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Scajola, Dell’Utri e lo Stato Parallelo. Quella cena a casa Billè…

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Un sistema economico-finanziario-criminale complesso che opera nell’ombra e sostiene interessi imprenditoriali illeciti coinvolgenti svariati settori, in cui ciascuno è parte di un tutto e al quale contribuisce fornendo i propri canali e le proprie conoscenze per ottenere vantaggi enormi. Poteri forti, fortissimi, una supercupola ove opererebbero in contiguità ex uomini di governo, parlamentari, faccendieri, industriali, appartenenti delle forze dell’ordine, affiliati di mafia e ‘ndrangheta, massoni (alcuni dei quali con un passato nella P2 di Licio Gelli), dirigenti di punta del complesso militare-industriale, finanche qualche giornalista professionista. Uno Stato parallelo che secondo la Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria avrebbe dato il proprio sostegno per garantire le fughe e latitanze dorate all’estero di due ex parlamentari di primo piano del partito azienda di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Amedeo Gennaro Matacena, “pacificamente vicini ad associazioni mafiose, rispettivamente siciliane e calabresi”.
“L’intensità e la caratura degli enunciati rapporti, esaminati soprattutto alla luce delle risultanze investigative romane, postulano necessariamente una stretta correlazione tra le due vicende che hanno visto quali protagonisti i due politici, vale a dire quella della fuga in Libano dell’ex senatore Dell’Utri, ed il trasferimento a Dubai dell’ex deputato Matacena, ove tuttora - da latitante - risulta dimorare”, riporta la DIA nella sua informativa sullo Stato parallelo, redatta il 19 aprile 2018. “Le acquisizioni investigative hanno documentato la sicura esistenza di una rete di rapporti e basi logistiche in grado di supportare la condizione di latitanza di soggetti la cui notorietà, per il contesto politico di provenienza, è tale da richiedere entrature e condivisione di interessi ad alti livelli. Si è disvelata la piena operatività di un vasto e qualificato numero di soggetti dedito alla commissione di condotte delittuose di particolare gravità, alcune contro il patrimonio, finalizzate a schermare la reale titolarità di imponenti cespiti patrimoniali in capo ad Amedeo Gennaro Matacena, indi volte ad aiutare il predetto a sottrarsi alla esecuzione della pena a lui applicata…”.
L’informativa della Direzione Investigativa Antimafia è frutto di un’attività d’indagine avviata nell’ottobre 2014 e oggi è agli atti del processo che vede imputato al Tribunale di Reggio Calabria l’odierno sindaco di Imperia, Claudio Scaloja (pluriministro di Forza Italia negli esecutivi di Silvio Berlusconi tra il 2001 e il 2010), con l’accusa, appunto, di aver favorito la latitanza di Amedeo Gennaro Matacena, condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
“Nell’ambito del presente procedimento, apprezzabile rilevanza investigativa hanno assunto le complesse attività tecniche ritualmente autorizzate sia nei confronti di Chiara Rizzo, moglie di Matacena, sia nei riguardi dell’ex parlamentare Claudio Scajola, entrambi implicati nelle condotte finalizzate, preliminarmente, a favorire la sottrazione del Matacena all’esecuzione della pena disposta dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria e, successivamente, ad agevolare il tentativo di trasferimento del medesimo dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, con lo scopo di proteggerlo da una possibile estradizione in favore dello Stato italiano”, riportano gli inquirenti calabresi. “L’apporto concorsuale di Claudio Scajola nel proposito criminoso di condurre a buon fine le operazioni in favore del Matacena, si è sostanziato nel contributo logistico e nella consistente e fitta rete di relazioni personali e fiduciarie posta funzionalmente nella disponibilità dei coniugi Matacena, al fine di tutelare i comuni interessi di natura economica ed imprenditoriale. Per tale ragione Scajola ha mantenuto frequenti contatti con Chiara Rizzo, informandola costantemente in merito agli esiti delle attività dal condotte (…) che avevano come finalità quella di condurre il citato armatore in un paese sicuro, individuato nella capitale della Repubblica del Libano”.
L’intermediario Mister Esse
Un ruolo di particolare rilievo nel progetto funzionale al trasferimento di Matacena da Dubai al Libano è stato svolto da Vincenzo Speziali, imprenditore originario di Melito di Porto Salvo (Rc), domiciliato di fatto a Beirut. Speziali, in particolare, avrebbe fatto da intermediario tra l’ex ministro Scaloja ed il referente libanese, l’ex Presidente Amin Gemayel (a capo della Repubblica del paese dei cedri dal settembre 1982 al settembre 1988, nonché figlio di Pierre Gemayel, il fondatore del partito delle Falangi), che “aveva asseritamente offerto le necessarie garanzie in ordine al rigetto della richiesta di estradizione del Matacena da quel territorio”. Il 29 gennaio 2018 l’imprenditore ha patteggiato davanti al Gup del Tribunale reggino la pena di 12 mesi di reclusione per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare forzista.
“Speziali è stato uno degli artefici di tale trasferimento, assumendo consapevoli condotte finalizzate alla protezione economica di uno dei più potenti ed influenti concorrenti esterni della ‘ndrangheta reggina”, scrive il GIP del Tribunale di Reggio Calabria Olga Tarzia, nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare emessa il 2 marzo 2015. “Claudio Scajola, Vincenzo Speziali e altre persone sottoposte ad indagine divengono funzionali pedine del complessivo sistema criminale, in quanto in grado di garantire interlocuzioni costanti con apparati istituzionali e professionali ridondanti in favore del Matacena, schermato dietro persone giuridiche riconducibili indirettamente alla di lui coniuge Chiara Rizzo (…) È di tutta evidenza che Vincenzo Speziali sia al centro di una rete di collegamenti e di interessi fortemente orientati a garantire l’impunità…”.
Alla base della particolare influenza di Vincenzo Speziali in quello che la DIA chiama lo Stato parallelo, la sua appartenenza ad una delle famiglie imprenditrici più potenti in Calabria; in particolare egli è il nipote, omonimo, di Vincenzo Speziale, il noto imprenditore originario di Bovalino deceduto nel 2016, già al vertice di un importante gruppo industriale ed ex dirigente dell’ENI, già alla guida di Confindustria Calabria e dal 2001 al 2006 presidente della Sacal, la società di gestione dell’aeroporto di Lamezia Terme. Vincenzo Speziali senior ha pure ricoperto gli incarichi di membro del consiglio di reggenza della Banca d’Italia e di vicepresidente della Banca Popolare di Crotone e nel 2008, dopo aver fatto ingresso nella vita politica attiva con il Popolo della Libertà, era riuscito a farsi eleggere al Senato nella XVI Legislatura.
Determinanti poi le relazioni privilegiate intrattenute da Vincenzo Speziali junior con gli apparati istituzionali della Repubblica del Libano, anche grazie al fatto di essere coniugato con la cittadina libanese Rizk Joumana, nipote dell’ex presidente Amin Gemayel. “Lo Speziali ha messo a frutto compositi ed accreditati rapporti che gli hanno permesso di estendere la sua rete in Italia con importanti politici nazionali, con appartenenti delle forze dell’ordine e rappresentanti dell’imprenditoria e con soggetti iscritti alla vecchia Loggia P2 come Emo Danesi, già parlamentare Dc, tessera 1916 della loggia massonica diretta da Licio Gelli, e il faccendiere ed ex giornalista Luigi Bisignani (tessera P2 n. 1689)”, scrive la DIA. L’imprenditore è stato pure ritenuto arteficedel trasferimento dell’ex senatore Marcello Dell’Utri a Beirut alla vigilia del pronunciamento della Corte di Cassazione sulla sua condanna a sette anni di reclusione per associazione mafiosa emessa dalla Corte d’appello di Palermo. Nella capitale libanese, il 12 aprile 2014 Dell’Utri veniva individuato e catturato grazie alle attività d’indagine del Centro Operativo DIA di Palermo. “Il rapporto tra Vincenzo Speziali e Marcello Dell’Utri è consolidato, tanto da aver generato in un periodo di 18 mesi un intenso flusso telefonico pari a circa 400 contatti, sintomatico di una buona conoscenza e di rapporti anche nel lasso temporale immediatamente precedente lo spostamento del politico in Libano”, annotano gli inquirenti. E come per la latitanza di Amedeo Matacena, anche per quella di Marcello Dell’Utri avrebbe giocato un ruolo chiave l’ex premier libanese Amin Gemayel, così come del resto ammesso pubblicamente dal padre-padrone di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
“A seguito delle parole pronunciate agli organi di stampa dall’ex parlamentare Berlusconi che aveva coinvolto Gemayel nella vicenda della latitanza di Dell’Utri in Libano, la paura e l’irritazione si impadronivano dell’indagato Speziali che, nel tentativo di affrancarsi da tali sospetti, si rendeva meno disponibile a portare a termine l’impegno assunto con Scajola in favore di Amedeo Gennaro Matacena, ancorché confermerà, attraverso le sue stesse parole, l’interessamento concreto e reale verso le sorti del citato catturando”, aggiunge la DIA di Reggio Calabria. Allo scopo di professare la sua totale estraneità alla vicenda, nel mese di aprile 2014, “ovverosia nel breve intervallo temporale trascorso tra l’emissione della condanna definitiva, il susseguente provvedimento di cattura e l’arresto a Beirut del precitato Marcello Dell’Utri”, Vincenzo Speziali si adopera per chiedere l’intervento del maresciallo della Guardia di Finanza Ercole D’Alessandro, in servizio presso il G.O.A. di Catanzaro, affinché interceda presso i suoi colleghi.“Non è inutile in proposito evidenziare – aggiunge la DIA - che Speziali ha da tempo posto in essere una campagna stampa intimidatoria, grazie anche al supporto di una professionista messagli a disposizione dal medesimo apparato cui è riconducibile tale Marcello Trento (soggetto che ufficialmente si occupa di progettazioni nel campo dell’energia alternativa), sottesa a denigrare e stigmatizzare in ogni forma l’operato dei Magistrati ed Ufficiali di polizia giudiziaria che lo hanno sottoposto alla presente indagine ed ai quali non risparmia invettive ed insulti”.
L’apparato dell’accoglienza latitanti & C.
Nonostante il disperato tentativo di Speziali di allontanare i sospetti su un suo diretto coinvolgimento con la fuga di Dell’Utri, alcune delle conversazioni intercettate dagli inquirenti hanno confermato “l’interessamento concreto e reale verso le sorti di Matacena che dal mondo dorato degli Emirati continua ad usufruire dell’opera di soggetti che in qualunque modo si impegnavano per trovare soluzioni favorevoli, ivi compresa l’attivissima moglie, Chiara Rizzo e l’ex ministro, Claudio Scajola, che della causa del latitante (Matacena) ne aveva fatto una questione del tutto personale”. Nelle intercettazioni telefoniche tra Vincenzo Speziali e Claudio Scajola, annotano gli inquirenti, “il primo non solo si affretta a comunicargli la fattibilità del piano e l’interesse specifico e diretto di Gemayel nei confronti del Matacena, ma spiega pure tutte le cautele per rendere impossibile l’individuazione da parte di terzi dell’importante uomo politico, facendo chiaramente comprendere che per lo spostamento sono coinvolte più persone a Dubai, dato, questo, evocativo di una partecipazione che trascende la singola persona ed è lontana dall’idea che trattasi di un favore personale…”.
“Nei rapporti tra Speziali e Scajola si coglie l’esistenza di un patto illecito vissuto in modo del tutto normale fino al momento della vicenda Dell’Utri, anzi si può ben rilevare come vi sia uno sbilanciamento del primo verso prospettive di favore per il Matacena, ritenuto una figura e un personaggio meno ingombrante dell’altro politico”, ha scritto il GIP del Tribunale di Reggio Calabria nel provvedimento cautelare a carico dell’imprenditore calabrese. “La tesi è che l’idea dell’accoglienzafosse nelle corde dello Speziali e che tanto poteva avvenire perché intorno a lui c’era tutto un apparato idoneo a recepire e preparare situazioni come quelle auspicate dallo Scajola (…) Quello che emerge, per quanto di interesse, è la certezza di una attività dedicata e specifica in cui lo Speziali ha un ruolo professionale di accoglienza all’estero di personaggi discussi cui garantisce la latitanza. Personaggi, che a loro volta godono di guarentigie e di appoggi qualificati in elevati ambienti istituzionali e paraistituzionali….”.
La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha ricostruito nella sua informativa del 19 aprile 2018 gli scenari e i contatti che sarebbero all’origine della Libano connectionpoi utilizzata dallo Stato paralleloper favorire le latitanze dei due ex parlamentari berluscononiani. Particolarmente utile alle indagini la conversazione intercettata l’8 novembre 2013 nel corso di un procedimento penale pendente presso la Procura Distrettuale di Roma all’interno del ristorante capitolino “Assunta madre”, tra Alberto Dell’Utri, fratello gemello di Marcello, e l’imprenditore catanese Vincenzo Mancuso, fratello dell’ex deputato regionale Pdl Fabio Mancuso, già maresciallo della Guardia di finanza ed ex sindaco di Adrano, tratto in arresto nel 2012 nell’ambito di un’inchiesta su presunte frodi fiscali.  “Marcello dieci giorni fa ha cenato a Roma con un politico importante del Libano, che è stato presidente”, spiegava Alberto Dell’Utri all’interlocutore. “Il 14 prossimo dovrebbe andare a Beirut. Gennaro conosce questo personaggio e gli ha detto non ti fidare”.
