mia quota. Chiaramente il Denaro prende due piccioni con una fava, perché riesce a prendere una quota di un terreno che vale almeno il triplo a 250. Quindi, alla fine della fiera, sì, viene estorto, ma fa anche il business. Perché attualmente Denaro lavora con Nino Giordano”.
Raggiunto l’accordo tra le parti, Biagio Grasso viene sottoposto nuovamente all’incalzante pressing del Soraci e stavolta anche dei fratelli Romeo. “Quindi, alla fine, mi chiamano e mi dicono: L’operazione è chiusa, non ti puoi tirare indietro”, spiega il costruttore. “Al che interviene anche Vincenzo Romeo, sempre però in maniera super educata, dicendo: Ma noi abbiamo dei problemi. E da là nasce il rapporto, gli ho detto: Guarda Enzo, ma ti sembra corretto? Dico, con un investimento di X io devo pagare Y, ma mi state facendo estorsione? Mi state facendo usura?, dice: No, però gli impegni sono questi, c’è Soraci, c’è mio fratello, e gli impegni vanno mantenuti. Fatto sta che dalla banca di Giuseppe Denaro, attraverso un debito presunto, e là entra in ballo Fabio Lo Turco, una bravissima persona e si è trovato, anche lui, incastrato in questa rete di ragni che poi non riesci ad uscire più, gli chiedono di fargli la cortesia di creare… tipo che avevamo un debito, in modo tale che questi soldi andavano a Lo Turco, perché gli ho detto: Io soldi contanti non ne esco, ve lo potete levare dalla testa, ma perché volevo pure che domani almeno mi rimangono traccia. Quindi si crea questo debito fittizio fra me, la mia società, che all’epoca era amministrata da mio padre, che non sapeva completamente niente con quella vicenda. Lui, poveraccio, veniva e firmava, e quindi mi beccano altri 250.000 euro”.
“Fabio Lo Turco mi è stato presentato da Ivan Soraci nel 2010 ed è il soggetto che è stato utilizzato quale intestatario fittizio delle società Solea, Brick e Green Life”, aggiunge Biagio Grasso in un successivo interrogatorio con i Pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina. “Per tale ruolo Lo Turco percepiva uno stipendio mensile, pari a circa 1.500 euro, corrisposti da me o da Vincenzo Romeo (…) Altra operazione nella quale Fabio Lo Turco è stato utilizzato dalla famiglia Romeo come prestanome è quella riguardante la cessione delle quote della P & F S.r.l., possedute in quota dalla Carmel S.r.l., a favore di Giuseppe Denaro, per un importo di 240.000         euro; la società era titolare di un terreno nella zona di Villafranca Tirrena, area ex Pirelli. Io avevo deciso di vendere le mie quote societarie per restituire a Romeo una ulteriore parte delle somme da lui investite nell’operazione Torrente Trapani. Presi accordi con il Denaro, il quale si mostrò disponibile ad acquistare le quote, anche se successivamente aveva cambiato idea per mancanza di liquidità. Quando Maurizio Romeo ed Ivan Soraci seppero che il Denaro non avrebbe acquistato le quote e temendo quindi di perdere la possibilità di rientrare nell’investimento fatto, costrinsero il Denaro all’acquisto, minacciandolo pesantemente, sfruttando la forza di intimidazione che nasceva dall’appartenenza dei Romeo alla famiglia mafiosa omonima. Denaro quindi accese un mutuo presso la Banca di Crotone, filiale di Messina, via Tommaso Cannizzaro angolo via la Farina, per l’importo di 240.000 euro, che venne interamente versato a Fabio Lo Turco, sulla base di un debito inesistente tra Lo Turco e la Carmel. Tale stratagemma contabile venne architettato dal dott. Benedetto Panarello…”.
Il 12 febbraio 2018, Biagio Grasso verbalizzava ulteriori particolari sulla vicenda estorsiva di cui sarebbe stato vittima da parte della famiglia Romeo-Santapaola. “Preciso che i fatti relativi al terreno di Villafranca risalgono agli anni 2011/2012, per quel che ricordo più nel 2011 perché era il periodo per cui io mi trovavo a Milano”, ha dichiarato il collaboratore. “Successivamente alla vicenda di Torrente Trapani, Ivan Soraci pretendeva da me il pagamento di somme di denaro che a suo dire era quanto gli spettava dall’investimento che Vincenzo Romeo e Maurizio Romeo avevano fatto insieme a me nell’operazione Se.Gi. S.r.l. e che egli pretendeva in quanto si riteneva l’anello di congiunzione tra me e Romeo, come per altro riconosciuto da questi ultimi. Il Soraci insieme a Vincenzo e Maurizio Romeo mi hanno obbligato in particolare a cedere la quota societaria che la Carmel S.r.l. deteneva all’interno della P & F, al fine di recuperare una parte di quanto preteso. Furono gli stessi Soraci e Romeo a dirmi di vendere la quota a Giuseppe Denaro, anch’egli socio della P & F (…) Visto che il Soraci non aveva fiducia in me, tramite un artificio contabile ideato dal dott. Benedetto Panarello è stato creato un debito fittizio tra la Carmel e Fabio Lo Turco, facendo così modo che il denaro versato da Giuseppe Denaro non transitasse sui conti della Carmel ma arrivasse direttamente sul conto di Fabio Lo Turco, come detto prestanome dei Romeo. A garanzia del mutuo acceso dal Denaro, anche gli altri soci della P & F: Giuseppe Puglisi ed il fratello del Denaro che si chiama Filippo ed anche l’altro fratello di nome Antonino, hanno dovuto sottoscrivere a garanzia un’ipoteca sul terreno di proprietà della società. Per quanto mi consta le pressioni esercitate da Maurizio Romeo e Ivan Soraci nei confronti di Giuseppe Denaro sono di certo a conoscenza di Giuseppe Puglisi il quale si confrontò più volte con me, lamentandosi delle persone con le quali ero venuto in contatto e dell’atteggiamento assunto nei confronti di Giuseppe Denaro. Non so se il denaro sia transitato direttamente dal conto corrente di Giuseppe Denaro a quello di Fabio Lo Turco o se le somme siano siate versate a mezzo di assegni circolari. Lo Turco successivamente ha girato il denaro ai Romeo ed a Soraci tramite carte prepagate o in contanti. Del fatto che Giuseppe Denaro sia stato costretto ad acquistare la quota, lo so in quanto me lo riferì sia lo stesso Denaro, che Ivan Soraci, che Giuseppe Puglisi. L’operazione era in astratto conveniente per Giuseppe Denaro perché il valore di mercato della quota era pari approssimativamente al triplo del prezzo di cessione che io fui obbligato ad accettare e ciò anche in considerazione delle capacità edificatorie di questo terreno ed in confronto alle caratteristiche del terreno che era stato oggetto di una precedente vendita dalla società P & F S.r.l. alla Eurospin. Ribadisco però che Giuseppe Denaro non acquistò la mia quota per fare un affare, lo fece solo perché pressato da Ivan Soraci e Maurizio Romeo, tanto è vero che mi risulta che il Denaro ebbe difficoltà nel pagamento del mutuo e la procedura di riscossione andò in incaglio. Per quanto mi consta fino al mio arresto infatti il terreno non è stato oggetto di sfruttamento commerciale. I soldi versati da Giuseppe Denaro a Lo Turco a fronte di questa cessione, furono poi trasferiti a Maurizio Romeo, Vincenzo Romeo e Ivan Soraci, e ciò mi risulta perché fu lo stesso Lo Turco a darmene conferma in quanto si lamentava delle ripetute sollecitazioni che subiva da costoro per ricevere queste somme”.
“Più o meno nello stesso arco temporale, Soraci spalleggiato dai Romeo riuscì ad estorcere la somma di circa 80.000 euro in nero, a suo dire spettantegli quale buonuscita per le attività da lui prestate in favore dei Denaro; sia di queste ultime pressioni che di quelle operate per la cessione societaria, cui ho fatto riferimento, è a conoscenza anche un tale Renato che lavorava con Soraci nel Bar Irrera”, riferisce Grasso. “Per questa specifica vicenda concernente la cessione della quota societaria, i contatti con Benedetto Panarello sono stati tenuti da Fabio Lo Turco. Non so se il Panarello fosse a conoscenza delle ragioni sottostanti”.
Per gli inquirenti peloritani la ricostruzione della vicenda da parte del costruttore Grasso è puntuale, precisa e pienamente attendibile. “L’episodio risulta ricostruito documentalmente in ogni suo passaggio e del resto vi è la piena conferma anche del Denaro”, scrive il Gip del Tribunale di Messina, Salvatore Mastroeni. “Risulta che il Grasso è stato costretto ai versamenti indicati ed è evidente che i due esecutori materiali dell’estorsione si sono avvalsi del forte metus determinato dall’associazione, tale da costituire minacce pregnante e priva di possibilità di sottrarsi. Emergerà più avanti una violenza delle pressioni subite da portare il Grasso al pianto. La eterogeneità della nuova compagine associativa, dove da meri soggetti violenti si passa a grossi imprenditori, e l’ovvia mancanza di amicizia sostanziale nei rapporti associativi, ben giustifica ipotesi in cui un associato, responsabile di una perdita o comunque debitore, possa essere estorto da altri associati e fondatamente temerli. Il vincolo associativo non è infatti basato su regole cavalleresche ma su interessi e tra soggetti che comunque vivono ed accettano l’illecito e come nei casi estremi anche degli associati possono essere uccisi, per sgarbi ed errori, a maggior ragione possono, pur continuando il vincolo, essere estorti. E’ che rispetto ai capi e ai più violenti il rapporto non è alla pari né garantito, ma basato solo su interessi comuni e quando gli stessi sono convergenti…”.
Nel corso delle indagini è stata accertata la farraginosa triangolazione del denaro estorto e l’articolata procedura di compravendita delle quote societarie “alla quale sarebbe stato costretto Giuseppe Denaro”. In particolare è documentato che l’immobile di 31.132 mq di Villafranca Tirrena, di proprietà della P & F S.r.l., sino al 31 ottobre 2005 era nella titolarità della società Messina Sviluppo S.p.A. Consortile; il 13 febbraio 2009 venne acquistato dalla società di Puglisi, Grasso e dei Denaro; mentre il 26 luglio 2010 una particella venne venduta a Eurospin Sicilia S.p.A. con sede a Catania. “I soggetti indicati dal collaboratore sono stati identificati in: Giuseppe Denaro, ex amministratore della Irrera 1910 S.r.l dal 24 ottobre 2011 al 17 giugno 2014, ex amministratore dell’Antica Pasticceria Irrera S.r.l., ex amministratore della Carmel S.r.l., amministratore e socio unico della GDH S.r.l.; Giuseppe Puglisi, ex amministratore della Carmel S.r.l., ex amministratore della B & P S.r.l. ove è socio al 50% con Biagio Grasso (quest’ultimo amministratore unico)”, annotano gli inquirenti. Giuseppe Denaro è stato pure amministratore delegato dal maggio 1999 al marzo 2003 della Grasso Filippo & Figli S.r.l. (società operante nella vendita al dettaglio di articoli di profumi, dichiarata fallita nel maggio 2012); lo stesso ricopre attualmente la carica di amministratore unico della Sviluppo Commerciale Rometta S.r.l.. Giuseppe “Pippo” Puglisi è stato invece pure presidente del consiglio di amministrazione di Italsilicon S.r.l. con sede a Brugherio, Monza (dal 9 marzo 2006 al 23 maggio 2007), società cancellata il 20 luglio 2007 ma che da accertamento del ROS dei Carabinieri risulta essere stata acquisita da Biagio Grasso nel marzo 2006. Dal giugno 2004 all’agosto 2010 Puglisi è stato anche consigliere d’amministrazione di Irrera 1910 S.r.l., la società di gestione bar e pasticceria di proprietà al 98% della GDH di Giuseppe Denaro.
Nell’ordinanza di custodia cautelare Beta 2 viene pure ricostruita dettagliatamente l’evoluzione societaria della P & F S.r.l.. “Amministratore unico Giuseppe Puglisi, costituzione 23 marzo 2004, data inizio attività 10 settembre 2008, oggetto: costruzione di edifici residenziali e non residenziali; capitale sociale euro 35.000. Attuale situazione societaria: 11% Società Gestioni Immobiliari S.r.l. - 33% GPA S.r.l. - 55% GDH S.r.l.. Analizzando le quote della P & F S.r.l. si rileva che in data 18 marzo 2007 risulta registrata all’Agenzia delle Entrate, una scrittura privata con la quale Giuseppe Denaro, titolare della GPA S.r.l., e Vincenza Gangemi, procuratore speciale della Filder Holding S.r.l., cedevano la prima società alla LG Costruzioni S.r.l. di Biagio Grasso con il passaggio di una quota pari ad euro 1.650 della società P & F S.r.l., mentre con una seconda cessione la Filder Holding cedeva le proprie quote a: LG Costruzioni, alla So.Gestim. ed a Giuseppe Denaro. Si osserva che la Società Gestioni Immobiliari era amministrata da Antonino Denaro, fratello di Giuseppe. Alla luce di queste cessioni, la P & F S.r.l. veniva così suddivisa: 33,50% GPA; 33% LG Costruzioni, rappresentata da Biagio Grasso;  11% So.Gest.Im.; 11% Giuseppe Denaro. Il 14 ottobre 2009 nel corso dell’assemblea straordinaria della P & F, alla presenza di tutti i soci veniva deliberato l’abbattimento del capitale sociale a copertura delle perdite e la ricostruzione del capitale ad euro 10.000 con versamenti effettuati dai soci per euro 23.690,66. In relazione all’ultimo punto, Vincenza Gangemi, in rappresentanza della Filder Holding, Giuseppe Denaro e Biagio Grasso della L.G. Costruzioni, dichiaravano di non volere sottoscrivere il capitale sociale deliberato e, non avendo più interesse alla partecipazione nella società, di rinunciare a qualunque diritto di prelazione spettategli. A questo punto, la Gestioni Immobiliari S.p.A., rappresentata da Antonino Denaro e la società GPA, rappresentata da Giuseppe Puglisi, sottoscrivevano il capitale sociale e ripianavano le perdite. Il presidente faceva presente che le quote sociali interamente versate erano queste: GPA (7.000 euro); So.Gest.Imm. (3.000). Si deliberava, inoltre, di aumentare il capitale sociale da 10.000 a 35.000 euro. Presenti le società GDH S.r.l. e la Carmel S.r.l. entrambe rappresentate da Giuseppe Denaro. AI termine dell’assemblea il presidente dichiarava che il capitale sociale è così suddiviso: GDH quota pari a euro 7.875; So.Gest. 3.850; GPA 11.725 e Carmel 11.550”. Un’ulteriore cessione di quote della P & F veniva registrata il 6 luglio 2011: in particolare, la Carmel, rappresentata dall’amministratore unico Biagio Nicola Grasso, padre del collaboratore Biagio Grasso e titolare del 33% del capitale sociale, cedeva a Fabio Lo Turco l’intera quota corrispondente a 11.550 euro. “La presente operazione si effettua per il convenuto prezzo di 220.000 euro, somma che le parti dichiarano essere stata corrisposta dall’acquirente mediante estinzione del credito da esso vantato nei confronti della cedente a seguito di precedente operazione commerciale”, riportava il contratto di cessione delle quote. Dulcis in fundo, il 17 novembre 2011 Fabio Lo Turco cedeva la propria quota del 33% della P & F. S.r.l. alla GDH per il prezzo di 220.000 euro, con il consenso di Giuseppe Denaro. “Il pagamento sarebbe così avvenuto: 10.000 euro con assegno su Banca Popolare intestato alla parte cedente; 20.000 con assegno sulla Banca Popolare del Mezzogiorno ed i restanti 190.000 entro 20 giorni con assegni circolari non trasferibili; il predetto accordo viene siglato da Giuseppe Denaro, Giuseppe Puglisi, Antonio Denaro e Fabio Lo Turco”, annotano gli inquirenti. Gli estratti conto intestati a Lo Turco, acquisiti nel corso delle indagini presso la Banca Popolare del Mezzogiorno, forniscono ulteriori conferme di quanto dichiarato da Biagio Grasso. In particolare, il conto corrente aperto il 28 settembre 2011 faceva registrare due versamenti con assegno per 30.000 euro (30 settembre e 2 novembre 2011); un bonifico da parte della GDH S.r.l. di Giuseppe Denaro per 180.000 euro (10 novembre 2011). In meno di due mesi il conto però veniva prosciugato dopo i ripetuti prelievi per varie somme da parte di Fabio Lo Turco. Il 31 dicembre 2011, nonostante l’incasso di 210.000 euro, il conto presentava un saldo di soli 1.130 euro.
Gli inquirenti sono riusciti anche a dare un’identità al Tanino direttore della Banca Popolare del Mezzogiorno (oggi BPER - Banca Popolare Emilia Romagna S.p.A.), citato dal collaboratore Grasso. Si tratta di Gaetano Piccolo, poi sentito il 24 aprile 2018 a sommarie informazioni dal Pubblico ministero. “Ricordo che nell’anno 2010 la GDH S.r.l., tramite l’amministratore dell’epoca Giuseppe Denaro, richiese un mutuo ipotecario per l’ammontare di 220.000 euro, erogato il 30 settembre 2011”, ha dichiarato il bancario. “Inizialmente era stato disposto un piano di ammortamento in 24 mesi; successivamente a richiesta dell’amministratore della GDH venne rimodulato in 134 mesi con scadenza 30 novembre 2023. La società P & F si vede garante con l’iscrizione di un’ipoteca su due particelle di un terreno sito nel comune di Villafranca. Per un certo periodo le rate del mutuo vennero saldate regolarmente. Alla data del 13 aprile 2017 vi era ancora un debito di 133.798,26 euro, sorte capitale 81 rate mancanti. Pertanto abbiamo provveduto a contattare telefonicamente che formalmente tramite raccomandata l’amministratore Denaro e la società GDH, al fine di chiedere la regolarizzazione delle rate non pagate. Regolarizzazione non avvenuta pertanto l’intera posizione è stata ceduta all’Ufficio legale per il recupero del credito. Quest’anno è stato chiesto il pignoramento degli immobili posti a garanzia. Ricordo che per l’erogazione del mutuo, dal momento della richiesta alla disponibilità delle somme e la contrattualizzazione passarono circa 30 giorni. Sono a conoscenza che le somme erano destinate per avere della liquidità. Il denaro venne trasferito al conto corrente della richiedente GDH S.r.l.”.
I magistrati peloritani hanno sentito a sommarie informazioni pure gli imprenditori Giuseppe Puglisi, Antonino Denaro e Giuseppe Denaro. “La società P. & F. fu creata dal sottoscritto e da Filippo Denaro, l’acronimo stava ad indicare Pippo e Filippo”, ha spiegato Puglisi. “La società ha sempre avuto sede a Messina e con essa abbiamo cercato di fare degli investimenti immobiliari, in particolare acquistammo un terreno che si trova a Villafranca Tirrena sul quale in parte era stato redatto un progetto per finalità commerciali di cui una parte ceduto ad una società del settore alimentare, la Eurospin. L’altra metà del terreno è rimasta alla società. Ad un certo punto oltre a Filippo Denaro, credo che questi abbia ceduto una quota sociale ai fratelli Nino e Giuseppe, che parteciparono con delle società, forse la GDH e la SoGestim. Se non vado errato entrò nella società in un certo periodo Biagio Grasso attraverso la Carmel. Credo di averlo presentato io alla famiglia Denaro. In quel periodo fu lo stesso Biagio Grasso a chiedermi di partecipare ad un investimento, a noi tornava utile inserire un socio nella P & F. Cedemmo infatti un terzo della società. In un periodo Biagio Grasso propose la vendita a noi soci delle sue quote, io non ero nelle condizioni finanziarie per partecipare all’acquisto e se non ricordo male trovarono un accordo con Giuseppe Denaro. In particolare per l’acquisto la GDH chiese un finanziamento alla Banca dell’Emilia Romagna. Per l’accesso al finanziamento venne messa una ipoteca sul terreno che era rimasto in capo alla P & F. Io rimasi sorpreso che la banca oltre alle garanzie date dalla GDH di Giuseppe Denaro avesse richiesto anche l’ipoteca sul terreno. Lo appresi solo alla stipula dell’atto...”.
Nel corso della sua deposizione, Giuseppe Puglisi si è soffermato pure sulla figura di Soraci. “Sì, lo conosco, Ivan Soraci lavorava presso il bar Irrera ed era dipendente di Denaro, ove anche io ero socio di capitali senza alcuna responsabilità gestionale o di rappresentanza”, ha riferito il costruttore. “Non ho però mai avuto rapporti con Soraci. Credo che Biagio Grasso ed il Soraci si conobbero al bar Irrera, ma non so se questi aveva degli interessi imprenditoriali tra i due. Non conosco la famiglia Romeo e non ho mai avuto rapporti con loro e pertanto non sono a conoscenza dei rapporti tra Biagio Grasso ed i Romeo, né con soggetti legati alla criminalità organizzata. Posso aggiungere di essere rimasto sorpreso degli arresti avvenuti che hanno riguardato Grasso”.
Antonino Denaro, amministratore e socio unico della Società Gestioni Immobiliari (So.Gest.Im) ha invece dichiarato di ignorare le vicende relative al passaggio delle quote sociali della P & F S.r.l.. “Ricordo di avere fatto parte della società, in particolare fui contattato da uno dei miei fratelli per coinvolgermi in un investimento immobiliare, non ricordo quando. Partecipai all’investimento versando una quota, circa il 10%. Non seguii comunque gli eventi della società. Oltre naturalmente ai miei fratelli, faceva parte della società anche Giuseppe Puglisi, amico di famiglia. Non conosco Biagio Grasso e non so se il predetto facesse parte della società sopra riferita, preciso infatti che l’investimento da me fatto era seguito da mio fratello Giuseppe. Non conosco Fabio Lo Turco, mentre invece conosco Ivan Soraci ma non ho alcuna frequentazione con quest’ultimo. In particolare lo vedevo al bar Irrera della mia famiglia…”.
Un contributo più significativo per ricostruire i fatti è stato fornito ai giudici dal fratello Giuseppe Denaro. “Inizialmente la società P & F S.r.l. era composta dall’ing. Giuseppe Puglisi e da mio fratello Filippo”, ha verbalizzato il noto imprenditore. “In occasione dell’opportunità di acquistare un terreno a Villafranca fu modificata la compagine societaria con gli attori che avrebbero dovuto partecipare all’investimento immobiliare. Inizialmente venne fatto uno scambio di quote. Fu ricomposta questa società ed entrai io, come persona fisica, mio fratello Nino, l’ing. Puglisi già precedentemente all’interno, la società di Biagio Grasso e la Filder Holding S.r.l. facente capo a mio fratello Filippo, già presente. In occasione di un’assemblea straordinaria la compagine societaria cambiò: rimase Puglisi, io subentrai invece come rappresentante legale della GDH, rimase la So.Gestim. facente capo a mio fratello Antonino e poi la Carmel. Mio fratello Filippo con la Filder decise di non partecipare più all’attività. Uscì in tale occasione la LG Costruzioni e subentrò la Carmel. Quest’ultima società venne costituita anche da me e poi poco dopo vennero cedute tutte le quote a Biagio Grasso, si trattava di una scatola vuota. Ricordo che in tale occasione dal notaio conobbi anche la signora Simona Ganassi Agger. Non ricordo perché venne creata la Carmel, la ditta doveva essere messa in liquidazione ed in quell’occasione Grasso disse che doveva costituirne una nuova e pertanto acquisì le quote consentendo di evitare la messa in liquidazione della società con i relativi costi. Io mi dimisi da amministratore e se non sbaglio fu nominato in assemblea il padre di Grasso. Tornando alla P & F, riuscimmo a portare avanti una parte dell’operazione immobiliare vendendo all’incirca la metà del terreno alla società Eurospin, credo per circa un milione di euro. In tale maniera riuscimmo a coprire le posizioni debitorie aperte in precedenza l’acquisto del terreno di Villafranca. Il terreno della P & F rimasto ancora invenduto ha un indice di edificabilità molto superiore rispetto a quello ceduto, con una superficie coperta di circa il doppio. Successivamente io aumentai la mia partecipazione all’interno della P & F acquistando le quote che erano della Carmel, ma che intanto erano state acquisite da Fabio Lo Turco”.
“Ricordo che venne da me Ivan Soraci, il quale mi presentò Lo Turco, questi mi disse che avrebbe acquistato le quote della P. & F. riferibili alla Carmel di Biagio Grasso ma non voleva partecipare all’operazione imprenditoriale, ma era finalizzato a rivendere le quote per risolvere delle pendenze che Lo Turco aveva con Biagio Grasso”, ha aggiunto Denaro. “Preciso che in tale occasione non ho avvicinato il Grasso, nemmeno chiamandolo per telefono, in quanto non avevo interesse a sapere quali fossero i rapporti tra i due. Voglio aggiungere che Ivan Soraci era stato mio dipendente presso l’Irrera. Il predetto si era dimesso, non ricordo il periodo se prima o dopo tale situazione sopra descritta. In quell’occasione ricordo che cercai qualcuno che potesse acquistare le quote di Lo Turco. Parlai con Francesco Arcovito, tuttavia quest’ultimo declinò l’invito di partecipare all’affare. Pensai pertanto di acquistare io la quota di Lo Turco con l’obiettivo di acquisire la maggioranza assoluta della società, chiedendo in banca un finanziamento. Ricordo che la Popolare del Mezzogiorno mi diede un finanziamento ponte, anche perché ero convinto di sistemare la situazione nell’arco di due anni. Tuttavia non andò così in quanto tutto rimase congelato e la situazione debitoria rimase incagliata. Se non ricordo male la quota da me acquistata da Grasso era di circa 220/230 mila euro (…) Il pagamento dell’acquisto della quota di Lo Turco lo feci forse con dei bonifici, attraverso più tranche, su un conto corrente che il Lo Turco aveva aperto nella stessa filiale….”. Prima di concludere la sua deposizione davanti ai magistrati della DDA di Messina, Giuseppe Denaro ha affermato di aver conosciuto “uno solo” dei fratelli Romeo. “Lo conobbi perché lo incrociai nel locale di Ivan Soraci di via Tommaso Cannizzaro, ove occasionalmente facevo la spesa. Ricordo che quando uscì la foto sul giornale io riconobbi il soggetto, ma non so indicare il nome…”.
“La partecipazione associativa dei due indagati, Ivan Soraci e Maurizio Romeo, e l’estorsione risultano provate con gravi indizi, dichiarativi e documentali”, conclude il Gip de Tribunale di Messina nell’ordinanza Beta 2. “Che entrambi i soggetti operino per Vincenzo Romeo e per l’associazione e che siano partecipi di essa emerge da tutti i loro comportamenti e rapporti…”.


Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 24 novembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/11/24/linchiesta-biagio-grasso-e-beta-2-la-borghesia-messinese-e-certe-spericolate-operazioni/

Operazione Beta 2. Annullata ordinanza per Maurizio Romeo relativa all’estorsione ai danni di Biagio Grasso

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Il Collegio per il riesame contro provvedimenti in materia di misure cautelari personali del Tribunale di Messina (Presidente il dott. Massimiliano Micali) ha emesso in data 23 novembre 2018 il dispositivo di ordinanza in parziale accoglimento della richiesta presentata dagli avvocati Tancredi Traclò e Antonino Cacia nell’interesse del loro assistito Maurizio Romeo, arrestato nell’ambito del’inchiesta antimafia Beta 2. Il collegio ha così annullato l’ordinanza impugnata limitatamente al Capo 3 di imputazione, estorsione in concorso con l’aggravante della modalità mafiosa (art. 629 C.P e art. 416 bis c. 1).
Nello specifico il Gip del Tribunale di Messina aveva contestato al Romeo “al fine di recuperare dal costruttore Biagio Grasso ingenti somme di denaro investite in operazioni immobiliari gestite dal Grasso”, di aver costretto quest’ultimo congiuntamente al fratello Vincenzo Romeo e all’ex socio Ivan Soraci “a cedere e contestualmente Giuseppe Denaro ad acquistare la quota societaria del valore di 220.000 euro che la società Camel S.r.l. (fittiziamente intestata a Nicola Biagio Grasso, padre di Biagio) deteneva nella società P & F S.r.l.”.
Il Collegio per il riesame del Tribunale di Messina ha invece confermato il resto della misura cautelare di massimo rigore inflitta all’indagato Maurizio Romeo. Il deposito della motivazione di annullamento dell’imputazione di estorsione a danno del neocollaboratore Biagio Grasso avverrà entro i prossimi 45 giorni. 
“L’annullamento disposto dal Tal distrettuale dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere relativa alla presunta ipotesi estorsiva contestata al Romeo Maurizio in concorso con altri ai danni del collaboratore Biagio Grasso – scrivono in una nota gli avvocati Tancredi Traclò e Nino Cacia – nell’attesa di leggere le motivazioni del provvedimento di annullamento, disvela, innanzitutto le criticità dichiarative in ordine alla ricostruzione operata dal predetto collaboratore e rafforza la prospettazione difensiva circa la ritenuta condotta qualificata in termini associativi del nostro assisitito”.
Per tutti gli altri indagati dell’Operazione Beta 2 i Collegi di riesame del Tribunale ha confermato le accuse prospettate nei mesi scorsi dai magistrati della Dda Liliana Todaro e Fabrizio Monaco. Si tratta nello specifico di Antonio e Salvatore Lipari, Giuseppe La Scala, Giovanni Marano, Michele Spina e Ivan Soraci che insieme a Maurizio Romeo restano tutti in carcere, (Michele Spina, subito dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia siglata dal gip Mastroeni era stato detenuto per qualche giorno in ospedale). I giudici hanno confermato anche il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del compendio aziendale della Ben S.r.l.,ritenuta la cassaforte economica del gruppo mafioso Romeo-Santapaola, con cui imponevano l’acquisto di pc e dispositivi ai titolari di sale gioco e sale internet nella città di Messina.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 27 novembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/11/26/80667/

Processo Beta. Dai centri commerciali al Ponte sullo Stretto, gli affari di Biagio Grasso, clan Romeo & C.