Gli inquirenti identificarono presto il Gennaro citato nella conversazione con il noto faccendiere Gennaro Mokbel. “Costui, pseudo imprenditore e pregiudicato dal consistente spessore criminale, risulta da tempo nelle mire degli investigatori del ROS Carabinieri e della Squadra Mobile romana”, scrive la DIA. “Protagonista della truffa milionaria Telecom-Sparkle (Operazione Broker dove ha riportato la condanna in appello a 10 anni e mezzo), unitamente al consulente milanese di Finmeccanica, Lorenzo Cola ed il commercialista di quest’ultimo, Marco Iannilli, è stato coinvolto nell’affare Digint, ovvero la società di cui Lorenzo Cola gli fece acquistare il 51% per circa 8 milioni di euro, promettendogli affari milionari una volta che Finmeccanica avesse riacquistato detta compagine che doveva, nei loro intenti, gestire la sicurezza del gruppo. In realtà la Digint, partecipata nel restante 49% da Finmeccanica, era una scatola vuota finalizzata alla costituzione di fondi neri esteri. Il progetto criminoso non si è mai realizzato poiché i predetti, coinvolti nella megafrode da due miliardi di euro ai danni dell’Erario, verranno poi tratti in arresto nel luglio 2010 dai Carabinieri del ROS. Nello specifico contesto dell’indagine, al consulente personale del presidente ed amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, ed alla di lui moglie, amministratore delegato di Selex Sistemi Integrati S.p.A., Marina Grossi, viene contestato il reato di riciclaggio del danaro (8 milioni di euro circa) versato da Gennaro Mokbel per l’acquisto del 51% della Digint S.r.l….”.
All’ombra dell’holding delle armi Finmeccanica-Leonardo
Gli inquirenti rilevano altresì come l’inchiesta Broker, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, aveva evidenziato il ruolo di Gennaro Mokbel, sostenitore dell’allora senatore del Pdl Nicola Paolo Di Gerolamo (poi condannato a 5 anni di reclusione per l’inchiesta Digint), quale trait-d’union tra la ‘ndrangheta e le società di telecomunicazioni. “L’attività investigativa ha appurato come il sodalizio criminale abbia sostenuto la candidatura del citato parlamentare alle elezioni politiche dell’aprile 2008, in qualità di rappresentante al Senato della Circoscrizione Estero-Europa, attraverso operazioni di voto irregolari e raccolta di voti tra emigrati calabresi in Germania, mediata da soggetti messi a disposizione dalla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto”, scrive la DIA. “Più in dettaglio, si documentava la personale collaborazione di Mokbel, Marco Iannilli, Nicola Di Girolamo, Franco Pugliese e delI’avvocato Paolo Colosimo (già legale di fiducia di alcuni affiliati del clan, in particolare di Fabrizio Arena, genero del Pugliese), al fine di raccogliere le schede elettorali sulle quali apporre i falsi voti per l’elezione del Di Girolamo, in cambio di denaro ed altri beni da cedere al Pugliese, soggetto già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di P.S., attraverso la fittizia intestazione di un natante di rilevante valore”.
Il commercialista Marco Iannilli fu nuovamente arrestato il 19 novembre 2011 dalla Procura della Repubblica di Roma in quanto ritenuto responsabile del reato di procurata evasione fiscale commessa in favore della Selex Sistemi Integrati, azienda dell’holding Finmeccanica. Il 10 luglio 2013, lo stesso Iannilli fu invece tratto in arresto con l’accusa di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e interposizione fittizia a seguito del fallimento della Arc Trade S.r.l., società specializzata in sistemi informatici nel settore della meteorologia.“Dall’esame di siffatte vicende giudiziarie si evince che Marco Iannilli è stato tratto in arresto unitamente a Manlio Fiore, il direttore commerciale di Selex S.I., che ha introdotto in azienda ed ha sottoscritto, per conto della stessa, un contratto di consulenza in favore di Vincenzo Speziali, dopo che quest’ultimo era stato presentato al Fiore da Marco Forlani, già capo dell’ufficio relazioni internazionali di Finmeccanica”, osserva la DIA. Per la cronaca, Marco Forlani è figlio dell’ex segretario Dc Arnaldo Forlani, già presidente del consiglio e più volte ministro in dicasteri chiave quali Difesa, Esteri, ecc.. Sentito dalla polizia giudiziaria il 3 novembre 2015, l’ex responsabile relazioni internazionali dell’holding militare-industriale ha confermato i rapporti di conoscenza con lo Speziali. “Probabilmente ad introdurlo nella sfera delle mie conoscenze è stato mio fratello Alessandro che conosceva lo Speziali perché appartenente alla sfera degli ex democristiani”, ha dichiarato Forlani. “Abbiamo organizzato un viaggio in Libano perché, in un periodo di generale crisi, come società Finmeccanica eravamo molto interessati ad investire nel mondo arabo, ritenuto inizialmente più interessante. In Libano ci accolse lo Speziali che ci invitò a pranzo e poi ci portò a casa di Gemayel per dei saluti. Gemayel lo vidi una seconda volta a Roma presso l’Hotel Minerva unitamente alla Grossi, Guarguaglini (all’epoca rispettivamente amministratori delegati di Selex e Finmeccanica, ndr,) e lo Speziali. L’ultima volta che vidi quest’ultimo è stato nel mese di novembre 2013 in Finmeccanica per prendere un caffè e mi rappresentò che Gianni De Gennaro intendeva sostituirmi, cosa che però non avvenne”.
I mafioneri di Roma Capitale
Riprendendo l’esposizione su Gennaro Mokbel, la DIA segnala che nel 2014 questi era stato sottoposto ad indagine da parte dei Carabinieri del ROS perché “al fine di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno, mediante violenza e minacce - consistite nel prospettargli di ucciderlo, nel terrorizzarlo e nel pigliarlo per il collo - poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Marco Iannilli a restituire l’ingente somma di denaro (circa sette - otto milioni di euro), comprensiva dell’attesa remunerazione, consegnatagli un anno prima per investirla nell’operazione Digint”. L’evento delittuoso non si sarebbe poi verificato per l’intervento provvidenziale del boss della Banda della Magliana Massimo Carminati, “il quale, su richiesta della vittima, la proteggeva da Mokbel, affinché deflettesse dalle condotte minatorie e vessatorie”. Dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito del procedimento penale noto come Mafia Capitale si evince che Marco Iannilli sarebbe stato il prestanome di Massimo Carminati, tant’é che nel medesimo provvedimento coercitivo gli viene contestato - in concorso con Carminati stesso – l’elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali. “Massimo Carminati attribuiva fittiziamente a Marco Iannilli la titolarità della villa in Sacrofano (Roma), con relativa pertinenza, ubicata in via Monte Cappelletto”, scrivono gli inquirenti. “Di conseguenza si deduce che l’alienazione dell’immobile rappresenti in buona sostanza il prezzo che Iannilli ha dovuto pagare per ottenere protezione dal Carminati, a fronte delle minacce patite da parte di Gennaro Mokbel. Vale nella circostanza precisare che il rapporto tra Carminati e Mokbel risale agli anni ’80, essendo risaputa e comprovata la loro comune militanza nelle rispettive compagini eversive dell’estrema destra romana, Nuclei Armati Rivoluzionari ed Ordine Nuovo, nonché la familiarità agli ambienti criminali ai quali tali formazioni risultavano contigue”.
L’attività investigativa sviluppata dai Carabinieri del ROS nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale ha pure documentato diversi incontri tra Gennaro Mokbel (in alcune circostanze insieme alla moglie Giorgia Ricci) ed i fratelli Marcello ed Alberto Dell’Utri, nel periodo che ha immediatamente preceduto l’ordine di cattura emesso dalla Corte di Appello di Palermo nei confronti dell’ex parlamentare di Forza Italia. Si tratta di ben sette convivi in importanti ristoranti romani tra l’11 novembre 2013 e il 19 febbraio 2014. Nel primo di essi, all’interno della sala privè del ristorante “La Camilluccia” di via Mario Fani, i ROS hanno segnalato pure la presenza di Gianluigi Grassi “soggetto già emerso in contatto con Gennaro Mokbel nell’ambito del procedimento Broker”. Ex pilota di linea, Gianluigi Grassi risulta coniugato con Doreen Ruyondo, sorella di Kwame Ruyondo, figlio adottivo del generale Caleb Akanwanaho, fratello del Presidente dell’Uganda Yoweri Kaguta Museveni, ininterrottamente in carica dal 1986. “Il Grassi, in ragione di siffatta parentela avrebbe favorito l’acquisizione in quel paese africano, in favore proprio del Mokbel, di una concessione diamantifera al costo di 1 milione di euro”, spiegano gli inquirenti.
Un mese prima dell’incontro tra Morkel, Grassi e i fratelli Dell’Utri, nei giorni 13, 14 e 15 ottobre 2013 Amin Gemayel era in visita in Italia accompagnato in ogni suo spostamento da Vincenzo Speziali. “Gemayel ha alloggiato presso l’albergo Eden di Roma ove, nei coincidenti giorni 14 e 15 ottobre 2013, hanno pure soggiornato il noto Marcello Dell’Utri e il banchiere libanese Robert Sursock, residente a Parigi, Presidente e amministratore delegato di GazPromBank Investment Sal e di Primecorp Finance SA”, ha accertato la DIA. “La sera del 14 ottobre 2013 Vincenzo Speziali e Amin Gemayel si sono recati a cena insieme a Marcello Dell’Utri presso l’abitazione romana della signora Constanta Raducanita, nata in Romania e deceduta nel febbraio 2016, compagna dell’ex parlamentare Giuseppe Salvatore Pizza”. Originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte, già consulente delle società di comunicazione Carat SpA e Aegis Media Italia SpA di Milano, a partire del 2003 Giuseppe Salvatore Pizza ha ricoperto l’incarico di segretario nazionale della rinata Democrazia Cristiana. In precedenza era stato componente della direzione nazionale e della Giunta esecutiva con le segreterie politiche rette da Arnaldo Forlani prima e Amintore Fanfani poi. Dopo essersi alleato alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008 con il partito del Popolo della Libertà, Pizza è stato nominato Sottosegretario di Stato all’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica (in carica dal 12 maggio 2008 al 16 novembre 2011).
Indovina chi viene a cena a casa Billè…
“A seguito del sopra riportato incontro del 14 ottobre 2013, avvenuto presso l’abitazione dell’ex parlamentare Pizza, è stato preliminarmente accertato dall’analisi del traffico telefonico che l’ex onorevole Claudio Scajola, nei giorni 16 e 17 ottobre 2013, ha avuto tre colloqui telefonici con l’utenza cellulare in uso a Vincenzo Speziali”, aggiunge la Direzione Investigativa Antimafia. “Sicché appare probabile ipotizzare che lo Scajola si sia incontrato con lo Speziali, e verosimilmente con Amin Gemayel, avendo l’ex onorevole raggiunto la Capitale, con il volo AZ1384 proveniente da Genova, proprio il giorno 15 ottobre 2013, per fare rientro nel capoluogo ligure, con le medesime modalità, il successivo giorno 16 (…) Appare quindi ragionevole sostenere che, a seguito dell’avvenuto incontro con Speziali e, ripetiamo, verosimilmente con Amin Gemayel, lo Scajola abbia nella circostanza ricevuto assicurazioni in merito al possibile trasferimento del Matacena da Dubai a Beirut, entrambe definite dall’interlocutore delle grandi Montecarlo. Si arguisce anche dalle conversazioni captate, che Scajola dovrà nuovamente incontrare i suoi amici libanesi per definire, verosimilmente a cena, i dettagli dell’operazione”.
L’appuntamento verrà fissato per il 17 dicembre 2013 presso l’abitazione romana di Sergio Billè, noto pasticcere messinese già presidente della Confcommercio, condannato due anni e mezzo prima in primo grado a tre anni di reclusione dal Tribunale di Roma per corruzione a seguito dell’assegnazione del patrimonio immobiliare dell’Enasarco alla Magiste Real Estate S.p.A. dell’immobiliarista Stefano Ricucci. “È parere di questo Ufficio che a quest’ultimo appuntamento cui fa riferimento lo Scajola, l’ex Ministro non abbia preso parte, ancorché un dato significativo, in assenza di un riscontro certo e documentale del prospettato incontro, viene direttamente fornito dall’agenda informatica personale dell’ex parlamentare Scajola, gestita dalla sua segretaria Roberta Sacco ed oggetto di sequestro”, riportano gli inquirenti. “In concreto, tra le numerose mail elettroniche cancellate dalla donna, tecnicamente e ritualmente recuperate, di apprezzabile interesse investigativo si era da subito rivelata quella oggetto di cancellazione alle ore 13.45 dell’11 dicembre 2013 in quanto, nell’allegata agenda mensile, in corrispondenza della giornata di martedì 17 dicembreè riportato: 20.30-Roma Cena Vincenzo/Dell’Utri”.
Agli atti d’indagine è allegata la testimonianza di Stefano Ricucci, tra i partecipanti alla cena in casa Billè. “Si, conosco Vincenzo Speziali, mi è stato presentato nel 2013, non ricordo il mese esatto ma ricordo che faceva caldo (presumo settembre/ottobre), da Sergio Billè qui a Roma dopo che questi erano stati ad un appuntamento con Claudio Scajola”, ha riferito l’immobiliarista nell’interrogatorio del 25 giugno 2015. “Alla cena fatta il 17 dicembre 2013 c’eravamo io, Sergio Billè con la moglie, Robert Sursock con una donna che lo accompagnava, Giuseppe Pizza. Eravamo circa sei/sette persone. Non ricordo se vi era anche Emo Danesi. La cena era stata organizzata da Sergio Billè in onore di Sursock, che in passato a me e Billè ci aveva invitato a cena a Beirut (…) No, non ho mai conosciuto e incontrato Claudio Scajola”.
Dieci giorni dopo il convivio, gli inquirenti intercettarono una telefonata tra Claudio Scajola e l’amica Chiara Rizzo. “Deve andare dentro un posto dove c’è Antonio, perché se va lì dentro allora loro direttamente se lo prendono da lì… Antonio di Montecarlo… Si tiene infatti… il gemello di Antonio…”, diceva cripticamente la moglie di Matacena al suo interlocutore. “È di tutta evidenza – conclude la DIA - che i dettagli dell’operazione finalizzata al trasferimento del latitante, i riferimenti alla sede diplomatica, il gemello di Antonio di Montecarlo (l’ambasciatore del Principato di Monaco Antonio Morabito, ndr.) e l’acquisita disponibilità alla realizzazione del piano di fuga, rappresentino elementi informativi di assoluta rilevanza, verosimilmente ottenuti dal medesimo Scajola in occasione di un incontro realizzato con i suoi amici libanesi (Vincenzo Speziali ndr.), pochi giorni prima rispetto alla riportata conversazione telefonica…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 25 febbraio 2019, https://www.stampalibera.it/2019/02/25/dia-scajola-dellutri-e-lo-stato-parallelo-quella-cena-a-casa-bille/?fbclid=IwAR31YZZG8wDmtK2HYQ8U_r6zJt7tVY0EGsVfHXohDJkaaLutOyTd5CUMfY4