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Gli esordi con il mattone in Venezuela, poi di nuovo a casa in Sicilia e le relazioni con le cosche mafiose barcellonesi e le nuove leve della famiglia di rappresentanza del clan Santapaola nella città di Messina. Le cementificazioni selvagge sul Torrente Trapani e i centri commerciali a Villafranca Tirrena e nella piana di Milazzo, gli affari e i mezzi affari con l’ambigua e spregiudicata borghesia imprenditrice peloritana, i contatti con i professionisti consiglieri e consigliori. Infine certe controverse operazioni finanziarie nella Milano tutta da bere, gli occhi puntati sulle grandi opere dell’Italia del terzo millennio, ad iniziare dall’Expo di Milano e finire magari con l’intramontabile mito del Ponte sullo Stretto. E’ un fiume in piena il costruttore Biagio Grasso: chiamato a deporre al processo antimafia Betasui pericolosi intrecci tra criminalità organizzata, imprenditoria e colletti bianchi a Messina e provincia, il neocollaboratore di giustizia (già condannato con rito abbreviato nello stesso procedimento penale) ha ricostruito i passi salienti della sua infelice carriera di uomo cerniera tra economia legale ed illegale. All’udienza del 30 novembre scorso, Grasso ha risposto con dovizia di particolari a tutte le domande del giudice Silvana Grasso e dei pubblici ministeri Fabrizio Monaco e Liliana Todaro, confermando di meritare per memoria e attendibilità l’attestato di fiducia ottenuto dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia.
Con gli amici degli amici di Barcellona P.G. e dintorni
“Dopo alcuni anni di studio all’Università di Messina mi sono trasferito in Sudamerica, in Venezuela cominciando l’attività sempre in campo edilizio. Tornai in Italia negli anni 2000 e iniziando anche qui attività in campo di infrastrutture di telecomunicazioni, opifici industriali ed edilizia civile. Dal 2002 in avanti ebbi già i primi rapporti con la criminalità organizzata di Barcellona Pozzo di Gotto con persone all’apice dell’organizzazione dell’epoca, tra cui Carmelo D’Amico, Carmelo Bisignano, Tindaro Calabrese e diversi altri”. Esordisce in questo modo Biagio Grasso.“Il primo contatto con la criminalità organizzata ce l’ho avuto nel 2001 con Antonino Merlino che era già stato imputato all’epoca per l’omicidio di Beppe Alfano. Con Antonino Merlino avevamo un rapporto di collaborazione in quanto aveva una società che si chiamava Ramer che operava in subappalto con molte commesse che in quel momento io avevo nel campo delle infrastrutture di telecomunicazioni. Avevo diversi appalti a Messina, per esempio ho fatto Albacom S.p.A. dove ha partecipato sia Merlino sia Carmelo Bisignano come subappaltatori in quest’opera. Carmelo Bisignano era il boss reggente del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, mentre Antonino Merlino era parte attiva e quindi componente effettivo del clan di Barcellona Pozzo di Gotto, che all’epoca faceva riferimento a Pippo Gullotti… Con Merlino ho lavorato dal 2001 al 2005, quindi non ero soggetto ad estorsione pura ma c’era un rapporto di collaborazione dove in ogni caso io, a parte i subappalti, comunque davo dei contributi all’organizzazione come si usa sia a Natale, Pasqua e Ferragosto. Nel 2005 arrestano Nino Merlino per una condanna definitiva per l’omicidio Alfano e prima dell’arresto lui mi presentò Carmelo D’Amico come nuovo reggente del clan di Barcellona Pozzo di Gotto e Tindaro Calabrese come nuovo reggente del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, insieme ad Agostino Campisi come referente della zona di Terme Vigliatore. Da questo momento in poi mi dice: Rivolgiti a questi tre che sono persone di cui ti puoi fidare e comunque sono ai vertici dell’organizzazione. Da quel periodo i rapporti che ho avuto con Carmelo D’Amico sono in riferimento ad una società che lui aveva con tale Salvatore Puglisi. Avevano una società che faceva forniture di calcestruzzo confezionato, la Map S.r.l.. Ha fatto forniture per me per diversi milioni di euro in particolare per la costruzione di un centro commerciale a Milazzo denominato Centro Commerciale Milazzo che all’epoca era un’operazione che stavano sviluppando Nino Giordano e Carlo Borella e io ho avuto l’appalto per intero per la costruzione, soprattutto perché sapevano i rapporti che avevo con la criminalità del luogo e quindi per evitare qualsiasi tipo di problemi. La Map S.r.l. mi ha fatto tante altre forniture nella zona industriale di Giammoro. Ho avuto rapporti anche col fratello di Carmelo D’Amico, Francesco D’Amico, che aveva una società di impianti elettrici che mi ha fatto dei lavori sia in alcuni capannoni e anche nel complesso Torrente Trapani a Messina. Ho poi avuto rapporti con altri fornitori che erano comunque legati alla criminalità organizzata della zona di Barcellona e Mazzarrà Sant’Andrea.
Il rapporto con Carmelo D’Amico si è protratto fino al 2009 quando l’hanno arrestato. Dopodiché, considerato che in quel momento ero molto vicino a loro e avevo paura di essere in qualche modo coinvolto in ulteriori operazioni, per questo decido di tagliare con i lavori sulla parte tirrenica e di cercare altri investimenti in aree diverse. Così fino al 2009-2010 ho operato nella zona di Milazzo-Barcellona e anche in altre parti d’Italia e dal 2010 in poi iniziai delle attività su Messina, in particolare ho acquisito una società che si chiamava Se.Gi. S.r.l. che faceva capo all’ingegnere Oscar Cassiano. L’ho acquisita attraverso una società che si chiamava Solea S.r.l. intestata fittiziamente al signor Fabio Lo Turco, persona che mi è stata presentata dai fratelli Romeo. Fu proprio per questa operazione che io incontrai e conobbi dapprima Maurizio Romeo, che poi mi presentò Vincenzo Romeo. Con Vincenzo Romeo dal 2010 in avanti iniziammo una serie di attività in società, coadiuvati da tutta una serie di altre persone che seguivano sia la parte legale e sia la parte collaborativa in genere. Successivamente, nel 2011 mi trasferii a Milano per l’acquisizione di una società che si chiamava Else S.p.A. e lì insieme a me e a Vincenzo Romeo intervennero anche altre due persone tra cui l’avvocato Andrea Lo Castro che effettivamente fu il segnalatore di questa operazione e che poi comunque rimase in quota con noi e Carlo Borella che io già conoscevo dagli anni 2005 e 2006 per altre attività che avevamo in qualche maniera svolto insieme. Quindi portammo avanti questa operazione su Milano. Dall’aprile 2011 Carlo Borella ebbe la prima interdittiva antimafia su Demoter S.p.A. e da lì per tutta una serie di eventi, le interdittive antimafia caddero a cascata su tutte le società, sia su quelle riconducibili direttamente a me e a Vincenzo Romeo, sia su quelle conducibili a Carlo Borella e alla sua famiglia, sia quelle dov’eravamo tutti quanti insieme. In virtù di questi eventi furono poi adottate una serie di azioni volte a mettere in salvo alcuni capitali che erano all’interno delle società, attuando quindi attività anche illecite in campo di reati fallimentari. Dopodiché con Vincenzo Romeo ci occupammo anche di appianare una serie di attriti che c’erano da vecchia data con Demoter per alcuni lavori sulla regione Calabria, in particolare per alcuni appalti che Demoter aveva assegnati e che però non riusciva a ripartire per due ordini di motivi: il primo perché appunto già aveva avuto un’interdittiva antimafia e non poteva avvedere ai cantieri e il secondo perché Carlo Borella in particolar modo aveva avuto degli attriti con le cosche calabresi fra cui in particolare la cosca Barbaro di Platì. Qui io e Vincenzo Romeo, che in quel periodo eravamo in ottimi rapporti e in società su quasi tutti i fronti ci occupammo anche di dipanare queste vicende. Utilizzando la forza del gruppo Santapaola-Ercolano a cui lui faceva riferimento abbiamo fatto in modo di poter avere l’autorizzazione a ripartire su quei cantieri attraverso la società Cubo S.p.A. che nelle more era stata ceduta dalla famiglia, se non erro dai nipoti di Carlo Borella sempre fittiziamente a Fabio Lo Turco, ma in realtà la società faceva capo a me, Carlo Borella, Vincenzo Romeo ed Andrea Lo Castro”.
Le contorsioni immobiliari di Grasso & soci
“Insieme a Vincenzo Romeo ho fatto altre attività su Messina, in particolar modo la costruzione di 64 alloggi in località Villaggio Aldisio, via Chinigò, partecipando anche ad un bando pubblico emanato dal Comune di Messina per l’assegnazione di alloggi per lo sbaraccamento della zona Fondo Fucile, dove lì ci siamo adoperati attraverso l’aiuto di alcuni impiegati del Comune per avere delle vie preferenziali per l’assegnazione”, aggiunge Biagio Grasso. “Da questo momento in poi con Vincenzo Romeo inizia un rapporto un pochino complicato e teso e quindi io maturo un mio distacco verso questa famiglia, cosa che poi comunque non riesco a fare perché realmente c’erano tutta una serie di vicende che si dovevano sistemare e che hanno portato ad alcuni miei investimenti giù in Africa insieme a Michele Spina che è un altro soggetto che faceva sempre parte, non direttamente come io però in passato sì, al gruppo, e che poi ci porta fino all’arresto del 6 luglio 2017 con l’operazione Beta.
Nel 2010 ho avuto l’opportunità della Se.Gi. S.r.l. che mi è stata proposta dall’avvocato Giuffrida e quindi arrivo a Messina. Faccio un inciso, anche per dare un quadro chiaro… Io non avevo solo delle attività che erano collegate alla criminalità organizzata, avevo anche delle attività con gente completamente estranea alla criminalità organizzata, come per esempio l’ingegnere Giuseppe Puglisi con cui avevo diverse società, abbiamo fatto delle operazioni immobiliari... Decido di venire su Messina anche per altri interessi, perché con l’ingegnere Puglisi, poi insieme a Giuseppe Denaro, abbiamo acquistato un terreno in zona Villafranca per lo sviluppo di alcune attività commerciali fra cui per esempio una parte poi fu venduta ad Eurospin. Quindi, come dicevo, l’avvocato Antonio Giuffrida, quello con lo studio in via dei Verdi, mi propone questa operazione Se.Gi.. Giuffrida lo conoscevo, mi stava seguendo tutta una serie di attività che io avevo in corso, in maniera tale da poter ricreare una mia posizione sulla città di Messina.
A quel punto le prime sono due operazioni contestuali che vengono fatte a Messina e che mi avvicinano ai Romeo. La prima si chiama Edil Raciti, è una società a responsabilità limitata uninominale che all’epoca era completamente controllata da tale Vincenzo Lombardo che era un parente di questo Antonino Raciti che non era titolare delle quote perché aveva avuto dei problemi bancari. Questa operazione in particolare mi è stata proposta da un soggetto che poi è il collante fra me e i primi contatti con Romeo e che si chiama Ivan Soraci. Quando lo conobbi Soraci era dipendente di Giuseppe Denaro presso il bar Irrera e considerato che io ero in società con Giuseppe Puglisi e con Giuseppe Denaro in una S.r.l. che si chiamava P. & F., che è quella che poi ha sviluppato le attività commerciali tra cui Eurospin, sapeva bene o male che ero in questo campo e che comunque ero anche vicino alla criminalità organizzata della mia zona. Su come lo sapeva non ho dettagli, comunque lui mi fece delle confidenze: Tu conosci a D’Amico, ho detto ; Tu conosci a Bisignano, ho detto ; e mi dice: Senti ci sono dei ragazzi che sono persone che io conosco e di cui ci possiamo fidare: sono i nipoti di Nitto Santapaola, nipoti diretti perché sono i figli della sorella, persone serissime collegate in maniera importante su tutto il territorio sia siciliano che nazionale, di cui ti puoi fidare molto di più diciamo dei tuoi contatti che hai dall’altra parte della Sicilia. Così nasce il primo rapporto e quindi sia Edil Raciti S.r.l. che Se.Gi. S.r.l. sono l’incipit di questo accordo commerciale che poi sfocia in società vera e propria che io faccio con la famiglia Romeo. Ad onore del vero nelle prime due operazioni era socio in parte e doveva avere degli utili anche Ivan Soraci, a parte Maurizio Romeo ed Enzo Romeo. Diciamo che chi gestiva realmente in tutto e per tutto la parte economica era Enzo Romeo. I soldi io li ho ricevuti in questa prima fase; poi negli anni successivi ci sono stati altri investimenti con soldi che sono arrivati anche dagli altri fratelli e da persone vicino sempre ad Enzo Romeo.
Allora, per questi due specifici investimenti, il denaro lo mettevamo io e Enzo Romeo: io per la mia quota, Enzo Romeo andava a coprire chiaramente sia le quote dei suoi familiari e anche la quota di Ivan Soraci. Edil Raciti consisteva nella costruzione di 12 appartamenti in località Santa Margherita di cui un corpo di fabbrica era già stato costruito e però la società era andata in problematiche perché la signora Raciti aveva venduto ad un prezzo non congruo una serie di appartamenti, a meno della metà del prezzo di mercato, per avere liquidità e poi però non riusciva più a mantenere gli impegni con i fornitori e con i promissari acquirenti. In questa prima fase quindi acquisiamo questa società sempre con Solea S.r.l. che nelle more era stata costituita anche per acquisire la Se.Gi. S.r.l. che era titolare di una porzione del programma costruttivo in località Torrente Trapani in capo alla Residenza S.r.l. e che consisteva nella realizzazione, se non ricordo male, di 255 alloggi. Abbiamo investito circa 100 mila euro. Il primo versamento credo sono stati 50 mila euro io e 50 mila euro in contanti Enzo Romeo e successivamente altri 50 e 50. I soldi per la Se.Gi. sono stati consegnati direttamente nelle mani dell’ingegnere Cassiano in un pranzo che avevo organizzato presso il ristorante l’Ossidiana in via dei Verdi sotto lo studio dell’avvocato Giuffrida.
Raggiri, triangolazioni, attriti e presunte estorsioni
“L’Edil Raciti S.r.l. è rimasta in quiescenza perché, come dicevo, aveva problemi con i compromissari acquirenti, non si potevano consegnare gli appartamenti a quel prezzo e quindi si è deciso di lasciarla in standby in modo tale da trovare poi una soluzione per rigirarla una società ex novo e quindi non riconoscere le somme che erano state versate dagli acquirenti e tanto meno cercare di non pagare i fornitori con cui aveva contratto i debiti la signora Lombardo”, prosegue il costruttore. “Fino al 2015-2016 tutto è rimasto così in maniera immutata. Per quanto riguarda invece Se.Gi. S.r.l., nel momento in cui è stata acquistata, io ricordo una riunione che è stata fatta con i primi dipendenti tra cui il geometra Franco Santoro, il geometra Polisano e altri soggetti che mi dissero immediatamente: guarda che hai acquistato una società con grossi problemi, perché era arrivata qualche giorno prima una comunicazione da parte dell’ufficio urbanistica del Comune di Messina dove c’erano le licenze non ricordo se revocate o sospese per problemi di carattere urbanistico. Effettivamente poi fu notificata la sospensione della concessione edilizia e le attività a Torrente Trapani si sono dovute bloccare. Questo è stato uno dei primi attriti che io ho avuto non tanto con la famiglia Romeo ma in particolare con Ivan Soraci che mi disse: Il tecnico, lo specialista sei tu, quindi siccome ti sei preso l’impegno con i fratelli Romeo e con me, ora fai in modo di mantenerlo. Noi non vogliamo sapere niente, stabiliamo più o meno un forfait di quanto si poteva ricavare, ci liquidi e usciamo dall’operazione. E qua nasce il discorso che ho già riferito in riferimento alla cessione: diciamo che non ho avuto scelta della mia quota nella P. & F. in quanto Soraci era a conoscenza che ancora avevo una porzione di terreno in società con Giuseppe Denaro e con Giuseppe Puglisi e quindi mi dice: Ti vendi questa quota di terreno e cominci ad appianare i debiti, cioè un po' di soldi del mancato guadagno della Se.Gi. S.r.l. che si è bloccata perché tu e i tuoi tecnici non siete stati in grado di valutare bene tutta quanta la vicenda
Il Soraci pretendeva cioè la restituzione delle somme investite per Torrente Trapani. Si era concordato anche in presenza di Enzo Romeo che il possibile guadagno che poteva toccare a loro per la fuoriuscita di queste prima due operazioni, cioè Edil Raciti e Se.Gi., ammontava a circa 600 mila euro per le loro quote. Quindi il Soraci mi dice: Hai questo terreno, quindi intanto te lo devi vendere. Era stata fatta una riunione, onestamente l’ho indetta io, nello studio dell’avvocato Lo Castro dove sono venuti Ivan Soraci, Maurizio Romeo e Vincenzo Romeo… Mentre io ero a Milano, mi ha convocato in questa riunione nel marzo 2011, addirittura mi disse: se è necessario ti devi vendere pure la casa a Portorosa perché devi chiudere il debito... Ad onor del vero in questa vicenda l’avvocato Lo Castro mi ha dato solamente l’appoggio della sala riunioni, perché della vendita della quota di P. & F. egli non è voluto entrare in merito a questo particolare. Allora ho detto: Guarda, io non c’ho un acquirente per la quota della P. & F. anche perché il terreno ha un certo peso sul mercato, un certo valore. E Soraci dice: Non ti preoccupare che io faccio in modo di trovare il compratore. Dopodiché Maurizio Romeo e Ivan Soraci mi rincontrano e mi dicono: preparati perché noi abbiamo trovato il compratore che è nella persona di Giuseppe Denaro, a me è sembrato molto strano anche perché io con Giuseppe Denaro non avevo rapporti come con Giuseppe Puglisi, però bene o male lo vedevo. Effettivamente vengo a conoscenza che Giuseppe Denaro vuole acquistare questa quota perché ho ricevuto una telefonata dall’ingegnere Giuseppe Puglisi che mi dice: Ma scusami, vendi la quota a Giuseppe Denaro senza dirmi niente e in più ho saputo che vuole la garanzia della P. & F. per acquistare la quota a te perché hai dei debiti con delle persone… Chiaramente rimasi evasivo, poi quando ci incontriamo di persona gli ho detto chi erano le persone a cui dovevo venderla e quindi mi disse: Non sapevo che Denaro era interessato ad acquistare questa quota, io rimasi sorpreso anche perché sapevo che aveva fatto altri investimenti, insieme al fratello aveva avuto delle difficoltà con altri investimenti che aveva fatto nel campo nautico e delle profumerie, insomma mi sembrò un po' strano. Scoprii perché me lo disse sia Maurizio Romeo sia Ivan Soraci e me l’ha confermato Enzo Romeo, che quando Enzo Romeo mi diceva una cosa era cassazione e non mi diceva mai una cosa per un’altra, che Giuseppe Denaro è stato costretto anche con atti intimidatori violenti, io non ho assistito, me l’hanno riferito loro in più volte, è stato costretto ad acquistare quelle somme. L’acquisizione della quota effettivamente è stata abbastanza complessa è complicata, cioè la banca che ha autorizzato, che ha acceso il mutuo ha voluto la garanzia fideiussoria di tutta quanta la P. & F. e quindi anche del terreno rimanente, questo a dimostrare che Denaro in quel momento non aveva una posizione bancaria adeguata da acquistare un’operazione di questo tipo. In più successivamente ho saputo dall’ingegnere Puglisi che Denaro ha avuto grossissime difficoltà alla restituzione del debito e che nell’ultimo periodo era andato anche ad incaglio provocando seri problemi ad altre attività che il dottore Denaro aveva in quel periodo e credo che abbia ancora oggi.
Per la vendita della P. & F. siamo nel 2011. Allora la P. & F. la detenevo attraverso la Carmel S.r.l., che è un’altra società che poi entra nell’operazione Torrente Trapani. Sembrerebbe che rompo con il Romeo ma in realtà questo è l’evento in cui rafforzo, perché si è vero che da una parte Ivan Soraci mi mette con le spalle al muro e mi dice: Devi chiudere l’operazione perché lui ha tutto l’interesse ad avere la sua quota, perché non ha messo un centesimo, li ha messi solamente Enzo Romeo… Quindi lui dal momento in cui mi conosce comincia ad avere dazioni di denaro da me in anticipo ad operazioni future, quindi esaspera talmente l’operazione... Ho raccontato anche un evento che sono venuti a Milano Romeo Maurizio e Ivan Soraci dove mi hanno anche lì usato violenza quasi fisica per avere restituite queste somme, quindi in virtù di questa situazione ho i primi contatti diretti con Enzo Romeo che poi è quello che gestisce i soldi a tutta la famiglia. Ed Enzo Romeo in questa fase mi dice: Guarda, considerato che neanche io il modo di fare che ha Ivan Soraci a me piace, facciamo una cosa, mettiamo le operazioni insieme, metti anche Milano insieme a tutta quanta questa operazione, iniziamo un percorso insieme e ti aiuto anche io a liquidare Ivan Soraci, fermo restando che comunque nelle more avevo già venduto la quota di P. & F.. Anche se salto da palo in frasca è per precisare che non c’è una rottura con il gruppo Santapaola, è una rottura principalmente con Ivan Soraci, che da questo momento in poi viene messo fuori dalle altre operazioni, almeno quelle dove ci sono io. Poi lui continua a fare affari con il Romeo perché con i soldi che ha racimolato da me sull’operazione di Torrente Trapani e dagli altri interventi che ha fatto Enzo Romeo per liquidarlo, insieme a Romeo Maurizio lui ha fatto investimenti in campo commerciale costituendo la società Botte Gaia che poi era un locale….
Quindi dicevo con Vincenzo Romeo prendiamo confidenza, lui si rende conto che Ivan Soraci ha un atteggiamento completamente sproporzionato, che alla fine siamo io e lui che abbiamo sia capacità economica sia capacità commerciale, in più lui nel frattempo si era rassicurato della mia serietà con i gruppi criminali della parte di Barcellona e Terme Vigliatore e quindi nascono da questo momento in poi tutte le attività di cui sopra, fra cui quindi la Se.Gi., la Edil Raciti, la Else S.p.A., immediatamente dopo la Demoter, la Cubo e la Brick che viene acquisita sempre dalla Solea che nel frattempo era stata costituita da Fabio Lo Turco. Lo Turco è una persona presentata dai fratelli Romeo ed Ivan Soraci quindi persona di fiducia sia loro, ma poi l’ho conosciuto anch’io e quindi anche mia…
Per completare il discorso di Torrente Trapani, nel 2010 io ho acquistato le quote della Se.Gi. S.r.l. attraverso la Solea che era controllata da Fabio Lo Turco che rappresentava me e la famiglia Romeo e Ivan Soraci al principio; successivamente rimane sempre controllata dalla Solea S.r.l. che nelle more era stata ceduta da Fabio Lo Turco. Se non erro è nel 2012-2013 che le quote della Solea che detenevano la Edil Raciti e la Se.Gi. sono state cedute a Franco Lo Presti che era una persona che ho presentato io come testa di legno per gestire queste società che nel frattempo avevano avuto delle complicazioni: sia bancariamente che dal punto di vista burocratico non erano pulite e quindi bisogna intestarle ad una persona che non aveva nulla da perdere. In virtù di questo, la Se.Gi. contestualmente con un contratto di appalto con cessioni di beni che è stato congeniato tra Antonio Giuffrida, Andrea Lo Castro e il notaio Bruni, cede una parte del Torrente Trapani che è quella diciamo pulita, riferita al corpo D per la costruzione di 28 alloggi che già erano in stato avanzato, alla Carmel S.r.l., che all’epoca era detenuta fittiziamente da mio padre Nicola Biagio Grasso e mia madre Lucia Russo che apponevano le firme ma non avevano assolutamente nessuna cognizione di causa su quello che succedeva perché controllavo totalmente io d’accordo con Enzo Romeo sui movimenti da fare. Successivamente nel 2011 cedo fittiziamente la Carmel S.r.l. a un’associazione in partecipazione a Domenico Bertuccelli e sua madre che mi sembra si chiama Calò di cognome. Il Bertuccelli, coadiuvato da un altro personaggio che si chiama Giampaolo Giuffrida sempre di Messina, dovevano completare e rogitare questi 28 alloggi e dividere in proporzione… Dovevamo fare i conteggi alla fine, fra me, Vincenzo Romeo e quindi Domenico Bertuccelli e Giampaolo Giuffrida.
Tutti quei soggetti erano a conoscenza del fatto che nell’affare oltre me era coinvolto anche Vincenzo Romeo, anche perché quando non c’ero a Messina, il punto di riferimento era Enzo Romeo. Se c’erano da pagare delle somme e non c’ero io, le pagava Vincenzo Romeo; gli stipendi a Fabio Lo Turco e Franco Lo Presti li pagavamo io e Vincenzo Romeo, diciamo come compenso per avere intestaste le società in maniera fittizia. Avevamo dato a Fabio Lo Turco un compenso di 1.500 euro al mese; a Franco Lo Presti più o meno quello, poteva essere meno come poteva essere di più, perché lui aveva sempre delle problematiche, una volta la bolletta, una volta il gas…, mentre su Lo Turco era molto più regolare il rapporto.
Successivamente io cedo la Carmel a Domenico Bertucelli che si era impegnato a finire questi alloggi e anche per togliere mia mamma e mio padre, che ripeto non erano completamente a conoscenza di niente. Bertuccelli insieme al Giuffrida si era impegnato attraverso un loro apporto anche economico a completare l’edificio, cosa che in una parte è stata fatta, poi la concessione edilizia è stata bloccata ancora una volta e quindi l’operazione si arena nuovamente. Ancora ad oggi Carmel è in mano a Domenico Bertuccelli e alla madre anche se realmente la proprietà è da considerare, prima dei sequestri chiaramente, mia e di Enzo Romeo. Al contrario del Lo Turco o del Lo Presti che facevano solamente da prestanome e testa di legno, il Bertuccelli entra dicendo: Io faccio anche l’investimento, me la gestisco tutta io e in percentuale poi mi riconoscete una parte. In verità lui investì poco nella Carmel, perché poi alla fine scoprimmo che la maggior parte dei quattrini sono stati versamenti che hanno fatto i promissari acquirenti. Realmente i soldi li mise Gianpaolo Giuffrida attraverso la società che se non ricordo male si chiama B. & G. o B.G. Costruzioni.
Stiamo parlando del 2010-2011 e per questa specifica società, anche se la proprietà in ogni caso era riconosciuta come mia e di Enzo Romeo, considerato l’apporto economico che aveva fatto il Giuffrida e l’impegno che aveva messo Domenico Bertuccelli, anche loro due partecipavano agli utili al 50% se l’operazione andava completamente rogitata, cosa che poi non si è fatto perché l’hanno bloccata. L’investimento viene concretizzato dapprima fra me e Enzo Romeo nel 2010, e nel 2011 apportano dei soldi Gianpaolo Giuffrida e in piccola parte anche Domenico Bertuccelli”.
Vecchi e nuovi padrini del Ponte
“Da questo momento in poi entriamo in affari veri e propri con Vincenzo Romeo e ci sono tutti una serie di ragionamenti a 360 gradi che vanno degli investimenti in campo edilizio a quelli in campo commerciale, investimenti in campo dei giochi e in campo sanitario, anche perché eravamo nel momento in cui pensavamo in qualche misura di poter uscire più o meno colpiti ma non affondati dal problema dell’interdittiva antimafia”, prosegue Grasso. “Di tutta questa mole di attività che sono state messe in essere insieme a Vincenzo Romeo, alcune si sono concretizzate, altre erano in fase di concretizzarsi prima dell’arresto, altre si sono arenate soprattutto perché le interdittive antimafia hanno poi completamente collassato tutte quante le società. In più c’è l’aggravante del fallimento Demoter che ha inficiato su Cubo, con cui avevamo fatto ulteriori investimenti sia io che i Romeo per farle ripartire.
Per chiarire meglio, dal 2011 in poi si forma un vero e proprio direttorio su quello che saranno le attività e su come svilupparle e cioè io, Vincenzo Romeo, Carlo Borella e Andrea Lo Castro, anche se il fatto che noi quattro ci siamo incontrati magari non tantissime volte nasce anche dalla posizione geografica in cui ognuno di noi stava. Ad Andrea Lo Castro lo conosco sempre nella operazione del Torrente Trapani, quando ho acquisito la Se.Gi. S.r.l., in quanto egli ha sempre seguito le vicende amministrative di Torrente Trapani per conto della Pet S.r.l., della famiglia Pettina, ma era in ottimi rapporti e in contatto con l’avvocato Giuffrida che seguiva Cassiano. Considerato che La Residenza sì era sprittata su due società ma la concessione era unica, ob torto collo erano obbligati a ragionare insieme, quindi nel momento in cui acquisisco la Se.Gi. è chiaro che mi devo sedere al tavolo con Pettina, con cui avevo avuto degli attriti perché per conto suo avevo costruito già Torrente Trapani ed erano nati tutta una serie di contenziosi. Quindi Giuffrida mi dice: No guarda, chi la segue è l’avvocato Andrea Lo Castro, che di nome conoscevo ma con cui non avevo avuto mai rapporti così diretti, Andiamo a parlarci, prendi i rapporti con lui perché è persona vicina a me, persona seria, persona di cui ci possiamo fidare, li gestisce lui in qualche maniera i Pettina, così nasce il rapporto con Andrea Lo Castro. Poi nasce una simpatia, un’amicizia, vedo che è una persona in ogni caso preparata, anche lui un po’ spregiudicato come lo ero io, quindi avevamo molte attitudini insieme... Nell’occasione ero vicino alla famiglia Romeo e comunque lui già sapeva, non ne sono sicuro ma credo che in qualche misura forse aveva avuto qualche rapporto precedente, non so se con Enzo o qualcuno della famiglia. Carlo Borella lo conoscevo precedentemente perché ho costruito per conto suo e del socio Giordano questo centro commerciale a Milazzo, abbiamo fatto un investimento abbastanza importante per la costruzione di una fabbrica di pannelli fotovoltaici a Milano, quindi avevamo già tutta una serie di rapporti e di interessi.
Con l’operazione Else S.p.A. si solidifica nel 2011 il rapporto di ripartizione degli affari. Per esempio Andrea Lo Castro anche per conto nostro ha firmato qualche documento su Milano per accordi con la famiglia Allievi e per altre operazioni, o con Carlo Vandoni che era il titolare della Else; lui si presentava appunto come persona facente parte all’operazione e al gruppo, indipendentemente dal discorso e dalla consulenza giuridica e legale. Cioè lui sì era il nostro avvocato ma allo stesso tempo era nostro socio nelle attività. Faccio un esempio: su Cubo in ogni caso l’operazione si doveva portare a termine con proventi diviso quattro, c’era per esempio tutta una serie di serve, mi sembra 11-12 milioni di euro con le amministrazioni pubbliche e il compenso veniva diviso in quattro… C’erano delle attività su fallimenti presso il Tribunale di Catania per l’acquisizione di 365 appartamenti in località Letojanni dove eravamo io, Carlo Borella, Vincenzo Romeo e Andrea Lo Castro. Per fare un paragone, Benedetto Panarello che era un consulente e che comunque ha fatto tutta una serie di azioni concordate con noi e che hanno portato anche a tutta una serie di reati, non partecipava agli utili, si limitava solamente alla parte di consulenza; Andrea Lo Castro invece, le strategie su come muoverci, indipendentemente da quello che potevano essere le indicazioni legali, le faceva insieme a me, a Carlo Borella e a Vincenzo Romeo. Sulla Se.Gi. e su Torrente Trapani c’era solamente l’accordo che Andrea Lo Castro doveva essere pagato con un appartamento o due, ora non ricordo i dettagli, forse due Pettina e uno noi, cosa che poi realmente in qualche misura è successa perché Domenico Bertuccelli su nostra anche autorizzazione fece trascrivere un importo di 100 mila euro o forse più su un appartamento a Torrente Trapani per garantire Andrea Lo Castro dell’impegno che si era assunto e dall’altra parte bloccare un contenzioso che era nato con un promissario acquirente.
Successivamente al 2010-2011, c’è il discorso di Milano e lì parliamo di numeri molto più ampi e le possibilità e le prospettive che si erano aperte con l’Expo. Da lì in poi nasce il rapporto di divisione di utili, anche se ognuno aveva il suo ruolo, cioè io mi occupavo del rapporto con la pubblica amministrazione e della base Milano, Vincenzo Romeo chiaramente si occupava della copertura della criminalità non solo sulla Lombardia ma già si era mosso sulla regione Calabria, in Toscana, in Puglia. Carlo Borella ha messo sul tavolo in quel momento le società e od onor del vero Else Milano sono stato io a proporlo a Carlo Borella su segnalazione di Andrea Lo Castro… Questi erano i ruoli principali nostri; poi c’erano altre persone che ci coadiuvavano, tipo appunto Benedetto Panarello che si occupava della parte di organizzazione, di direzione di cessione di rami d’azienda con studio della società, dove portarle, bilanci, perizie e tutta quest’altra tipologia di attività. O la famiglia Allievi su Milano che ha fatto affari con noi e che tutto sommato insieme a noi ha svuotato buona parte delle sopravvenienze attive di Else S.p.A., ha venduto tutta una serie di attrezzature che erano di Demoter insieme a noi…
Così io e Borella entrammo in contatto fattivo per l’operazione Else S.p.A. a Milano e quindi cominciammo a fare un programma insieme su quello che potevano essere attività di sviluppo nell’area del Nord, fino all’aprile 2011 quando se non erro a lui forse gli è arrivato un avviso di garanzia in merito ad un’estorsione che non aveva subito e che non aveva denunciato. Subito dopo abbiamo avuto un accesso ai cantieri e anche ai nostri uffici da parte della DIA di Milano e hanno cominciato ad indagare su chi erano i personaggi che avevano acquisito Else e qual erano i reali proprietari. All’epoca Else era stata acquisita con lo stesso metodo che abbiamo utilizzato per tante altre società: da una società veicolo dove noi non partecipammo, intestata ad un prestanome, in questo caso Roberto Forliano.
Else arriva ad Andrea Lo Castro attraverso la segnalazione di tale dottor Rossetto, che era già liquidatore di una società di fondazioni speciali, perché Else si occupa di fondazioni speciali su Milano, se non ricordo male la Rodeo. Andrea Lo Castro in quel periodo entra in contatto con me e mi dice: C’è un’operazione brillante su Milano, un po’ ingarbugliata, però in qualche maniera possiamo trarre dei vantaggi. Il primo incontro a Milano con Carlo Vandoni lo faccio io nella prima decade di febbraio 2011. Comprendo che ha una serie di debiti importanti, ma anche tutta una serie di lavori, di iscrizioni e anche di incassi che si possono fare e quindi trarre degli utili considerevoli. Lo Castro ancora non ha tutti i dettagli o non me li ha voluti dire, questo non lo so, fatto sta che nel momento in cui vado a Milano, il liquidatore pro tempore, l’ingegnere Carlo Vandoni, mi mostra tutta la fotografia attuale dell’azienda. Fatturava intorno a 30 milioni di euro l’anno ma c’erano circa 30 o 40 milioni di debiti fra banche e fornitori e dall’altra parte gli incassi per 3 milioni di euro da fare quasi immediatamente. Però allo stesso tempo c’era la possibilità di acquisire un’azienda che aveva delle caratteristiche simili a quelle che noi volevamo presentare sul mercato dell’Expo a Milano, ma soprattutto aveva la possibilità di collocarci nel panorama delle opere per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, camuffati completamente da società non riconducibili né a me, né a Carlo Borella, né tanto meno a Vincenzo Romeo. Quindi troviamo sì una società piena di debiti ma allo stesso tempo di trarre materialmente benefici perché c’erano degli incassi da fare, la possibilità attraverso i rami d’azienda di entrare e quindi acquisire anche quella posizione che era stata ormai cristallizzata all’interno del consorzio per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina e meglio di quell’occasione non c’era…".