Ponte sullo Stretto. Un modello da lasciarsi alle spalle

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Le tattiche dei media sono fondamentalmente due. Il “nemico” non esiste, va ignorato, seppellito sotto tonnellate di spot, tele-show, dichiarazioni di figuranti della politica da Palazzo. Altrimenti, deve essere vilipeso, irriso, etichettato, isolato.
Decine di migliaia di persone, tra cui molta gente ormai disabituata ai cortei ed altra del tutto nuova, sono scese in piazza negli ultimi anni da Nord a Sud per difendere il territorio e la propria esistenza dall’ingordigia distruttrice di un falso modello di sviluppo.
Anziché capirne le ragioni o cercare il dialogo, sono stati bollati come terroristi e “no-global” dai politici, sbeffeggiati dai media come retrogradi ed egoisti, e talvolta – come in Val Susa - colpiti senza misericordia dai manganelli delle “forze dell’ordine”, desiderose di aprire la strada alle ruspe portatrici della modernità.
L’isteria delle reazioni nasconde certamente l’irritazione, lo stupore, la meraviglia, lo straniamento dei Berlusconidiormai convinti di confrontarsi esclusivamente con una tele-platea narcotizzata ed intontita dalle frasi ad effetto studiate dai geni del marketing.
Ed invece si sono trovati di fronte a gente che esce, protesta, pensa e dice e scrive parole che non avevano trovato cittadinanza in televisione.
Piccole minoranze, nel corso del tempo, hanno saputo spiegare le proprie ragioni – concrete e non ideologiche -  guadagnandosi il consenso di chi – al di là dell’appartenenza politica – pagherà comunque sulla propria pelle la presenza di mega-cantieri, discariche radioattive o impianti inquinanti.
A tutto questo, alle ferite immediate, vanno aggiunti i danni letali ai conti pubblici, la politica della privatizzazione che arricchisce pochi ed impoverisce tutti gli altri, l’inefficienza senza rimedio e la lentezza infinita delle troppe opere mai completate che nessuno spot elettorale potrà mai coprire.

Processo alla classe dirigente

Un sistema inefficiente e parassitario che impiega più di trent’anni per pochi chilometri d’autostrada, che ammette orgoglioso la “convivenza” con il crimine organizzato, che è incapace di mantenere l’esistente (si pensi agli incidenti sulle linee ferroviarie ed alla strage quotidiana sulle strade italiane) si candida alla progettazione della “mega-opera” più impegnativa mai realizzata dall’uomo.
Uno scenario surreale reso possibile dalle campagne stampa di media asserviti, secondo cui i veri nemici del progresso sono cittadini che non vogliono vivere in un eterno, immenso cantiere.
Il panorama delle opere pubbliche negli ultimi anni è deprimente: non solo lavori interminabili, ma anche parodistiche inaugurazioni pre-elettorali, annullamenti di regole e controlli, cantieri che diventano corpo del reato e vengono sequestrati dalla magistratura ed infine la fortissima privatizzazione degli utili e l’altrettanto pesante socializzazione dei costi.
Lo Stato, perennemente disprezzato (a parole) dalle imprese, lo Stato dei “lacci e lacciuoli”, l’elefante malato di burocrazia che tutti vogliono trasparente, leggero o assente è in realtà da sempre lo strumento più comodo ed ambito per ottenere profitti altrimenti irrealizzabili.
La “Legge Obiettivo” è stata il mezzo per creare un disastro sociale, un colpo mortale alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni ed una ferita forse decisiva ai conti pubblici.
Nel dicembre 2001 il governo Berlusconi ha avviato il primo Programma delle Infrastrutture strategiche in cui elencava 117 opere per un costo valutato originariamente in 125,8 miliardi di euro, senza tuttavia indicare esattamente le risorse né tanto meno la loro provenienza.
Nel 2004 il numero delle Grandi Opere era salito a 228, per un importo di 231,8 miliardi di euro e nel 2005 è arrivato a 235 interventi, per 264,3 miliardi di euro. Dopo quattro anni il costo complessivo del programma risulta dunque raddoppiato.
Poiché nella scorsa legislatura il debito pubblico è tornato pericolosamente a crescere, fino a superare il 106% del Pil, “stiamo maneggiando una bomba a orologeria che minaccia di compromettere ulteriormente il bilancio già dissestato dello Stato italiano” (La Repubblica, 2 marzo 2006).
Il panorama  comprende Grandi Opere dal forte impatto ambientale come il Mose, vicende grottesche come l’Alta velocità ferroviaria, così come piccoli lavori di nessuna difficoltà mai completati dopo decenni.
Dal Grande Raccordo Anulare di Roma fino alla metropolitana di Napoli, dalla variante di Mestre fino alla Salerno -Reggio Calabria (all’attuale ritmo i lavori richiederanno 36 anni), l’Italia appare un paese che non riesce a completare neanche le infrastrutture più semplici e banali (tra le “Grandi opere” di Berlusconi figura la Olbia-Nuoro, 23 chilometri di statale).
Significativo l’episodio della Palermo – Messina, 36 anni di lavori, che viene “inaugurata” poco prima delle elezioni da Cuffaro, presidente della Regione, e Berlusconi, presidente del Consiglio, e poi subito chiusa per i necessari  lavori di completamento, con sei mesi di ulteriore ritardo sul completamento finale.
La Tav, di cui i media si sono occupati solo dopo le sacrosante proteste degli abitanti della Val Susa accusati di “antimodernismo”, è in realtà una vicenda che risale al 1991, che ha già fatto immensi danni ambientali, che ha celebrato a Perugia il processo “Tangentopoli 2” per l’assegnazione degli appalti, che ha visto lievitare enormemente i costi a carico dello Stato (nonostante le reiterate bugie che escludevano oneri per le casse pubbliche) e che pongono già oggi pesanti ipoteche sul debito pubblico italiano, dopo anni di Finanziarie “lacrime e sangue” pagate da pensionati e lavoratori.
Con quale perverso coraggio la classe politica ed imprenditoriale italiana può accusare ambientalisti e popolazioni locali di “fermare il progresso”?
Come si può non ricordare questo contesto, perdere ogni riferimento anche al recente passato, dimenticare la politica dei partiti e dei media legati alla “lobby del cemento” che vive parassitariamente coi suoi cantieri eterni, succhiando il sangue di tutti dalle casse dello Stato?
Il movimento contro le Grandi Opere ha denunciato tutto da tempo:
“Visti da vicino ed analizzati con competenza critica, i mega-interventi proposti rivelano tutt’altro volto: si tratta di progetti spesso obsoleti, da tempo nei cassetti o con ostinazione sostenuti da potenti lobby economico-imprenditoriali, solitamente con forti intrecci - ed in maniera purtroppo trasversale - con la politica istituzionale;
prevedono costi elevatissimi, destinati a crescere in corso d’opera e, contrariamente alla declamata retorica del project financing, quasi per intero a carico della finanza pubblica, sostenibili solo sottraendo risorse cospicue a investimenti di grande utilità sociale;
comportano impatti ambientali pesantissimi, devastanti per i territori attraversati e, spesso, anche nocivi per la salute delle popolazioni interessate.
Per realizzare queste opere nell’interesse di pochi si stanno facendo carte false…” (cit. “Grandi Opere? Grandi bidoni!”, comunicato approvato a Venezia a conclusione dell’assemblea dei Movimenti No Mose, No Ponte sullo Stretto, No TAV , 11 febbraio 2006).
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una retorica della privatizzazione, ad un attacco frontale allo Stato ed ad ogni forma di presenza pubblica in economia che oggi può essere letto in maniera diversa.
Lo Stato è rimasto stazione appaltante ed assicura alle imprese private profitti al riparo dalla concorrenza, rischi di mercato, verifiche di efficienza.
I rischi, le perdite, i ritardi, sono tutti a carico della collettività, o almeno di quella parte che paga le tasse e per questo è stata quasi sbeffeggiata dal premier Berlusconi.
L’arretramento dello Stato, lungi dall’assicurare efficienza, ha significato riduzione di regole e controlli, discrezionalità dei “General Contractor” nell’assegnazione di subappalti o nella gestione privatistica di fondi e voci di bilancio, con perdita di rilevanza penale di comportamenti dannosi per la società.
Ha significato nei fatti maggiore spazio per la criminalità, l’annullamento dei diritti dei lavoratori, l’allontanamento di imprese che non accettano tavolini di spartizione, la penalizzazione della qualità e dell’efficienza.
Un totale rovesciamento del buon senso, una giungla senza legge che fa apparire grotteschi i richiami ai tanti “volani dello sviluppo” in un Paese arraffone, truffaldino, autolesionista nella distruzione del proprio patrimonio paesaggistico e delle reti sociali di fiducia e progettazione.
Un Paese che non riesce più a fare neanche l’essenziale e che somiglia al giocatore d’azzardo ad un passo dalla rovina che decide di rilanciare con la faraonica super-opera, il mega-specchio per le tele-allodole, un Ponte sulla cui utilità appare ormai anche poco proficuo discutere.
Un Ponte che diventa il simbolo tragicomico di qualcosa che comunque dovremo lasciarci alle spalle.

Critica all’economia e razionalizzazione

Molti pensosi opinionisti hanno accusato i movimenti contro le grandi opere di essere portatori di interessi ed egoismo locali, agitatori di battaglie del “non-nel-mio-giardinetto” ed incapaci di aprirsi a visioni più ampie.
In realtà, è vero l’opposto. Il movimento ha nel suo DNA una visione globale dei problemi aperti.
“Alla logica delle Grandi Opere si contrappone dovunque non certo una chiusura localistica, ma la difesa del territorio come prezioso bene comune, di tutti e non solo delle comunità che vi risiedono.
Ecco allora che la difesa di un territorio, della sua storia e della sua identità, della qualità della vita e del tessuto di relazioni sociali che su quel territorio sono cresciute, diventano rivendicazioni, locali e globali insieme, portatrici di una critica radicale ad un modello di sviluppo che si alimenta di decisioni prese altrove, da poteri forti e opachi, in nome dell’interesse superiore del profitto e della depredazione dei beni comuni.
In tutte queste lotte è decisivo il riemergere del valore della dimensione comunitaria e municipale, come spazio praticabile per l’invenzione di nuove forme di democrazia e di autogoverno, anche qui senza alcun ‘localismo’, ma nella continua ricerca di una relazione aperta con l’altro.
Ed in questo passaggio prende corpo un’altra, diversa idea di ‘sviluppo’ possibile, centrata sui bisogni reali di un territorio e della sua popolazione, sulla cura dei beni comuni, sulla crescita di relazioni solidali” (“Grandi Opere? Grandi bidoni!”, cit.).
Molte grandi opere sono il frutto dell’azione di lobbying di soggetti che nel corso del quaderno ricorreranno spesso. Nulla più, e come tali vanno considerate. Ma la “sovrastruttura” che viene creata, il modello di un industrialismo ottocentesco fatto di cemento e ferro, di grandezza e grandiosità è del tutto superato; così come il delirio della velocità, l’assurdo rapporto costi/benefici che vede lo sperpero di miliardi di euro per recuperare pochi minuti su una tratta ferroviaria.