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 18 dicembre 2018, http://www.stampalibera.it/2018/12/18/i-documenti-inediti-processo-beta-dal-ponte-sullo-stretto-ai-centri-commerciali-tutti-gli-affari-di-biagio-grasso-e-del-clan-romeo-c/

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Il Pentagono affida ad impresa siciliana i lavori per la base dei droni in Corno d’Africa

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Sarà un’azienda siciliana a realizzare in una base aerea di Gibuti i nuovi hangar che ospiteranno i droni killer Usa destinati a bombardare gli obiettivi selezionati nella sporca guerra al terrore in Corno d’Africa e Yemen. Lo scorso 13 dicembre il sito web della Federal Business Opportunities ha dato notizia di un contratto aggiudicato il 30 aprile 2018 alla società Consorzio Stabile GMG Scarl di Catania per la costruzione di quattro hangar accanto alle piste aeroportuali di Chabelley, a 12 chilometri circa dalla capitale Gibuti. Stando al testo del contratto ratificato il 4 dicembre 2018 dal Dipartimento di ingegneria navale – Comando per l’Europa, l’Africa e l’Asia sud-occidentale di US Navy, l’azienda siciliana dovrà smantellare gli shelter esistenti per il ricovero e la manutenzione dei droni e costruire quattro hangar semi-permanenti con relativi sistemi elettrici e di comunicazione. “Il contractor dovrà costruire inoltre un piazzale d’accesso per collegare gli hangar alle piste di decollo che sono in via di pavimentazione in estensione al contratto già sottoscritto in precedenza”, spiegano le autorità militari USA. “Il Consorzio GMC sta operando presso l’aeroporto di Chabelley anche per conto di US Air Force con un altro contratto. Pertanto il Consorzio è l’unico soggetto che può intraprendere l’opera dei quattro hangar ampliando i contatti pre-esistenti in modo da evitare una sostanziale duplicazione dei costi del Governo nel caso di un nuovo bando di gara, nonché inaccettabili ritardi con impatti negativi nella missione delle forze aeree”. Secretato l’ammontare del contratto per i nuovi hangar.
Il Consorzio Stabile Gmg ha sede in via Etnea 587, Catania; rappresentante legale è il geometra Giuseppe Leonardi, direttore tecnico il geometra Salvatore Luigi Caniglia. E’ stato costituito nel 2012 con scopo sociale la “costruzione di impianti sportivi, strutture di impianti industriali e di altre opere di ingegneria civile”, ma sin dal primo anno di attività la società è diventata un contractor di fiducia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, ottenendo sino alla fine del 2017 contratti per un importo complessivo di 16.409.242 dollari. Le prime opere per conto del Pentagono risalgono al settembre 2012 (lavori di manutenzione alle piste della base aerea siciliana di Sigonella per 570.000 dollari); dal 2015 il Consorzio catanese ha iniziato a operare invece in Bahrein per non meglio specificati “lavori di costruzione” di infrastrutture militari USA che saranno completati entro la fine del 2019. Nel 2016 oltre ad importanti lavori di riparazione della rete idrica e di alcuni edifici a NAS Sigonella è stata intrapresa la costruzione di infrastrutture top secret nella base aerea dei droni killer statunitensi di Gibuti.
Il piccolo stato del Corno d’Africa ospita dalla fine del 2010 i “Predator” e i “Reaper” dell’US Air Force per operazioni di riconoscimento e missioni strike contro presunti “terroristi” operanti in Somalia e Yemen. Sono state centinaia le missioni di morte lanciate da Gibuti con un innumerevole numero di vittime, alcune delle quali ignari civili. L’ultimo attacco risale al 7 gennaio scorso, quando secondo US Africom due droni avrebbero ucciso quattro militanti di al-Shabab nel sud Somalia, vicino al villaggio di Baqdaad. Inizialmente i droni USA erano stati schierati nella grande base di Camp Lemonnier, accanto all’aeroporto della capitale di Gibuti, ma a seguito di alcuni incidenti a danno del traffico aereo passeggeri, nel 2013 l’US Air Force ha deciso il loro trasferimento a Chabelley. Al tempo, il Washington Post aveva rivelato lo stanziamento di 13 milioni di dollari per realizzare nuove infrastrutture e gli shelter dei droni nella nuova base. A Chabelley hanno operato negli anni scorsi velivoli senza pilota di altri paesi partner degli Stati Uniti. Dall’agosto 2014 al 3 marzo 2015, lo scalo ha funzionato come base operativa dei “Predator” dell’Aeronautica militare italiana (Task Force Air Gibuti) nell’ambito della missione aeronavale “Atalanta” dell’Unione europea per il contrasto della pirateria marittima nelle acque del bacino somalo e del Corno d’Africa.
Le forze armate USA operano a Gibuti dal 2002; a Camp Lemonnier, sede della Task Force Horn of Africa, sono schierati 4,000 militari circa, inclusi Marines, forze speciali e unità della CIA. Oltre ai droni, l’US Air Force schiera pure aerei da sorveglianza con equipaggio U-28A, velivoli da trasporto C-130 “Hercules”, elicotteri e caccia F-15E. Le operazioni effettuate dalle basi di Gibuti sono poste sotto il coordinamento del Comando di U.S. Naval Forces Europe-Africa di stanza a Napoli.

I droni di Sigonella per le strategie di guerra totale USA e NATO

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Dodici antenne satellitari ben visibili a sud delle piste della stazione aeronavale di Sigonella quando si percorre in auto la superstrada che da Catania giunge a Gela. Sorgono in un’area della base di 1,200 metri quadri insieme ad una palazzina che ospita uffici, ripetitori e generatori di potenza. Si tratta dell’UAS SATCOM Relay Pads and Facility, il sito per supportare le telecomunicazioni via satellite e le operazioni di tutti i droni dell’Aeronautica e della Marina militare statunitense, la cui realizzazione è stata completata alla fine del 2017, trasformando la base siciliana in uno dei maggiori centri del pianeta per il comando e il controllo dei velivoli da guerra senza pilota USA. I lavori per l’UAS Satcom Relay sono stati condotti da due importanti consorzi transnazionali: JV Ske Italy 2012 di Vicenza (filiale italiana dell’omonima holding tedesca) ed M+w Lotos Italy Soc Consortile con sede ad Agrate Brianza, Monza (controllato in buona parte dall’Austrian Stumpf Group di Vienna). Il Pentagono ha firmato un contratto con il primo gruppo per 9.400.000 dollari ed i lavori sono stati consegnati il 21 febbraio 2017; al secondo consorzio sono andati invece 7.723.700 dollari e la consegna risale al 20 novembre 2017. Con l’entrata in funzione del nuovo complesso di telecomunicazioni satellitari sono stati trasferiti a Sigonella 55 militari e 58 dipendenti civili dell’US Air Force.
“Il sistema degli aerei senza pilota richiede un’ampia facility a Sigonella che assicuri la massime efficienza operativa durante le missioni di attacco armato e di riconoscimento a supporto dei war-fighters”, è riportato nella scheda progettuale fornita dal Dipartimento della difesa USA. “La costruzione di una SATCOM Antenna Relay facilityè necessaria per supportare i link di comando dei velivoli controllati a distanza (UAV), in modo da collegare le stazioni terrestre presenti negli Stati Uniti con gli aerei senza pilota operativi nella regione dell’Oceano atlantico. Con il completamento di questo progetto saranno soddisfatte le richieste a lungo termine di ripetitori SATCOM per i “Predator” (MQ-1), i “Reaper” (MQ-9) e i “Global Hawk” (RQ-4). Il nuovo sito supporterà inoltre il sistema si sorveglianza aeronavale con velivoli senza pilota UAV Broad Area Maritime Surveillance (BAMS)di US Navy e le missioni speciali del Big Safari di US Air Force”. Il programma BAMSvede l’acquisizione di una quarantina di droni di ultima generazione “Global Hawk” da schierare nelle stazioni aeronavali di Jacksonville (Florida), Kadena (Giappone), Diego Garcia, Hawaii e Sigonella; il Big Safariè invece un articolato programma di acquisizione, gestione e potenziamento di speciali sistemi d’arma avanzati (velivoli senza pilota, grandi aerei da trasporto e per le operazioni d’intelligence e riconoscimento, ecc.) coordinato e diretto dal 303rd Aeronautical Systems Wing e dal National Air and Space Intelligence Center dell’US Air Force con sede nella base di Wright-Patterson (Ohio).
Con l’entrata in funzione dell’UAS SATCOM Relay Pads and Facility, la base siciliana di Sigonella può supportare oggi la trasmissione di tutti i dati necessari ai piani di volo e di attacco dei nuovi sistemi di guerra automatizzati e operare come “stazione gemella” del sito USA di Ramstein (Germania) e della grande base aerea di Creech (Nevada). Secondo quanto riportato dal periodico investigativo The Intercept, l’UAS Satcom Relay di Ramstein è il vero “cuore hi-teach della guerra USA dei droni”. “Ramstein fa viaggiare sia il segnale satellitare che dice al drone cosa fare, sia quello che trasporta le immagini che il drone vede”, spiega il periodico. “Grazie al sistema UAS Satcom, il segnale riesce a viaggiare senza ritardi in modo da permettere ai piloti di manovrare un velivolo a migliaia di chilometri con la necessaria tempestività”.
Tutti i droni killer di Sigonella
La grande stazione aeronavale di Sigonella opera contestualmente come base di lancio dei velivoli senza pilota dell’aeronautica militare statunitense. Secondo quanto ammesso dallo stesso Pentagono, nella base siciliana è ospitato uno stormo di droni-killer MQ-1 “Predator” ed MQ-9 “Reaper” (letteralmente macchina falciatrice). In verità, secondo quanto riportato dai media statunitensi, a partire dall’estate 2018 l’US Air Force avrebbe ritirato dal servizio effettivo i “Predator” per sostituirli con i “Reaper” che possono volare con maggiore velocità e trasportare un maggior numero di munizioni. Questa sostituzione dell’assetto tecnologico risponde ad una differente visione strategica nell’uso dei velivoli senza pilota: in passato i droni erano infatti principalmente utilizzati per operazioni di intelligence e riconoscimento, ma oggi vengono richiesti dal Pentagono per il “supporto” alle attività di strike e bombardamento aereo. Originariamente il “Predator” non era stato progettato per il trasporto di missili e solo in una seconda fase è stato convertito in arma d’attacco anche se con una portata bellica limitata; da qui la progressiva sostituzione con l’MQ-9 “Reaper” che può arrivare a trasportare sino a 4.000 libbre di carico bellico.
Parallelamente si è assistito ad un processo evolutivodelle finalità strategiche dei reparti militari destinati al controllo operativo dei droni. In passato i gruppi di volo equipaggiati con i“Reaper” erano stati designati come “squadroni d’attacco” (attack squadrons), mentre i gruppi di volo con gli UAV MQ-1 “Predator”avevano assunto il ruolo di “squadroni da riconoscimento” (reconnaissance squadrons). Nella primavera del 2016 l’US Air Force ha però approvato il cambio di qualifica ai gruppi di volo equipaggiati con i velivoli a pilotaggio remoto “Predator”, trasformando anch’essi inattack squadrons e affiancandole missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione a quelle di attacco contro obiettivi “selettivi”. Con l’allineamento di tutti i gruppi di volo come attack squadronè stata avviata la transizione dell’intera flotta “Predator” alla versione Reaper-falciatrice.
Negli ultimi mesi l’MQ-9 è stato migliorato per raggiungere maggiori altitudini e raddoppiare il carico utile: grazie ad un nuovo motore, il drone killer può raggiungere una velocità massima 482 km/h e un’autonomia tra le 14 e le 28 ore, secondo il carico a bordo, mentre la quota di servizio è stimata a 7.500 metri d’altitudine.L’armamento comprende missili anticarro a guida semi-laser AGM-114 Hellfire e bombe a guida laser Paveway GBU-12 o EGBU-12 o GBU-38 JDAM da 500 libbre. L’MQ-9 “Reaper” può trasportare fino a quattro missili Hellfire II e due bombe a guida laser Paveway.I droni vengono principalmente impiegati per eliminare obiettivi prefissati come bunker, veicoli e altri obiettivi sensibili; all’occorrenza per portare fuoco d’interdizione in appoggio alle forze di terra. Nel giugno 2017 l’ultima versione del “Reaper” (Block 5) ha effettuato le prime missioni da combattimento: secondo l’US Air Force il velivolo ha volato per oltre 16 ore in supporto all’Operazione Inherent Resolve contro le formazioni dell’ISIS in Iraq e Siria. Successivamente le attività del “Reaper” Block 5 sono state estese al teatro di guerra libico.
NAS Sigonella trampolino degli strike di morte USA
I dati in possesso di ricercatori e giornalisti d’inchiesta consentono di affermare che la stazione aeronavale di Sigonella opera già da lungo tempo come base di partenza per le operazioni dei droni d’attacco. Nel gennaio 2016 è stata data notizia che il governo italiano aveva formalmente autorizzato il decollo di velivoli senza pilota armati USA dalla base siciliana per “operazioni militari contro lo Stato islamico in Libia e attraverso il Nord Africa”. Secondo il quotidiano The Wall Street Journal, il via libera da parte del governo Renzi sarebbe giunto “dopo più di un anno di negoziati” e con alcune limitazioni alle regole d’ingaggio. “Il permesso sarà dato dal governo italiano ogni volta caso per caso e i droni potranno decollare da Sigonella per proteggere il personale militare in pericolo durante le operazioni in Libia e in altre parti del Nord Africa”, scrive The Wall Street Journal.
All’autorizzazione italiana è seguito immediatamente l’uso in grande scala dei droni killer. Tra l’agosto e il dicembre 2016, nel corso dell’offensiva contro le milizie filo-ISIS presenti nella città di Sirte (operazione Odyssey Lighting) ordinata dall’amministrazione Obama, gli USA hanno effettuato ben 495 attacchi missilistici; di questi — come ha spiegato il colonnello Case Cunningham, comandante del 432nd Wing basato a Creech in Nevada — il 60% sono stati effettuati dai droni “Reaper”. Si tratta quindi di circa 300 incursioni, durante le quali ciascun drone ha scagliato fino a sei ordigni”, hariportato il giornalista Gianluca Di Feo de la Repubblica (20 giugno 2018). Il 18 gennaio 2017, qualche ora prima che Barack Obama lasciasse il suo incarico di presidente degli Stati Uniti d’America, alcuni “Reaper” e due bombardieri B-2 dell’US Air Force effettuarono un attacco aereo contro i campi di addestramento dello Stato islamico a sud della città di Sirte, uccidendo più di un’ottantina di persone.Secondo il Comando di US Africom, “gli attacchi effettuati in parte con droni Reaper decollati da una base della Sicilia, sono stati condotti in coordinamento con il governo del Primo ministro libico Fayez Serraj”.
Le azioni di strike dei droni USA in Libia sono proseguite con l‘insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump. Nel primo semestre 2017, secondo The New York Times (24 settembre 2017), sarebbero stati perlomeno una ventina gli attacchi con droni autorizzati dal neopresidente USA, con 17 presunti militanti uccisi. Una nuova ondata di attacchi aerei è stata ordinata il 6 e 13 giugno 2018. US Africom, in un comunicato, ha annunciato di aver condotto nel primo caso un’incursione aerea di precisione contro al-Qaida nel Maghreb islamico (AQIM), a circa 50 miglia a sud-est di Bani Walid con “l’uccisione di un terrorista”. Nel secondo raid, ancora nell’area di Bani Walid - sempre secondo il Comando USA per le operazioni nel continente africano - sarebbero stati uccisi quattro presunti militanti di AQIM, ma alcune Ong hanno denunciato pure la morte di ignari e innocenti passanti.Un precedente raid contro AQIM in Libia era stato condotto il 24 marzo 2018 con l’uccisione di Musa Abu Dawud, un “responsabile di alto livello di Al Qaida” secondo US Africom.Anche in questi casi le incursioni “sono state condotte da MQ-9 Reaper decollati da una base aerea in Sicilia”.Il 28 agosto 2018 The World Aeronautical Press Agency ha documentato un nuovo raid nella zona di Bani Walid in cui sarebbe rimasto ucciso Walid Abu Habiya, ritenuto come uno dei maggiori leader dello Stato islamico.
L’utilizzo dei droni d’attacco con partenza dalla base siciliana non è un fatto recente ma risale alla guerra scatenata contro il regime di Gheddafi nella primavera 2011. Un rapporto dell’International Institute for Strategic Studies di Londra sulle unità alleate impegnate nell’operazione “Unified Protector”, aveva documentato come a partire della metà dell’aprile 2011 due squadroni dell’US Air Force con droni-killer erano stati trasferiti nella base siciliana. I primi raid furono scatenati il 23 aprile contro una batteria di missili libici nei pressi del porto di Misurata; un secondo attacco fu sferrato a Tripoli il giorno seguente contro un sistema anti-aereo SA-8.
Fonti ufficiali statunitensi hanno accertato che il 25 marzo 2011 (un mese prima cioè delle azioni falciatrici aMisurata e Tripoli)era stato attivato a Sigonella il 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron dell’US Air Force, reparto d’élite che ha per motto il Veni, Vidi, Viciche Giulio Cesare pronunciò dopo aver sconfitto nel 47 a.C. l’esercito di Farnace II del Ponto a Zela, nella Turchia orientale.Secondo quanto dichiarato al periodico investigativo The Interceptdal colonnello Gary Peppers, già comandante del 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron operante in Sicilia(ed ex supervisore degli attacchi con droni in Iraq, Afghanistan e Pakistan), nella tragica primavera del 2011 gli strike effettuatii con con i droni armati “Predator” in Libia furono ben 241.
I droni di Sigonella ebbero un ruolo chiave anche per intercettare Gheddafi in fuga nell’ottobre 2011, colpire la pattuglia di scorta e registrare dall’alto la cattura e l‘efferato omicidio della massima autorità di governo libico da parte delle milizie ribelli. Il 23 marzo 2018 Il Giornale ha pubblicato un ampio reportage in cui sono ricostruite le ultime ore di vita del leader libico e le operazioni d’intelligence dell’US Air Force in supporto ai ribelli anti-governativi. “L’unica certezza è che il cerchio attorno a Gheddafi si è chiuso grazie all’intervento di droni, elicotteri e caccia della Nato”, riporta il quotidiano. “La fine del Colonnello inizia con una telefonata satellitare che fa a Damasco, forse per garantirsi un rifugio in Siria, intercettata dagli alleati. Così la Nato ha la certezza che il Raìs in fuga è asserragliato nell’ultima ridotta di Sirte, la sua città natale. Il 20 ottobre 2011 Gheddafi e i resti dei suoi fedelissimi decidono l’ultima disperata sortita per sfuggire all’assedio. Nei giorni precedenti c’erano state diverse missioni tattiche di almeno nove elicotteri su Sirte - ha raccontato al Giornale una fonte Nato -. Uno inglese e gli altri francesi, che colpivano obiettivi mirati. Quando la colonna si mette in marcia è composta da 75 mezzi zeppi di guardie del corpo e con gli ultimi gerarchi del regime. Un velivolo in ricognizione della Raf individua il convoglio, ma subito dopo un drone Predator pilotato da Las Vegas e decollato dalla base americana di Sigonella lancia il primo missile Hellfire sul convoglio. Sulla scena interviene una coppia di caccia francesi Rafale, già in volo, che martellano la colonna fino a esaurire il munizionamento. I raid probabilmente condotti anche con elicotteri mettono fuori uso un terzo del convoglio e una dozzina di mezzi scappano verso sud. Gheddafi è costretto a fermarsi trovando riparo in uno scolo di cemento sotto la strada. I piloti dei velivoli Nato e il Predator forniscono continue informazioni alla base Nato di Napoli e Poggio Renatico, che gestisce le operazioni aeree. Parte di queste informazioni vengono girate ai corpi speciali e all’intelligence alleata, al fianco dei ribelli a Sirte. Quando i ribelli tirano fuori il Colonnello dal suo rifugio scoppia il caos”.
Quanto riportato dal quotidiano italiano è confermato indirettamente dallo stesso colonnello Gary Peppers. Dopo essersi ritirato dal servizio attivo nelle forze armate, Peppers ha ricostruito la sua missione a Sigonella in una lettera pubblicata da Eu.news.press.comil 18 maggio 2014.“Ho assunto il comando del 324th ERS nel settembre 2011 e ho guidato questo squadrone sino alla fine dell’Operazione Unified Protector e nel periodo di transizione sino alla costituzione del nuovo governo in Libia”, ha spiegato l’ex colonnello USA. “Io ho seguito l’omicidio di Muammar Gheddafi da parte di alcuni fanatici di al-Qaida in tempo reale e in alta definizione Tv, grazie al Predator che volava alto. Io non avrei desiderato quel destino per il mio peggior nemico. Se avessimo avuto un altro missile a bordo, avrei deciso di mandare l’intero gruppo al creatore. Con la fine di Unified Protector, gli Stati Uniti e l’Italia avevano la necessità di sottoscrivere un accordo bilaterale separato per sostituire la risoluzione Nato che ci autorizzava a far volare i Predator armati da Sigonella. La Libia continuava ad essere un luogo pericolosissimo molto tempo dopo la fine ufficiale delle ostilità. A partire dalla conclusione delle nostre operazioni di volo da Sigonella l’1 novembre 2011, c’era stato solo un piccolo utilizzo dei droni di sorveglianza. Io parlai diverse volte con il colonnello Freeman che sapevo essere il consigliere militare dell’ambasciatore USA in Italia. Generalmente mi chiamava in piena notte, anche perché al tempo lui stava a Washington. Gli spiegai le condizioni di pericolo in Libia e perché fosse necessario mantenere una presenza armata in aria a protezione del personale americano e Nato schierato nel paese. Egli era d’accordo su tutto e mi disse pure che il nuovo governo libico aveva chiesto agli Stati Uniti di proseguire con i voli armati. Il 14 novembre ebbi la mia ultima conversazione con il colonnello Freeman. Mi disse che finalmente stava per essere firmata dalle due parti una lettera d’accordo. Gli chiesi se si sarebbero potuti caricare a bordo gli Hellfires quando avremmo ricominciato i voli, e lui mi rispose di no, che non c’era stato l’accordo. Anche se il governo italiano alla fine sembrava di dover dare l’OK, egli aggiunse, e il governo libico lo aveva già approvato, il Dipartimento di Stato non aveva mai chiesto agli italiani l’autorizzazione a condurre i voli dei Predator armati. Mai chiesto!La Guerra al Terrore si era ufficialmente conclusa, così aveva dichiarato il Presidente e il Segretario di stato. Non c’era più bisogno dei Predator armati!”.
Come ha scritto Gianluca Di Feo su la Repubblica, tutte le attività dei droni americani da Sigonella venivano interrotte alla fine del 2011 con la morte di Gheddafi. “Dopo alcuni mesi riprendono i voli dei Predator per le missioni di ricognizione, senza missili, aggiunge Di Feo.Solo in seguito all’assassinio dell’ambasciatore Stevens a Bengasi, nel settembre 2012 gli USA ottengono la possibilità di far decollare droni armati, con il vincolo di intervenire solo quando sia minacciata la vita dei cittadini americani. Nel 2014 e nel 2015 vengono segnalate alcune azioni mirate dei droni statunitensi per uccidere terroristi in Libia. La breve sospensione degli strike dei droni in Libia da Sigonella è confermata dal Comando di US Air Force. “A partire del 2012, il 324th Squadron di stanza presso la Naval Air Station di Sigonella, assegnato al 409th Air Expeditionary Group, 435th Air Expeditionary Wing, ha effettuato operazioni di lancio e recupero a supporto dei velivoli ISR; prima con gli MQ-1B Predator e attualmente con gli MQ-9A Reaper”, si riporta nel sito ufficiale dell’aeronautica militare statunitense. Poi però sono ripresi i voli killer. “Il 324th Squadron fornisce in tempo reale ai Comandi delle forze aeree degli Stati Uniti d’America intelligence, sorveglianza e riconoscimento e strike cinetici a supporto della campagna anti-terrorismo grazie al lancio, recupero e manutenzione degli MQ-9”. Strike cineticiè l’eufemismoutilizzato dal Pentagono per confermare le azioni di sgancio di missili aria-superficie dai droni di Sigonella perlomeno dalla fine del 2012 sino ai giorni nostri.
Tutto sotto controllo per il governo e il parlamento italiano
Anche se con l’evidente scopo di fornire una versione edulcorata e tranquillizzante sulle operazioni dei droni da guerra USA, nel maggio 2013 l’Osservatorio di Politica Internazionale, un progetto di collaborazione tra il CeSI (Centro Studi Internazionali), il Senato della Repubblica, la Camera dei Deputati e il Ministero degli Affari Esteri, ha pubblicato uno studio sulla presenza dei velivoli senza pilota statunitensi a Sigonella in cui si riconosceva la presenza di “non meno di sei Predator USA da ricognizione e attacco”. “I droni temporaneamente basati a Sigonella hanno fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si presentassero delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del Sahel”, scriveva l’Osservatorio. “Ai tumulti della Primavera Araba che hanno portato alla caduta dei regimi di Tunisia, Egitto e Libia ha fatto seguito un deterioramento della situazione di sicurezza culminato nel sanguinoso attacco al consolato di Bengasi e nella recente crisi in Mali, dove la Francia ha lanciato l’Operazione Serval. In considerazione di tale situazione, la Difesa Italiana ha concesso un’autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani a Sigonella”.
Sempre secondo il Centro Studi Internazionali di Roma, il Ministero della Difesa avrebbe concesso, con “due comunicazioni” del settembre 2012 e del gennaio 2013, l’autorizzazione “temporanea” allo schieramento dei droni d’intelligence e armati nella base di Sigonella. “Concedendo le autorizzazioni, le autorità italiane hanno fissato precisi limiti e vincoli alle missioni di queste specifiche piattaforme”, aggiungeva il rapporto. “Ogni operazione che abbia origine dal territorio italiano dovrà essere condotta come stabilito dagli accordi bilaterali in vigore e nei termini approvati nelle comunicazioni 135/11/4^ Sez. del 15 settembre 2012 e 135/10063 del 17 gennaio 2013”. Nello specifico, si sarebbero potute autorizzare solo le sortite di volo volte all’“evacuazione di personale civile, e più in generale non combattente, da zone di guerra e operazioni di recupero di ostaggi” e quelle di “supporto” al governo del Mali “secondo quanto previsto nella Risoluzione n. 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Inoltre le forze armate statunitensi sarebbero tenute ad informare le autorità italiane prima dell’effettuazione di qualsiasi attività. Il report dell’Osservatorio di Politica Internazionale non chiarisce tuttavia le modalità con cui il governo e i vertici militari italiani potrebbero impedire agli Stati Uniti di utilizzare Sigonella per operazioni contrarie alla Costituzione e alle norme generali del diritto internazionale e interno e/o potenzialmente pregiudicanti degli interessi strategici nazionali.
In un successivo report del CeSI a firma del ricercatore Francesco Tosato, dal titolo Gli APR MQ-9 Reaperbasati a Sigonella, pubblicato nel marzo 2016, sono stati forniti ulteriori elementi sui droni Usa schierati a Sigonella per le operazioni di guerra contro lo Stato islamico. La Difesa Italiana ha concesso, tra la fine del 2012 e l’inizio del2013, un’autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani nella base diSigonella”, scrive Tosato. “Nello specifico si tratta di sei APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto) MQ-1 Predator o MQ-9Reaper, velivoli da ricognizione e sorveglianza che possono eventualmente essere armati, alcuniulteriori velivoli P-3 Orion AIP da pattugliamento marittimo e velivoli cargo C-130 Hercules con ilrelativo personale di supporto logistico (…) Ogni operazione che abbia origine dal territorio italiano deve essere condotta come stabilito dagliaccordi bilaterali in vigore;l’autorizzazione ad effettuare sortite di volo è garantita solo alle seguenti condizioni:condurre Non Combatant Evacuation Operations e Hostage Rescue Operations;supportare il Governo del Mali per quanto previsto nella Risoluzione del Consiglio diSicurezza delle Nazioni Unite n. 2085;notificare le Autorità Italiane prima dell’effettuazione di qualsiasi attività;le Autorità USA dovranno informare i Governi delle Nazioni interessate dall’attività almomento dell’effettuazione della stessa”.
“Anche relativamente all’aspetto di regolazione dell’attività di volo e di supporto logistico – aggiunge il nuovo report CeSI- gliassetti in dispiegamento temporaneo sono soggetti a precisi vincoli: l’esecuzione di tutta l’attività di volo deve essere subordinata alle esigenze nazionali e preventivamente coordinata con l’Ente ATC (Controllo Traffico Aereo) e l’Ufficio operazioni della base ospitante;in particolare, l’attività che interessa gli spazi aerei di Sigonella deve essere gestita con le medesime modalità vigenti per i reparti stanziali e preventivamente coordinata con il rispettivo Comando di Stormo per quanto concerne il numero di sortite, orari di svolgimento e procedure di attuazione;il parcheggio, l’assistenza velivoli ed il complesso logistico di supporto deve essere fornito dalla locale US Naval Air Station; l’attività degli assetti MQ-1/MQ-9 deve essere condotta strettamente in accordo alle procedure operative in vigore. La presenza dei Predator/Reaper temporaneamente basati a Sigonella, dunque, è sottoposta aprecisi caveat imposti dal Governo italianoe ha fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si presentino delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del Sahel”. Precisi caveat imposti dal Governo italianoche stando però alle informazioni raccolte da autorevoli ricercatori e Ong internazionali non hanno impedito l’uso massiccio dei droni di Sigonella per gli omicidi extragiudiziali di presunti “terroristi” e finanche di civili nello scacchiere libico e probabilmente anche in tutta l’area nordafricana e del Sahel.
La verità negata sui crimini dei droni di Sigonella
Secondo uno specifico dossier diffuso il 20 giugno 2018 dal Centro di monitoraggio inglese Airwars e dal think thank New America, i bombardamenti aerei effettuati in Libia a partire del 2011 dalle forze armate di Stati Uniti, Francia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e dei due Governi libici sarebbero stati 2.180 e avrebbero provocato la morte di un numero di civili compreso tra 244 e 398. Il data base del progetto diretto da New America e Airwars aggiornato alla data odierna fornisce numeri ancora più drammatici: 2.587 gli strike di aerei con e senza pilota con 1.125-1.501 morti di cui 300-460 civili. Sempre nel report del 20 giugno 2018 si specifica che le sole incursioni statunitensi, senza distinguere tra droni e velivoli con pilota, hanno contribuito all’uccisione da un minimo di 10 a un massimo di 20 civili, ma stando alle testimonianze raccolte in occasione dei più recenti raid a Sirte (dove è stato scatenato dalla coalizione internazionale un vero e proprio inferno), ci potrebbero essere stati altri 54 “non combattenti” che hanno perso la vita sotto le bombe. Airwars in particolare si sofferma su quanto accaduto il 28 novembre 2018 nella regione desertica meridionale di Ghat, vicino alla città di Al Uwaynat, quando uno strike di droni USA avrebbe causato la morte di 11 civili. “L’incidente rappresenta la maggiore accusa di danno a civili contro gli Stati Uniti in Libia sino ad oggi”, riporta il gruppo di ricerca inglese. “Inizialmente i report indicavano che gli USA avevano colpito appartenenti ad al-Qaida con un attacco di precisione in una città del sud della Libia. Africom ha confermato lo strike un paio di giorni più tardi, affermando però di aver ucciso 11 terroristi di al-Qaida in the Islamic Maghreb (AQIM) e distrutto tre veicoli. Fu aggiunto che nessun civile era stato ferito o ucciso nell’attacco”. La comunità Tuareg di Al Uwaynat ha però prontamente respinto le dichiarazioni del Comando USA per le operazioni nel continente africano, e nel corso di una protesta pubblica ha accusato i militari statunitensi di aver assassinato “undici persone innocenti, senza alcun legame con il terrorismo”. Tra le vittime ci sarebbe stato pure un comandante militare libico “che aveva combattuto il terrorismo a Sirte per assicurare al suo paese sicurezza e stabilità”. Il rapporto consegnato dai Tuareg alle autorità di Tripoli aggiunge che il convoglio di auto bombardato dai droni USA “stava viaggiando alla ricerca di un gruppo di Tuareg, vicino alla frontiera con l’Algeria, che erano sulle tracce di una gang di trafficanti dedita alla compravendita di macchinari pesanti con l’Algeria”. Sull’incidente è ancora in corso un’inchiesta dell’autorità giudiziaria libica.
Amnesty International ha pubblicato un approndito rapporto sul network internazionale che consente le esecrate e criminali operazioni di sterminio del Pentagono con l‘utilizzo dei droni, riservando proprio a Sigonella uno dei ruoli chiave. “Per via della sua assistenza significativa ai programmi USA con i droni - scrive Amnesty - l’Italia, come gli altri Paesi in oggetto, potrebbe essere considerata responsabile di aver fornito assistenza in eventuali attacchi statunitensi compiuti al di fuori del diritto internazionale ai sensi, soprattutto, dell’articolo 16 della Responsability of State for internationally Wrongful Acts della International Law Commission delle Nazioni Unite  e potrebbe anche di conseguenza violare i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani”. Amnesty International e altre Ong hanno documentato attacchi illegali con i droni statunitensi nel corso di oltre un decennio, denunciando il fatto che questi raid hanno violato il diritto alla vita e in alcuni casi sono equiparabili a esecuzioni extragiudiziali e altre forme di uccisioni illegali.Chiediamo al governo italiano di astenersi dall’assistere negli attacchi con i droni statunitensi e di avviare un’inchiesta pubblica e completa sull’assistenza al programma droni americano”, aggiunge l’organizzazione internazionale. “Chiediamo inoltre al governo di assicurare tempestive indagini su tutti i casi in cui vi sono fondati motivi per ritenere che abbiano fornito assistenza a un attacco con i droni statunitensi che ha provocato uccisioni illegali”. Sino ad oggi le autorità italianenon hanno però voluto fornire alcuna risposta all’appello di Amnesty.
Tutti i governi succedutisi dopo la guerra alla Libia del 2011 non hanno inoltre ritenuto doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica sugli accordi sottoscritti per consentire l’uso del territorio e dello spazio aereo nazionale da parte dei velivoli senza pilota statunitensi. In base alle norme sulla trasparenza degli atti amministrativi, nel marzo 2017 l’European Center for Constitutional and Human  Rights (ECCHR) di Berlino, in collaborazione con la cattedra di Diritto penale internazionale dell’Università di Milano (professoressa Chantal Meloni), ha chiesto al Ministero della Difesa, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Comando statunitense di Sigonella di poter visionare il testo degli accordi sull’uso della stazione aeronavale siciliana come base dei droni USA (sia quelli armati che non), ma dopo l’ennesimo e ingiustificato rifiuto del Governo, ha presentato un ricorso in sede di giustizia amministrativa. Mentre si attende un pronunciamento definitivo dei giudici, le forze armate USA continuano ad eseguire impunemente dalla Sicilia le sentenze di condanna a morte contro gli indiziati di “terrorismo internazionale”.
Droni d’intelligence per supportare le operazioni di guerra globale
Dall’ottobre 2010 a Sigonella sono schierati dall’US Air Force pure 4-5 aerei senza pilota da osservazione RQ-4B “Global Hawk” che operano sotto il controllo e la gestione del 7th Reconnaissance Squadron dell’US Air Force. Questa unità è stata riattivata a Sigonella il 15 maggio 2015 come parte del69th Reconnaissance Group (di stanza a Grand Forks, North Dakota)e del 9th Reconnaissance Wing (Beale Air Force Base, California).“Il 7th Reconnaissance Squadron pianifica e realizza in qualsiasi luogo le missioni di intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR), comprese la raccolta d’informazioni in tempo di pace, le operazioni contingenti e la guerra convenzionale”, riporta il Comando di US Air Force. “Operando con i velivoli a pilotaggio remoto Global Hawk, il 7th fornisce i segnali e le immagini d’intelligence in tempo reale per tutte le richieste operative dei Comandi militari interforze in supporto al Segretario della Difesa”.
Al 7th Squadrone di US Air Force sono assegnati 85 militari e 67 civili. “Gli RQ-4 Global Hawk schierati a Sigonella supportano le missioni ISR di EuCom, Africom e CentCom nei loro teatri operativi sin dal 2011”, aggiunge il Comando delle forze aeree Usa. “I Global Hawks di questo gruppo di volo hanno avuto il loro battesimo con il fuoco l’1 maggio 2011, quando volarono per la prima volta sulla Libia per monitorare e assistere dall’alto le sortite contro gli obiettivi localizzati nella regione e rappresentati dalle batterie residuali di missili superficie-aria SAM e dai sistemi missilistici antiaereo a corto raggio trasportabili a spalla (MANPADS) dopo l’avvio dell’Operazione Odissey Dawnil 19 maggio 2011”.
“Dal loro schieramento nella base siciliana, i droni sono regolarmente utilizzati per missioni d’intelligence in Nord Africa, Europa orientale e Medio oriente”, aggiungono i vertici del Pentagono. “Nel marzo 2015, l’US Air Force ha reso noto il coinvolgimento dei Global Hawk nella guerra aerea all’ISIS non solo come piattaforma IMINT (Imagery Intelligence) ma anche come Nodo per le Comunicazioni Aeree nel Campo di Battaglia (Battlefield Airborne Communications Node - BACN), modificando il pacchetto dei sensori per le immagini normalmente installato nel velivolo, a supporto delle operazioni terrestri e assicurando le comunicazioni tra il personale militare e il velivolo aereo in modo da poter favorire gli strike contro i militanti dello Stato islamico”. Ciò conferma il ruolo di vera e propria macchina di guerra e d’attacco di questi droni: oltre a monitorare le aree d’intervento ed identificare gli obiettivi da colpire, i Global Hawk svolgono funzioni di guida a distanza delle operazioni di bombardamento da parte di velivoli con o senza pilota e finanche di eventuali reparti terrestri schierati sul terreno di battaglia.
I droni-BACNdi Sigonella sono stati utilizzati con certezza durante i violentissimi strike lanciati dalla coalizione internazionale nella regione di Sirte il 4 febbraio 2017 e il 25 febbraio 2018 con missioni di volo ininterrotte per 21 ore sui cieli del nord-ovest libico, a un’altitudine di 46 mila piedi. Global Hawk decollati dalla Sicilia hanno operato nelle ore precedenti e durante gli attacchi aerei scatenati nei pressi della città siriana di Homs il 14 aprile 2018, affiancando i cacciabombardieri di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna nei loro raid contro due depositi di armi che secondo il Pentagono sarebbero stati utilizzati “per stoccare armi chimiche o materiali utilizzati per la loro produzione”. L’analista e giornalista Babak Taghvaee in un ampio reportage sulla conduzione del raid a Homs ha documentato la partecipazione di tre bombardieri B-1B di US Air Force decollati dalla base di Al-Udeid (Qatar), otto cacciabombardieri F-15C del 493rd Fighter Squadron (48th Fighter Wing) di stanza nella base britannica di Lakenheath (Suffolk), ma decollati dall’aeroporto di Aviano (Pordenone) insieme ad otto cacciabombardieri F-16C del 555th Fighter Squadron di stanza nella base aerea friulana. “Ad Aviano sono stati schierati anche cinque aerei cisterna KC-135R/T del 351st Air Refueling Squadron di base a Mildenhall, Suffolk per rifornire in volo i caccia F-15 ed F-16”, ha riportato Taghvaee. “Prima dell’attacco gli Stati Uniti avevano effettuato tre giorni di missioni aeree d’intelligence per individuare gli obiettivi da bombardare con U-2S, RC-135V/U e droni RQ-4B del 12th Reconnaissance Squadron decollati dalla base di Sigonella”.
Con sempre più frequenza i “Global Hawk” schierati in Sicilia vengono utilizzati per missioni top secret in Mar Nero e nel sempre più complesso e pericoloso scenario di guerra ucraino. Le prime missioni in questa regione sono state documentate dai tracciati radar a partire dell’ottobre 2016, anche se già nell’aprile 2015 il generale Andrei Kartapolov, alla guida del dipartimento operativo dello Staff militare della Russia aveva denunciato all’opinione pubblica internazionale le attività di questi velivoli senza pilota in Crimea e in Ucraina. Nel caso relativo alla missione del 16 ottobre 2016, un RQ-4, dopo essere decollato da Sigonella, ha raggiunto prima i cieli della Bulgaria, poi il Mar Nero, la Crimea, Sochi e l’Ucraina per poi rientrare nella base siciliana dopo un volo durato circa 17 ore. Altri voli dei “Global Hawk” nello spazio aereo della regione contesa del Donbass sono stati tracciati il 14 novembre, il 2 e 16 dicembre 2016 (in quest’ultimo caso, il drone statunitense si è avvicinato a meno di 100 km dalle regioni russe di Voronezh e Rostov, al confine con la regione orientale ucraina di Luhansk).
Tra il 20 e il 21 luglio 2017 un drone RQ-4 “Global Hawk” decollato da Sigonella ha effettuato una missione ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) di 21 ore circa e ad una quota di 55 mila piedi, sorvolando prima la Bulgaria, il Mar Nero, la Crimea e l’Ucraina per poi far rientro in Sicilia via Romania, Bulgaria e Grecia. Il 23 ottobre 2017, secondo quanto denunciato all’agenzia Tass dal comandante delle difese aeree dell’esercito russo, generale Viktor Sevostyanov, ancora un Global Hawk raggiungeva provocatoriamente la frontiera della Russia nel Mar Nero. “Alla missione spia USA hanno concorso pure un velivolo RS-135 e un pattugliatore P-8A Poseidon;il Global Hawk e l’aereo RS-135 sono decollati entrambi dalla base Nato di Sigonella, mentre il P-8A è partito dalla base aerea di Souda, Grecia”, ha riferito l’alto ufficiale russo.
La frequenza delle missioni aeree dei droni USA sul Mar Nero è ulteriormente cresciuta nel corso del 2018: in particolare sono stati documentati voli dei “Global Hawk” il 9 e 25 gennaio; il 5, 16 e 28 febbraio (lungo le coste della Crimea e del Kuban); l’11 marzo; il 3 aprile (stavolta congiuntamente ad altri aerei spia statunitensi, compresi i P-8A “Poseidon”); il 13 maggio (sorvolato il confine tra Russia e Ucraina nella regione di Kharkov). Il 6 giugno è stato Camille Grand, vicesegretario generale per gli investimenti alla difesa della Nato ad annunciare da Bruxelles che un RQ-4B dell’US Air Force era decollato da NAS Sigonella per effettuare una missione nel mar Baltico e in Lituania. Ulteriori missioni ai confini occidentali russi sono state documentate il 16 settembre (ancora insieme ad un pattugliatore anti-sommergibile P-8A “Poseidon” di U.S. Navy); il 27 settembre(monitorata la linea di frontiera nel sud-est dell’Ucraina, parte delle coste dellaCrimea e il territorio di Krasnodar); il 7 e 26 ottobre (spazio aereo di Polonia, Ucraina, Lituania, Lettonia ed Estonia sino ai confini della regione di Kaliningrad).
Altre missioni d’intelligence dei “Global Hawk” e dei P-8A “Poseidon” di stanza a Sigonella sono state svolte durante e subito dopo il grave incidente avvenuto il 25 novembre 2018 nello Stretto di Kerch vicino la Crimea (tra il mar Nero e il Mare di Azov), quando tre imbarcazioni ucraine sono state sequestrate da unità da guerra russe che avrebbero pure aperto il fuoco ferendo due marinai ucraini. In particolare, la notte tra il 25 e il 26 novembre l’US Air Force ha ordinato il decollo dalla base siciliana di un RQ-4 UAV (denominato in codice Forte10) del 7th Reconnaissance Squadron; il velivolo ha raggiunto prima l’Ucraina occidentale, poi il Mar Nero sino alle coste sud-orientali della Crimea dove ha effettuato perlomeno otto ore di sorveglianza ininterrotta per poi rientrare a Sigonella via Bulgaria e Grecia. Forte 10è tornato a sorvolare la Crimea la mattina del 27 novembre, seguendo le stesse rotte del giorno precedente; anche in questo caso il drone è stato affiancato da un Boeing P-8A “Poseidon” decollato qualche ora dopo da Sigonella. Più recentemente le missioni in Europa orientale dei “Global Hawk” sono state documentate il 2, 4 e 16 dicembre 2018 (in Crimea e nello spazio aereo prossimo all’enclave russa di Kaliningrad, nel mar Baltico); il 7 gennaio 2019 in Donbass e l’11 gennaio (in Crimea sino alle città di Novorossijsk e Soci).
La capitale mondiale dei droni USA e Nato
La base siciliana è stata prescelta inoltre come base operativa avanzata del sistema aereo MQ-4C “Triton” di US Navy, anch’esso basato sulla piattaforma del “Global Hawk” di ultima generazione.Secondo il Comando generale della Marina militare statunitense, i primi “Triton” inizieranno ad operare da Sigonella a partire del giugno 2019. Lungo 14,5 metri e con un’apertura alare di 39,9, il nuovo drone potrà operare entro un raggio di 2.000 miglia nautiche dalla base di decollo, a un’altitudine massima di 18.288 metri e una velocità di crociera di 575 km/h. Il velivolo godrà di un’autonomia di volo tra le 24 e le 30 ore consecutive.
Con un ritardo di quattro anni sul cronogramma fissato da Bruxelles e contractor, a Sigonella diverrà pienamente operativo nel primo quadrimestre 2019 anche il sofisticato sistema di comando, controllo, telerilevamento ed intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) della Nato basato anch’esso su velivoli a pilotaggio remoto UAV. Nel maggio 2018, la Nato ha firmato un contratto per il valore di 60 milioni di euro con il colosso delle costruzioni Astaldi S.p.A. di Roma per la progettazione e l’esecuzione dei lavori di ampliamento dell’area per le operazioni dei velivoli AGS. Nello specifico, a Sigonella saranno realizzati 14 edifici per il “rimessaggio-attrezzaggio degli aeromobili” e uffici-comando per circa 800 addetti dell’Alleanza Atlantica.
L’AGS dovrà fornire informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a supporto dell’intero spettro delle operazioni alleate nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa e in Medio oriente. “Da Sigonella inizierà un viatico per proiettare la stabilità proprio sul confine meridionale della Nato, in collaborazione con lo Strategic Direction South Hub, basato presso il comando militare dell’Alleanza Atlantica di Napoli e che dal 2017 ha la finalità di aumentare la capacità di identificare e monitorare le molteplici minacce dal confine sud della Nato, con un centro di coordinamento per le operazioni di anti terrorismo, raccolta ed analisi dati ed informazioni sulle principali aree di crisi del vicino oriente e dell’Africa settentrionale”, spiega l’analista Alessandra Giada Dibenedetto del Ce.S.I. di Roma.
Il sistema AGS si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni e da una componente aerea basata su cinque velivoli a controllo remoto RQ-4 “Global Hawk” Block 40. Esso s’interfaccerà con l’articolata rete operativa militare e con tutti i centri di comando, controllo, intelligence, sorveglianza e riconoscimento dell’Alleanza Atlantica a livello planetario. Il programma AGS è il più costoso nella storia della Nato (1,7 miliardi dollari secondo le previsioni del 2008).I droni potranno volare da Sigonella con un raggio d’azione di 16.000 km, sino a 18.000 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h, in qualsiasi condizione atmosferica.
Il nuovo sistema di sorveglianza potrà contare sul supporto dei velivoli senza pilota Sentinel in dotazione alle forze armate britanniche ed Heron R1 che la Francia ha prodotto congiuntamente ad Israele. L’AGS s’interfaccerà inoltre con il programma Bams (Broad Maritime Area Surveillance) di rafforzamento della propria superiorità strategica nello svolgimento di missioni prolungate d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR) che la Marina militare USA ha avviato grazie ai nuovi pattugliatori marittimi P-8 “Poseidon” e all’ultima generazione di droni “Triton” della Northrop Grumman. Nel 2016 il Dipartimento della difesa ha ottenuto dal Congresso l’autorizzazione a costruire nella base siciliana gli hangar e una serie di infrastrutture di supporto per i “Triton” e i “Poseidon” con una spesa complessiva di 102.943.000 dollari.
In questi anni segnati dall’asfissiante dronizzazione di Sigonella e dei cieli siciliani, l’Isola è stata convertita pure in vera e propria “fortezza avanzata” per le attività di controllo e contrasto armato delle migrazioni. Ancora una volta è sempre l’Hub of The Med a fare da protagonista delle attività internazionali di “caccia” ai migranti nel Mediterraneo: a Sigonella, infatti, sono stati dislocati reparti e velivoli con e senza pilota nell’ambito della forza aeronavale Eunavfor Med (Operazione Sophia); mentre dal settembre 2013, lo scalo fornisce il supporto tecnico-operativo ai diversi assetti di Frontex (l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea), provenienti da Grecia, Portogallo, Islanda, Lussemburgo, Regno Unito, Spagna, Francia, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca (Operazione Triton).Anche l’Aeronautica militare italiana concorre attivamente al processo di trasformazione di Sigonella nella base strategica delle nuove dottrine di guerra  “automatizzata” del XXI secolo. Il 10 luglio 2017 è stato costituito nel settore sotto controllo italiano il 61° Gruppo Volo Ami, dotato di droni MQ-1C “Predator”, “allo scopo di consolidare e rafforzare il dispositivo di sicurezza nazionale per l’attività di sorveglianza nell’area del Mediterraneo, davanti alle coste del Nord Africa”. Il rischiaramento a Sigonella dei velivoli senza pilota dell’Aeronautica è stato ufficialmente avviato nell’ambito della missione anti-terrorismo e anti-migrazioni Mare Sicuro e con finalità di “protezione delle linee di comunicazione, dei natanti commerciali e delle piattaforme off-shore nazionali, ecc.”. I “Predator” del 61° Gruppo Volo di Sigonella possono operare a supporto delle autorità libiche per le attività di controllo del confine meridionale del Paese, grazie ad un “accordo tecnico” di cooperazione bilaterale italo-libico sottoscritto a Roma il 28 novembre 2013 dai ministri della difesa Mario Mauro e Abdullah Al-Thinni. Va altresì segnalato che nel 2016 l’Aeronautica militare ha ottenuto il permesso dal Congresso degli Stati Uniti d’America ad acquisire missili aria-terra e bombe a guida laser da montare a bordo dei nuovi droni RQ-9 “Reaper” in dotazione al 28° Gruppo Velivoli Teleguidati dell’Aeronautica militare di stanza nella base aera di Amendola (Foggia), il reparto responsabile delle missioni dei velivoli senza pilota operativi da Sigonella. Nonostante siano passati quasi tre anni dall’Ok statunitense e i fondi per l’acquisto dei sistemi d’arma per i “Reaper” siano stati messi in bilancio molto tempo prima, non è dato sapere se essi siano già a disposizione delle forze aeree italiane. Quando il processo d’acquisizione e di messa a punto del sistema killer sarò completato, anche l’Italia potrà mietere con i droni - anzi falciare - vite umane in Libia, nell’Africa sub-sahariana e in Medio oriente.
Sempre nell’ambito dell’uso dei velivoli senza pilota in quella che ormai può essere definita una guerra globale Ue e Nato ai migranti e alle migrazioni va segnalato che il 6 dicembre 2018 ha preso il via dallo scalo aereo di Lampedusa la campagna-voli del “Falco Evo”, il velivolo a pilotaggio remoto prodotto da Leonardo-Finmeccanica e Avio Aero, appositamente configurato per il monitoraggio marittimo, nell’ambito del programma di Frontex finalizzato alla “sperimentazione di droni per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione Europea”.Frontex sta analizzando la capacità di sorveglianza a media altitudine e lunga persistenza offerta dai velivoli pilotati a distanza, valutando efficienza economica ed operativa di tali sistemi”, hanno spiegato in un comunicato i manager di Leonardo. “La nostra società è stata appositamente selezionata per un contratto di servizio attraverso l’uso di droni nello spazio aereo civile italiano e maltese per un totale di 300 ore di volo con possibili ulteriori estensioni contrattuali”.Le operazioni di sorveglianza e ricognizione effettuate con il “Falco Evo” da un team della holding industriale-militare, vengono pianificate dalla Guardia di Finanza sotto il coordinamento del Ministero dell’Interno e in collaborazione con ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), ENAV (la società che gestisce il traffico aereo civile in Italia) e AST Aeroservizi (società di gestione dell’aeroporto di Lampedusa). “Il modello di business sviluppato da Leonardo prevede che l’azienda mantenga la proprietà e la responsabilità delle operazioni svolte con i velivoli della famiglia Falco, fornendo le informazioni di sorveglianza e i dati raccolti ai propri clienti”, aggiunge Leonardo. Frontex ha avviato la sperimentazione dei droni in funzione anti-migranti nel Mediterraneo a fine settembre 2017. “L’agenzia intende testare i velivoli senza pilota in diverse situazioni operative, come la sorveglianza marittima, il supporto alle attività di ricerca e salvataggio (SAR), l’individuazione di imbarcazioni sospettate di attività criminali come il traffico di droga e di armi e la raccolta d’informazioni, ecc.”, spiega lo staff di Frontex. Oltre che da Lampedusa, i velivoli senza pilota dell’agenzia europea operano dal Portogallo e dall’isola di Creta a supporto della guardia costiera e dell’aeronautica militare greca (si tratta in quest’ultimo caso dei velivoli “Heron” prodotti dalle Israel Aerospace Industries e gestiti in cooperazione con Airbus Defence and Security).
A rendere ancora più drammatico lo scenario siciliano nel processo di dronizzazione in atto a livello mondiale, il fatto che lo scalo aereo di Trapani-Birgi è stato convertito in poligono sperimentale dei nuovi velivoli senza pilota prodotti da industrie di guerra internazionali. Le società Piaggio Aereo Industries (controllata interamente da capitali degli Emirati Arabi Uniti) e Selex Es (Leonardo-Finmeccanica) utilizzano infatti dal novembre 2013 la base del 37° Stormo dell’Aeronautica militare di Trapani per i test di volo del dimostratore P.1HH DEMO, l’aereo a pilotaggio remoto realizzato nell’ambito del programma denominato “HammerHead” (Squalo Martello) e che sarà presto operativo per l’Aeronautica militare italiana (il contratto prevede la consegna di tre sistemi completi P-1HH con sei velivoli a pilotaggio remoto e tre stazioni di controllo terrestre). Con un’apertura alare di 15,5 metri, il drone può raggiungere la quota di 13.700 metri e permanere in volo per più di 16 ore. Il velivolo è stato dotato di torrette elettro-ottiche, visori a raggi infrarossi e radar “Seaspray 7300” che consentono d’individuare l’obiettivo, anche in movimento, fornendo le coordinate per l’attacco aereo o terrestre, o colpendolo direttamente con missili e bombe a guida di precisione (lo Squalo martello può essere facilmente modificato per il trasporto sino a 500 kg di armamenti). L’Italia si prepara sempre più ad affiancare gli storici alleati di Stati Uniti d’America, Francia e Gran Bretagna nelle campagne di killeraggio extragiudiziale in Africa e Medio oriente...