Se esiste una parola chiave possibile – utile almeno quanto il concetto di decrescita - questa è razionalizzazione. Un nuovo illuminismo che ci porti a rifiutare le merci che viaggiano inconcludenti da un punto all’altro dei continenti, i treni superveloci per i top manager e le carrozze con le zecche per i pendolari, la sovrapproduzione che produce disoccupati, rifiuti da smaltire, bisogni indotti, insoddisfazioni.
Forse questo sistema non può essere stravolto in tempi rapidi, certamente può e deve essere razionalizzato.

No. E poi?

Dicono gli economisti che la fiducia è un bene economico prezioso, Ciampi ad esempio centrò su questo concetto il discorso di fine anno del 2003, dai Nobel ai ricercatori di periferia tutti gli economisti ritengono la fiducia una materia prima fondamentale. Nell’Italia del terzo millennio la fiducia è diventata una risorsa inesistente, ridotta al minimo come una falda acquifera nel deserto.
Nel Mezzogiorno d’Italia, la crisi economica è un ottimo motivo per riproporre il fatalismo storico che ammorba troppe coscienze.
Tanto il Ponte non lo faranno mai”, si sente dire spesso. Se questo dovesse diventare realtà, cioè se apriranno i cantieri senza chiuderli mai, la fiducia, questa preziosa risorsa sarà definitivamente prosciugata per un numero indefinibile di generazioni.
D’altra parte, potrebbe prevalere un “No al Ponte” di pura conservazione, un non fare che non prevede un altro mondo possibile né un nuovo modello di sviluppo ma è solo generica voglia di immobilismo.
Il “No ponte” non può essere né una questione tecnico-ingegneristica, né il prodotto della sfiducia e del fatalismo.
La mancata costruzione dell’opera sarebbe una vittoria di Pirro in mancanza di un modello alternativo, che dia risposte vere ad una crisi socio-economica strutturale dalle conseguenze ancora imprevedibili.
I movimenti non possono fare da soli ciò che la politica e la cultura non riescono a fare. Sono stati però un momento forse decisivo in cui si è detto “alt”, in cui si è tentato di impedire, con sforzi spesso eroici, l’ingresso in una strada senza uscita.

Il no razionale

Il quaderno raccoglie in sette punti le ragioni del No al Ponte.
Partito come opinione nettamente di minoranza, il No ha conquistato con la forza delle argomentazioni vaste aree della popolazione locale, come testimoniato dalle manifestazioni di massa, e dell’opinione pubblica nazionale.
Si inizia con la lobby del cemento, il club delle grandi opere legato trasversalmente alle forze politiche ed abituato alle spartizioni, alle presenze incrociate che annullano controlli e concorrenza, alla depredazione delle risorse.
Si prosegue con uno studio sull’impatto sociale dell’opera, in un territorio fragilissimo dal punto di vista socio-economico: i cantieri e la vita quotidiana, l’inquinamento, la salute delle popolazioni, gli espropri.
Ancora, il ruolo delle mafie sotto un duplice aspetto: l’inserimento della criminalità locale che controlla il territorio nei subappalti ed il tentativo già avvenuto della grande mafia internazionale di finanziare direttamente l’opera.
Fondamentale e trascurato, l’impatto sui conti pubblici. Chi pagherà alla fine? Quanto è davvero utile il Ponte? Vedremo che sono stati sovrastimati i vantaggi e gli utili e sottostimati i costi.
Assolutamente gonfiato anche l’impatto occupazionale: il Ponte non dà lavoro, probabilmente ne toglie.
Si analizza poi l’impatto ambientale dell’opera su un paesaggio dal valore unico, già deturpato da abusivismo ed incuria e che oggi si trova al bivio tra l’affossamento definitivo ed un possibile rilancio.
Infine il capitolo sulle ancora troppo poco conosciute convergenze tra gli “amici del ponte” e i conflitti che insanguinano il pianeta. Il Ponte stesso genererà nuovi processi di militarizzazione nell’area dello Stretto, come se non dovessero già bastare le servitù di basi e infrastrutture convenzionali e nucleari che soffocano il Mezzogiorno d’Italia.

I mesi successivi alle politiche del 2006 sono decisivi per il Movimento che si oppone all’ecomostro dello Stretto. La risicata maggioranza di centrosinistra uscita dalle elezioni non lascia presagire l’adozione di scelte definitive e radicali in tema di Grandi Opere. Sarà necessario intensificare le campagne di mobilitazione, adottare nuovi strumenti di lotta nonviolenti, sostenere le azioni di boicottaggio economico delle imprese “amiche” del Ponte.
Sarà necessaria un’opera di inchiesta sui mille punti oscuri che hanno caratterizzato l’iter progettuale del Ponte sullo Stretto. Terrelibere.org ha chiesto alle forze politiche di farsi promotrici di una commissione parlamentare d’indagine sugli interessi mafiosi nell’opera e sulle modalità di gestione e spesa della Società pubblica concessionaria.
Una doverosa ricerca di verità che faccia seguito alla sospensione e alla revoca di tutti i procedimenti pro-Ponte.
Perché di Ecomostri nello Stretto non se ne senta parlare più. 


Introduzione del volume di Antonello Mangano e Antonio Mazzeo, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte, Sicilia Punto L / Terrelibere.org, Ragusa, giugno 2006.


Le cene romane della Supercupola. Massoni, banchieri e politici al servizio di Dell'Utri e Matacena

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Una supercupola politico-affaristica di respiro internazionale avrebbe favorito le brevi latitanze dorate in Libano dei due ex parlamentari di vertice del partito-azienda di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Amedeo Gennaro Matacena, pacificamente vicini ad associazioni mafiose, rispettivamente siciliane e calabresi. E’ questa l’ipotesi al vaglio degli inquirenti della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria: un vero e proprio Stato parallelo che vedrebbe operare insieme ex ministri, parlamentari, banchieri, appartenenti alle forze armate e ai servizi segreti, gran maestri di obbedienze massoniche, industriali, imprenditori e manager. Il modus operandi di questo “complesso sistema economico-finanziario-criminale” è descritto dal Capo centro della DIA, il colonnello Teodosio Marmo, in un’informativa del 19 aprile 2018 inviata al Procuratore aggiunto del Tribunale di Reggio Calabria, dott. Giuseppe Lombardo, oggi agli atti del processo che vede imputato l’ex ministro Claudio Scaloja con l’accusa di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena (condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa).
Secondo gli inquirenti calabresi, lo Stato parallelo si sarebbe mosso per proteggere la condizione di latitanza dei due politici forzisti puntando in particolare su una delle figure di primo piano della recente storia mediorientale, Amin Gemayel, già Presidente della Repubblica del Libano dal settembre 1982 al settembre 1988, componente di una delle famiglie maronite più potenti del paese (il padre Pierre Gemayel, già parlamentare e ministro, è stato fondatore del partito delle Falangi; il fratello Bashir Gemayel, eletto Presidente il 23 agosto 1982, fu assassinato meno di un mese dopo e l’omicidio fu utilizzato dai falangisti per scatenare l’efferato eccidio di migliaia di palestinesi rifugiati nei campi di Sabra e Shatila, con la copertura dell’esercito israeliano). Stando alle risultanze d’indagine, l’intermediario tra l’illustre referente libanese, l’ex ministro Scaloja e gli altri soggetti legati a Dell’Utri e Matacena, sarebbe stato l’imprenditore calabrese Vincenzo Speziali, domiciliato di fatto a Beirut.
Le vacanze romane dell’uomo forte libanese
La DIA ha documentato un frenetico via vai in Italia dell’ex presidente Amin Gemayel nel biennio 2012-2014. Stando alle testimonianze raccolte, al tempo il politico maronita era intenzionato a negoziare con i vertici dell’ENI l’ingresso della holding a capitale statale in un consorzio costituito per lo sfruttamento petrolifero in Libano. Secondo altri, invece, Gemayel sarebbe venuto spesso in Italia per sollecitare presso vecchi notabili democristiani e tra alcuni esponenti della Santa Sede la sponsorizzazione della propria candidatura per tornare alla guida della Repubblica libanese. Nessuno dei testimoni interrogati ha fatto accenno però ad un possibile interesse di Gemayel per l’esilio di Marcello Dell’Utri e/o Amedeo Matacena nel paese dei cedri, anche se gli inquirenti hanno accertato che perlomeno due volte l’ex presidente si è incontrato a cena - unitamente a Vincenzo Speziali - con il co-fondatore di Forza Italia condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. I convivi si sono tenuti nel giugno e nell’ottobre 2013 presso l’abitazione romana di Giuseppe Salvatore Pizza, ex sottosegretario di stato all’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica.
“Dalla documentazione raccolta si è potuto accertare che Amin Gemayel si è recato a Roma: dal 28 febbraio al 4 marzo 2012, allontanandosi nella sola giornata del 3 marzo con un volo Alitalia diretto a Lamezia Terme (in questo giorno il politico libanese è stato ospite dell’imprenditore ed ex senatore del Pdl Vincenzo Speziali; quest’ultimo, fratello di Giuseppe Speziali, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura Distrettuale di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione Acero-Krupy, per concorso esterno in associazione mafiosa)”, riporta l’informativa DIA del 19 aprile 2018. Amin Gemayel soggiornava nuovamente a Roma dal 22 al 25 settembre 2012; dall’11 al 12 luglio 2013 (alle ore 20.30 dell’11 luglio l’ex presidente veniva scortato presso il domicilio di Giuseppe Salvatore Pizza); dal 13 al 15 ottobre 2013 (la sera del 14 ancora una cena presso l’ex sottosegretario Pizza in compagnia di Marcello Dell’Utri); dal 27 al 28 febbraio 2014 (alle ore 20 del 27 febbraio Amin Gemayel veniva scortato presso l’abitazione romana dell’ex parlamentare Dc Emo Danesi, tessera n. 1916 della loggia massonica P2 di Licio Gelli).
“Dalle testimonianze raccolte si è appurato invero che, in altre circostanze, l’ex presidente libanese si è recato nella Capitale almeno altre due volte, nei mesi di maggio e giugno 2013, probabilmente in visita privata presso il domicilio di Giuseppe Salvatore Pizza, atteso che non risultano esibite nel senso relazioni a riscontro da parte del servizio di scorta”, annota la DIA di Reggio Calabria. In particolare Amin Gemayel partecipava l’11 maggio 2013 ad un evento conviviale presso l’abitazione di Pizza, alla quale prendevano parte pure Vincenzo Speziali, l’ex segretario della CGIL on. Guglielmo Epifani con la moglie Maria Giuseppina De Luca (dirigente INAIL): Luciano Berarducci, già consulente di Condotte S.p.A.; i diplomatici Vincenzo Grassi (ambasciatore italiano a Bruxelles) e Vinicio Mati (poi nominato l’11 novembre 2013 quale Presidente della Conferenza internazionale del disarmo a Ginevra); Emo Danesi e Raffaele “Lino” Pizza (consulente aziendale e fratello di Giuseppe Salvatore Pizza).
Dagli elementi informativi sopra elencati è agevole osservare che, in un intervallo temporale di circa dieci mesi, Vincenzo Speziali e Giuseppe Salvatore Pizza hanno costantemente presenziato ai documentati incontri conviviali, in prevalenza dai medesimi proposti o sollecitati, con lo scopo di concludere accordi, trattative e intese preliminari per la realizzazione di progetti sulla cui natura sussistono consistenti sospetti di illiceità”, scrivono gli inquirenti. “Le stesse versioni riferite al riguardo dai principali partecipanti a tali cene, che si vogliono accreditare come eleganti ed ordinari consessi amicali, lasciano trasparire interessi soggettivi di tutt’altro valore, come può arguirsi dall’esame dei singoli contributi testimoniali”.
Destri, sinistri e centri amorevolmente tutti a casa Pizza
Di rilevante interesse investigativo sono risultate le dichiarazioni di uno degli anfitrioni di Gemayel, l’ex sottosegretario Giuseppe Salvatore Pizza. “Sono stato consulente di alcune società finanziarie e di comunicazione (Carat SpA e Aegis Media Italia SpA di Milano Nda); durante il governo Letta facevo parte del gabinetto del Ministro dell’Interno, all’epoca l’on. Alfano, Ufficio stampa”, ha dichiarato Pizza nel corso del suo interrogatorio dell’11 giugno 2015 presso il Centro Operativo DIA di Roma. “Relativamente alla politica sono stato un segretario nazionale dei Giovani democristiani e componente della direzione nazionale della DC storica. Poi sono stato segretario nazionale della nuova Democrazia Cristiana ed ho fatto parte del Governo Berlusconi 4, come sottosegretario di stato (MIUR, dal 12 maggio 2008 al 16 novembre 2011) e fino a qualche mese fa sono stato Presidente del Comitato interministeriale per la ricerca applicata ai beni culturali”.
“A Vincenzo Speziali l’ho incontrato nel febbraio 2011 per la prima volta; mi trovavo al Ministero degli Esteri perché presiedevo insieme a Vincenzo Scotti la Commissione interministeriale per la internazionalizzazione dell’università”, ha aggiunto Pizza. “Al termine della conferenza lo stesso Scotti mi ha invitato nei suoi uffici perché doveva incontrare l’ex Presidente della Repubblica libanese Amin Gemayel, che non avevo mai visto; in passato però avevo conosciuto negli anni 1972-1973 il padre Pierre Gemayel. In compagnia di Amin Gemayel vi era un giovane a nome Vincenzo Speziali, che non avevo mai visto e conosciuto. Io e Speziali ci siamo presentati all’interno dell’ufficio di Scotti. Lo stesso Speziali a suo dire sapeva tutto delle mie vicende politiche; in tale contesto ci siamo scambiati le utenze telefoniche. Dopo diverso tempo, circa due anni da detto incontro, fine 2012 - inizio 2013, con lo stesso Vincenzo Speziali siamo andati a pranzo a Roma in un ristorante calabrese a Trastevere dove io andavo spesso, poiché lui mi aveva contattato telefonicamente ed invitato. Subito dopo l’incontro sono stato, su suo invito, in Libano per trascorrere un breve soggiorno, se non erro era il mese di aprile 2013. Sono arrivato a Beirut e all’aeroporto vi era ad attendermi lo Speziali e la sera stessa sono stato a cena a casa sua con sua moglie Joumana Ritz. In Libano sono stato per tre giorni. L’indomani del mio arrivo sono andato a pranzo con Vincenzo Speziali a casa dello zio Amin Gemayel nella sua residenza a Bikfaya. Durante il soggiorno Speziali è stata la mia guida, ma è stata solo una visita turistica e non abbiamo discusso di nulla in particolare; al pranzo con Gemayel abbiamo parlato soltanto di politica internazionale”. Pizza ha poi aggiunto di aver ricambiato l’ospitalità organizzando una cena a casa dell’amica Constanta Raducanita in occasione di un viaggio di Gemayel a Roma nel maggio 2013. “Con Amin Gemayel erano presenti sua moglie Tian, un diplomatico libanese in Italia o presso la Santa Sede di cui non ricordo le generalità, Vincenzo Speziali, Emo Danesi, mio fratello Raffaele, gli ambasciatori Mati e Grassi, il mio amico Guglielmo Epifani con sua moglie (…) Durante la cena si è parlato della situazione in Medio oriente, della crisi in Siria, dell’Iraq e della politica libanese. Oltre a questa serata ho organizzato altre tre cene sempre presso la suddetta abitazione, tra il maggio 2013 ed il settembre 2013 o primi di ottobre 2013”. Per la cronaca Guglielmo Epifani, già eletto alla Camera il 5 marzo 2013, era stato nominato segretario nazionale del Pd proprio il giorno della cena organizzata da Pizza (l’ incarico è stato ricoperto sino al 15 dicembre 2013). “Si è trattato di una casualità”, ha spiegato l’on. Epifani alla giornalista Alessia Candito de l’Espresso (23 maggio 2016). “Si figuri se il giorno della mia elezione, stanco com’ero, avrei avuto voglia di andare là. Per altro, quando abbiamo fissato l’appuntamento non ero neanche segretario, non era neanche deciso che lo facessi. Quell’invito poi non era arrivato da Pizza, che non vedevo da quarant’anni, ma dalla sua compagna,una cara amica di famiglia. Mi aveva chiesto di andare lì perché c’era l’ex presidente del Libano ed io ho accettato anche per la curiosità di avere, dal punto di vista di un politico di Beirut, qualche notizia sul Medio oriente”. Abbandonato il Pd nel febbraio 2017, Guglielmo Epifani ha aderito ad Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista ed è stato rieletto alla Camera dei Deputati il 4 marzo 2018 con la lista Liberi e Uguali.
Film per Dell’Utri e gas e petrolio per l’ENI
Alla seconda cena con Amin Gemayel, forse giugno 2013, ha partecipato anche il suo consulente finanziario Robert Sursock e Marcello Dell’Utri, che si era autoinvitato, dopo aver saputo della mia precedente cena e della nuova che stavo organizzando, perché conosceva già da diverso tempo Amin Gemayel”, ha raccontato ancora Giuseppe Salvatore Pizza. “Era stato lo stesso Gemayel che aveva portato alla mia cena Robert Sursock. Gemayel e Dell’Utri si davano del tu e la loro conversazione era per l’eventuale apertura di un’attività di produzione cinematografica e televisiva per Marco Dell’Utri, figlio di Marcello (…) Alla quarta cena, fine settembre 2013, sempre da me organizzata, erano presenti oltre a me, Marcello Dell’Utri, Speziali, forse Danesi, Sursock, il presidente Gemayel e almeno due suoi collaboratori. Ho ricordo che dopo la cena Gemayel e Dell’Utri si sono appartati per parlare, non so di cosa (…) Nel febbraio del 2014 sono stato invitato cena a casa di Emo Danesi a Roma. Eravamo circa 8/10 persone, tra cui Amin Gemayel, Speziali, l’on. Galati, l’on. Gargani, forse l’on. Lusetti e la moglie di Emo Danesi. Alla cena era atteso anche l’onorevole Lorenzo Cesa che si è scusato e non si è presentato per impegni istituzionali”.
L’11 giugno 2015 gli inquirenti hanno sentito Raffaele Pizza, fratello del segretario della nuova Dc. “Le conversazioni tenute durante queste cene erano prevalentemente in lingua francese che io purtroppo non conosco; per quanto ho capito parlavano di politica in generale perché Gemayel aveva interesse a diventare Presidente del Partito Popolare Europeo”, ha riferito Raffaele Pizza. “Nel corso della mattinata di una delle due cene con Amin Gemayel a cui io partecipai, non ricordo la data esatta, mio fratello Giuseppe telefonicamente mi chiese se potevo indirizzare Sursock e Gemayel all’ENI. Sono andato presso l’albergo dove questi ultimi due erano alloggiati e dopo aver parlato con Sursock, gli facevo presente dove si trovava l’ENI e a che ora dovevano essere lì. Poi, con vettura personale mi sono recato presso il palazzo dell’ENI ad attendere i predetti. Sursock e Gemayel sono arrivati con la scorta, ho parlato con loro indirizzandoli verso il luogo ove avevano l’appuntamento. Alla garitta, vi era una persona a cui riferivo che Gemayel aveva un appuntamento con i vertici dell’ENI. Non appena entrarono nel palazzo, io sono andato via. Preciso comunque di non avere nessuna conoscenza all’ENI”.
Sulla scorta delle dichiarazioni di Raffaele Pizza, gli inquirenti della DIA di Reggio Calabria hanno convocato il fratello per un nuovo interrogatorio, il 26 giugno 2015. In quest’occasione Giuseppe Pizza ha confermato la sortita di Gemayel alla holding nazionale degli idrocarburi. “Quanto detto da mio fratello corrisponde al vero, avevo conoscenza pregressa che Gemayel stava trattando con i vertici dell’ENI per la gestione di un giacimento di gas e petrolio individuato in acque libanesi”, dichiarava l’ex sottosegretario. “Già in precedenza avevo avuto diverse conversazioni con Gemayel e ultimamente mi chiese se potevo accompagnarlo presso gli uffici dell’ENI. Poiché ero impossibilitato, ho chiesto a mio fratello Raffaele se poteva accompagnarlo lui, cosa che poi ha fatto. Mi ricordo che doveva essere l’estate del 2013, forse tra i mesi di luglio e settembre. La questione si è prospettata non nell’ultima cena, ma nella penultima, dico questo perché nel corso dell’ultima cena Gemayel mi riferì che aveva fatto brutta figura con l’ENI perché non si riusciva a sbloccare il dossier a causa di insanabili contrasti tra le varie forze politiche libanesi, ed in particolar modo con il Ministro dell’energia Bassil, genero del generale Michel Aoun (cristiano maronita e presidente del Movimento Patriottico, candidato alla Presidenza del Libano Nda)”.
“So che i contatti con l’ENI ovviamente erano ai massimi livelli, presumo che l’ultimo incontro, quello dove mio fratello si offrì di accompagnare Gemayel, sia stato con l’allora amministratore delegato Scaroni, persona questa che io non conosco assolutamente, come non conosco altri dipendenti dell’ENI”, ha aggiunto Pizza. “Per quanto di mia conoscenza, il desiderio di Gemayel era di fare entrare l’ENI in un futuro consorzio per lo sfruttamento del giacimento petrolifero in questione, perché riteneva politicamente non opportuno che nel consorzio operassero solo società americane e francesi (…) So che Gemayel veniva spesso in Italia per il Vaticano e per l’ENI ma non sono in grado di dire esattamente a quando risalgono i suoi rapporti con i vertici dell’ENI. Ribadisco che Gemayel si sente molto vicino all’Italia e che cercava il rapporto con l’ENI perché non aveva buoni rapporti con l’attuale amministrazione politica francese. Voglio ricordare anche il ruolo importante di Gemayel all’interno dell’internazionale democristiana, dove ricopre il ruolo di vice presidente. Sono a conoscenza che Gemayel era in buoni rapporti con Berlusconi ma non mi ha mai parlato delle discussioni fatte con questi”.
Nel corso del suo secondo interrogatorio, Giuseppe Pizza ha fornito pure qualche elemento sui suoi rapporti con Costanta Raducanita (originaria della Romania e deceduta nel febbraio 2016), proprietaria dell’immobile dove furono organizzate le cene con Gemayel. “Lei ha una figlia coniugata con il signor Giuseppe Paolo Scotto di Castelbianco, che a quanto mi risulta è al vertice del DIS diretto dall’ambasciatore Gianpiero Massolo”, ha raccontato Pizza. Il particolare è stato accertato dagli inquirenti: Scotto di Castelbianco ricopriva al tempo l’incarico di Responsabile per la comunicazione istituzionale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), l’organo di cui si avvale la Presidenza del Consiglio dei ministri per la programmazione della ricerca informativa e delle attività operative delle due agenzie d’intelligence nazionali (l’AISE per l’estero, l’AISI per l’interno). L’ex sottosegretario Pizza ha poi ammesso di aver conosciuto e frequentato il generale Alberto Manenti, già capo dell’VIII Divisione del SISMI (l’ex servizio segreto militare), poi direttore dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) dal 2014 al 2018. “L’ultimo contatto telefonico con questo è stato in occasione della sua nomina a direttore del servizio”, ha spiegato Pizza. “Avevamo programmato una cena insieme ma non si è ancora concretizzata. Ho conosciuto Manenti perché mi occupavo dello spazio, inteso come attività spaziali italiane, quando ero sottosegretario al Ministero dell’Istruzione dell’Università e Ricerca. In particolare mi interessavo del funzionamento della costellazione Cosmos Skymed, che aveva valenza duale cioè politica–militare”.
Alla spasmodica ricerca di banche e banchieri