Paper presentato dall’autore in occasione della Conferenza internazionale Droni armati a Sigonella: Problemi giuridici e tensioni tra protezione del diritto alla vita, obblighi di trasparenza e strategia militare, organizzata dall’European Center for Constitutional and Human Rights e dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, con il Patrocinio del Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, venerdì 11 gennaio 2019, Villa Cerami, Catania.

La spada di Damocle di un Rigassificatore nel Porto di Messina-Tremestieri

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Dietro l’affaire del costruendo megaporto di Tremestieri con annessa piattaforma logistica, progetto fortemente voluto dall’ex amministrazione Accorinti e dal gruppo di traghettamento privato Franza-Matacena, c’è pure il tentativo di realizzare a Messina una grande stazione di “stoccaggio e bunkeraggio di Gas Naturale Liquefatto (LNG)”, ossia un vero e proprio impianto rigassificatore ad altissimo rischio ambientale.
Quanto rivelato nei mesi scorsi da alcuni ambientalisti e blogger ha trovato conferma ufficiale ieri nel corso del workshop “Navi Traghetto Passeggeri alimentate a LNG: approfondimenti tecnici e normativi”, organizzato nei locali dell’Hotel Royal dal Gruppo Caronte & Tourist d’intesa con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto. In particolare, nel corso del suo intervento, il rappresentante dell’Autorità Portuale di Messina Giuseppe Lembo “ha ribadito l’intenzione del Commissario Straordinario De Simone – che da anni è impegnato in tale direzione - di dotare il nuovo porto di Tremestieri di una stazione di stoccaggio e bunkeraggio di LNG in grado di soddisfare una domanda che vada oltre quella delle navi del Gruppo Caronte & Tourist,  soprattutto in quanto il Porto di Messina è stato individuato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la realizzazione di una delle sei stazioni di bunkeraggio finanziate nell’ambito di un Progetto globale volto ad incentivare la creazione di tali infrastrutture”.
Nel corso del seminario sono intervenuti tra gli altri anche l’ammiraglio Luigi Giardino e il comandante Ida Montanaro, ai vertici del reparto della Guardia Costiera che si occupa di sicurezza della navigazione e i tecnici della MAN Energy Solution e della Wartsila, le società che si sono occupate della parte impiantistica e meccanica della “Elio”, la nuova nave ammiraglia del gruppo Franza-Matacena in servizio sullo Stretto di Messina e alimentata appunto dal Gas Naturale Liquefatto. La presenza della Guardia Costiera al workshop conferma il notevole interesse militare per gli impianti LNG; la Marina Militare italiana, ad esempio, è impegnata da anni nei programmi di “conversione” di alcune unità all’uso duplice” gasolio-gas liquefatto e la possibilità di realizzare il deposito-hub nella città dello Stretto potrebbe dunque avere pesanti ricadute anche in termini di militarizzazione del territorio (un analogo impianto potrebbe sorgere anche nell’area di Augusta, sede del comando della Marina per il Mediterraneo ma anche stazione di rifornimento per le flotte USA e NATO, anch’esse impegnate ala riconversione delle navi da guerra all’uso LNG).
Ovviamente a Messina ci sono interessi economici ancora più articolati che spingono verso la trasformazione di Tremestieri in un grande hub LNG mediterraneo. Nel maggio 2016, nel corso di un convegno dal titolo “Italia hub del gas naturale, opportunità GNL per i trasporti marittimi nel Mediterraneo” organizzato presso il Circolo Ufficiali della Marina militare di Augusta, per sponsorizzare la realizzazione dei nuovi impianti intervennero tra gli altri Lorenzo Matacena, consigliere d’amministrazione di Caronte & Tourist Spa, il contrammiraglio Nicola de Felice (al tempo Comandante Marittimo Sicilia della Marina Militare) e il dottore Guido Di Bella del Consorzio Sicilia NAVTEC di Messina. Main sponsor di quell’evento, ancora una volta Caronte & Tourist e Wartsila Italia S.p.A., controllata dall’omonima società finlandese leader nella fornitura di soluzioni per la generazione di energia per il settore marino e terrestre, civile e militare. Al tempo, il dottore Guido Di Bella ricopriva contestualmente l’incarico di ricercatore associato del CNR ITAE di Messina, nonché di “componente della commissione tecnico-scientifica per la verifica delle valutazioni di incidenza ambientale (VIA) nel Comune di Messina” (nomina con decreto del marzo 2014 a firma del sindaco Renato Accorinti). Per la cronaca, il Consorzio Sicilia NAVTEC ha tra i propri soci sia la Caronte & Tourist del gruppo Franza-Matacena, il gruppo Noè di Augusta, Fincantieri e Intermarine S.p.A., questi ultimi particolarmente attivi nella produzione di imbarcazioni mercantili e da guerra; mentre presidente del Consiglio di amministrazione del consorzio è l’ing. Gaetano Cacciola, vicesindaco di Messina con l’amministrazione Accorinti e dirigente di ricerca del CNR ITAE di Messina (di quest’ultimo istituto, l’ing. Cacciola è stato direttore sino all’estate 2013).
“La nostra azienda, che vanta 14 navi per il trasporto passeggeri nello Stretto, è molto interessata ad avere una nave alimentata anche a GNL già entro il 2018 ma puntiamo ad incrementarne il numero”, dichiarava nel corso del meeting di Augusta Lorenzo Matacena. “La strategia riguarda per ora solo lo stretto di Messina: in Italia dobbiamo essere bravi a sviluppare una rete estesa, come quella nel Nord Europa, grazie a nuove infrastrutture essenziali e a una normativa adeguata a supporto: in questo caso, la Sicilia potrebbe diventare davvero l’hub del Mediterraneo, visto che vanta il maggior numero di navi nell’area in grado di utilizzare il GNL”.
In verità sin dal 2013, nell’ambito del piano di ricerca Smart cities and communication and social innovation finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), la Caronte & Tourist, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l’Autorità Portuale di Messina, Fincantieri S.p.A., il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR ITAE di Messina, l’Università della città dello Stretto, la Comet S.r.l. del gruppo Blandina che cura la logistica a Tremestieri, Rina Service S.p.A. e Isotta Fraschini Motori hanno dato vita a un “progetto sperimentale” per l’uso integrato di motori alimentati a GNL a bordo delle navi mercantili nazionali a partire di quelle del gruppo Franza-Matacena in navigazione nello Stretto.
“Tale progetto prevede il refitting di una nave traghetto esistente, la progettazione di una nuova unità a GNL ed infine uno studio di fattibilità per la costruzione a Messina di una piccola stazione a bunkeraggio del GNL”, si legge nella slide di presentazione del progetto. I partner si sono incaricati di approfondire alcune tematiche, quali “semplificazione e facilitazione deroghe normative”, coordinamento delle stazione di bunkeraggio a terra”, sviluppo del processo logistico con l’implementazione di sistemi di informatizzazione applicati alla logistica integrata”, “produzione e liquefazione su piccola scala di GNL da gas naturale e di bio-metano”, “sviluppo e produzione motori a combustione interna”, “metodologie di bunkeraggio, a partire dalle bunkering stations, ovvero strutture terrestri di stoccaggio e distribuzione di LNG, in prossimità di porti, capaci di asservire ai fabbisogni delle unità”, ecc..
Caronte % Tourist e partner di ricerca hanno stimato un investimento per la realizzazione dell’infrastruttura di bunkeraggio “presso il costruendo porto di Tremestieri” tra i 12 e i 15 milioni di euro. “L’Autorità Portuale di Messina ha espresso l’intenzione di sviluppare tale struttura anche in vista della possibilità di offrire tale servizio a navi diverse dai ferries”, si legge nella slide. Tra i risultati attesi dal progetto, oltre alla realizzazione di uno studio di fattibilità, anche il “conseguente sviluppo di tecnologia italiana sulla cantieristica navale LNG”, il conseguimento di “deroghe normative sull’utilizzo del LNG sia a terra che a bordo” e la “proposta di agevolazioni fiscali per aziende che utilizzano l’LNG come combustibile ed aiutino lo Stato Italiano a rientrare nei parametri imposti dal Protocollo di Kyoto sulle emissioni inquinanti”.
Mentre a Messina si è consolidato un fronte comune tra centri di ricerca, università, aziende, politici e complesso militare industriale a favore di una location LNG nel megaporto di Tremestieri con annessa piattaforma logistica, nell’area siracusana un ventilato progetto del tutto simile strutturalmente ha visto l’opposizione degli ambientalisti e di alcuni importati esperti e docenti universitari. In una lettera aperta alle autorità, il prof.   Luigi Solarino, già docente di Chimica industriale all’Università di Catania, e presidente di “Decontaminazione Sicilia”, stigmatizzando il progetto di realizzazione nella rada di Augusta di un “serbatoio per lo stoccaggio di 10.000 m3 di GNL”, ha rilevato la pericolosità di questi impianti e dei processi che vi si realizzano. “Quando la temperatura del GNL aumenta, esso comincia a cambiare di stato diventando gas, cioè si verifica la cosiddetta rigassificazione”, ha spiegato il prof. Solarino. “Il GLN, trasformandosi in gas, incrementa il suo volume di ben 600 volte, cioè 1 metro cubo di GNL diventa 600 metri cubi di gas metano. Nel caso di accidentale perdita di GNL, la nube di gas che si formerebbe sarebbe freddissima e fluttuerebbe nell’aria a bassissima quota (perché risulta molto più pesante dell’aria circostante); essa, trasportata dai venti, allorché si miscela con aria nel rapporto fra il 5 e il 15% diventa facilmente infiammabile, per cui basta una scintilla per farla deflagrare”. 
Ma agli abitanti della zona sud di Messina, qualcuno lo ha spiegato mai cosa potrebbe accadere con l’Hub LNG di Franza, Matacena, Blandina & C?

Processo Beta e la mafia urbanistica. L’ingegnere che non vede e l’obolo del 3%

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Decine di immobili da destinare alle famiglie che popolano le baraccopoli di Messina sud; alloggi di edilizia popolare e residenziale nelle aree più ambite ma geologicamente fragilissime di Torrente Trapani e San Licandro; un maxiparcheggio e l’ennesimo centro commerciale in pieno centro città; finanche il progetto per il nuovo Palazzo di giustizia. Sono alcuni degli affari speculativi che la famiglia di mafia Romeo-Santapaola sperava di portare a termine a Messina anche grazie gli uffici di un sin troppo compiacente funzionario del dipartimento di Urbanistica del Comune e di qualche suo più stretto collaboratore e sodale. E’ quanto emerso l’8 gennaio all’udienza del processo antimafia Beta durante il lungo esame del neocollaboratore di giustizia Biagio Grasso, il costruttore originario di Milazzo già partner economico e imprenditoriale di punta del clan peloritano organico alla potente organizzazione criminale dei Santapaola di Catania.
A specifica domanda del pubblico ministero Liliana Todaro, Biagio Grasso si è soffermato inizialmente sulla vicenda relativa al bando di gara per l’acquisto da parte dell’Amministrazione comunale di Messina di 64 alloggi a Fondo Fucile, da destinare all’assegnazione in locazione definitiva ai fini del programma di sbaraccamento di Fondo Fucile. “In quel momento, il bando di acquisto del Comune lo seguimmo io, Vincenzo Romeo e Carlo Borella, quest’ultimo poi estromesso dall’operazione, fermo restando che per l’acquisto dei 64 alloggi la parte legale l’ha curata l’avvocato Andrea Lo Castro, non entrando realmente in quota parte ma avendo promesso un appartamento di cui ci dovrebbe essere anche un compromesso a nome suo nei miei atti, che poi non si è concretizzato perché sono arrivati gli arresti”, ha spiegato il costruttore. “L’operazione ci venne proposta a fine 2012, inizio 2013, da Italcase, società di intermediazione immobiliare facente capo a Giuseppe Giuliano e un’altra persona di cui ora non ricordo il nome. Attraverso il socio fittizio, tale Vittorio Lo Conti della R.D. Costruzioni ma socio alla pari, al 50% in quel momento e attraverso la Italcase, mi viene proposta l’acquisizione di questa operazione che sulla carta girava molto bene, in quanto terreni tutto sommato in posizione sì svantaggiata, però popolare, perché in quel momento storico era più facile vendere quel tipo di appartamenti che altri, soprattutto in un bacino molto grande come il villaggio Aldisio. In più l’operazione era interessante perché aveva una parte di edilizia ospedaliera che la vecchia proprietà, Rosario Di Stefano e Lo Conti, neanche se ne erano accorti”.
“Loro due erano i soci, li avevo conosciuti perché sono stati anche loro fornitori della Se.Gi. S.r.l. nella costruzione del primo lotto che stavo realizzando con la società Pet sempre a Torrente Trapani, quindi già sapevo da tempo che erano in società”, ha aggiunto Grasso. “Il Lo Conti ad onor del vero è stato il primo a fornirmi le informazioni alterate, perché è arrivato con tutta una serie di schemi con nominativi e somme di denaro di acconti che poi non sono assolutamente risultati veritieri perché quando abbiamo ricontrollato e chiamato le persone singolarmente, c’ha detto la realtà delle somme che aveva versato, che erano più o meno il doppio e il triplo di quello che c’avevano dichiarato. Su tutto questo ci sono le dichiarazioni già firmate e una mia denuncia pendente presso Guardia di Finanza e credo ora un procedimento aperto presso il Tribunale. In virtù di questa vicenda ci ritroviamo anche lì per una valutazione sbagliata soprattutto mia, perché mi sono fidato molto delle persone, in una situazione però complicata, perché avevamo tutte le persone nuovamente addosso come c’era successo alla Se.Gi. S.r.l.. In quel momento avevamo un rapporto con Stefano Barbera in quanto c’era in corso un’operazione finanziaria farlocca; anche lì poi abbiamo scoperto che un tale Monteiro si era già incassato 175 più 25 mila euro. Gliel’avevamo dati a Barbera nelle more per altre situazioni, eravamo fuori di 200 mila euro e il Barbera si sentiva in colpa anche perché il Romeo l’aveva cominciato a pressare in maniera abbastanza pesante già in quel periodo. Il Barbera, sia per guadagnare qualche cosa, sia per rimettersi in bonis negli occhi nostri, ci disse: Guarda, c’è la possibilità, ci sarà un bando a breve per l’acquisizione di alloggi da parte del Comune di Messina, io ho un carissimo amico mio con cui ho fatto già diverse operazioni, lo conosce pure Monteiro, è persona di riferimento al Comune e si chiama ingegnere Raffaele Cucinotta, che comunque noi sapevamo che era a capo dell’Ufficio urbanistica, quindi chiaramente persona seria e di peso all’interno del Comune. Allora abbiamo deciso di incontrarlo. Effettivamente quasi immediatamente dopo, il bando è stato pubblicato con caratteristiche tutto sommato idonee alla nostra posizione e alla nostra tipologia di alloggi, ma per quanto riguarda noi con due grosse criticità: la prima molto importante, era che l’edificio sempre per un errore clamoroso della vecchia proprietà ricadeva per una porzione in un terreno dove eravamo comproprietari con altre tre persone, quindi nascevano complicanze del tipo che la concessone edilizia era stata rilasciata alla R.D. Costruzioni ma in realtà per quella parte eravamo senza concessione e fuori dalla possibilità di fare trasferimenti degli immobili. Il terreno su cui era stata edificata porzione dell’edificio non ricadeva cioè nella stessa proprietà del titolare della concessione edilizia. Avevamo un ulteriore problema per i tempi di consegna perché eravamo molto in ritardo. Il bando è stato improvviso, lo abbiamo saputo qualche settimana prima che uscisse da Barbera e da Cucinotta e quindi eravamo realmente un po’ in difficoltà per il completamento. Qui nascono i rapporti che porteranno poi all’aggiudicazione parziale del bando e il contatto attraverso Salvatore Boninelli presentatoci da Michele Spina e quindi entra in gioco le Costruzioni dello Stretto che dovevano venire in soccorso nostro per il completamento dell’edificio nei termini e nei modi che il bando aveva previsto”.
L’occhio che non vede dell’ingegnere dell’Urbanistica
“Io il Barbera lo conosco presso il bar Venuti in occasione dell’evento con Monteiro; in principio non sapevo neanche chi era e credo neanche lui sapeva chi ero io”, ricorda Biagio Grasso. “In virtù delle problematiche che erano nate col contratto di Monteiro che non era riuscito ad onorare, il Barbera ci dà l’aggancio con il Cucinotta. Da questo momento in poi con Cucinotta ci parlo io e nasce un rapporto a 360 gradi. Chiaramente il Barbera era sempre presente e persona che sapeva tutti i passaggi. Per non dare incarichi direttamente all’ingegnere Cucinotta, ci sono stati poi degli incarichi forse non formalizzati, degli atti con tale ingegnere Polizzi che è una persona che Cucinotta utilizzava per fare dei lavori che erano incompatibili col ruolo che lui in quel momento stava avendo nel Comune di Messina. Il Barbera aveva indicato chiaramente all’ingegnere Cucinotta chi era Vincenzo Romeo, anche perché il Barbera aveva rapporti con il Romeo da anni, cioè lo conosceva da molto prima, perché lui lavorava con delle forniture per ristoranti e bar, i Romeo hanno avuto sempre bar e quindi lo ha sempre coadiuvato in questo. Con Vincenzo Romeo il Cucinotta si è incontrato qualche volta principalmente sempre per questioni di tutela di tutti per evitare che lo associassero a rapporti con il Romeo stesso. Chiaramente era il segreto di Pulcinella perché si sapeva che io ero in società con Enzo Romeo, ormai era di dominio pubblico, quindi chi parlava con me stava parlando con Vincenzo Romeo. E  Cucinotta sapeva che Vincenzo Romeo era in società con me, anche perché il Barbera, per garantire poi tutta una serie di accordi e impegni, diceva: Biagio Grasso è socio con Vincenzo Romeo, quindi se piglia un impegno deve mantenerlo per forza, ecco questi, diciamo, sono stati i primi approcci. Con Cucinotta si è parlato immediatamente su quali erano le problematiche che c’erano in quel momento, quindi il discorso dell’edificio e quella relativa alla proprietà della particella, il discorso del cantiere che era indietro... Nei requisiti principali c’era poi che tu dovevi fare gli atti entro un determinato tempo, ora non ricordo esattamente qual erano le prescrizioni del bando, ma erano molto ristrette, perché se no si rischiava di perdere il finanziamento regionale e quindi se non potevi fare i trasferimenti il bando veniva invalidato. Dovevi dichiarare che eri nelle condizioni di mantenere ciò che il bando in quel momento prescriveva. Cucinotta comunque non occupava un ruolo in ambito di edilizia sociale; in quel momento era gestito dall’architetto Canale con cui lui mi ha creato un appuntamento in cui c’ho parlato io. Mentre per le verifiche tecniche di fattibilità delle richieste che erano state presentate c’era l’architetto Parlato che era il demandato per queste verifiche, ragion per cui lui già fece un passaggio con Parlato, gli disse cioè che erano degli amici suoi con cui aveva dei rapporti e quindi di poter fare in modo di ovviare alle problematiche di cui ho accennato prima. Lui gli spiegò quali erano le problematiche presenti, altrimenti noi non potevamo presentare neanche l’offerta perché rischiavamo di essere passibili anche di dichiarazioni mendaci. Quindi era obbligatorio avere la copertura di dire guardate che c’è il problema, però ci dovete dare la garanzia che non sorgono complicazioni, cercheremo di risolvere il problema nel momento in cui dovremo essere pronti per il trasferimento… Infatti contestualmente è stata fatta la cessione delle quote da R.D. Costruzioni che ha creato l’azienda Il Parco delle Felci, il 100% del quale è stato acquistato da XP che a sua volta lo vende alla Costruzioni dello Stretto... Così Parco delle Felci risulta aggiudicataria nei confronti del Comune con titolarità le Costruzioni dello Stretto, che a sua volta avevano dei patti parasociali dove erano regolamentate tutte le vicende in riferimento al bando e dove io e Enzo Romeo rimanevamo al 180% e le Costruzioni dello Stretto rimanevano al 50% delle operazioni”.
Consulenze, favori e quella mancia del 3%
I contatti tra il gruppo Grasso-Romeo e il professionista in forza all’Ufficio Urbanistica del Comune di Messina non si sarebbero però limitati alla mera compravendita degli alloggi di Fondo Fucile. “Nelle more mettiamo a conoscenza Raffaele Cucinotta di altri progetti importanti che volevamo portare avanti in città, tra cui l’acquisizione del terreno che c’è di fronte a Sanfilippo in Via La Farina perché si pensava insieme all’architetto La Spina di fare un progetto che potesse prevedere dei parcheggi e una proposta per il Palazzo di giustizia; lo sviluppo di un grosso centro commerciale in zona ex Sanderson dove ha avuto un ruolo anche Turi Boninelli perché è un’area che era proprietà dell’Ente sviluppo agricolo dove Boninelli era un consulente esterno della Regione Sicilia”, ha raccontato Grasso all’udienza dell’8 gennaio. “Lui ha verificato per conto nostro la fattibilità di un progetto, se non ricordo male in Via Cesare Battisti dove c’era tale Sobbrio come riferimento e noi dovevamo acquistare queste quote... Insomma si è messo a disposizione nostra per darci tutte le conseguenze adeguate, per dire Sì, questo è fattibile, questo non è fattibile, questo può avere problemi, questo non può avere problemi… In virtù di tutte queste informazioni e di queste consulenze per ogni operazione c’erano degli accordi, in percentuale a quello che potevano essere i guadagni o meno dell’operazione, che potevano essere dati o in dazione di denaro a operazioni chiuse o in consulenze da verificare di volta in volta. Come favori sono stati assunti due parenti di Raffaele Cucinotta proprio in questo periodo; uno credo era il compagno della figlia e l’altro era la sorella del compagno della figlia. Uno ha lavorato come segretaria presso l’ufficio in Viale Boccetta e l’altro è stato dipendente presso ilcantiere. Più piccole somme di denaro che gli sono arrivate nell’ordine di poche centinaia di euro, una volta in mia presenza e di Enzo Romeo sotto casa sua e altre volte che sono transitate attraverso Stefano Barbera. In relazione alla vicenda di Fondo Fucile, sono stati elargiti a Cucinotta non ricordo se 150 o 300 euro proprio nella stradina all’ingresso di dove abita, zona Messina centro”.
“Per tutte le vicende che Raffaele Cucinotta ha gestito d’accordo anche con Stefano Barbera che fungeva da trade union per conto suo anche su altre operazioni di cui non eravamo noi i direttamente interessati, veniva stabilita una percentuale che si era discusso essere intorno al 2-3% sul valore d’aggiudicazione”, ha ribadito Grasso. “L’impegno che lui assumeva era dal punto di vista soprattutto urbanistico, fare in modo di poter risolvere se c’erano delle problematiche… Per esempio, l’edificio in Via Cesare Battisti aveva delle problematiche dal punto di vista di zonificazione e se lui riteneva che in qualche maniera poteva sistemare, la forza di contratto che la mia società assumeva nei confronti dell’interlocutore diventava importantissima, perché il concetto è che se vado a parlare con uno che ha un’operazione bella ma bloccata al Comune, io gli dico: Okay, mi compro il 50% perché la sblocco, se vale 100 te ne do 25, perché in ogni caso per te in questo momento vale zero. L’accordo che abbiamo fatto con l’ingegnere Cucinotta era che le operazioni in ogni caso venivano valutate; se c’erano i presupposti per risolvere il problema, lui ci diceva: Accettateli,  perché io posso risolvere il problema… Chiaramente se era un’operazione da non fare, tipo appunto quella con Sobbrio, non l’abbiamo fatta perché lui ha ritenuto che il problema non riusciva a risolverlo in quel momento, poi non so se è andata in maniera diversa. Faccio pure l’esempio della ex Sanderson dove c’era un programma di riqualificazione urbana e dove non potevi non avere il supporto dell’Urbanistica altrimenti il progetto neanche è presentabile. Un altro esempio eclatante, nel momento in cui sapevamo che gli alloggi a Torrente Trapani c’erano stati sequestrati da parte della Procura, sia noi che l’imprenditore Pettina avevamo deciso di non costruire più a Torrente Trapani e quindi Vincenzo Romeo attraverso un suo familiare di Acireale ha messo a disposizione un terreno che si trova in Via Salandra, dietro i depositi di Messinambiente, nell’ex fabbrica del ghiaccio, dove Cucinotta ma anche l’architetto La Spina che in quel momento collaborava con noi stavano studiando un progetto per fare il trasferimento della cubatura addirittura presso l’area in Via La Farina dove pensavamo di fare la proposta per la costruzione del Palazzo di giustizia. Nel momento in cui hai un riferimento così importante, sai a priori se l’operazione è fattibile o meno e puoi spenderti in maniera molto più ampia nei confronti di altri interlocutori. Faccio un altro esempio: noi abbiamo fatto un incontro a Catania con Bosco dove gli abbiamo proposto di entrare in società attraverso l’architetto La Spina per l’operazione del Palazzo di giustizia e di un parcheggio multipiano sempre in quell’area vicino Via La Farina, garantendogli che al Comune di Messina avevamo noi la chiave per non darci nessun tipo di problema. E questa chiave consisteva principalmente nel dirigente dell’Urbanistica che è quello che alla fine in questa tipologia di programmi costruttivi ha un peso di incipit fondamentale. Chiaramente poi ci sono tutta un’altra serie di adempimenti che possono passare al Consiglio comunale, ad altre commissioni, però se già parti con il dirigente capo che ti dà un parere positivo o ti dà le indicazioni adeguate per presentare il progetto… E’ anche vero che fino ad un certo punto è il lavoro che lui deve fare, però dall’altra parte è chiaro che non ci possono essere compensi alternativi, mentre con lui c’era un accordo attraverso Barbera di un 3% sull’importo del lavoro”.
“Alle riunioni a cui ho partecipato io, Barbera, Cucinotta e Vincenzo Romeo si parlava di tutti gli affari che c’erano in essere in quel momento, quindi gli alloggi, Torrente Trapani, lo spostamento della cubatura, la proposta per il Palazzo di giustizia, la Torre Sobbrio, la cooperativa e diverse altre operazioni che volevamo proporre; il rapporto era costante e continuo, cioè tutti i giorni”, ha aggiunto il costruttore mamertino. “Barbera e Cucinotta fungevano la stessa persona, cioè il famoso 3% doveva essere diviso fra i due. Sull’esito della procedura che stava andando avanti al Comune, Barbera informava costantemente sia me ma soprattutto Vincenzo Romeo (…) In precedenza, per quanto riguarda le concessioni edilizie che avevamo in essere soprattutto a Torrente Trapani dove c’erano alcune scadute da tempo, già Pettina mi aveva detto di avere lui un rapporto direttamente con Cucinotta che in qualche misura faceva in modo di evitare controlli specifici. Anche se non erano di sua competenza, in qualche misura faceva in modo di evitare però che gli uffici competenti potessero verificare che i ratei delle concessioni erano scaduti e quindi la revoca potesse scattare in qualsiasi momento. Oggi a Torrente Trapani non so se ancora c’è il sequestro o meno, ma all’epoca del mio arresto le concessioni non erano assolutamente in regola, né da parte mia né da parte dei Pettina, eppure passibili di revoca immediata perché erano scadute le fideiussioni. C’erano quattro - cinque ratei indietro, eppure anche lì abbiamo avuto un aiuto da parte del Cucinotta dove teneva la situazione sotto controllo. La stessa R.D. Costruzioni al momento dell’aggiudicazione aveva due ratei indietro, mi sembra di 50 mila euro ognuno, di cui loro erano a conoscenza e che in teoria dovevano verificare. Ecco, anche da questo punto di vista ci dava una copertura…”.
Jolly, frodi e buchi nell’acqua
All’udienza del processo Beta, il Pm Liliana Todaro ha chiesto al collaboratore Biagio Grasso di chiarire se relativamente alla fase antecedente all’aggiudicazione del bando di gara per l’assegnazione degli alloggi di Fondo Fucile, lo stesso Grasso o appartenenti alla famiglia Romeo avessero avuto dei contatti anche con altri funzionari comunali oltre che con il Cucinotta. “Per questa vicenda io ho conosciuto e ho parlato con altri due funzionari e un politico”, ha risposto il costruttore. “Il politico è l’architetto Sergio De Cola che comunque è completamente fuori da queste vicende, non sapeva né l’esistenza di Enzo Romeo né tantomeno chi poteva essere. Sono stato presentato da Raffaele Cucinotta come imprenditore e quindi che poteva proporre anche dei progetti sul Comune di Messina. Ho avuto uno o due incontri in merito a questa vicenda; non siamo entrati poi in altri particolari. Con l’architetto Canale idem, ci ha detto che se c’erano tutti quanti i requisiti non aveva nessun problema a procedere all’aggiudicazione e né tanto meno sono state riferite le problematiche importanti che potevano essere oggetto di esclusione. Per quanto riguarda invece l’architetto Parlato che comunque era la persona predisposta a fare i controlli, nel momento in cui Raffaele Cucinotta espone questa problematica e dice: Okay, sì, ma io in ogni caso non sono chi fa le verifiche, in qualche maniera dobbiamo parlare con chi le fa, io posso parlare ma è meglio che… pure voi; nel momento in cui Enzo Romeo dice: Senti, l’architetto Parlato, gli dice Raffaele Cucinotta Apposto, me la vedo io perché mio padre lo conosce, ha un rapporto diretto per questioni pregresse. Al che io gli domando a cosa riferisce e lui mi dice che Francesco Romeo, padre di Vincenzo Romeo, gli ha risolto un problema di estorsioni presso un’attività di ricezione che lui o il figlio, non ricordo chi, hanno in una località vicino Catania. Francesco Romeo era intervenuto per dipanare la vicenda, quindi aveva, diciamo, un jolly da recuperare. Poi realmente Enzo Romeo parla con il padre e quest’ultimo gli dice: No, vengo pure io a parlare con lui. Quindi siamo andati direttamente con la mia auto presso l’Ufficio urbanistica, io, Vincenzo Romeo e Francesco Romeo. Il Parlato ci ha ricevuto e ci ha garantito che faceva in modo di sorvolare su quelle problematiche che erano riferite in quel momento al terreno, chiaramente garantendogli noi di sistemare il tutto prima del trasferimento degli appartamenti. Riguardo al ritardo sui lavori faceva in modo di cercare di venire a proporre una piccola proroga, cosa che poi realmente c’è stata, anche se non è stata una proroga molto lunga, un mese o poco più. Quello però che ci aveva promesso lo ha mantenuto. Noi avevamo chiesto sei mesi, però lui ha detto che non era nelle condizioni di poter forzare fino a quel punto”.
“Nel corso di quell’incontro col Parlato, l’oggetto della conversazione è stato il problema della particella che non ricadeva totalmente sulla nostra proprietà, perché nel momento in cui lui veniva a fare i controlli, la prima cosa era verificare se lo stato d’avanzamento lavori poteva essere al punto tale da rispettare la consegna e, secondo, i documenti di proprietà che sono i primi che qualsiasi tecnico va ad analizzare”. aggiunge Grasso. “La prescrizione fondamentale è che dovevi essere titolare al 100% dell’area; anche se hai una piccola particella come nel nostro caso di un metro quadrato su un milione di metri quadrati hai delle difficoltà, non sei totalmente proprietario dell’area. Quella era quindi una delle criticità importanti per cui eravamo esclusi già in partenza. Senza la garanzia dell’ingegnere Cucinotta e dell’ingegnere Parlato di fare in modo di non accertare e fare emergere questa problematica noi non presentavamo neanche l’offerta, perché significava fare un buco nell’acqua. L’edificio doveva avere delle trasformazioni importanti, cioè c’erano delle mansarde vendute precedentemente in frode da Di Stefano che dovevamo rinunciare a fare. C’era tutta una serie di ulteriori adempimenti di metrature, balconi che non facevamo più, cioè l’edificio doveva essere stravolto, quindi se non avevamo la garanzia di essere aggiudicatari o per lo meno di non essere esclusi, non procedevamo a fare quella serie di modifiche che sono state poi eseguite e fatte. Senza il passaggio di Cucinotta: Okay, io parlo con Parlato ma in ogni caso dobbiamo avere la sicurezza assoluta, e poi Romeo che mi dice: Con Parlato ci parlo io perché abbiamo un jolly da recuperare, non partecipavamo al bando. Dirò di più. Le Costruzioni dello Stretto, nella persona principalmente di Carmelo Laudani che già aveva avuto rapporti col Comune di Messina con una società precedentemente sua per lavori di impianti elettrici, in nostra presenza ha parlato direttamente con Cucinotta, non ricordo se presso il mio ufficio o magari nel bar che c’è di fronte all’Urbanistica, perché essendo anche lui un esperto da anni in campo dei lavori pubblici si è posto il problema: se non ho la garanzia, non mi proponete l’operazione perché non me la prendo. Quindi creiamo l’incontro e Cucinotta garantisce; considerato che già si era parlato con Parlato e non ci sono problemi per l’aggiudicazione, Laudani si convince e convince l’altra parte, Galvagno e lo zio di Galvagno, a fare l’operazione e a metterci i soldi”.
“In uno degli affari che dovevamo portare avanti con Cucinotta c’è stata la proposta di poter avere il contratto di appalto per la costruzione di X ville, non ricordo quante erano, in località San Licandro, più o meno all’altezza dei campi di calcio dell’ex giocatore del Messina, a condizione però che risolvevamo un problema con un personaggio, tale Minisola o qualcosa del genere, un soggetto che faceva dei lavori principalmente con la Curia e che aveva creato delle problematiche alla cooperativa. Avevano un contenzioso sui Sal e sugli avanzamenti, e il Presidente della cooperativa che era tale Maugeri, all’epoca direttore della Banca Popolare di Lodi filiale di Ganzirri, aveva questo contenzioso e quindi gli aveva bloccato i lavori. La condizione era: risolvi il problema con Minisola e vi diamo l’aggiudicazione dei lavori. E qui intervenne Enzo Romeo su richiesta di Raffaele Cucinotta. Andammo col suo motorino a contattare il capo cantiere di questo Minisola, che stava costruendo una chiesa, in località Gravitelli se non erro. Un soggetto che conosceva bene Enzo Romeo organizzò immediatamente un incontro presso il Bar Sport di Via Santa Cecilia dove abbiamo partecipato io, Enzo Romeo e tale Minisola. Questo capocantiere poi si allontanò, il Minisola disse che era disponibile a divenire ad un accordo, riferendoci però che i problemi principali non erano tanto sui Sal ma sulle somme che lui doveva riconoscere principalmente a questo Presidente della cooperativa e che non era intenzionato a riconoscere, cosa che abbiamo preso un po’ alla leggera e che invece poi risultò reale ed è stato uno dei punti per cui non siamo andati avanti con il contratto. Maugeri venne presso i miei uffici, ha fatto un ragionamento dove c’ha fatto capire che voleva delle somme importanti, al che noi abbiamo deciso di non metterci in ulteriori problematiche di questo genere. Il Cucinotta era uno dei soci attraverso la moglie, aveva versato già delle quote e se avessimo avuto noi l’appalto per la costruzione, gli avevamo detto che ci sarebbe stato sicuramente un occhio di riguardo in merito alla costruzione della sua casa. L’ingegnere Cucinotta si interessò anche di altre pratiche edilizie. Si è interessato anche per la concessione edilizia che era ormai super scaduta per gli appartamenti a Santa Margherita con la titolarità di Edil Raciti, che comunque eravamo sempre noi e in più abbiamo fatto un incontro presso il mio ufficio con Massimo Galli, soprannome Ricchina da orecchino in siciliano, fratello dell’altro Galli che era boss. C’era un contenzioso col Comune, più che un contenzioso qualcosa da sistemare in merito ad una pratica della sua compagna pro tempore, una sanatoria... E quindi Di Stefano con cui ancora non eravamo totalmente in rottura disse a Vincenzo Romeo che voleva organizzare un incontro per sistemare questa vicenda. Di Stefano e Galli si chiamavano compari, però non credo che realmente c’erano questioni di comparato, ma nel momento in cui l’abbiamo conosciuto noi, era guardaspalle di Di Stefano. Nelle vicende che poi ci portarono agli scontri abbastanza violenti per le somme che abbiamo scoperto che avevano ricevuto e che c’hanno nascosto, Di Stefano si è presentato con Massimo Galli e ragion per cui a quel punto Enzo Romeo ha deciso di scendere in prima persona a dire: Io sono socio di Grasso quindi vediamo le cose come sono, cioè è inutile che viene Galli a farti il guardaspalle perché io sono socio di cassa ufficialmente, quindi sistemiamo le cose a questo punto…”.
Si lamentano sofferenze e volano schiaffi
“L’aggiudicazione degli alloggi di Fondo Fucile da parte del Comune è frutto di una spartizione che è stata fatta indipendentemente dalle nostre problematiche e comunque non è stata mai rilevata alcuna problematica relativa alla titolarità della particella”, spiega Biagio Grasso.“In questa vicenda Andrea Lo Castro ha avuto un ruolo prettamente di consulente, cioè nel senso di dire anche lui se non sistemate la vicenda dal punto di vista amministrativo non perdere tempo, perché tanto ci saranno ricorsi e con l’aggiudicazione della gara rischiate di modificare l’edificio e poi trovarvi con un altro totalmente diverso… Anche Lo Castro era a conoscenza che c’era il problema della proprietà della particella e dello spigolo. Indipendentemente dalle attività dove lui era socio, era il nostro legale a 360 gradi. Lo Castro era totalmente a conoscenza di tutte le problematiche che hanno portato al contenzioso fra noi e Di Stefano per ovvi motivi di difesa della XP, antecedenti proprio all’aggiudicazione definitiva del bando”.
“Successivamente all’aggiudicazione degli appartamenti sono nate delle complicanze, in quanto invece di 24 alloggi siamo stati aggiudicatari da parte dell’amministrazione comunale di 14 e quindi a quel punto l’operazione non risultava più conveniente in quanto andavamo a mettere 14 alloggi popolari su 64; rischiavamo di compromettere tutte le altre vendite e congiuntamente alle Costruzioni dello Stretto si è decisi di rinunciare all’appalto”, lamenta il costruttore. “Gli altri alloggi, credo due o tre, sono stati aggiudicati a Salvatore Siracusano. Altri sei o sette sono stati aggiudicati invece a un’impresa vicina ai Santapaola. Un’impresa riferibile a Santino D’Angelo. Enzo Romeo mi aveva detto che questa impresa aggiudicataria era vicina a suo cugino Pietro, persona che comunque non ho mai conosciuto né tanto meno saprei riconoscere in foto. Di questo ho avuto conoscenza chiaramente dall’aggiudicazione pubblica del bando e poi perché Enzo Romeo non fece più di tanto pressioni sull’architetto Parlato o su altri sul fatto che non si erano mantenuti gli impegni, dicendomi pure che quella era un’azienda vicina a suo cugino, anche se ha aggiunto che con suo cugino non aveva rapporti d’affari.In questa operazione di Fondo Fucile, i Romeo hanno investito principalmente somme che come mi disse diverse volte Vincenzo Romeo provenivano dalle attività di gioco e di macchinette che avevano sul territorio.Nel corso della costruzione di questi immobili, Enzo Romeo aveva deciso però di non finanziare più l’operazione, dicendo che aveva finito il suo budget e quindi era in grosse difficoltà e già mi additava tutta una serie di responsabilità in merito alla valutazione sbagliata e a dei problemi che avevo avuto su Milano. Non ero riuscito più ad avere la forza economica che avevo nel 2011 e che poi lo ha spinto a fare affari con me… Quindi in due - tre anni la situazione precipitò, ragion per cui siamo entrati in sofferenza reale, indietro con i fornitori, i lavori rallentavano, tutta una serie di vicende come ad esempio la fornitura di materiale di edilizia di una azienda di Spadafora il cui titolare successivamente risultò anche in qualche misura mezzo parente dei Romeo, credo attraverso il cugino di Enzo Romeo, Antonio Romeo. Questo fornitore, tale Christian Alessi, arrivò a noi attraverso Schillaci che ha una rivendita di materiali edili in Viale Europa, perché ci forniva lui… Quando poi portò il primo carico, praticamente si accorse che c’era Enzo Romeo in società con me, al che gli dicemmo di fornirci direttamente, di non passare più attraverso Schillaci per risparmiare qualcosa. Eravamo in ritardo e per tutta una serie di situazioni era conveniente che ci fornisse lui. Le prime forniture sono state pagate regolari, dopodiché no, soprattutto per il fatto che con le mie problematiche di Roma e le interdittive antimafia non riuscivo più ad avere nessun tipo di finanziamento. Pertanto non avevamo più né finanziamenti bancari, né italiani, né altre possibilità all’estero e tantomeno Enzo Romeo ha voluto investire più un centesimo. Siamo andati in crisi di liquidità con dei problemi abbastanza seri, tra cui appunto le forniture. Dopodiché siamo andati anche in sofferenza con Alessi che sospese le forniture. Al che chiamai Vincenzo Romeo dicendogli di intervenire in qualche maniera per farci avere qualche altra fornitura e cercare di avere degli avanzamenti lavori dai promissari acquirenti e avere un po' di liquidità. Fu fissato un incontro da Antonio Romeo in zona Papardo. A quell’incontro ero presente. Con la mia macchina sono passato a prendere in Viale Europa Vincenzo Romeo e siamo andati in questa località zona nord, ad incontrare appunto Christian Alessi.Lui era lì con la famiglia presso una struttura ricettiva. Mi ricordo che era domenica e Vincenzo Romeo gli disse che avevamo necessità di fare le forniture. Alessi si lamentava asserendo che non aveva avuto buone informazioni, che eravamo in grosse difficoltà e che comunque non si sentiva più di fornire perché aveva avuto discussioni col padre. Aveva avuto in quel momento ulteriori somme perse su Catania per 100 mila euro, insomma non era convinto di continuare … Al che Vincenzo Romeo gli disse: Guarda, lascia stare Grasso, mandami le forniture che garantisco io, quello che mandi alla scadenza te lo pago. A principio Alessi non ha ceduto: Mi dispiace Enzo, con tutto il rispetto che ho per te però io materiale alla XP non ne mando. Enzo Romeo ha insistito e in pochissimi minuti la discussione diventò accesa e così ha schiaffeggiato Alessi in maniera abbastanza violenta, minacciandolo che se all’indomani non avesse mantenuto l’impegno di fornirci il materiale, gli avrebbe bruciato tutti i mezzi, tutto quello che era di sua proprietà. Scosso visibilmente soprattutto per i ceffoni e per le minacce, all’indomani Alessi ha fornito di nuovo la XP. Dopo l’evento Romeo richiamò il cugino Antonio Romeo riferendogli dell’accaduto, avvertendolo di avvisare anche lui Christian che se non avesse mantenuto l’impegno, gli avrebbe bruciato tutto…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 25 gennaio 2019, http://www.stampalibera.it/2019/01/25/processo-beta-biagio-grasso-racconta-lingegnere-che-non-vede-la-mancia-del-3-e-gli-schiaffi-al-fornitore/