Altra cena romana di rilevante interesse investigativo che ha visto ospite d’onore Amin Gemayel è quella organizzata il 17 dicembre 2013 presso l’abitazione dell’ex presidente di Confcommercio Sergio Billè, noto pasticcere messinese già nell’advisory board del Banco di Sicilia ed ex consigliere d’amministrazione del Consorzio autostradale Messina-Catania-Palermo, docente alla Link Campus University presieduta dall’ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti. Tra i partecipanti al convivio gli immancabili Emo Danesi, Vincenzo Speziali e Giuseppe Salvatore Pizza; il banchiere franco-libanese Robert Sursock; l’on. Giuseppe Galati (già Dc, poi deputato per cinque legislature dal 1996 al 2018 con Ccd-Udc e Pdl, sottosegretario per le Attività produttive con il III e IV governo Berlusconi, infine agli arresti nel novembre 2018 nell’ambito di un’operazione contro la ‘ndrangheta condotta dalla DDA di Catanzaro); sua moglie Caterina Lussana; l’avvocato Donato Bruno (già deputato per quattro legislature con Forza Italia e poi senatore nella XVII legislatura, Presidente della commissione d’indagine sugli eventi del G8 di Genova del 2001 e dal maggio 2008-marzo 2013 della 1^ Commissione Affari istituzionali della Camera dei deputati, deceduto a Roma il 17 agosto 2015); l’immobiliarista Stefano Ricucci (alla guida di Magiste Real Estate S.p.A., la società entrata in possesso del patrimonio immobiliare dell’Enasarco a seguito di un’operazione che è costata a Sergio Billè la condanna in primo grado a tre anni di reclusione per corruzione).
“Ho conosciuto Vincenzo Speziali nel mese di ottobre/novembre 2012 o forse 2013, non ricordo l’anno esatto”, ha raccontato agli inquirenti l’ex presidente di Confcommercio. “Il motivo per cui sono entrato in contatto con lui, per il tramite di Claudio Scajola, era per avvalermi dell’imprenditorialità del banchiere Robert Sursock, figlio di una delle più importanti famiglie libanesi, al fine di ottenere una linea di credito per il mio amico imprenditore Stefano Ricucci. Sursock, come definito da Vincenzo Speziali, era un suo zio o parente stretto. Ero interessato all’ottenimento della linea di credito a favore del Ricucci perché vantavo dallo stesso delle somme di denaro, che non sono in grado di quantificare. Visto l’insuccesso con la Banca Carige, cercammo insieme a Ricucci altre vie, per poi decidere di seguire la linea libanese, questo su suggerimento di Scajola, in quanto sosteneva che Vincenzo Speziali poteva aiutarci tramite i rapporti di parentela che vantava con Sursock, presidente della Gazprom Investiment Banking”.
“Speziali, apprese delle nostre esigenze economiche ed in particolare del fatto che Ricucci vantava una situazione debitoria a causa della sua holding che ammontava a circa 75 milioni di euro (di cui una parte doveva restituirmi)”, ha aggiunto Sergio Billè. “Lo Speziali mi chiese, quindi, la documentazione relativa all’asse finanziario di Ricucci da far visionare a Sursock. Quest’ultimo, poco prima di Natale 2012 o 2013, è giunto in Italia a Roma alloggiando in un hotel proprio di fronte l’Ambasciata americana. Mi sono recato personalmente da lui per portarlo presso la mia abitazione in via Ara Coeli per la cena. In detta occasione il Sursock mi manifestò la possibilità di poter concretizzare l’operazione in questione. Devo dire che Vincenzo Speziali, presente alla cena, mi aveva suggerito in precedenza di invitare, cosa che feci, l’on. Pino Pizza, l’on. Pino Galati con signora e l’ex on. Emo Danesi. Ricucci, invece, venne accompagnato dal suo legale Donato Bruno, attualmente senatore della Repubblica. In questa cena si crearono le basi per il successivo viaggio professionale in Libano, ove mi recai con mia moglie e Ricucci. Lì ci incontrammo con Speziali e con Sursock, presso gli uffici di quest’ultimo dove fu ulteriormente valutata l’operazione finanziaria. Quest’ultima alla fine non è andata a buon fine, perché la stessa presentava dei lati non finanziabili o difficilmente finanziabili. Il motivo preciso comunque non lo conosco. Anche i successivi viaggi si rilevarono infruttuosi ed alla fine abbiamo abbandonato questa strada (…) Sono a conoscenza che Sursock voleva essere ricevuto presso l’ENI, tanto che aveva chiesto a Speziali di avere un contatto con Scaroni o con il vertice dell’ENI. Non sono a conoscenza di altri contatti che Sursock aveva in Italia”.
Il giorno successivo all’interrogatorio di Billè è stato ascoltato dalla DIA l’immobiliarista Ricucci (quest’ultimo, il 26 febbraio 2008 ha poi patteggiato un anno di carcere più la confisca di circa 29 milioni di euro di plusvalenze per la scalata ad Antonveneta, mentre l’1 marzo 2018 è finito nuovamente agli arresti con l’accusa di corruzione per l’aggiustamento, in cambio di denaro e altre utilità della sentenza di appello riguardante il contenzioso tra la Magiste S.p.A. e l’Agenzia delle Entrate). Ricucci ha ammesso di conoscere Vincenzo Speziali dall’estate del 2013 su presentazione di Sergio Billè. “Speziali e Billè erano stati ad un appuntamento con Claudio Scajola e insieme a loro e ad una terza persona ho preso un caffè al bar”, ha riferito l’immobiliarista romano. “Da allora ho iniziato una frequentazione con lo Speziali poiché spesso veniva a Roma. Billè al momento dell’incontro mi disse che Speziali era il nipote di Gemayel. Sono andato diverse volte a Beirut anche perché lo Speziali mi aveva proposto l’apertura di alcuni rapporti economici e operazioni finanziarie, intercedendo e presentandomi personalmente a banche e banchieri di prestigio. Preciso di essere andato a Beirut la prima volta l’8 dicembre 2013, con Sergio Billè e poi altre volte nel 2014. Volevamo, come gruppo a me riconducibile, acquistare dei crediti finanziari e cercavamo attraverso delle banche finanziamenti per circa 30/40 milioni di euro oppure di 75 milioni se rientravano anche degli immobili. Tali operazioni sono state da me cercate anche con banche italiane ma le stesse non hanno avuto esiti positivi. Con Speziali a Beirut sono andato presso la sede della Societè Generale de Banque di Beirut in Libano a cui avevo anche inviato tutta la documentazione, ed ho parlato con il direttore generale Tarek Chehab e con il suo team”.
Infine Ricucci si è soffermato sulla figura del banchiere Robert Sursock, membro di una delle sette famiglie più potenti libanesi, nonché presidente del consiglio d’amministrazione di PrimeCorp Finance SA e dal 2016 membro del Cda di Bank of Beirut.“Sursock mi è stato presentato in Libano da Vincenzo Speziali, come zio di sua moglie”, ha raccontato. “Ho incontrato successivamente Sursock sia in Libano che qui a Roma, una volta presso l’Hotel Baglioni ed un’altra volta ad una cena a casa di Sergio Billè, sempre nel 2013-2014. Sursock mi venne presentato come responsabile della Gazprom. Non ho concluso nulla con la Gazprom perché a dire di Sursock la banca Gazprom non poteva fare l’operazione da me richiesta. Posso dire che Sursock voleva avere rapporti con l’ENI. In particolare, egli chiedeva ad Emo Danesi un incontro con i vertici dell’ENI e il Danesi si mostrò disponibile in quanto li conosceva”.
Vecchi e nuovi notabili di casacca democristiana
Sentito il 19 gennaio 2016, l’ex parlamentare Dc Emo Danesi ha negato di conoscere l’allora amministratore delegato ENI Paolo Scaroni, ammettendo solo i rapporti con i vecchi dirigenti dell’holding energetica, Giorgio Mazzanti e Florio Fiorini. Già stretto collaboratore del ministro dell’Industria Antonio Bisaglia, Danesi era stato costretto a dimettersi da parlamentare nel 1981 a seguito del famoso scandalo ENI-Petromin.“Ho conosciuto Vincenzo Speziali un giorno a colazione, mentre ero insieme all’avvocato Francesco Paolo Procopio, mio amico; c’era anche un appartenente della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, a nome Ercole (Ercole D’Alessandro, ndr.); lui mi disse che era un consulente della società Condotte d’acqua”, ha riferito Danesi. “Speziali mi disse che lì dovevano fare due autostrade, una di collegamento tra il porto di Beirut ed il casinò, ed un’altra molto più complessa che sarebbe dovuta arrivare in Siria. Mi chiese: Te conosci qualcuno?”, dico No, io conosco qualcuno tra l’altro, ero in un consiglio di amministrazione di una società che faceva guard-rail (la Tubosider S.p.A. di Asti, azienda leader nel settore delle barriere di sicurezza, ndr.)”.
“Mi è sembrato che Ercole fosse una persona che stava vicino a Speziali in quanto conosceva anche il padre di questi e forse cercava di tenerlo un po’ a bada, cioè non fare cazzate, stupidate ecco, questa roba qui”, proseguiva Emo Danesi. “Ho visto sei/sette volte Ercole perché si andava in Calabria, nei pressi di Catanzaro, tutti gli anni a prendere pomodori, peperoni e tonno, unitamente all’avv. Procopio. Sul posto era presente il fratello dell’avv. Procopio, che era responsabile dell’ANAS. C’era anche un certo Madia (verosimilmente Salvatore Madia, ndr.) che lavorava all’Agenzia delle Entrate, conoscente di Procopio. Ercole ci aveva, ora credo non ce l’abbia più, una figlia che lavorava all’Udc. Anzi no, son sicuro, se ci lavora anche ora non lo so, io sono amico di Lorenzo Cesa e lui una volta mi disse: mi raccomando, digli che tratti bene mia figlia, ma che mi abbia chiamato diciannove volte per dirmi queste cose lo escludo nella maniera più categorica”. Emo Danesi ha poi aggiunto di aver conosciuto Giuseppe Speziali (il padre di Vincenzo) e di averlo poi incontrato una volta in Calabria in occasione della campagna elettorale per le europee a cui era candidato il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. “Avendo conosciuto io un po’ di gente, lo stesso Speziali mi disse: Ma perché non vieni anche te?, allora ci andai insieme a Cesa”, ha raccontato Danesi. “Nello spostarsi da una parte all’altra, mi pare si doveva andare dove Cesa ci aveva un comizio, ci si fermò in questo paesino che ha la casa Speziali e poi da lì proseguimmo. Poi lo incontrai di nuovo a Roma e mi confidò, fra le altre cose, che era preoccupato per il figlio poiché gli combinava dei casini”.
L’ex deputato Danesi si è poi soffermato sulle cene romane con l’ex presidente Gemayel. “Sono stato presente ad una sola cena fatta a casa di Giuseppe Pizza nel periodo in cui Epifani è stato eletto segretario del Partito Democratico, l’11 maggio 2013. Durante la cena parlavano principalmente Gemayel e Pizza. I temi politici erano la crisi in Italia e le elezioni in Libano, alle quali doveva prendere parte Gemayel. Secondo me Vincenzo Speziali voleva che Gemayel parlasse con Berlusconi per farsi inserire nelle liste elettorali di Forza Italia, per le elezioni europee. Ricordo che alla prima cena Gemayel era venuto perché un parlamentare calabrese che era prima dell’Udc e che poi era in contrasto con l’Udc, aveva organizzato una riunione politica al Parco dei Principi e Gemayel era intervenuto ed aveva parlato come appartenente alla Democrazia Cristiana a livello europeo. Secondo me, a lui non gli interessava tanto aver l’incarico a livello di partito europeo; a lui interessava averli dietro per il discorso che c’era in Libano, cioè tra sunniti e sciiti, ora però questo è una mia idea, cioè ammesso che i vecchi democristiani ora Udc avessero la possibilità di intervenire con il Vaticano per fare in modo che quest’ultimo sponsorizzasse anche la sua candidatura in Libano…”.
Il 27 febbraio 2014 era lo stesso ex parlamentare a invitare nella propria abitazione Amin Gemayel, Vincenzo Speziali, Giuseppe Salvatore Pizza, l’on. Giuseppe Galati, l’ex parlamentare Pd Renzo Lusetti e l’on. Pino Gargani, europarlamentare del PPE. “Quando si svolge la cena a casa mia, Vincenzo Speziali mi aveva detto che Gemayel veniva a Roma per incontrare Berlusconi”, ha spiegato Danesi. “All’ultimo momento, sempre detto da Speziali, questo incontro a Roma non poteva avvenire e che Berlusconi avrebbe fatto sapere che Gemayel doveva andare a Milano, da lui. Gemayel disse che non ci andava, perché lui era l’ex Presidente della Repubblica e che restava a Roma”. Emo Danesi ha infine negato di essere stato a cena con Marcello Dell’Utri e di aver mai aderito alla massoneria, anche se ha ammesso una sua antica e consolidata amicizia con l’ex vicesindaco socialista di Livorno Massimo Bianchi, all’epoca Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. “Per correttezza, alla cena a casa mia con Gemayel doveva venire anche il figlio dell’on. Forlani, ma all’ultimo momento questo non venne…”, ha concluso Danesi. Esaminato in data 16 febbraio 2016, Alessandro Forlani (già parlamentare Udc e membro della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della NATO) ha confermato la ventennale conoscenza dello Speziali e l’invito nel febbraio 2014 presso l’abitazione di Emo Danesi: “Non ha potuto prendere parte all’evento, ma ci sono state altre circostanze in cui ho più volte incontrato Speziali e Gemayel presso l’Hotel Minerva di Roma ove, in una circostanza, ho condiviso la cena con i predetti unitamente al parlamentare Cesa”.
Condotte, quel colosso che voleva il Ponte, il Mose e l’Alta Velocità
Nell’ambito delle indagini sul cosiddetto Stato parallelo, gli inquirenti hanno sentito pure una delle figura di primo piano nelle relazioni commerciali tra l’Italia e il Libano, il manager Luciano Berarducci, già presidente del Consorzio IRICAV  1 (general contractor per l’Alta Velocità ferroviaria Roma-Napoli), ex Ad della Società Italiana per le Condotte d’Acqua (Gruppo IRI) e fino al luglio 2014 vicepresidente dell’Authority per la vigilanza sui contratti pubblici. “Berarducci, unitamente al più volte citato Robert Sursock (cugino di Joumana Rizk, moglie di Speziali, ndr.), presidente di GazProm Bank, rappresentano i principali cardini della rete di affari internazionale in grado di gestire le elevate sinergie commerciali tra le più grosse aziende multinazionali ed i politici libanesi”, riporta la DIA nell’informativa del 19 aprile 2018. “Entrambi in possesso di riconosciute capacità gestionali di consistenti risorse economiche, si relazionano con Vincenzo Speziali in ragione dello status di nipote da questi acquisito nei confronti dell’ex presidente Amin Gemayel”.
Agli inquirenti Luciano Berarducci ha riportato di aver conosciuto Vincenzo Speziali tramite Marcel Patrignani, amministratore della società francese di ingegneria sistemistica Altran, di cui lo Speziali era al tempo consulente. “Attraverso la successiva frequentazione con Speziali, appresi che questo promuoveva il progetto per la costruzione in Libano dell’autostrada che avrebbe collegato Beirut con Damasco”, ha aggiunto il manager. “In quel periodo, svolgendo mansioni di consulente per Condotte S.p.A. ho visto in tale situazione una opportunità di Condotte per poter operare in Libano e quindi dal 2009 ho iniziato a frequentare questo Paese, avendo modo di conoscere successivamente Amin Gemayel, legato da vincolo di parentela con lo Speziali, e quindi attraverso l’ex presidente, ho avuto delle entrature nel mondo politico libanese”.
“Mio fratello, Elio, fino a poco tempo addietro svolgeva la funzione di Consigliere del Presidente della Repubblica; in due occasioni, mi ha riferito di aver interloquito con l’ambasciata libanese in Italia, al fine di agevolare l’incontro di Gemayel con il Presidente Napolitano”, ha aggiunto Luciano Berarducci. “Tale interlocuzioni avvenivano attraverso l’ambasciatore del Libano in Italia e Vincenzo Speziali, che solitamente si accompagnava con questo diplomatico. Non ho certezza se Speziali ha partecipato in modo diretto all’incontro tra Gemayel e Napolitano (…) A Beirut, tra gli italiani presentatomi da Vincenzo Speziali, ho conosciuto il funzionario dei servizi segreti italiani Valerio Gebs Aquila (originario di Reggio Calabria è attualmente funzionario dell’AISI, Nda). I due mi risulta che si frequentavano spesso. Abbiamo cenato alcune volte assieme ma erano cene conviviali. Mi è stato presentato anche il numero due dell’ambasciata in Libano di cui non ricordo il cognome. Ho presentato io l’ambasciatore Giuseppe Morabito a Vincenzo Speziali ed Amin Gemayel. So che successivamente i rapporti tra questi si sono deteriorati; penso che questo sia dovuto al fatto che Morabito si frequentava con il Generale Auon. Tali rapporti si sono interrotti definitivamente dopo che il Morabito non aveva invitato alla festa della Repubblica lo Speziali e i suoi familiari all’ambasciata”.
“Nei fatti, sono stato io a presentare l’attuale AD di Condotte S.p.A., Duccio Astaldi, a Vincenzo Speziali”, ha ammesso infine Berarducci. “Proprio in ragione di questo progetto, allo Speziali, la Società Condotte stipulò un contratto di consulenza. Ribadisco che Speziale, attese le parentele politiche libanesi, era ritenuta una risorsa importante per la società, risorsa che secondo me andava sfruttata”. Oltre a ricoprire la carica di presidente del consiglio di gestione di Condotte S.p.A., Duccio Astaldi era al tempo pure presidente dell’EIC - European International Contractors, organismo che rappresenta gli interessi di oltre 200 imprese europee del settore delle costruzioni. Il 13 marzo 2018 Astaldi è stato arrestato su ordine del GIP del Tribunale di Messina nell’ambito dell’inchiesta su una presunta tangente per i lavori di realizzazione di tre lotti dell’autostrada Siracusa-Gela. In cattive acque anche la società Condotte, attualmente in regime di amministrazione controllata, nonostante abbia concorso alla progettazione e/o realizzazione di alcune delle Grandi Opere più contestate d’Italia: il Mose di Venezia, il Terzo Valico ferroviario di Genova, il Ponte sullo Stretto di Messina. ecc..
Si rivela a tal punto, in tutta la sua eloquenza, il carattere di reticenza che permea le riportate assunzioni testimoniali, atteso che i soggetti escussi si sono ben guardati dal riferire informazioni pertinenti la figura del catturando Amedeo Gennaro Raniero Matacena nei cui confronti, proprio nell’intervallo temporale di riferimento, esiste ed è riscontrato un progetto per il trasferimento da Dubai a Beirut dell’importante uomo politico, sostenuto dall’interesse diretto e specifico di Vincenzo Speziali, il cui ruolo nella vicenda è da considerarsi di rilevante spessore svolgendo egli, come già in atti accertato, il compito di intermediario tra Claudio Scajola ed Amin Gemayel”, concludono gli inquirenti della DIA nella loro informativa sullo Stato parallelo. “Quest’ultimo, assoluto protagonista delle cene romane, nell’ambito di una delicata trattativa avrebbe preteso, in cambio del massimo appoggio e delle garanzie offerte all’ex parlamentare Matacena, il sostegno nella campagna elettorale del Partito Popolare Europeo attraverso l’intervento del menzionato ex ministro dell’interno Scajola. Una reticenza che non fa altro che confermare la natura illecita della serie di accertati incontri finalizzati, per la prevalenza dei partecipanti, a programmare anche l’allontanamento di Marcello Dell’Utri verso la Repubblica del Libano, ove le documentate relazioni personali erano in grado di garantire l’agognato asilo politico…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 2 marzo 2019, http://www.stampalibera.it/2019/03/02/linformativa-stato-parallelo-le-cene-della-supercupola-massoni-banchieri-e-servizi-al-servizio-di-dellutri-e-matacena/