Quelle amnesie su Mafia e nuovo Palagiustizia di Messina

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Una querelle sgradevolmente violenta e per certi versi sterile quella scoppiata in questi giorni a Messina sull’area da destinare ad ospitare il nuovo Palazzo di giustizia. Da una parte il sindaco Cateno De Luca che rispolvera l’idea di localizzare l’opera nell’abortito parcheggio comunale di via La Farina e si erge a paladino della battaglia contro “lobby e certi poteri forti”; dall’altra la vecchia amministrazione guidata da Renato Accorinti (portavoce l’ex assessore all’Urbanistica Sergio De Cola) che difende a spada tratta il protocollo d’intesa sottoscritto con il Governo nel 2017 per insediare il nuovo Palagiustizia presso  l’ospedale militare di Viale Europa, unica ipotesi credibile e sostenibile partorita negli ultimi 25 anni dopo le mobilitazioni popolari che impedirono la distruzione dello storico complesso scolastico “Cannizzaro-Galatti” per far posto a un brutto palazzaccio bis collegato con un ponte al “vecchio” Tribunale di Messina. Comune denominatore tra i due litiganti però lo stato di totale amnesia sugli interessi criminali e mafiosi che qualche anno fa si sarebbero aggregati e sviluppati per perorare la realizzazione del progetto del nuovo Palazzo di giustizia proprio in via La Farina.
Di quanto sopra ne ha parlato nel corso di alcune recenti udienze processali il costruttore Biagio Grasso, neocollaboratore di giustizia e personaggio chiave della nota inchiesta antimafia “Beta” sugli interessi economici e finanziari, legali e illegali, del clan peloritano dei Romeo, parenti stretti e soci della più nota “famiglia” dei Santapaola-Ercolano da Catania. “Io avevo un ruolo importante a tutti gli effetti ancor di più con i clan Romeo e Santapaola, dovuto all’amicizia e al rapporto strettissimo di investimenti che abbiamo fatto con Enzo Romeo”, ha dichiarato Biagio Grasso nel corso dell’udienza “Beta” del 30 novembre 2018.  “Lui mi ha messo in contatto con personaggi di calibro appunto come Vincenzo Ercolano, persona che comunque non incontrava nessuno se non era assolutamente garantita da uno di sangue e di famiglia. Personaggi come Roberto Vacante che è entrato in merito a tutta una serie di rapporti che si dovevano creare con aziende del catanese per lavori importanti che c’erano, come Tecnis, in Piemonte e altre attività che si dovevano sviluppare sul territorio messinese e quindi la costruzione dei parcheggi e la proposta per fare il Palazzo di giustizia a Messina in alcune aree vicino al La Farina…”.
Ancora più dettagliata l’esposizione del collaboratore nel corso dell’udienza dell’8 gennaio scorso, ancora una volta al processo “Beta”. “Nelle more mettiamo a conoscenza l’ingegnere Raffaele Cucinotta del Comune di Messina di altri progetti importanti che volevamo portare avanti in città, tra cui l’acquisizione del terreno che c’è di fronte a Sanfilippo in Via La Farina perché si pensava insieme all’architetto La Spina di fare un progetto che potesse prevedere dei parcheggi e una proposta per il Palazzo di giustizia”, ha spiegato Grasso. “Vincenzo Romeo attraverso un suo familiare di Acireale ha messo a disposizione un terreno che si trova in Via Salandra, dietro i depositi di Messinambiente, nell’ex fabbrica del ghiaccio, dove Cucinotta ma anche l’architetto La Spina che in quel momento collaborava con noi stavano studiando un progetto per fare il trasferimento della cubatura addirittura presso l’area in Via La Farina dove pensavamo di fare la proposta per la costruzione del Palazzo di giustizia”.
Grasso ha ricostruito quanto accaduto nella primavera-estate 2014, quando per conto del gruppo criminale dei Romeo avrebbe avviato una trattativa pro-Palagiustizia con il noto imprenditore etneo Concetto Bosco, contitolare della grande società di costruzione Tecnis e con l’architetto messinese Pasquale La Spina, già progettista di complessi residenziali, centri commerciali, porti e porticcioli, ecc.. “Faccio un altro esempio: noi abbiamo fatto un incontro a Catania con Bosco dove gli abbiamo proposto di entrare in società attraverso l’architetto La Spina per l’operazione del Palazzo di giustizia e di un parcheggio multipiano sempre in quell’area vicino Via La Farina, garantendogli che al Comune di Messina avevamo noi la chiave per non darci nessun tipo di problema”, ha spiegato Biagio Grasso. “E questa chiave consisteva principalmente nel dirigente dell’Urbanistica che è quello che alla fine in questa tipologia di programmi costruttivi ha un peso di incipit fondamentale”.
Per i disattenti amministratori comunali, vecchi e odierni, va segnalato che l’interesse di Grasso e dei Romeo per il nuovo Palazzo di giustizia era già stato analizzato e stigmatizzato dagli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia nell’ordinanza di custodia cautelare “Beta” emessa nell’estate di due anni e mezzo fa nei confronti dei presunti affiliati al gruppo criminale e dei professionisti fiancheggiatori.  “Il 25 giugno 2014, il costruttore Grasso si rendeva disponibile ad accompagnare il La Spina in visita a Catania alla sede della società di costruzioni Tecnis Spa del gruppo Costanzo-Bosco, successivamente sottoposta a procedimento di sequestro dei beni e del capitale azionario perché sospettata di essere stata oggetto d’infiltrazione da parte del clan Santapaola”, riportano i giudici. Il giorno successivo Biagio Grasso s’incontrava con Vincenzo Romeo presso l’ufficio di Viale Boccetta e riferiva a quest’ultimo in tono adirato che il motivo del viaggio a Catania insieme al La Spina, indicato nell’occasione col nome soprannome di Boccone, era da ricondurre all’interesse dello stesso architetto di far entrare la Tecnis in “un’altra speculazione edilizia che anche gli indagati stavano cercando di realizzare”, afferente alla realizzazione di un centro commerciale in Via La Farina. “Vi era la sensazione da parte degli interlocutori, quindi, che lo stesso soggetto stesse cercando di estrometterli e di approfittare del loro rapporto privilegiato con il Comune di Messina anche in ragione della riferita attenzione degli organi inquirenti nei loro confronti”, scrive la Procura. “Arrivo là ieri, mi sono permesso di portare il mio amico - racconta Grasso a Romeo - che era quello che doveva portare la cubatura, cioè io parlo con l’Assessore per fare l’accordo con noi … giusto che ci dice presenta la pratica perché mi dice, mi piace il progetto e sto pezzo di fango già aveva fatto tutta l’operazione di nuovo… Bosco si è messo a disposizione (…) gli ho detto guardi che il rapporto con l’Amministrazione è nostro perché con questa cosa ci lavoriamo sei mesi poi la cubatura si è deciso di non portarla più là perché si è trovata un’altra soluzione…”. Questi inquietanti passaggi dell’Ordinanza “Beta” erano stati riportati integralmente in un lungo articolo pubblicato su Stampalibera.itil 14 luglio 2017.
Che Grasso & soci “occulti” manifestassero un particolare interesse per la trasformazione urbana di una parte di via La Farina, lo ha rilevato agli inquirenti lo stesso ex assessore Sergio De Cola. “Non conosco Biagio Grasso; ricordo di aver incontrato una persona nel periodo in cui ero assessore con delega al risanamento che si accompagnava a Raffaele Cucinotta, in occasione della pubblicazione di un bando per l’acquisto alloggi da destinare ad edilizia sociale”, ha verbalizzato De Colain qualità di persona informata sui fatti il 28 maggio 2018. “Ricordo che forse incontrai nuovamente questo soggetto, sempre per il tramite di Raffaele Cucinotta, poiché era interessato a presentare una proposta di finanza di progetto del parcheggio di via La Farina”.
Oggi tutti a scambiarsi accuse e insulti ma mai nessuno a ricordare che l’ultima “invenzione” per la localizzazione di un’opera che si attende da quasi quattro decadi, oltre che urbanisticamente ed economicamente insostenibile forse potrebbe essere anche pericolosamente criminogena.

Processo al giornalista Antonio Mazzeo, domani la sentenza

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Giovedì 7 febbraio, la 1^ Sezione Penale del Tribunale di Messina emetterà la sentenza nel procedimento che mi vede imputato per il reato di cui agli artt. 81 e 595 comma 3 (diffamazione a mezzo stampa) a seguito di una querela presentata nell’agosto 2012 dall’allora amministrazione comunale di Falcone guidata dal sindaco Santi Cirella per l’inchiesta pubblicata sul periodico I Siciliani giovani (n. 7 luglio-agosto 2012), dal titolo “Falcone comune di mafia fra Tindari e Barcellona Pozzo di Gotto”, in cui venivano descritte alcune vicende che avevano interessato la vita politica, sociale, economica ed amministrativa della piccola cittadina della costa tirrenica del messinese (speculazioni immobiliari; dissesti ambientali e paesaggistici; lavori di somma urgenza post alluvione del 2008, ecc.) nonché le origini e le dinamiche evolutive delle organizzazioni criminali presenti nel territorio, organicamente legate alle potenti cosche mafiose di Barcellona Pozzo di Gotto.
Non è questa la sede né il momento di entrare in merito su quanto accaduto in tutti questi anni e sul processo di primo grado giunto ormai alla sua conclusione. Intendo tuttavia ribadire la mia serenità per la correttezza professionale con cui è stata svolta questa inchiesta giornalistica e l’assoluta veridicità dei fatti in essa narrati, come è stato accertato e documentato da inchieste giudiziarie sulla criminalità mafiosa operante nell’hinterland di Falcone (alcune già conclusesi con sentenze passate in giudicato). In particolare i cosiddetti processi antimafia “Gotha”, un’informativa specifica della Direzione Investigativa Antimafia di Messina, tre interrogazioni parlamentari e la stessa risposta ad una di esse del Ministero dell’Interno hanno confermato l’inquietante clima che la cittadina siciliana ha vissuto alla vigilia, durante e subito dopo le elezioni amministrative del 2011, nonché i pesanti condizionamenti esercitati in quei mesi di campagna elettorale da parte di un personaggio di altissimo spessore criminale, stretto congiunto di una delle consigliere comunali elette (quest’ultima sostenitrice della Giunta), proprio quei fatti che ho raccontato nel corso dell’inchiesta giornalistica e durante lo svolgimento del processo ma che sono alla base della querela presentata nei miei confronti dall’allora sindaco e odierna parte civile, Santi Cirella.
I “condizionamenti” e il sostegno elettorale del boss locale, oggi condannato all’ergastolo con sentenza passata in giudicato per gravissimi reati di sangue e per associazione mafiosa, sono tra gli elementi che hanno convinto la Corte di Appello del Tribunale di Messina a emettere ben due sentenze di assoluzione nei confronti dei consiglieri comunali d’opposizione che per primi avevano denunciato pubblicamente la gravità del contesto socio-politico in cui si erano svolte le elezioni amministrative 2011.
Sono altresì orgoglioso di aver avuto modo di pubblicare questo mio articolo per il periodico figlio ed erede della straordinaria esperienza di giornalismo d’inchiesta rappresentata da I Siciliani. Spero, con il mio impegno e le mie denunce, di aver onorato la memoria del suo direttore, Giuseppe Fava, vittima di mafia, allora, come in tutti questi anni di “militanza” in difesa della verità e del diritto-dovere di cronaca. Colgo l’occasione per ringraziare di cuore tutte e tutti coloro che mi sono stati vicini nell’affrontare un procedimento dall’amaro sapore kafkiano, consapevoli loro di sostenere innanzitutto una battaglia in difesa del sacrosanto diritto costituzionale d’espressione, sempre più minato nel nostro paese da inesauribili rigurgiti fascisti e autoritari.
Ringrazio altresì il mio legale, l’avvocato Carmelo Picciotto del Foro di Messina, per gli sforzi sostenuti e l’alta professionalità con cui  ha operato in mia difesa nel corso di questi anni.
Messina, 6 febbraio 2019                           Antonio Mazzeo

Assolto perchè il fatto non costituisce reato

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ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON COSTITUISCE REATO

Oggi 7 febbraio 2019, la 1^ Sezione Penale del Tribunale di Messina ha emesso la sentenza nel procedimento che mi ha visto imputato per il reato di diffamazione a mezzo stampa, a seguito di una querela presentata sette anni fa, dall’allora amministrazione comunale di Falcone guidata dal sindaco Santi Cirella per l’inchiesta pubblicata su "I Siciliani giovani" nel 2012, dal titolo “Falcone comune di mafia fra Tindari e Barcellona Pozzo di Gotto”.

Il Giudice Monocratico di Messina, si legge nella sentenza, "ASSOLVE Mazzeo Antonio dal reato indicato in rubrica perché il fatto non costituisce reato“.

Grazie a tutti coloro che in questi lunghi anni mi hanno dimostrato la loro vicinanza e la loro solidarietà e ovviamente grazie al mio legale, Avv. Carmelo Picciotto, che mi ha affiancato in questa battaglia per il diritto e la libertà d’espressione.

Omissioni e Menzogne di Stato sui Global Hawk USA di Sigonella

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L’immancabile sortita quotidiana sino ai confini occidentali della Russia, sorvolando provocatoriamente Ucraina, Donbass, Mar Nero e Crimea; un blitz di tanto in tanto pure in Siria per monitorare le attività delle unità navali e dei velivoli russi; le periodiche operazioni d’intelligence a supporto dei reparti USA schierati in nord Africa. Sono queste le principali missioni di guerra dei droni Global Hawk dell’aeronautica militare degli Stati Uniti d’America che operano da più di dieci anni dalla grande stazione aeronavale di Sigonella, senza alcun controllo da parte delle autorità italiane e sempre più spesso in contrasto con gli interessi politici ed economici nazionali dichiarati e/o perseguiti. Velivoli senza pilota in grado di volare ininterrottamente per decine di ore, a grandi altezze e in ogni condizione climatica, utilizzati per spiare e mappare ogni centimetro quadrato del continente africano, del Medio oriente e dell’Europa orientale, individuando obiettivi da colpire e, se necessario, guidando i bombardieri e i droni killer nei loro strike di morte. 
L’ospitalità dei Global Hawk in Sicilia, è uno dei capitoli meno noti delle relazioni politico-militari tra Italia e Stati Uniti d’America e non c’è stato governo (di centrosinistra, centrodestra o sovranista) che non abbia fatto di tutto e di più per occultare al Parlamento e all’opinione pubblica i termini e le modalità con cui è stato autorizzato il loro dispiegamento. Presidenti del consiglio e ministri sono giunti perfino a mentire spudoratamente sugli accordi sottoscritti, omettendo ogni riferimento alle loro missioni che pure violano palesemente i principi costituzionali e comportano gravi conseguenze per la stessa sicurezza del paese.
Quella dell’installazione dei Global Hawk a Sigonella è pure una vicenda emblematica della pratica politica di tutti gli esecutivi succedutisi dal dopoguerra ad oggi. Agli italiani non far sapere cosa accade nelle basi militari in uso esclusivo delle forze armate straniere, specie se ciò potrebbe turbare l’esito elettorale, il diktat rispettato come fosse l’articolo uno della Costituzione della Repubblica italiana. E’ accaduto con gli accordi NATO di settant’anni fa, con la cessione di ampie aree di territorio alle forze armate USA (in Veneto, Friuli, Campania e Sicilia), con il dislocamento dei missili e delle testate nucleari, più recentemente con il megacomplesso Dal Molin di Vicenza, l’hub NATO di Napoli Lago Di Patria e il MUOS di Niscemi.
Più che opportuno tornare oggi a raccontare le menzogne e le omissioni di Stato sui droni-spia di Sigonella. A partire di un cable che sarebbe dovuto restare segreto ma che l’ong WikiLeaksè riuscito a recuperare negli archivi del Dipartimento della Difesa e i cui contenuti provano le manovre illegittime e depistanti dei vertici delle forze armate italiane e statunitensi. Il telegramma reca la data dell’1 aprile 2008, è classificato come 08ROME398_a confidential ed è stato inviato dall’ambasciatore USA in Italia Ronald Spogli al Comando delle forze statunitensi in Europa di Ramstein (Germania), ai consolati di Milano, Firenze e Napoli, al Comando dello Staff NATO, al National Security Council, ai Comandanti del 31° stormo cacciabombardieri dell’US Air Force di Aviano e NAS Sigonella, al Segretario di Stato e della Difesa USA, al Comando centrale delle forze armate degli Stati Uniti d’America e a quello della Sesta Flotta di stanza a Napoli. “Global Hawk: l’Italia approva l’installazione a Sigonella. Si raccomanda di ringraziare l’Italia al Summit NATO di Bucarest”, la sintesi (imprecisa) del testo in oggetto. “Lo staff generale della Difesa italiana (IDGS) ha reso noto per iscritto a questa ambasciata che in data 1 aprile l’Italia ha approvato l’installazione dei velivoli senza pilota UAV Global Hawk presso la Naval Air Station di Sigonella”, riporta il testo del cable. “L’IDGS ci ha richiesto di non dare pubblicamente l’annuncio dell’approvazione fino a quando non si svolgano le elezioni politiche nazionali il prossimo 13-14 aprile. Azione richiesta: Raccomandiamo che la Delegazione USA al Summit NATO al più alto livello possibile ringrazi in privato il Governo italiano a Bucarest per questa decisione. I Global Hawk sostituiranno gli U-2 nel 2010 quale nostro principale sistema di riconoscimento nel Mediterraneo, in Medio oriente e nord Africa. Quella di assicurare l’installazione dei Global Hawk a Sigonella è stata una priorità per l’Ambasciata di Roma nell’ultimo anno  e mezzo, compreso il coinvolgimento personale dell’Ambasciatore con il Primo ministro, il ministro degli Esteri, il ministro della Difesa, il Capo della Difesa e il Consigliere per la sicurezza nazionale. L’approvazione attesta il continuo rafforzamento delle relazioni nel settore della sicurezza tra Stati Uniti e Italia….”. Per dovere di cronaca e memoria, Presidente del Consiglio era al tempo Romano Prodi; ministro degli Esteri: Massimo D’Alema; ministro della Difesa: Artuto Parisi; Capo di Stato Maggiore della Difesa: l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (uscente), il generale Vincenzo Camporini (subentrante).
Allegato al cable dell’Ambasciata c’è il testo tradotto in inglese della nota ricevuta dallo Staff Generale Divisione III del Ministero della difesa italiano (ufficio per le relazioni internazionali) nella stessa data dell’1 aprile 2008. “NATO Restricted – Installazione di un’unità Global Hawk nella base di Sigonella, provincia di Catania, Sicilia”, l’oggetto. “Risposta alla lettera dell’Ufficio per la cooperazione alla difesa dell’Ambasciata USA di Roma inviata il 10 gennaio 2007. In riferimento alla richiesta fatta nella lettera sopracitata, si comunica che il Ministro della Difesa ha espresso la sua opinione favorevole a riguardo dell’installazione permanente di un’Unità UAV RQ-4 Global Hawk USA a Sigonella. L’installazione avverrà secondo le modalità e il cronogramma disposto dallo Staff generale dell’Aeronautica militare italiana, nell’ambito delle attività tecniche in atto e in cooperazione con l’Ufficio della Cooperazione alla Difesa. Firmato, generale Pasquale Preziosa, Capo della III Divisione. - Nota: L’IDGS ha classificato questa lettera come NATO Restricted, pertanto essa dovrebbe essere trattata dal Dipartimento di Statocome SBU (Sensitive but Unclassified). L’IDGS ha specificato che è stata utilizzata questa classificazione perché essi non vogliono che gli Stati Uniti rendano pubblica la cosa sino a quando non si svolgano le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008; da allora in poi essa è unclassfied”. Il generale Pasquale Preziosa ricoprirà l’incarico di Capo del III Reparto dello Stato Maggiore Difesa sino al 4 ottobre 2009; poi, febbraio 2013, sarà nominato Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, carica mantenuta sino al 29 marzo 2016; in seguito egli passerà alla direzione dell’Ufficio Generale Pianificazione, Programmazione e Bilancio dello Stato Maggiore Difesa. Oggi in pensione, il generale Preziosa aspira alla presidenza dell’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana controllata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).
Ricapitolando, il secondo governo Prodi (o alcuni dei suoi membri) – già sfiduciato dal Parlamento - autorizza la trasformazione della base di Sigonella in avamposto dei velivoli senza pilota USA alla vigilia delle elezioni anticipate, chiedendo tuttavia a Washington di mantenere il silenzio sino al voto. Lo stesso governo Prodi aveva avuto l’ardire di smentire quanto (da noi) pubblicato quasi un anno prima sulla testata online Terrelibere.it proprio sulla scelta USA di utilizzare la stazione aeronavale siciliana per lo stazionamento dei Global Hawk. In particolare, il 26 maggio 2007 pubblicavamo l’articolo In Italia la base dei velivoli senza pilota delle forze armate Usa? ove si riportava che tra i principali progetti d’investimento di EUCOM (il Comando degli Stati Uniti in Europa) per il 2007, era stato inserito il Global Hawk Aircraft Maintenance & Operations Complex, cioè un centro operativo e di manutenzione dei nuovi velivoli senza pilota. “Per Washington il programma è così rilevante che ne viene mantenuto segreto il costo come segretissimo il paese europeo prescelto per l’installazione del complesso”, si scriveva in Terrelibere. “Il Global Hawk Aircraft Maintenance Complex compare nella lista dei progetti di edilizia militare consegnata alla Commissione difesa del Senato Usa dal Comandante supremo di Eucom, generale James L. Jones, il 7 marzo 2006. Per le caratteristiche e le funzioni del Global Hawk e per il fatto che proprio di recente questo velivolo teleguidato è stato scelto dalla Marina statunitense per integrare i sistemi di sorveglianza marittima è possibile supporre che potrebbe essere proprio una delle basi USA presenti sul territorio italiano ad ospitare il supersegreto centro operativo UAV”. Nella testata online si spiegava come mai era desumibile che fosse proprio la stazione aeronavale di Sigonella a dover ospitare i droni. “Circa 40 velivoli UAV saranno dislocati in cinque siti: Kaneohe, Hawaii; Jacksonville, Florida; Sigonella, Italia; Diego Garcia, Oceano Indiano, e Kadena, Okinawa per assicurare la sorveglianza marittima in qualsiasi parte del mondo, è quanto dichiarato nell’ottobre 2005 da Dyke Weatherington (sottosegretario alla difesa con delega all’acquisizione di nuove tecnologie ed alla logistica) al National Defense Magazine, tra le più accreditate riviste militari USA”, si aggiungeva. “Supersofisticati e costosissimi, i Global Hawk sono uno strumento cardine per dare concretezza alla Joint Vision 2010 del Pentagono. È grazie ad essi che le forze aeree potranno ottenere la superiorità nell’acquisizione delle informazioni nei teatri di combattimento, ovvero la capacità di raccogliere, processare e diffondere un flusso ininterrotto di informazioni e nello stesso tempo sfruttare o danneggiare l’abilità dell’avversario nello stesso campo”.
Dopo le rivelazioni di Terrelibere, il 6 giugno 2007 l’on. Elettra Deiana (Prc) presentava un’interpellanza al Ministro della Difesa in cui si chiedeva conferma di quanto riportato nell’articolo e “sulle eventuali ragioni che avrebbero convinto il Governo ad operare tale concessione logistica agli USA”; infine l’on. Deiana chiedeva come mai “il Parlamento non sia stato informato di accordi così rilevanti sul piano geo-strategico internazionale”.
Nell’(inutile) attesa di una risposta da parte del “governo amico”, Terrelibere entrava in possesso di due documenti ufficiali di provenienza statunitense che confermavano la scelta di Sigonella quale base dei Global Hawk. Il loro contenuto veniva pubblicato in un reportage del 5 settembre 2017. “Stilato nel febbraio 2006, il primo documento è a firma di US Air Force ed è composto da schede analitiche sulle infrastrutture militari strategiche da realizzare con il bilancio 2007”, esordiva Terrelibere. “Tra esse c’è il cosiddetto Global Hawk Aircraft Maintanance and Operations Complex, codice USAFE073006. La richiesta di spesa per il centro operativo classificatoè di 26 milioni di dollari, 2/3 dei quali necessari per il complesso vero e proprio, il resto per approntare le facilities di supporto. Il piano insediativo per i Global Hawk prevede la costruzione di un nuovo hangar su una superficie di 5,700 metri quadrati di terreno. L’US Air Force fissa un cronogramma per l’esecuzione del progetto: entro il gennaio 2007 la stipula dei contratti con le imprese; l’avvio dei lavori a marzo dello stesso anno; il loro completamento entro il marzo 2009…” Dopo aver descritto le finalità operative dell’infrastruttura, US Air Force svelava l’identità della base militare destinata ad ospitare il complesso dei droni: “L’area di stazionamento per il nuovo hangar è necessaria per supportare concretamente la nuova missione quando essa potrà essere integrata nell’esistente area di parcheggio di NAS Sigonella. Questo nuovo hangar assicurerà il supporto ad un totale di 4 velivoli Global Hawk (…) Una struttura esistente per le operazioni di lavaggio dei velivoli ha già sede a NAS Sigonella per supportare la nuova missione. Nel caso in cui non venisse realizzato il nuovo hangar, il velivolo non sarà in grado di realizzare le proprie essenziali missioni di riconoscimento nel teatro europeo”.
Il secondo documento pubblicato da Terrelibereera un rapporto a firma del capitano Paul Bosco, vicecomandante NAVFAC (Naval Facilities Engineering Command), dal titolo “Navy Programs in Europe – A virtual tour of NAVFAC Europe” (I programma navali in Europa – Un tour virtuale di NAVFAC Europa). “Datato 15 marzo 2006, descrive i più importanti programmi di costruzione e potenziamento delle infrastrutture della Marina USA nell’area geografica che si estende dalle Azzorre sino a Bahrain e Djbouti, passando per Portogallo, Spagna, Italia, Grecia ed Egitto”, riportava la testata. “Un paragrafo è riservato alla stazione aeronavale di Sigonella: la base rappresenta il secondo maggiore sforzo finanziario della US Navy (un programma di 535 milioni di dollari di cui è stato già completato l’85%), mentre si prevede per l’anno fiscale 2007 una spesa comprensiva tra i 20 e i 30 milioni di dollari per realizzare la facility per i Global Hawk della Us Air Force. Il capitano Paul Bosco aggiunge che sempre nel 2007 tra i 10 e i 15 milioni di dollari saranno destinati per implementare a Sigonella lo SPAWAR Mobile User Objective System - MUOS (un pericolosissimo sistema per le comunicazioni satellitari di ultima generazione), mentre altri 20-30 milioni di dollari saranno inseriti nel budget 2008 per altre infrastrutture militari presso lo scalo siciliano”.
Il reportage di Terrelibere veniva rilanciato da importanti media nazionali creando forte imbarazzo al governo di centrosinistra; tre giorni dopo, l’8 settembre 2007, nel corso dell’incontro promosso a Marghera da Sbilanciamociper analizzare le proposte di movimenti e associazioni contro la guerra e per l’economia solidale, il ministro alla Pubblica istruzione e l’università, Fabio Mussi (Sinistra democratica), esprimeva la propria intenzione di “ridiscutere la questione Dal Molin di Vicenza e opporsi alla concessione di Sigonella agli aerei Global Hawk”. In verità né la ridiscussione sul Dal Molin, né il No ai Global Hawk o al MUOS sarebbero entrati nell’agenda politica del secondo governo Prodi, esecutivo poi sfiduciato al Senato della Repubblica il 24 gennaio 2008.
Il 10 dicembre 2008 tornavamo a scrivere sulle menzogne di Stato sui Global Hawk di Sigonella rivelando il testo di un attestato di gratitudine inviato il 2 giugno 2008 dal Comandante supremo delle forze armate degli Stati Uniti in Europa (USEUCOM), generale Bants J. Craddock al Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini. “Il massimo rappresentante militare statunitense nel vecchio continente coglieva l’occasione della festa della Repubblica per ringraziare i colleghi italiani”, si legge nell’articolo pubblicato in Stampalibera. “La leadership dell’Italia all’interno della NATO e il deciso sostegno alle operazioni in Afghanistan e nei Balcani sono prova del vostro impegno per la pace e la stabilità nel mondo, scriveva il generale Craddock. Io vi sono particolarmente grato per l’amicizia con cui operiamo congiuntamente ed in particolare vi voglio ringraziare per avere approvato la nostra richiesta per i velivoli Global Hawk a Sigonella. Il testo rivelatore tanto imbarazzava lo Stato Maggiore che del messaggio non si faceva nota in nessuno dei comunicati emessi a margine della parata di guerra ai Fori Imperiali (…) Accanto alle colpevoli omissioni di ben due governi antagonisti, vanno pure segnalate le gravissime bugie della casta militare del nostro paese. Il 31 marzo 2008, due mesi prima cioè del ringraziamento del generale Bants J. Craddock, a Sigonella si era recato per un’ispezione Salvatore Cannavò, parlamentare di Sinistra Critica-Prc. Ad accoglierlo il comandante della base, colonnello Antonio Di Fiore, contestualmente comandante del 41° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, la stessa forza armata da cui proviene il generale Camporini. Interrogato sulla veridicità del piano d’insediamento dei Global Hawk a Sigonella, il colonnello Di Fiore negava fermamente la questione. La gestione di quel tipo di aerei senza pilota non è compatibile col traffico civile del vicino aeroporto civile di Catania-Fontanarossa, spiegava il militare. Smentisco inoltre che nella base possa essere installato il nuovo sistema satellitare MUOS. Le antenne del radar MUOS non sono pensabili qui, disse Di Fiore, omettendo che era già stato deciso il trasferimento dell’impianto dalle pericolosissime onde elettromagnetiche nella vicina stazione di telecomunicazione USA di Niscemi (Caltanissetta), proprio nel bel mezzo di una riserva naturale regionale…”.