Esercitazioni NATO in Sicilia con pericoloso sottomarino nucleare

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C’è un sottomarino a propulsione nucleare tra le unità da guerra impegnate nella vasta esercitazione NATO Dynamic Manta 2019 attualmente in corso nelle acque della Sicilia orientale. Si tratta dell’HMS Ambush (S120), sommergibile della classe “Astute” della Marina del Regno unito. Operativo dal 2013, l’HMS Ambush imbarca due reattori nucleari PWR 2 prodotti dalla Roll Royce e che dovrebbero assicurare piena autonomia energetica all’unità per i prossimi 25 anni. Da più parti tuttavia ne è stata documentata la pericolosità per la sicurezza e l’ambiente. Un report del novembre 2009 sulla tenuta dei sistemi di propulsione PWR 2 del Defence Nuclear Safety Regulator, l’ente del ministero della difesa britannico a cui è demandato il controllo dei dispositivi nucleari in dotazione alle forze armate, aveva segnalato come questi reattori fossero “potenzialmente vulnerabili in caso di guasto strutturale al circuito primario”, con conseguente pericolo per l’equipaggio e la popolazione civile.
Nel gennaio 2012 fu pure documentata l’esistenza di radioattività nell’acqua refrigerante del reattore PWR 2, a seguito di un microscopica breccia nel rivestimento del combustibile. La Royal Navy secretò l’incidente sino al 2014. Il 20 luglio 2016 lo stesso sottomarino HMS Ambush entrò in collisione nelle acque di Gibilterra con il mercantile Andreas battente bandiera panamense, riportando notevoli lesioni alle attrezzature sonar. Subito dopo la collisione la Royal Navy diffuse un comunicato in cui furono negati danni di ogni sorta al sommergibile e al suo equipaggio, ma le riparazioni allo scafo costarono ben 2,1 milioni di sterline all’erario britannico. Imponente il sistema d’arma a disposizione del sottomarino Ambush: una quarantina tra missili da crociera “Tomahawk” con una gittata sino a 1.600 chilometri e siluri pesanti “Spearfish”.
L’esercitazione NATO Dynamic Manta ha preso il via dai porti di Catania ed Augusta (Siracusa) il 26 febbraio scorso e si concluderà giovedì 8 marzo. Vi partecipano dieci nazioni alleate che simulano una vasta operazione di guerra anti-sottomarini nel Mar Ionio, a poche miglia di distanza dalle coste siciliane e calabresi.“L’esercitazione annuale Dynamic Manta rimane una delle maggiori opportunità per le forze navali della NATO nel mettere in pratica e valutare tutte le loro abilità anti-sommergibili in un ambiente altamente stimolante”, ha dichiarato l’ammiraglio Andrew Lennon, comandante delle forze sottomarine dell’Alleanza Atlantica. “Questa esercitazione è un’opportunità unica per potenziare le capacità di combattimento delle unità navali in tutte e tre le dimensioni della guerra anti-sottomarini in un ambiente multinazionale e con minacce multiple. Noi apprezziamo il supporto da parte della Marina militare italiana nell’ospitare e rendere il più proficua questa esercitazione per rafforzare la nostra interoperabilità e le nostre competenze nella guerra ai sottomarini e alle unità di superficie”.
La particolarità di Dynamic Manta – prosegue il comunicato del Comando delle forze sottomarine della NATO - consiste anche sulla valutazione dal vivo di ogni singola operazione grazie ad un team composto da esperti basati in un apposito comando nella stazione aeronavale di Sigonella, in grado di elaborare e produrre in tempo reale un’analisi dettagliata dell’operato di ogni singola unità, consentendo quindi ad ogni equipaggio di apportare modifiche o mettere a punto le tattiche di combattimento anti-sottomarini adattandole al complesso e mutevole contesto reale; inoltre ogni unità, sia di superficie che subacquea, avrà l’opportunità di condurre una serie di operazioni con la possibilità di essere a turno cacciatore o preda”.
A Dynamic Manta 2019 sono impegnati circa 3000 militari, cinque sommergibili, nove navi di superficie e otto aerei pattugliatori. I paesi partecipanti sono Italia, Canada, Francia, Grecia, Spagna, Turchia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Stati Uniti. L’Italia assicura il supporto logistico alle forze aeronavali con la base navale della Marina Militare di Augusta (utilizzato in particolare per l’approdo dei sottomarini, compreso l’HMS Ambush), il porto di Catania, la base aerea di Sigonella e la stazione elicotteri di Catania-Fontanarossa, contigua allo scalo aereo civile etneo.
Prima di raggiungere la Sicilia, il sottomarino della Royal Navy ha fatto una sosta tecnica da Gibilterra il 13 febbraio, suscitando le vibrate proteste dei pacifisti e degli ecologisti locali che da anni lottano contro gli approdi di unità da guerra a capacità e propulsione nucleare nelle acque antistanti la Rocca-colonia cheil Regno Unito possiede nella penisola iberica dal 1713.

I droni AGS della NATO a Sigonella. Comuni ambizioni di guerra

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Al via a Sigonella le operazioni dei droni del sistema di intelligence AGS – Allied Ground Surveillance – il progetto più ambizioso  e costoso della sempreverde alleanza di guerra. Assicurata alla NATO una considerevole flessibilità nell’utilizzazione delle sue capacità di sorveglianza in modo che essa possa essere commisurata ai bisogni di ogni emergenza. Sessanta milioni di euro alla Astaldi S.p.A. per la costruzione a Sigonella di 14 edifici per alloggi e uffici per 800 miltari e gli hangar di rimessaggio-attrezzaggio degli aeromobili senza pilota, finanziata dai 29 paesi membri dell’Alleanza Atlantica.