La massomafia dello Stretto. Il Ponte, il Porto di Gioia Tauro e gli esami facili nell’Ateneo di Messina

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Ministri, ‘ndrine, frammassoni, faccendieri e costruttori per governare le Grandi Opere in Calabria a partire dai lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio e di quelli per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. A rivelare le occulte trame ordite per accaparrarsi le ingentissime risorse finanziarie destinate ai maggiori programmi infrastrutturali destinati al sud Italia è il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio, già ai vertici della massoneria italiana ed ex fiancheggiatore della potente cosca dei Molè della Piana di Gioia Tauro. Virgiglio è stato sentito il 18 febbraio come testimone al processo che vede imputato a Reggio Calabria l’odierno sindaco di Imperia, Claudio Scaloja, pluriministro di Forza Italia negli esecutivi di Silvio Berlusconi (dell’Interno nel biennio 2001-2002, per le Attività produttive nel 2005-06 e per lo Sviluppo economico nel 2008-2010), accusato di aver favorito la latitanza in Libano dell’ex deputato forzista Amedeo Matacena, condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente residente a Dubai.
“Era il 2005 più o meno, stavano facendo i lavori per l’ammodernamento per l’autostrade e le famiglie della Tirrenica non volevano scontri”, ha raccontato il collaboratore di giustizia. “A loro non piaceva fare danneggiamenti e attentati perché attiravano l’attenzione delle forze dell’ordine”. Così - come riporta la giornalista Alessia Candito nel Corriere della Calabria - le ‘ndrine tentarono la strada dell’accordo previo, tramite il cosiddetto sistema Ugolini“di cui il pentito faceva parte e che per anni avrebbe lavorato come una sorte di Stato parallelo, in grado di determinare l’evoluzione politica, economica e sociale dell’Italia”. Un sistema interamente in mano alla massoneria, al cui vertice ci sarebbe stato Giacomo Maria Ugolini, ambasciatore della Repubblica di San Marino in Vaticano “C’era il gotha del potere e con quel mondo la ‘ndrangheta aveva rapporti solidi e strutturati, cementati da comuni interessi e complementari esigenze”, spiega Virgiglio. Così quando il colosso delle costruzioni Impregilo ottiene i lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e vince il bando per il general contractor per la progettazione esecutiva e i lavori di costruzione del Ponte sullo Stretto, il clan Molè invia un proprio uomo di fiducia per discutere l’affaire con il gran maestro Giacomo Maria Ugolini. “L’uomo cui i Molè delegano la trattativa è Carmelo Cedro”, spiega Cosimo Virgiglio. “Si tratta di un imprenditore, nel settore della costruzione dei biliardi e dell’affitto delle macchinette da gioco. Lui e la famiglia, suo padre in particolare, sono stati sempre vicini ai Molè anche per legami di parentela. Erano le persone di fiducia per determinate situazioni, anche perché avevano molte amicizie nelle forze dell’ordine. Carmelo Cedro da sempre scalpitava per entrare nei Templari (…) Quando Impregilo si aggiudica gli appalti e si prepara a dare il via ai lavori, i Molè si rivolgono a lui. Cedro chiese di intervenire a Ugolini, che scese in Calabria per una riunione durante la quale venne discussa l’intera questione. E Ugolini alla fine gli disse ti mando dal ministro dell’Interno e andò da Scajola. Lui per Ugolini era uno che sapeva muoversi con Impregilo… Un giorno l’ho chiamato e mi ha detto che era in viaggio. Mi fa, sto andando da Claudio. Cedro all’epoca aveva una macchina particolare, una coupé. Rocco Molè in quel periodo era contento perché era riuscito a entrare nei lavori dell’autostrada…”.
Non è la prima volta che il collaboratore Cosimo Virgiglio riferisce in merito agli interessi del potente clan di Gioia Tauro per le grandi opere in via di realizzazione in Calabria. Nel marzo 2010, deponendo in videoconferenza al processo Cento anni di Storia dinanzi al tribunale di Palmi, Virgiglio si era soffermato in particolare su come si fosse mosso il boss Rocco Molè per accaparrarsi parte dei cantieri del Ponte sullo Stretto e la gestione delle attività del Porto di Gioia Tauro. Rocco Molè fu poi ucciso in un agguato nel febbraio del 2008 in contrada Ciambra, Gioia Tauro, per ordine dell’ex cosca alleata dei Piromalli.
Numerose le attestazioni da parte dei giudici sulla “straordinaria attendibilità” del collaboratore. Agli atti del processo in cui è imputato l’ex ministro Scajolaè allegata in particolare una informativa redatta il 19 aprile 2018 dalla Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria su una fitta rete di relazioni tra imprenditori, politici, clan e massoneria, alla base della quale ci sono proprio le rivelazioni dell’ex “fratello” Cosimo Virgiglio. “Considerazioni sull’attendibilità di Virgiglio sono state fatte da due GIP del Tribunale di Reggio Calabria nell’ambito dei procedimenti penali n. 9339/2009 RGNR DDA da cui è scaturita il 2 luglio 2016 l’ordinanza di custodia cautelare a carico di Giorgio De Stefano +7 (c.d. Operazione Mammasantissima) e n. 3798/15 RGNR DDA con l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Giuseppe Graviano +2 in data 14 luglio 2017 (Operazione‘Ndrangheta stragista)”, scrivono gli inquirenti della DIA.“Cosimo Virgiglio ha avviato il proprio percorso collaborativo nell’ambito del procedimento Maestro, nel quale era stato tratto in arresto per la partecipazione all’associazione mafiosa cosca Molè, federata ai Piromalli sino al 2008. La sua collaborazione è stata decisiva in uno dei procedimenti di maggiore importanza mai celebrati a carico della ‘ndrangheta tirrenica, il processo Cento anni di Storia. E’ stato uomo di fiducia dei Molè per conto dei quali movimentava imponenti capitali che venivano investiti nel settore della contraffazione e delle importazioni tramite il Porto di Gioia Tauro, professionista colto, già massone di provata fede, appartenente alla Loggia Garibaldini d’Italia”.
In riferimento alla sua affiliazione massonica, Virgiglio aveva confermato ai magistrati il contenuto di un memoriale redatto il 9 agosto 2013 da un altro collaboratore di giustizia, Antonino Lo Giudice, in cui era riportata la descrizione di una “società segreta costituita da tre tronconi: una legalizzata – di cui facevano parte professionisti di alto livello come giudici, servizi segreti deviati, uomini dello stato; la seconda da politici, avvocati, commercialisti; la terza da criminali con poteri decisionali e uomini invisibili che rappresentavano il tribunale supremo che giudicavano la vita e la morte di ogni affiliato, tutti uniti in unica potenza incontrastata”. L’informativa della DIA riportava in sintesi pure il contenuto di due successivi verbali d’interrogatorio di Cosimo Virgiglio. “Egli riferisce dei rapporti fra la Loggia Garibaldini d’Italia, la loggia coperta diGiacomo Maria Ugolini denominata Grande Oriente di San Marino e i Molè/Piromalli”, si legge nel verbale  del 24 marzo 2015. “Virgiglio riferisce del ruolo avuto da lui stesso e da Carmelo Cedroed i suoi fratelli. Riferisce che lui è uscito da tale contesto quando si stava concretizzando l’alleanza fra Garibaldini/Molè e Grande Oriente di San Marino (…) Riferisce del progetto di pilotare la scarcerazione di Mommo Molè per motivi di salute attraverso Cesare Previti ed il dott. Ceraudo/Ceravolo medico del DAP Boccardelli, segretario di Ugolini, condannato per 416 bis c.p. in Appello nell’operazione Maestro e Giorgio Hugo Balestrieri presidente del Rotary di New York uomo di punta della loggia di Ugolini (già ufficiale della Marina Militare, già iscritto alla Loggia Propaganda 2, come risulta dagli atti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta presieduta dall’on. Tina Anselmi, Balestrieri è attualmente imputato innanzi al Tribunale di Palmi, per rispondere del delitto di concorso esterno nella cosca Molè, reato per il quale è stato raggiunto da misura cautelare, confermata in sede di gravame (…). Riferisce del ruolo di grande influenza in Calabria, in quanto legatissimo a Licio Gelli, di tale omissis di Cosenza, persona inserita nel contesto della loggia di Ugolini che può a sua volta considerarsi una sorta di continuazione della loggia Propaganda 2 in quanto connotata dai medesimi obiettivi di potere e soprattutto dalla struttura coperta e segreta, senza contare i legami personali fra Licio Gelli, Ugolini e Balestrieri ed i medesimi legami che la loggia di Ugolini aveva, al pari della P2, con gli ambienti e la finanza vaticana (non a caso Ugolini era ambasciatore di San Marino presso il Vaticano, anzi decano degli ambasciatori di tutto il mondo presso il Vaticano). La ‘ndrangheta utilizzava tale struttura per ripulire il denaro garantendo in cambio la gestione a favore di tale struttura segreta dei flussi elettorali a favore dei soggetti politici”.
Il 19 aprile 2016 Virgiglio rivelava alla DIA di Reggio Calabria altri inediti particolari sui rapporti tra le cosche calabresi e le logge massoniche dell’area dello Stretto.“Sono entrato o meglio mi sono avvicinato alla massoneria per il tramite del messinese Carmelo Ugo Aguglia, nobile messinese, intorno alla fine degli anni ‘80”, dichiarava il collaboratore. “Io frequentavo l’Università di Messina. Per la verità iniziai a frequentare il Rotary. Il Rotary era un trampolino di lancio per entrare nei GOI (Grande Oriente d’Italia, NdA). Il tempio di Messina che si trovava nella zona del Papardo. Ricordo che fra gli altri frequentatori di questi ambienti massonici di Messina vi era Franco Sensi, presidente della Roma Calcio. Nel 92/93 arrivò a Messina, da Reggio Calabria, la soffiata su di una indagine sulla massoneria. In quello stesso periodo Aguglia mi fece entrare nell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, che è un sodalizio organico al Vaticano. A capo di tale Ordine vi era Mons. Montezemolo, zio di secondo grado del più noto Luca Cordero. La cerimonia di iniziazione si celebra in chiesa. All’interno dell’Ordine vi era Elio Matacena”.
Nel corso dell’interrogatorio, Cosimo Virgiglio si soffermava poi sul “mercato degli esami gestito dalla massoneria deviata di Messina; dei collegamenti fra tali ambienti e i Piromalli; delle controversie che intorno a questo mercato erano insorte e del conseguente intervento dei Piromalli e, in particolare di Domenico Piromalli il vecchio (defunto); dei collegamenti – indiretti – di Pino Piromalli con il Gruppo Ligresti, nel settore immobiliare lombardo avvenuto sempre per il tramite di una loggia massonica; delle banche Credito Cooperativo del Tirreno di San Ferdinando, fondata grazie ai buoni di Cosentino, massone di Cittanova, legato a Gelli ed Alliata, utilizzata dalla ‘ndrangheta, (banca poi fallita) e di quella del Cosentino stesso fondata e creata a Cittanova…”. Venivano prodotte ed allegate al verbale del 19 aprile 2016 “n. 6 foto di recente scattate dal dichiarante che ritraggono paramenti massonici nonché n. 3 foto di cerimonie massoniche cui partecipò il dichiarante; la tessera di iscrizione alla massoneria del 2002 del dichiarante; n. 2 foto di cene svolte a margine di riunioni massoniche a Reggio Calabria; n, 10 fogli contenenti i verbali di riunione massoniche; n, 2 fogli contenenti l’elenco delle logge Garibaldine d’Italia; documento di 5 fogli relativo alla inaugurazione di loggia massonica; stampa di un convegno svolto presso Villa Vecchia dal PD, a dimostrazione della notorietà del luogo; n. 2 lettere di rinuncia all’obbedienza massonica e relativa busta; richiesta della loggia Garibaldina indirizzata al sindaco di Sant’Eufemia di Aspromonte; foglio del giornale Quotidiano della Calabriadel 27 marzo 2003 in cui vi è articolo sulle iniziative della gran loggia; n. 1 foto dell’Ugolini; n. 1 foglio su cui con grafia manoscritta sono indicati dei nominativi di aspiranti massoni da parte di confratelli. Tale appunto veniva conservato in quanto contenente l’indicazione – fatta nel 2006 – di Mulè (in realtà Molè) Michele detto Michelino cioè il cugino di Rocco ed il fratello di u ganciu”.
“La struttura massonica calabrese era molto ampia ed era composta da una parte visibile ed una invisibile”, riferiva inoltre Virgiglio ai magistrati della Direzione Antimafia. “Nel 2004/05 Franco Labate, medico di Reggio Calabria, si era rivolto a Peppe Piromalli per creare un punto di contatto con Licio Gelli; nell’estate del 2005, Ugolini mi confidò che i Templari erano espressione di poteri deviati pericolosissimi, riconducibili a Licio Gelli, ad Antonio Campana, a loro volta collegati ai Piromalli ed a omissis; Villa Vecchia era utilizzata per incontri promiscui tra prelati, di cui Ugolini aveva ampia prova…”.
“Virgiglio, che, come si è visto, oltre ad avere un comprovato rapporto organico con la cosca Molè-Piromalli, era documentatamente, un massone di lungo corso (produceva anche la sua lettera di dimissioni dalla Loggia Garibaldini d’Italia del 2006) dunque, oltre ad essere lui stesso la prova vivente della commistione fra le due militanze, quella massonica e quella mafiosa, era la persona che più di qualsiasi altra, era in grado di riferire dei rapporti fra le due citate entità”, conclude la DIA di Reggio Calabria nella sua informativa del 19 aprile 2018. “Oltre confermare (sul solco di Di Bernardo, Lauro, Barreca ed altri ancora) la commistione fra le due entità, Virgiglio specificava come Gellied i suoi uomini avessero un ruolo attivo non solo nei contesti massonici che operavano in Calabria, ma anche nei rapporti con le cosche e in particolare quelle tirreniche dei Molè/Piromalli…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 21 febbraio 2019, http://www.stampalibera.it/2019/02/21/le-rivelazioni-del-pentito-virgiglio-la-massomafia-dello-stretto-il-ponte-sullo-stretto-il-porto-di-gioia-tauro-e-gli-esami-facili-nellateneo-di-messina/

I Signori del Ponte

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Tutti a far festa per il Ponte. Innanzitutto Silvio Berlusconi e lo stato maggiore della coalizione di centro-destra. Poi gli “autonomisti” siciliani di Raffaele Lombardo, governatore della Sicilia e azionista di minoranza della società concessionaria per la realizzazione del Ponte, la Stretto di Messina S.p.A. (a capitale interamente pubblico). Sono ovviamente felici azionisti ed amministratori d’Impregilo, la capofila del consorzio che si è aggiudicata progettazione e lavori della megainfrastruttura. Di certo avranno brindato pure piccole e grandi cosche in Calabria e in Sicilia e forse anche aldilà dell’Oceano. È tanto il clamore sollevato sullo sblocco dei lavori e un primo finanziamento del CIPE che sembrano passati anni luce da quando organi di stampa, ambientalisti e qualche parlamentare denunciavano le tante zone d’ombra della lunga gara d’appalto. 


Le cosiddette “anomalie”? Innanzitutto la partecipazione alla fase di pre-qualifica per la progettazione e realizzazione del Ponte di una società su cui sarebbe stato rilevante il controllo di una delle più potenti organizzazioni mafiose nordamericane. Poi, tutte da comprendere ancora oggi, le ragioni delle improvvise defezioni dei grandi gruppi esteri proprio alla vigilia dell’apertura delle buste. E ci sono gli innumerevoli conflitti d'interesse sorti nelle relazioni tra la società concessionaria, le aziende in corsa per il general contractor (1) e i gruppi azionari di riferimento. Per non dimenticare l’inserimento di clausole contrattuali più che benevoli con i vincitori e che prevedono una penale stratosferica (il 10% dell’importo totale più le spese già affrontate) in caso di recesso da parte dello Stato dopo la definitiva approvazione dell’opera. In ultimo l’ingiustificato ribasso del 12,33% praticato dalla cordata guidata da Impregilo (pari a 500 milioni di euro su una base d'asta di circa 4 miliardi e 425 milioni), oggetto di ricorso presso il TAR Lazio da parte del raggruppamento avversario con mandataria Astaldi. 



Ponti, coppole e lupare



Ottobre 2004. La Società Stretto di Messina S.p.A. comunica i risultati della fase di pre-qualifica per la scelta del contraente generale. Alla tappa successiva, quella delle gara d’appalto vera e propria, sono ammessi tre dei cinque raggruppamenti internazionali che avevano presentato una proposta preliminare. Il primo di essi è guidato dall’austriaca Strabag AG ed è composto dalla francese Bouygues Travaux Publics SA, dalla spagnola Dragados SA, e dagli italiani Consorzio Risalto e Baldassini-Tognozzi Costruzioni Generali; segue il raggruppamento formato da Astaldi, Pizzarotti & C., CCC - Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, Grandi Lavori Fincosit, Vianini Lavori, Ghella, Maire Engineering, la giapponese Nippon Steel Corporation e le spagnole Necso Entrecanales Cubiertas e Ferrovial Agroman; infine l’associazione con capogruppo Impregilo e mandanti la francese Vinci Construction Grands Projets, la spagnola Sacyr S.A.U., la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries CO Ltd. e le italiane Società Italiana Condotte d’Acqua, CMC - Cooperativa Muratori & Cementisti e Consorzio Stabile A.C.I. S.c.ar.l.. Le tre cordate vengono invitate alla presentazione delle offerte entro il termine del 20 aprile 2005, successivamente prorogato al 25 maggio. 
Nella relazione presentata dalla società concessionaria viene omessa la composizione delle due associazioni d’imprese escluse dalla Commissione e i motivi di tale esclusione. Questione tutt’altro che marginale, non fosse altro perché una di esse era finita nel mirino della Procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sul tentativo di turbativa d’asta ed infiltrazione mafiosa nella realizzazione del Ponte da parte del gruppo criminale italo-canadese diretto dal boss Vito Rizzuto (la cosiddetta “Operazione Brooklin”).
Secondo gli inquirenti romani, Rizzuto & soci volevano assumere il ruolo di registi dell’operazione, investendovi 5 miliardi di euro provenienti in buona parte dal traffico internazionale di eroina e cocaina. «L’attenzione dell’associazione si era focalizzata nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare della Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari del Tribunale Penale di Roma. «L’interesse prioritario dell’organizzazione sarebbe stato quello di finanziare l’opera indipendentemente da un coinvolgimento diretto nella sua realizzazione dato che così, comunque, avrebbe potuto partecipare ai ricavi connessi alla sua concreta gestione… Per concretizzare l’affaire Ponte, Rizzuto si sarebbe valso dell’ingegnere Giuseppe Zappia, imprenditore apparentemente “pulito”, privo di precedenti penali e con una pregressa esperienza nel campo delle opere pubbliche». (2)
 In vista della gara del Ponte, l’ingegnere Zappia aveva fondato una modestissima società a responsabilità limitata (30 mila euro di capitale), la Zappia International, la cui sede legale veniva fissata a Milano negli uffici dello studio Pillitteri-Sarni, titolare Stefano Pillitteri, consigliere di Forza Italia e figlio dell’ex sindaco socialista del capoluogo lombardo, Paolo. Collega di studio del Pillitteri è Cinzia Sarni, moglie del giudice Ersilio Sechi che ha assolto Marcello Dell'Utri e Filippo Rapisarda per il crack Bresciano. (3) Era a lei che Giuseppe Zappia confidava i suoi propositi. «Lei è al corrente che io voglio fare il ponte di Messina?», rivelava l’ingegnere in un colloquio telefonico del 13 giugno 2003. «Io se faccio il ponte lo faccio perché ho organizzato 5 miliardi di euro… e questi 5 miliardi furono organizzati da tempo, mi comprende? Da tempo!» (4)
L’ingegnere italo-canadese aveva allestito un team di professionisti internazionali per la gestione degli aspetti economici e finanziari dell’operazione. Consulente legale del gruppo fu nominato l’avvocato romano Carlo Della Vedova, mentre i contatti con i potenziali finanziatori esteri furono affidati al mediatore cingalese Sivalingam Sivabavanandan. Per stringere relazioni e alleanze con ministri, sottosegretari e imprenditoria capitolina, Zappia si avvalse di un ex attore televisivo di origini agrigentine, Libertino Parisi, noto al grande pubblico per aver fatto l’edicolante nella trasmissione Rai "I fatti vostri". Con Parisi vennero programmati appuntamenti e riunioni ai massimi vertici istituzionali, finanche con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e con il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi. 
«Ho parlato con quelle persone che erano molto interessate del fatto che un’impresa con capitali arabo-canadesi intende costruire il ponte finanziando l’opera per intero», rivelava l’ingegnere a Libertino Parisi, in una telefonata del 5 marzo 2004. «Ho ricevuto indicazioni di mandare un fax con la proposta alla segreteria del Presidente della società Stretto di Messina». Il fax partirà quattro giorni più tardi, oggetto la richiesta di un appuntamento per discutere in «maniera riservata della costruzione del ponte con la propria impresa mediante il finanziamento di una cordata di capitali internazionali». Il 24 marzo, giorno in cui il consiglio d’amministrazione della Stretto S.p.A. approvava il bando di gara proposto dall’amministratore delegato Pietro Ciucci per la pre-selezione del general contractor (5), l’ingegnere era intercettato mentre dava le ultime istruzioni a Parisi in vista di una riunione con i vertici della società concessionaria. «Quello che io ho bisogno – affermava Zappia – è di uscire dalla riunione di questo pomeriggio con la facoltà di sedersi con il Governo e di fare l’accordo a cui posso io arrivare con i miei finanzieri. Perché, i miei finanzieri, non li svelerò a loro… Io, ho due finanzieri, uno separato dall’altro, tutti e due sono pronti a mettere non 4.500, insomma quant’è? Questo, 4 miliardi e mezzo? So’ pronti a mettere cinque miliardi di euro! È una cosa che loro non hanno, e che spero che la guarderanno un po’ fuori limite».

Il 22 aprile 2004 Zappia informava l’avvocato Dalla Vedova dell’esito di una lunga riunione con gli ingegneri e gli avvocati della Stretto di Messina e di un’altra riunione con Salvatore Glorioso, segretario particolare dell’allora ministro Enrico La Loggiaed assessore provinciale di Forza Italia a Palermo. L’ingegnere aggiungeva: «Per la legge italiana devono fare una presentazione d’offerta, ma è solo una formalità perché loro già sanno chi farà il ponte ed è un loro amico che si chiama Joe Zappia!». «Sono già stato alla sede romana della Stretto di Messina con Sivabavanandan», aggiungeva l’anziano ingegnere. «Non ti posso riferire adesso quello che ci siamo detti in quelle ore, ma hanno deciso che l’uomo che farà il ponte sarò io perché posso gestire i problemi in quell’area del Paese. Sono calabrese!». 
Il sapersi muovere in un ambiente notoriamente “difficile”, la disponibilità di imponenti capitali da offrire per i lavori del Ponte, facevano di Giuseppe Zappia un uomo fermamente convinto di poter imporre le proprie regole, senza condizionamenti di sorta. Del resto società concessionaria e potenziali concorrenti manifestavano già qualche difficoltà a reperire i fondi necessari per avviare il progetto. «Il bando di concorso: chi vuole partecipare deve pagare sei milioni di euro. Una cosa ti posso dire, che loro hanno duecento... due miliardi e mezzo. E quelli lì non bastano per fare il ponte», spiegava Zappia a Libertino Parisi. «Loro non hanno diritto di chiedere sei miliardi, sono in una posizione debole, che non si sa quando si fa il ponte. Loro devono dire, prima di poter dare, che vogliono sei miliardi. Devono avere il finanziamento organizzato! La posizione mia è che io posso finanziare il ponte!».
Zappia era certo di poter andare da solo, ma provava pure a tessere possibili alleanze con i colossi mondiali delle costruzioni. Nel corso di una lunga conversazione del 19 maggio 2004 con il mediatore cingalese Sivabavanandan, Zappia mostrava un certo interessamento al gruppo franco-canadese Vinci, in gara per il Ponte. «Ho appena finito di parlare con qualcuno per il finanziamento del ponte, e mi ha segnalato lo studio Vinci», dichiarava Zappia. «Hanno costruito un ponte di 14 miglia, e l’hanno costruito, finanziato e tutto il resto, al costo di 1,5 miliardi. E lo stanno ridando al Governo per un dollaro dopo 50 anni. Sto prendendo i loro prospetti e le persone. Sono miei amici stretti, sono in assoluto i costruttori numero uno in Canada e sono italiani. Sono da molto al mio fianco, da quando ho costruito il villaggio Olimpico a Montreal. Va bene, penso che Vinci sta pensando di prendere questo ponte». Lo interrompeva il cingalese: «Vogliono farlo in maniera indipendente o vogliono andare con qualcun altro?». Rispondeva Zappia: «No, lo faranno, non con qualcun altro, lo faranno con noi. Ma dovremo organizzare questo in maniera tale che otterremo alla fine lo stesso. Noi, in altre parole, dobbiamo finanziare l’intera cosa. La finanzieranno loro, in una situazione di spalleggiamento. Ma quello di cui loro sono preoccupati è ottenere il contratto». 
Una breve pausa di riflessione e Zappia aggiungeva: «Penso che dovremo usare il principe qui, con l’uomo numero uno. Questo è come lo vedo io: se loro sono stati in grado di fare quel ponte, per 1,5 miliardi, dovrebbero essere capaci di fare questo qui per 2,5 miliardi. Loro daranno una piena, completa garanzia d’esecuzione con costi e tempi. Sono a Milano e in Francia, Vinci».(6) «Penso che dovremmo cominciare a parlare con loro», suggeriva Sivabavanandan. «Lo sto facendo ma non io, il mio uomo», rispondeva l’ingegnere. «Ti dico chi è il mio uomo, è quello che lavora alla situazione del Congo, dove io ho firmato il contratto per Inga, che dovrebbe essere in tribunale adesso». Il faccendiere cingalese si dichiarava d’accordo: «Sono contento che Vinci sta entrando, se puoi prendere Vinci a bordo possiamo mettere la J&P (società di costruzioni a livello internazionale N.d.A.) e la Vinci. Tutti possono trarre beneficio da una struttura piramidale, e il lavoro andrà veloce. Se abbiamo J&P e Vinci da una sola parte nessuno può dissestare. Questo è quello che ti ho detto ieri e l’altro ieri». 


Il segreto d’onore



La società franco-canadese oscillava però da un partner all’altro e l’ipotesi della grande alleanza Vinci-Zappia sembrava dover naufragare. Il 26 giugno 2004, Giuseppe Zappia e Libertino Parisi si soffermavano su un articolo apparso sul quotidiano “Il Messaggero” nel quale erano indicate alcune società in gara per la realizzazione del Ponte di Messina. L’articolo riportava, tra l’altro, che la società Vinci, dopo aver dato la propria disponibilità a partecipare al consorzio guidato dall’azienda romana Astaldi S.p.A., aveva preferito alla fine la partnership con la concorrente Impregilo di Sesto San Giovanni. «Questi Vinci, sono pronti a venire con me, ma credo che non li prenderò», commentava astiosamente Zappia. «Perché loro vogliono venire a mettere moneta e della loro moneta non ne abbiamo bisogno. Vinci, lo può fare da solo. Questo te lo posso dire io soltanto: Vinci non ha il segreto mio». 
Un segreto dunque. L’asso nella manica che concerne forse l’aspetto finanziario, i soci ancora “occulti” dell’imprenditore e della sua organizzazione. Il gruppo Zappia decise così di presentarsi da solo alla pre-selezione per il general contractor. Il 14 settembre l’ingegnere informava Sivabavanandan di essersi recato dall’avvocato Dalla Vedova. «Abbiamo finito la presentazione della situazione del ponte e la consegnerà lui stesso domani mattina presto perché apriranno l’intera cosa a mezzogiorno. Per questo dovrà essere lì per le 9, le 10…». Zappia esprimeva tuttavia la sua preoccupazione: «Una cosa che sento è che se loro aprono quelle richieste i giornalisti saranno lì e non c’è dubbio che il giorno dopo tutto sarà sui giornali». Il motivo del timore di Zappia emergeva chiaramente nella risposta di Sivabavanandan: «Sì, ma è buono perché la tua partnership, la tua associazione è segreta. Così non possono scoprire il tuo partner…».

Era Libertino Parisi a redigere la lettera con cui la Zappia Internationalavanzava la sua proposta di partecipazione alla prequalifica. Tre cartellette dattiloscritte che pare abbiano lasciato un po’ perplessi gli esaminatori della società Stretto di Messina. Non solo per la loro lunghezza. Il piano tecnico-finanziario di Zappia & Soci prevedeva infatti un costo per la realizzazione dell'opera variabile tra i tre e i quattro miliardi di dollari e la consegna del Ponte nell'arco di tre anni grazie all’impiego di turni di lavoro notturno. La società “a capitale italo-arabo-canadese” si impegnava ad eseguire i lavori con costi e tempi tecnici di realizzazione inferiori del 50%, assemblando pezzi prefabbricati all’estero e senza ricorrere a subappalti.(7) Da qui l’esclusione del gruppo Zappia. 


L’odore dei soldi



Quella che doveva rappresentare l’uscita di scena dell’ingegnere italo-canadese, si rivelava invece una tappa importante, più propriamente una svolta, nel tentativo di partecipare direttamente alla realizzazione del Ponte. Sono le telefonate effettuate subito dopo l’ufficializzazione dell’esclusione a indicare che Zappia aveva partecipato alla gara pur sapendo di non possedere i requisiti richiesti. Era però riuscito a mettersi in contatto con le imprese concorrenti di ben più solida competenza tecnico-organizzativa, proponendosi come indispensabile finanziatore dell’opera. I nomi delle società con cui l’ingegnere italo-canadese aveva preso contatti “diretti” o “indiretti” sono elencati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dai magistrati romani: ancora una volta Vinci (in associazione con Impregilo), la francese Bouygues (partner di Strabag), «nonché la società Fincosit in A.T.I. con Astaldi, che sarebbe stata indicata come società mafiosa da vari pentiti».(8) 
Erano stati questi “contatti” a convincere Zappia del fatto che le società concorrenti non avrebbero potuto far fronte alla clausola del bando di gara che imponeva al general contractor una quota del finanziamento con risorse proprie pari ad almeno il 10% del valore dell’opera. L’ingegnere – o i suoi misteriosi soci arabi e nordamericani – potevano mettere invece sul tavolo l’intero importo previsto per la realizzazione del Ponte e delle infrastrutture di collegamento. «Questa è una situazione che mi aspettavo», rispondeva Zappia all’avvocato Carlo Dalla Vedova che gli comunicava l’esito negativo nella gara di prequalifica. «Ciò che ci serve è parlare con sua altezza reale. E tenere questa situazione con l’uomo numero uno. Così possiamo andare avanti. Quello che sta facendo la Astaldi, è che non ha soldi e non ci sta mettendo soldi. I suoi uomini ci metteranno dieci anni per fare il lavoro. L’intera questione è illegale perché non hanno i soldi per fare la cosa. Se e quando parleremo con sua altezza e l’uomo numero uno e diremo “abbiamo i soldi”, questi tizi saranno tirati fuori dall’affare». Nel prosieguo della conversazione Giuseppe Zappia spiegava meglio quali sarebbero stati i successivi “passi” da attuare: «Credo che quello che dovremo fare sia chiamare Ciucci... Chiamalo e poi fra l’altro il nostro amico Sivabavanandan arriverà domani sera. Perché lui ha parlato con sua altezza che è una persona lenta e non è uno che va di fretta». 
Giuseppe Zappia ribadiva anche all’amico Parisi di non essere preoccupato per l’avvenuta esclusione. «Quello che c’ha il contratto generale può dare tutto a tutti quanti; tutto dipende da quanta moneta c’è», spiegava l’ingegnere. «Ma la moneta non ce l’hanno ancora. Questi sono tutti quelli che sono pronti a spartirsi la torta e inoltre, guarda, come dice lui, in quell’affare il contraente generale non è lui che sceglie. È insomma Ciucci che sceglie tutta questa gente. Il contrattore generale non fa niente e se non vuole e se può trovare un altro che gli fa la medesima cosa per metà prezzo, che fa insomma tutto il comando Ciucci». Come sottolineano i magistrati romani, Zappia conosceva appieno il ruolo e l’autonomia decisionale dell’amministratore delegato della società Stretto di Messina che, quale concessionaria, in base alla normativa del settore, ha ampi poteri di scelta per reperire parte dei capitali necessari.
Non c’era il tempo però di firmare un qualsivoglia accordo con una delle società rimaste in gara, né di accreditarsi come inesauribile banca del Ponte di fronte al Governo e ai dirigenti della Stretto S.p.A.. Il 12 febbraio 2005, il capo della Dda di Roma Italo Ormanni ed il pubblico ministero Adriano Iassillo ottenevano dal Gip cinque provvedimenti di custodia cautelare contro l’ingegnere Giuseppe Zappia, il cingalese Savilingam Sivabavanandan, il broker Filippo Ranieri, il faccendiere franco-algerino Hakim Hammoudi ed il boss siculo-canadese Vito Rizzuto. «In concorso tra di loro e con l’apporto determinante di Giuseppe Zappia – scrivono i magistrati – con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara a licitazione privata alla scelta del general contractor; eliminando così la libera e regolare concorrenza tra varie ditte, con evidente lesione, quindi, degli interessi della pubblica Amministrazione». (9)

L’istruttoria era rapida e il processo Brooklyn, la mafia del Ponte iniziava il 16 marzo 2006 davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Roma. Nel corso dell’udienza preliminare Sivalingam Sivabavanandan sceglieva di patteggiare una pena a due anni di reclusione. Zappia e coimputati devono spiegare l’origine dei miliardi di euro messi a disposizione delle aziende in gara. Del loro operato rispondono solo alla pubblica accusa. La società presieduta da Pietro Ciucci (che oggi è pure presidente dell’ANAS), i suoi azionisti di Stato, la pubblica Amministrazione i cui interessi sono stati lesi dalla presunta associazione mafiosa, hanno rinunciato a costituirsi parte civile.


Una proroga sospetta



Torniamo alla gara per la definizione del general contractor. il 18 aprile 2005, quarantotto ore prima della scadenza dei termini fissati dal bando, i vertici della Stretto di Messina S.p.A. decisero di concedere ai consorzi in gara un mese di tempo in più per la presentazione delle offerte. Le ragioni della benevola proroga restarono ignote, ma numerosi osservatori finanziari la giudicarono perlomeno discutibile, anche perché i tre mesi precedenti erano stati caratterizzati da altalenanti e contraddittori contatti tra i due colossi italiani capofila delle cordate in gara, l’Impregilo di Sesto San Giovanni e l’Astaldi di Roma. 

Impregilo era al centro di una grave crisi finanziaria ed i vertici aziendali erano stati azzerati da un’inchiesta della procura di Monza per falso in bilancio, false comunicazioni sociali ed aggiotaggio (il procedimento è ancora in corso presso il Tribunale lombardo e vede imputati l’ex presidente d’Impregilo, Paolo Savona, e l’ex amministratore delegato Piergiorgio Romiti). Per evitare il tracollo finanziario i principali azionisti della società avevano invocato l’intervento del governo e delle banche creditrici, auspicando l’ingresso di nuovi e più solidi soci. Nel febbraio 2005 i manager Astaldi dichiararono la propria disponibilità a fornire 250 milioni di euro per ricapitalizzare la società di Sesto San Giovanni, ma la loro offerta veniva respinta. In Impregilo fece invece ingresso un consorzio, IGLI, costituito appositamente dai gruppi Argofin (10), Techint-Sirti (11), Efibanca (12) ed Autostrade S.p.A. (gruppo Benetton). (13) Efibanca, Techint e Sirti cederanno un anno più tardi la loro quota di IGLI a Salvatore Ligresti, il costruttore originario di Paternò a capo del gruppo assicurativo Fondiaria-Sai e della finanziaria Immobiliare Lombarda.
Sfumata l’ipotesi di una compartecipazione in Impregilo, Astaldi tornava al contrattacco proponendo alla “concorrente” un’alleanza strategica per la formulazione di un’unica offerta per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. «L’unificazione delle cordate per la gara del Ponte è un’ipotesi di buon senso», dichiarava Vittorio Di Paola, amministratore delegato di Astaldi, all’indomani dello slittamento del termine per la presentazione delle offerte. «Dopo la fuga di partner stranieri di entrambe le cordate e la scarsa convinzione degli altri – aggiungeva Di Paola – il buon senso vorrebbe che i due gruppi in qualche modo mettessero insieme le forze». 
Ancora l’amministratore di Astaldi: «Quello che rimane delle due cordate non è sufficiente a realizzare un’opera come questa. Non è solo un fatto tecnico, c’è anche la necessità di prefinanziare il 20% dell’opera. La presentazione di un’offerta unica diluirebbe i rischi e servirebbe a recuperare la fiducia dei partner. Noi eravamo pronti a presentare l’offerta ma una proroga può far riflettere e favorire un processo di ricomposizione».(14) 
La dichiarazione di Vittorio Di Paola non deve stupire più di tanto. Essa giungeva infatti qualche giorno dopo la decisione delle due società spagnole partner di Astaldi, la Necso Entrecanales Cubiertas SA e Ferrovial Agroman SA, di ritirarsi dalla gara per il Ponte. Inaspettatamente, anche il raggruppamento internazionale guidato dall’austriaca Strabag aveva comunicato di essersi ritirato dalla competizione. «Per noi era troppo alto il rischio che avremmo dovuto affrontare dal punto di vista legale, geologico e tecnico-finanziario», dichiarava Roland Jurecka, membro del consiglio d’amministrazione della Strabag. 


Meglio soli che la turbativa



Il 2 maggio 2005, il nuovo consiglio d’amministrazione di Impregilo respingeva l’offerta di alleanza con Astaldi. Perché Impregilo ha rifiutato una proposta che avrebbe sicuramente comportato minori rischi e maggiori vantaggi di ordine finanziario e tecnico? Di certo c’è che nei giorni immediatamente precedenti alla riunione del Cda della società di Sesto San Giovanni, era stata depositata un’interrogazione parlamentare al Ministro delle Infrastrutture, a firma dei senatori Brutti e Montalbano (Ds). In essa si affermava che la presentazione di un'unica offerta da parte di Astaldi e Impregilo per il Ponte sullo Stretto «configurava un’effettiva turbativa d’asta e quindi l'irregolarità della gara».
Nell’interrogazione i due parlamentari raccontavano che dopo il ritiro della Strabag, i due raggruppamenti «iniziavano una trattativa con i buoni uffici di un noto avvocato, consulente legale dell’ANAS per la sorveglianza sui lavori dell’Impregilo, notoriamente legato da vincoli professionali ventennali con l’impresa Astaldi, per giungere, attraverso un rimescolamento delle carte, a presentare un’unica offerta in comune tra Astaldi e Impregilo, riducendo in tal modo ad uno il numero dei partecipanti effettivi alla fase conclusiva della gara stessa». Brutti e Montalbano aggiungevano che il rinvio dei termini della gara in questione «era stato fortemente sollecitato alla società Stretto di Messina da una delle due società concorrenti, indebolita nella sua composizione interna dall’uscita di un fondamentale partner francese». Sempre secondo gli interroganti, a tal fine il consiglio d’amministrazione della società concessionaria aveva inserito nel bando una clausola che consentiva di aggiudicare la gara anche in presenza di una sola offerta. 
«Appare quanto meno sospetto un rinvio dei termini idoneo a far maturare un accordo tra i due concorrenti e la contemporanea decisione di modificare il bando al fine di rendere aggiudicabile la gara anche in presenza di una sola offerta, che sembra proprio spingere nella direzione dell’accordo tra i concorrenti», commentavano i senatori diessini. Infine si chiedeva al ministro Lunardi se non ritenesse che «il comportamento della società Ponte sullo Stretto sia stato gravemente lesivo degli interessi pubblici, avendo la società consentito, con il rinvio, proprio il perfezionamento dell’intesa tra i concorrenti, con un'evidente lesione della concorrenza e con danno al bilancio pubblico». (15)
Che fosse stato proprio il governo a sollecitare l’accordo tra le aziende italiane, lo avrebbe confermato qualche anno più tardi lo stesso premier Silvio Berlusconi. Nel corso di un comizio tenuto nel novembre 2008 durante la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo, Belusconi ha dichiarato: «Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio... Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche». L’episodio è stato raccontato dal giornalista Marco Travaglio su “L’Espresso” del 30 dicembre 2008. Come sottolinea lo stesso Travaglio, «se le parole hanno un senso, il premier spiega di avere – non si sa a che titolo – aggiustato una gara internazionale per far vincere Impregilo sui concorrenti stranieri, invitando quelli italiani a farsi da parte in cambio di altri appalti (pilotati anche quelli?)».
Quando alla scadenza del termine, giunsero le offerte delle uniche due cordate rimaste in gara, certe “anomalie” furono sotto gli occhi di tutti.(16) In meno di un anno si erano verificati cambiamenti rilevanti nelle composizioni dei raggruppamenti. Nell’associazione temporanea a guida Impregilo, ad esempio, non comparivano più la francese Vinci, numero uno mondiale del settore, che aveva il 20% delle quote al momento della sua costituzione nel giugno 2004, e la statunitense Parsons, definita dai manager Impregilo come «l’operatore con le maggiori competenze a livello mondiale nella progettazione e realizzazione di ponti sospesi». Nella cordata a guida Astaldi spiccava invece la scomparsa di una delle due società spagnole originarie (Ferrovial Agroman SA era poi rientrata nell’ATI), della giapponese Nippon Steal Corporation e delle italiane Pizzarotti e C.C.C. – Consorzio Cooperative Costruzioni. Vere e proprie fughe provvidenziali, verrebbe da dire, dato che hanno permesso la conclusione della gara per il Ponte diradando alcuni dei i dubbi di legittimità e regolarità.
Sul comportamento di Vinci, “avvicinata” dai faccendieri internazionali legati all’organizzazione criminale di Vito Rizzuto, erano piovute dure critiche da parte dei dirigenti di Astaldi, i quali, in più riprese, avevano rivendicato di aver sottoscritto un accordo in esclusiva con la società francese proprio in vista della realizzazione del Ponte. Il forfait di Parsons evitava invece che la transnazionale finisse nella ragnatela dei conflitti d’interesse che hanno segnato la stagione delle selezioni dei soggetti chiamati alla realizzazione del collegamento stabile. La controllata Parsons Transportation Group, a fine 1999, era stata nominata “advisor” dal Ministero dei lavori pubblici per l’approfondimento degli aspetti tecnici del progetto di massima del Ponte di Messina. La stessa Parsons Transportation Group ha poi partecipato al bando per il Project Management Consultant per la vigilanza delle attività di progettazione ed esecuzione del general contractor del Ponte. Se Parsons Transportation Group avesse vinto questa gara (cosa poi puntualmente verificatasi) e la società madre fosse rimasta associata ad Impregilo, la Stretto di Messina si sarebbe trovata nella spiacevole situazione di affidare i due bandi multimilionari ad una medesima entità, in cui avrebbero coinciso controllore e controllato.
Scelta quasi obbligata quella invece di Pizzarotti. Nel 2004, la società di Parma aveva stipulato con Todini Costruzioni Generali S.p.A. un contratto di acquisizione del ramo d’azienda comprendente la partecipazione nel Consorzio CEPAV Due, incaricato della realizzazione della nuova linea ferroviaria Milano-Verona. Si da il caso che contestualmente Todini Costruzioni aveva costituito insieme a Rizzani de Eccher e Salini Costruzioni, il Consorzio Risalto, uno dei soci dell’austriaca Strabag nella fase di pre-qualifica del Ponte sullo Stretto.
Perlomeno miracolosa l’uscita di scena del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna. Originariamente la Legadelle Cooperative si vedeva rappresentata in entrambe le cordate in gara per i lavori del Ponte: con la CCCin ATI con Astaldi e con la CMC- Cooperatriva Muratori Cementisti di Ravenna in ATI con la “concorrente” Impregilo. Con l’aggravante che proprio la CMC risultava essere una delle 240 associate, la più importante, della cooperativa “madre” CCC di Bologna. Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e italiane in materia di appalti pubblici, le quali escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che «si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo», ovverossia di società tra esse «collegate o controllate». In particolare nel Decreto Legislativo del 10 gennaio 2005 n. 9, che integra e modifica le norme previste dalle leggi per l’istituzione del sistema di qualificazione dei contraenti generali delle «opere strategiche e di preminente interesse nazionale» si stabilisce che «non possono concorrere alla medesima gara imprese collegate ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993». Lo stesso decreto afferma il «divieto ai partecipanti di concorrere alla gara in più di un’associazione temporanea o Consorzio, ovvero di concorrere alla gara anche in forma individuale qualora abbiano partecipato alla gara medesima in associazione o Consorzio, anche stabile».
L’ipotesi di violazione di queste norme da parte delle due coop è stato sollevato, tra gli altri, dalla parlamentare Anna Donati e ripreso dai maggiori organi di stampa nazionali. Il WWF, in particolare, è ricorso davanti all’Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiedere l’annullamento della gara. (17)
Mentre la Società Stretto di Messina sceglieva di non intervenire, alla vigilia dell’apertura delle buste per il general contractor, il Consorzio Cooperative Costruzioni scompariva provvidenzialmente dalla lista delle società della cordata Astaldi. Così la coop "madre" lasciava il campo alla coop "figlia" che si aggiudicava con Impregilo il bando di gara.



Ha vinto Impregilo!



«La gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo». Alla vigilia dell’apertura delle offerte delle due cordate in gara, nel corso di una telefonata con Paolo Savona (l’allora presidente della società di Sesto San Giovanni), l’economista Carlo Pelanda si dichiarava sicuro che sarebbe stata proprio l’associazione d’imprese guidata da Impregilo ad essere prescelta dalla Stretto di Messina per la costruzione del Ponte. Nel corso della stessa telefonata Pelanda sosteneva di avere avuto assicurazioni del probabile esito della gara dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già presidente di Publitalia ed amministratore delegato di Mediaset. 
Sfortunatamente, il colloquio tra Paolo Savona e l’amico Carlo Pelanda è stato intercettato dagli inquirenti della procura di Monza nell’ambito dell’inchiesta per falso in bilancio e false comunicazioni sociali nella società di Sesto San Giovanni. Incuriositi dalla singolare vocazione profetica dell’interlocutore, i magistrati lombardi interrogarono l’ex presidente d’Impregilo, Paolo Savona, sul senso di quella telefonata. «Era una legittima previsione», risponderà Paolo Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». (18) 
Carlo Pelanda, editorialista del “Foglio” e del “Giornale” – quotidiani del gruppo Berlusconi – ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Antonio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia. Pelanda era pure un intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno”, fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. (19)
In verità, le premesse per una vittoria d’Impregilo c’erano tutte. Basti pensare ai conflitti d’interesse che avevano turbato l’intero iter di gara. Come ad esempio quelli relativi alla composizione della Commissione nominata dalla Stretto di Messina S.p.A. per valutare le offerte e disporre l’aggiudicazione della gara. La necessaria “indipendenza” della Commissione fu messa in dubbio ancora dalla parlamentare Anna Donati, che in un’interrogazione presentata subito dopo l’ufficializzazione dei vincitori, rilevò come l’ingegnere danese Niels J. Gimsing, uno dei membri dell’organismo aggiudicatore, aveva fatto parte (dal 1986 al 1993) della commissione internazionale di esperti per la valutazione del progetto di massima del Ponte sullo Stretto; Gimsing aveva inoltre lavorato ininterrottamente dal 1983 al 1998, come consulente per la progettazione di gara e la supervisione lavori per la costruzione dello Storbelt East Bridge. (20) 
Coincidenza vuole che il ponte di Storbelt sia stato progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui il raggruppamento temporaneo d’imprese guidato da Impregilo aveva affidato “in esclusiva” l’elaborazione progettuale del Ponte di Messina. Membro del Cowi Group è pure lo studio d’ingegneria Buckland & Taylor Ltd., con sede a Vancouver, altro progettista del Ponte sullo Stretto e di tutte le infrastrutture di collegamento similari disseminate in Canada, paese di Giuseppe Zappia. L’ingegnere Niels Gimsing avrebbe dovuto astenersi dal partecipare alla Commissione di gara per il general contractor, anche perché l’allora amministratore delegato della società Impregilo, Alberto Lina, era stato dal 1995 al 1998 presidente di Coinfra, la società dell'IRI che aveva partecipato come “fornitore” alla realizzazione in Danimarca dello Storebelt Bridge, insieme a Cowi, collaborando direttamente con il professionista danese.
L’ingegnere Niels J. Gimsing ha pure ricoperto il ruolo di membro della Commissione tecnica di aggiudicazione della gara per il ponte Stonecutters, Hong Kong. Si tratta di una struttura lunga 1.018 metri ed alta 300 che collegherà il porto commerciale di Kwai Chung con il nuovo aeroporto di Hong Kong. Ebbene, il progetto “Stonecutters” vede pure la firma dello studio Flint & Neill Partnership (Gran Bretagna) di cui è titolare l’ingegnere Ian Firth, altro componente della Commissione aggiudicatrice della gara per il general contractor del Ponte sullo Stretto. Firth aveva pure fatto da consulente per la Società Stretto di Messina per la redazione dei documenti tecnici di gara. Nel progetto di Hong Kong, il nome dell’ingegnere britannico compare come concept designer accanto a Cowi Consulting Engineers and Planners AS, controllata dall’omonimo gruppo danese, e allo studio canadese Buckland & Taylor. Ulteriore consulenza progettuale per il ponte di Hong Kong è stata pure fornita dalla società statunitense Maunsell AECOM, il cui project engineer è John Cadei, tra i membri della commissione nominata per l’aggiudicazione della gara per il Project Management Consultant del Ponte.



Un consulente autostradale



Altrettanto inopportuna è apparsa la nomina nella Commissione di gara per il general contractor dell’urbanista Francesco Karrer. Il professore Karrer è stato infatti consulente della Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco, gestore dell’omologo tunnel, in mano per il 51% alla finanziaria della famiglia Benetton, saldamente presente in Autostrade S.p.A. e nel consorzio IGLI-Impregilo. Karrer è poi consulente di R.A.V. – Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, realizzatore e gestore del raccordo autostradale fra la città di Aosta e il traforo del Monte Bianco. Dell’autostrada Aosta-Monte Bianco il professore di Roma ha pure svolto lo studio di valutazione d’impatto ambientale. Il pacchetto di maggioranza di R.A.V. è in mano alla stessa Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco della famiglia Benetton, mentre tra gli azionisti di minoranza compare il costruttore Marcellino Gavio, altro importante azionista di IGLI-Impregilo e della A.C.I. S.c.p.a. (Argo Costruzioni Infrastrutture Soc. consortile), in A.T.I. con la società di Sesto San Giovanni per i lavori del Ponte. 

Le consulenze professionali di Francesco Karrer sono inoltre tra le più richieste dal gioiello di casa Benetton, Autostrade S.p.A., a capo di buona parte del sistema autostradale italiano. Il professionista è stato incaricato della costruzione del primo “bilancio ambientale” della società; sempre di Autostrade S.p.A., Karrer è stato consulente per il riavvio del progetto della Variante di Valico; “incaricato“ del coordinamento scientifico dello studio d’impatto ambientale del progetto di riqualificazione dell’Autostrada A14 e della Tangenziale di Bologna; “responsabile scientifico del S.I.A.” del progetto di adeguamento dell’Autostrada A1 nei tratti Aglio-Incisa e Firenze Sud-Incisa Valdarno. L’urbanista è stato anche membro della Commissione della Regione Veneto per la valutazione della proposta di realizzazione del cosiddetto “Passante autostradale di Mestre”, i cui lavori sono stati poi assegnati ad un consorzio guidato dalla solita Impregilo.
Ma nel curriculum vitae del professore Karrer spicca soprattutto la lunga opera professionale svolta a favore del Ponte: per conto della concessionaria Stretto di Messina, Karrer ha prestato la sua consulenza per la gestione degli studi ambientali connessi alla realizzazione dell’opera, mentre su incarico dell’Istituto Superiore dei Trasporti (ISTRA) ha coordinato lo studio dell’“opzione zero” (o “senza opera”) nell’ambito del SIA del progetto di attraversamento stabile. Nel 2002 ha pure ricoperto il ruolo di componente della commissione per l’aggiudicazione dei servizi relativi allo studio d’impatto ambientale (gara affidata ad un raggruppamento temporaneo d’imprese in cui compariva Bonifica S.p.A., società di cui Karrer è stato progettista e consulente).21 Un anno prima l’urbanista aveva pure collaborato allo studio finalizzato a valutare «gli effetti di valorizzazione e riorganizzazione territoriale a seguito della realizzazione del Ponte sullo Stretto», commissionato al CERTeT – Centro di Economia Regionale dei Trasporti e del Turismo dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. Karrer è stato infine «vincitore, in associazione con l’Università Bocconi, PriceWaterhouse e Net Engineering, della gara internazionale indetta dal Ministero dei Lavori Pubblici per l’advisor sul progetto di attraversamento stabile dello Stretto di Messina (aspetti ambientali, territoriali-urbanistici, trasportistici e di fattibilità economica)». 


L’Impregilo sul Ponte 



Se poi si passa ad alcuni dei professionisti che sono stati membri del consiglio di amministrazione della Stretto di Messina S.p.A., sembra esserci più di un feeling con il colosso delle costruzioni di Sesto San Giovanni. 
Nell’aprile del 2005, ad esempio, venne nominato quale membro del Cda della concessionaria del Ponte, il dottor Francesco Paolo Mattioli, ex manager Fiat e Cogefar-Impresit (oggi Impregilo), consulente della holding di Torino e responsabile del progetto per le linee ad alta velocità ferroviaria Firenze-Bologna e Torino-Milano di cui Impregilo ricopre il ruolo di general contractor. Dodici anni prima dell’incarico nella Stretto S.p.A., Francesco Paolo Mattioli era stato arrestato su ordine della Procura di Torino interessata a svelare i segreti dei conti esteri della Fiat, dove risultavano parcheggiati 38 miliardi di vecchie lire destinati a tangenti. Nel maggio ‘99 arrivò per Mattioli la condanna a un mese di reclusione, pena confermata in appello e infine annullata in Cassazione per «sopravvenuta prescrizione del reato». 
Nel consiglio di amministrazione della società concessionaria sedeva al momento dell’espletamento delle gare il Preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università "La Sapienza" di Roma, prof. Carlo Angelici. Angelici era contestualmente consigliere di Pirelli & C. e di Telecom Italia Mobile (TIM), società di cui erano (e sono) azionisti i Benetton. Edizioni Holding, altro gioiello del gruppo di Treviso - attraverso Schemaventotto - controlla la Società per il Traforo del Monte Bianco, di cui è stato consulente l’ingegnere Karrer e membro del consiglio d’amministrazione un altro “storico” del Cda della Stretto di Messina, il direttore generale ANAS Francesco Sabato. Va poi rilevato che sindaco effettivo di Autostrade-Benetton è la riconfermata sindaco effettivo della Stretto di Messina, dottoressa Gaetana Celico. 
Presenze “pesanti” anche all’interno di Società Italiana per Condotte d’Acqua, altro partecipante alla cordata general contractor del Ponte. Condotte d’Acqua è quasi internamente controllata dalla finanziaria Ferfina S.p.A. della famiglia Bruno. Ebbene, nei consigli d’amministrazione di Ferfina e di Condotte Immobiliare (la immobiliare di Condotte d'Acqua) compariva nel giugno 2005 il professore Emmanuele Emanuele, contestualmente membro del Cda della concessionaria statale per il Ponte. 
Dal 2002, presidente della Stretto di Messina S.p.A. è l’on. Giuseppe Zamberletti, più volte parlamentare Dc e sottosegretario all’interno e agli esteri ed ex ministro per la protezione civile e dei lavori pubblici. Invidiabile pure la sua lunga esperienza in materia di grandi infrastrutture: Giuseppe Zamberletti è stato presidente del Forum europeo delle Grandi Imprese, uno degli interlocutori privilegiati della Commissione europea, mentre da più di un ventennio ricopre la massima carica dell’Istituto Grandi Infrastrutture (IGI), il “centro-studi” d’imprese di costruzione, concessionarie autostradali, enti aeroportuali, istituti bancari, per approfondire l’evoluzione del mercato dei lavori pubblici, monitorare le grandi opere e premere sugli organi istituzionali per ottenere modifiche e aggiustamenti legislativi in materia di appalti e concessioni a vantaggio degli investimenti privati. In questa potente lobby dei signori del cemento, compaiono quasi tutti i concorrenti alle gare per la realizzazione del Ponte.
Vicepresidente vicario di IGI al tempo delle gare del Ponte, il cavaliere Franco Nobili, trent’anni a capo della società di costruzione Cogefar del gruppo Gemina-Fiat (poi entrata a far parte di Impregilo), passato poi nel Cda della Pizzarotti di Parma, che ha integrato in un primo tempo la cordata guidata da Astaldi per il general contractor del Ponte. Dal 1989 al 1993 Franco Nobili ha pure ricoperto la carica di presidente dell’IRI, l’istituto - poi liquidato - a capo dell’industria statale nazionale e di cui è stato direttore generale e membro del Collegio dei liquidatori l’odierno amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci.
Tra gli odierni vicepresidenti del consiglio direttivo dell’Istituto Grandi Infrastrutture ci sono i manager delle società entrate nel business del Ponte: Alberto Rubegni amministratore delegato d’Impregilo (recentemente condannato a 5 anni di reclusione nell’ambito del processo TAV Firenze); Pietro Gian Maria Gros, presidente di Autostrade-Benetton;, Vittorio Morigi, Ad del Consorzio Muratori Cementisti; Paolo Pizzarotti, a capo dell’omonima azienda di Parma; finanche il professor Carlo Bucci (in rappresentanza dell’ANAS, azionista di maggioranza della Stretto di Messina S.p.A.), consigliere d’amministrazione della concessionaria per il Ponte nel triennio 2005-2007.
Ci sono poi le aziende presenti nel consiglio direttivo dell’Istituto. Anche qui abbondano le società che hanno concorso su fronti opposti ai differenti bandi di gara per il Ponte sullo Stretto. Tra esse, ad esempio, Società Italiana per Condotte d’Acque (nell’ATI general contractor), più SATAP S.p.A.., società autostradale controllata dalla finanziaria Argos di Marcellino Gavio (azionista IGLI-Impregilo). All’interno di IGI anche Astaldi, capogruppo dell’ATI “contrappostasi” a Impregilo, con le associate Grandi Lavori Fincosit e Vianini Lavori dell’imprenditore-editore Caltagirone. 

Uno dei prossimi maggiori impegni della Stretto S.p.A. sarà quello di ritoccare l’ammontare del contratto sottoscritto da Impregilo & socie; ferro e acciaio sono cresciuti vertiginosamente nel mercato internazionale, mentre altre voci di spesa potrebbero essere state sottostimate in fase di pre-progettazione. Date affinità e cointeressenze, chissà se alla fine, per comodità, non ci si veda tutti in Piazza Cola di Rienzo 68, sede dell’IGI e dei signori del Ponte.


Note



(1) Il general contractor o “contraente generale” è la figura nata con la cosiddetta “Legge obiettivo” (n. 190/2002) che regola tutte le Grandi Opere strategiche. Questa figura gode della “piena libertà di organizzazione del processo realizzativo, ivi compresa la facoltà di affidare a terzi anche la totalità dei lavori stessi”, una libertà, che si traduce anche nel fatto che “i rapporti del contraente generale sono rapporti di diritto privato”. Fortemente contestata da ambientalisti ed operatori economici, nel giugno 2006 il general contractor è stato duramente censurato dalla Commissione europea che lo ha giudicato «non conforme» al diritto comunitario in materia di appalti pubblici e «segnatamente alla direttiva 93/37/CEE e alla nuova direttiva 2004/18/CE, della disciplina del sistema di riqualificazione dei contraenti generali delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale».
(2) Tribunale Penale di Roma, Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari Ufficio 23°, Ordinanza di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nei confronti di Vito Rizzuto + 4, Roma, 22 dicembre 2004.
(3) M. Lillo e A. Nicaso, I grandi affari del Padrino del Ponte, “L’Espresso”, 22 febbraio 2005.
(4) I testi delle intercettazioni telefoniche ed ambientali riportate da qui in poi tra virgolette sono tratti da: Tribunale Penale di Roma, Ordinanza di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nei confronti di Vito Rizzuto + 4, cit.
(5) Il bando di gara per la pre-selezione del general contractor sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il successivo 15 aprile 2004. Veniva fissato come termine per la presentazione delle domande di partecipazione la data del 13 luglio 2004, poi prorogato al 15 settembre.
(6) Secondo quanto raccontato da Giuseppe Zappia ai magistrati romani, il “principe” sarebbe stato Bin Nawaf Bin Abdulaziz Al Saud, uno dei nipoti di re Fahd d’Arabia, personaggio legato da antica amicizia a Silvio Berlusconi. Per gli inquirenti, il “numero uno” sarebbe invece stato il boss mafioso Vito Rizzuto.
(7) A. Perrongelli, Le mani del clan Rizzuto sul Ponte di Messina, “Corriere Canadese”, 24 maggio 2005.
(8) Nell’ordinanza non vengono specificati i termini secondo cui i “pentiti” avrebbero fatto riferimento alla presunta mafiosità della società, né tantomeno risultano indagini relative a possibili collusioni con la criminalità organizzata. 
(9) Tribunale Penale di Roma, Ordinanza di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nei confronti di Vito Rizzuto + 4, cit., p.4.
(10) Argofin è una società finanziaria controllata dal costruttore Marcellino Gavio, che opera principalmente nel settore della gestione di reti autostradali e delle costruzioni. Ad Argofin risale il controllo di due delle maggiori imprese di costruzioni italiane, Itinera e Grassetto.
(11) Techint è la holding della famiglia italo-argentina dei Rocca e controlla le società siderurgiche dello storico gruppo Dalmine e importanti acciaierie in America latina, Stati Uniti, Tailandia, Giappone e Cina. Sirti S.p.A. è il gruppo leader in Italia nel settore dell’impiantistica e telefonia fissa e cellulare, attivo anche nel settore dell’Alta velocità ferroviaria e dei sistemi militari avanzati (impianti di telecomunicazione e radio, ecc.).
(12) Efibanca è la merchant bank di BPI - Banca Popolare Italiana (ex Banca di Lodi), al centro delle cronache finanziarie (e giudiziarie) per l’assalto alla Banca Antonveneta. 
(13) Nei mesi successivi alla presentazione dell’offerta per la gare del Ponte, Impregilo è stata oggetto di ulteriori scambi azionari. Nell’autunno 2005, è stato il colosso statunitense Hbk Investments ad entrare nel capitale della società con una quota del 2,29%. La Consob ha poi rilevato la scalata da parte della Banca Popolare di Milano, che ha prima portato la sua partecipazione nella società al 4,72%, per poi scendere nel marzo 2006 al di sotto del 2%. Nel febbraio 2006 ha invece fatto ingresso il gruppo finanziario italo-britannico Theorema Asset Management, rilevando il 2,13% del pacchetto azionario. Gli analisti finanziari hanno pure indicato un controllo su Impregilo da parte di uno dei maggiori gruppi finanziari internazionali, Morgan Stanley, che sarebbe giunto a controllare nel settembre 2005 l’8% del capitale azionario della società (5,25% in mano a Morgan Stanley International e 2,87% a Morgan Stanley & Co.). Un’acquisizione tutt’altro che limpida e lineare: chiamata in causa dal quotidiano Il Giornale di Milano in due articoli del 19 e 20 ottobre 2005 (Stanley Morgan veniva accusato di fare da «scudo a un possibile cavaliere mascherato»), il gruppo rispondeva con un ambiguo comunicato in cui dichiarava che «nessuna società del gruppo deteneva posizioni in Impregilo per le quali fosse necessario effettuare le comunicazioni previste dalla normativa di riferimento. La partecipazione complessivamente calcolata era infatti composta da posizioni detenute per conto di terzi a vario titolo, per le quali non esiste da parte di Morgan Stanley nessun obbligo di comunicazione». 
(14) ”Astaldi: unificare le cordate”, Gazzetta del Sud, 20 aprile 2005.
(15) P. Brutti, Montalbano, Interrogazione parlamentare ai Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell'Economia e delle Finanze, Legislatura 14º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 791 del 03/05/2005.
(16) A conclusione della gara furono presentate le offerte dell’A.T.I. con capogruppo Astaldi S.p.A. e i mandanti Ferrovial Agroman SA, Maire Engineering S.p.A., Ghella S.p.A., Vianini Lavori S.p.A., Grandi Lavori Fincosit S.p.A.;; e dell’A.T.I. formata dalla mandataria Impregilo S.p.A. e dai mandanti Sacyr SA, Società Italiana per Condotte D’Acqua S.p.A., Cooperativa Muratori Cementisti-C.M.C. di Ravenna, Ishikawajima-Harima Heavy Industries CO Ltd., A.C.I. S.c.p.a. (Argo Costruzioni Infrastrutture Soc. consortile per azioni)-Consorzio stabile.
(17) WWF Italia, Richiesta di annullamento della fase di prequalifica e conseguente sospensione delle procedure di valutazione delle offerte per la scelta del General Contractor del Ponte sullo Stretto per violazione dell’art. 3 della Direttiva 93/37/CEE, Roma, 28 giugno 2005.
(18) L. Fazzo, F. Sansa, «Il Ponte? Lo vince Impregilo», parola di Marcello Dell’Utri, “La Repubblica”, 3 novembre 2005.
(19) Già consigliere di Francesco Cossiga nel settennato alla Presidenza della Repubblica, il 28 gennaio 1996 Carlo Pelanda ha partecipato assieme a Marcello Dell’Utri ad una conferenza dell’associazione “Il Buongoverno” a Mondello (Palermo). De “Il Buongoverno” è pure socio l’ex ministro Antonio Martino.
(20) “Il Sole 24 ore”, 11 giugno 2005.
(21) In particolare il professore Francesco Karrer ha curato per conto dell’A.T.I. Bonifica-Roksoil-Hydrodata il progetto di variante della strada per Gressoney (sul fiume Lys), in Valle d’Aosta. Rocksoil è la società di ingegneria dell’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi.


Articolo pubblicato in MicroMega il 24 marzo 2009, http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-signori-del-ponte/

Politica militare della UE, cooperazione UE-NATO e investimenti nella ricerca di nuovi strumenti di guerra

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