Malam herbam non perit. “L’erba cattiva non muore mai” e così la NATO, il prossimo 4 aprile, compierà il suo settantesimo compleanno e, ci puoi scommettere, a festeggiare l’evento si ritroveranno insieme politici e militari per annunciare l’avvio a Sigonella delle operazioni dei droni del sistema di intelligence AGS, il progetto più ambizioso e costoso della sempreverde alleanza di guerra.
Sulle reali finalità dell’AGS, come sempre accade in Italia per le questioni militari, vige il massimo riserbo del governo; top secret anche quanto accade in questi mesi nella grande stazione aeronavale siciliana che è stata messa a disposizione delle forze armate di Stati Uniti, NATO e UE. Le slide pubblicate sul sito dei progettisti del nuovo sistema di “sorveglianza terrestre con l’ausilio dei velivoli senza pilota” (gli architetti Carlo e Alessandro Gubitosi di Interplans2 Napoli), documentano però che il 23 luglio 2018 sono iniziati i lavori di realizzazione delle infrastrutture che ospiteranno i centri di controllo e comando dei droni AGS e che il tutto procede a Sigonella alacremente.
Per la costruzione della AGS - Allied Ground Surveillance Main Operating Base, nel maggio dello scorso anno la NSPA - Support and Procurement Agency, l’agenzia specializzata della NATO per l’acquisizione di progetti e infrastrutture con quartier generale in Lussemburgo, aveva firmato un contratto per il valore di 60 milioni di euro con il colosso delle costruzioni Astaldi S.p.A. di Roma. Nello specifico, il progetto prevede la costruzione a Sigonella di 14 edifici per una superficie complessiva di circa 26.700 metri quadrati, da adibire ad alloggi e uffici per 800 militari e gli hangar di “rimessaggio-attrezzaggio degli aeromobili senza pilota, con specifica impiantistica radio e dati per le operazioni aeree specialistiche”. Il contratto, finanziato dai 29 paesi membri dell’Alleanza Atlantica, prevede una durata dei lavori di circa tre anni.
“L’AGS Core sarà un sistema integrato comprendente un segmento aereo e uno terrestre”, spiegano gli analisti NATO. Il segmento aereo è basato su cinque droni-spia RQ-4B Global Hawk Block-40 di ultima generazione, prodotti dalla holding statunitense Northrop Grumman. Dotati della nuova piattaforma radar MP-RTIP con sofisticati sensori termici per il monitoraggio e il tracciamento di oggetti fissi ed in movimento, i droni AGS potranno volare con un raggio d’azione di 16.000 km, sino a 18.000 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h. I dati rilevati dai velivoli senza pilota saranno prima analizzati a Sigonella e successivamente trasmessi grazie ad una rete criptata al Comando JISR, Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaisance della NATO, con sedi a Bruxelles, Mons e The Hague. “L’Alliance Ground Surveillance Core consentirà di vedere ciò che accade nella superficie terrestre, fornendo prima una piena consapevolezza situazionale, e se necessario, durante e dopo le operazioni della NATO”, aggiungono gli alti comandi dell’Alleanza. “La composizione del sistema AGS assicurerà alla NATO una considerevole flessibilità nell’utilizzazione delle sue capacità di sorveglianza in modo che essa possa essere commisurata ai bisogni di ogni emergenza. Ciò consentirà all’Alleanza di effettuare un persistente monitoraggio su vaste aree da parte di velivoli che volano ad alte altitudini e per lunghe durate (HALE), operando da distanze considerevoli e in qualsiasi condizione atmosferica o di luce (…) L’AGS è stato riconosciuto dal summit dei Capi di Stato della NATO di Lisbona del 2010 come il maggior contributo alle ambizioni comuni nel campo dell’intelligence, della sorveglianza e del riconoscimento (JISR). Grazie al suo sistema radar MP-RTIP, l’AGS raccoglierà le informazioni che consentiranno le scelte e le decisioni più adeguate in campo politico e militare…”. Quali siano le tipologie delle scelte e delle decisioni che verranno adottate grazie ai droni e al centro di controllo di Sigonella è presto detto. “La missione chiave dell’AGS è quella di fornire ai Comandi NATO, in tempo reale, informazioni continue e la consapevolezza di quanto accade alle forze terrestri amiche, neutrali e avversarie e a sostenere le azioni per colpire gli obiettivi”, si legge in documento ufficiale della NATO Alliance Ground Surveillance Managment Agency (NAGSMA).
Amplissimo lo spettro delle missioni che la NATO potrà effettuare grazie alle innumerevoli informazioni raccolte e decodificate dal sistema AGS. Oltre ovviamente a quelle a sostegno delle truppe impegnate nei campi di battaglia o per l’individuazione degli obiettivi da colpire con gli strike aerei e missilistici, l’AGS di Sigonella contribuirà alla “difesa e alla sicurezza delle frontiere terrestri e marittime, alla lotta al terrorismo e all’assistenza umanitaria in caso di disastri naturali”.
“La centralità della base italiana di Sigonella sarà nell’analisi e distribuzione delle informazioni ma anche nella formazione del personale”, spiega l’analista Alessandra Giada Dibenedetto del Centro Studi Internazionale (Ce.S.I.) di Roma.“Geograficamente l’asset siciliano è strategico per la sorveglianza del Sud Mediterraneo e da Sigonella inizierà un viatico per proiettare la stabilità proprio sul confine meridionale della NATO, in collaborazione con lo Strategic Direction South Hub, basato presso il comando militare dell’Alleanza Atlantica di Napoli e che dal 2017 ha la finalità di aumentare la capacità di identificare e monitorare le molteplici minacce dal confine sud della NATO, con un centro di coordinamento per le operazioni di anti terrorismo, raccolta ed analisi dati ed informazioni dettagliate sulle principali aree di crisi nell’Area del Vicino oriente e dell’Africa settentrionale”.
Come il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha più volte sottolineato, le sfide e le insicurezze che provengono dal fronte meridionale, tra cui attacchi terroristici nelle nostre città e la più grande crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale, non possono essere ignorate”, aggiunge Alessandra Giada Dibenedetto. “Nel quadro di una profonda collaborazione italiana nella strategia NATO per il sud, c’è da domandarsi se vedremo dispiegate in Sicilia anche delle Unità NATO di Integrazione delle Forze (Force Integration Units), piccoli nodi di comando e controllo attualmente presenti solo al confine est dell’Alleanza che precedono un eventuale intervento della Forza di Risposta Rapida della NATO...”.
Resta un mistero quando sarà pienamente operativo il sistema AGS. Il programma è stato caratterizzato infatti da imprevisti tecnici e lunghi ritardi. L’1 luglio 2014 era stato costituito a Sigonella l’Advanced Echelon Team NATO AGS, mentre l’1 settembre 2015 era stata attivata la NATO AGS Force. Dopo i test nelle piste dello scalo siciliano nel dicembre 2015 e un primo volo del velivolo senza pilota a fine dicembre 2017, il Comando NATO aveva annunciato che il programma sarebbe stato completato entro la primavera del 2018. Nel sito ufficiale dell’Alleanza, si legge invece che “il primo Global Hawk della NATO dovrebbe raggiungere in volo dagli Stati Uniti alla sua nuova sede di Sigonella nel 2019”. Intanto nell’ultimo bilancio di previsione, l’Alleanza ha riservato all’AGS un maxi-investimento di 1,7 miliardi di euro per le “comunicazioni satellitari a supporto dei cinque droni di sorveglianza”, la maggiore voce di spesa dei programmi di sviluppo e potenziamento dei sistemi alleati di guerra avanzata. Intanto il 10 settembre 2018 si è tenuta a Sigonella la cerimonia di insediamento del Comando della forza AGS NATO, a cui non certo casualmente è stato chiamato alla guida il generale statunitense Phillip A. Steward. Un master in Studi strategici presso il College di guerra dell’esercito USA, Phillip A. Steward è stato impegnato per due volte come comandante degli squadroni dei droni USA in Iraq e Afghanistan, totalizzando oltre 600 ore di combattimento attivo e 168 missioni. Inoltre ha ricoperto l’incarico di comandante del 9th Reconaissance Wing di stanza nella base aerea di Beale, California (vero e proprio centro strategico delle operazioni globali degli aerei spia U-2 e dei velivoli senza pilota statunitensi), nonché di assistente per gli affari politici e militari in Medio Oriente presso lo staff congiunto J-5 del Pentagono in Virginia (settore piani e politiche strategici). La nomina del generale Steward quale comandante della forza AGS NATO conferma ancora una volta la totale subalternità dell’Alleanza ai voleri e alle strategie degli Stati Uniti d’America. Del resto, sono gli stessi vertici NATO a rilevare come “il centro di comando e controllo del sistema AGS opererà in stretto coordinamento con il locale distaccamento dell’US Air Force preposto al coordinamento dei droni Global Hawk e Predator”, dislocati a Sigonella ormai da più di dieci anni.
La grande installazione siciliana non è però solo la capitale mondiale dei droni-spia USA. I dati in possesso dei ricercatori consentono di affermare che essa è già da lungo tempo anche una base di partenza per le operazioni dei droni d’attacco. A seguito dell’autorizzazione del governo italiano al decollo dei velivoli senza pilota armati statunitensi per “le operazioni militari contro lo Stato islamico in Libia e attraverso il Nord Africa(gennaio 2016), si è assistito a un’inarrestabile escalation dell’uso dei velivoli killer da Sigonella. Tra l’agosto e il dicembre 2016, nel corso dell’offensiva contro le milizie filo-ISIS presenti nella città di Sirte (operazione Odyssey Lighting) ordinata dall’amministrazione Obama, gli USA hanno effettuato ben 495 attacchi missilistici; di questi, il 60% sono stati effettuati dai droni Reaper (falciatrici), un modello più aggiornato dei Predator.
L’utilizzo di Sigonella per i bombardamenti con droni risale tuttavia alla guerra scatenata contro il regime di Gheddafi nella primavera 2011. I primi raid furono lanciati il 23 aprile a Misurata e Tripoli; un mese prima era stato attivato nella base siciliana il 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron dell’US Air Force, reparto d’élite destinato al controllo dei velivoli senza pilota.Secondo quanto dichiarato dal colonnello Gary Peppers, già comandante di questo squadrone (ed ex supervisore degli attacchi con droni in Iraq, Afghanistan e Pakistan), nella tragica primavera del 2011 gli strike effettuatii con con i Predator in Libia furono ben 241.Secondo un dossier diffuso il 20 giugno 2018 dal Centro di monitoraggio inglese Airwars e dall’ong  New America, i bombardamenti aerei effettuati in Libia a partire del 2011 dalle forze armate di Stati Uniti, Francia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e dei due Governi libici sarebbero stati 2.180 e avrebbero provocato la morte di un numero di civili compreso tra 244 e 398. Il data base aggiornato del progetto diretto da New America e Airwars fornisce numeri ancora più drammatici: 2.587 gli strike di aerei con e senza pilota con 1.125-1.501 morti di cui 300-460 civili.
Nel report del 20 giugno 2018 si specifica come che le sole incursioni statunitensi, senza distinguere tra droni e velivoli con pilota, hanno contribuito all’uccisione da un minimo di 10 a un massimo di 20 civili, ma stando alle testimonianze raccolte in occasione dei più recenti raid a Sirte ci potrebbero essere stati altri 54 “non combattenti” che hanno perso la vita sotto le bombe. Airwars in particolare si sofferma su quanto accaduto il 28 novembre 2018 nella regione desertica meridionale di Ghat, vicino alla città di Al Uwaynat, quando uno strike con droni USA avrebbe causato la morte di 11 civili. “L’incidente rappresenta la maggiore accusa di danno a civili contro gli Stati Uniti in Libia sino ad oggi”, ha denunciato il gruppo di ricerca inglese nel corso della conferenza internazionale su I droni di Sigonella, organizzata lo scorso gennaio dall’European Center for Constitutional and Human  Rights (ECCHR) di Berlino, in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania. “Inizialmente i report indicavano che gli USA avevano colpito appartenenti ad al-Qaida con un attacco di precisione in una città del sud della Libia. Un paio di giorni più tardi, Africom, il Comando delle forze armate statunitensi per le operazioni nel continente africano ha confermato lo strike, affermando però di aver ucciso 11 terroristi di al-Qaida in the Islamic Maghreb (AQIM) e distrutto tre veicoli. Fu aggiunto che nessun civile era stato ferito o ucciso nell’attacco”. La comunità Tuareg di Al Uwaynat ha però respinto le dichiarazioni del Comando Africom e nel corso di una protesta pubblica ha accusato i militari statunitensi di aver assassinato “undici persone innocenti, senza alcun legame con il terrorismo”. Ancora una volta cioè si sarebbe trattato di un crimine contro l’umanità dei droni intelligenti decollati dalla portaerei Sicilia, su cui nessuno, né in Libia, né a Roma, Bruxelles o Washington ha assolutamente intenzione di interrogarsi, intervenire, censurare, punire.
Articolo pubblicato in Casablanca. Le Siciliane, n. 57, marzo 2019

Destri e Sinistri. La Repubblica parallela di Scajola, Bertinotti e Confalonieri

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“Ogni anno facciamo una cena, io insieme a Bertinotti e Confalonieri. Esprimiamo sempre grande preoccupazione per la debolezza degli esponenti politici nelle proprie posizioni. Oggi ascoltiamo solo urla e insulti. Il Paese così non va da nessuna parte…”. Parole dell’ex pluriministro e odierno sindaco di Imperia Claudio Scaloja, imputato eccellente al processo Breakfastin corso a Reggio Calabria, con l’accusa di aver favorito la fuga e la latitanza dorata all’estero di Amedeo Gennaro Matacena, condannato con sentenza definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il succo dell’intervista rilasciata da Claudio Scaloja a Imperiapost.it l’ 11 aprile 2017 è che la politica oggi la si fa in Italia senza barriere ideologiche: destri e sinistri, sospetti membri di superlogge e supercupole ed (ex) leader della sinistra radicale, insieme amorevolmente a condividere brunch, aperitivi e cene.
L’ultimo tete a tete tra l’imputato eccellente dello Stato parallelo e l’ex segretario del Prc ed ex Presidente della Camera dei deputati Fausto Bertinotti è stato immortalato dai fotoreporter il 4 agosto 2018 a Dolceacqua, borgo medievale del ponente ligure. “Una cena riservatissima, quella che ha visto commensali i due politici e altre illustri personalità”, riporta la cronaca rosa. “Davanti a un bicchiere di Rossese e uno di Vermentino, e ad una cena a base di coniglio e ravioli, i due politici navigati hanno parlato e commentato la situazione attuale, non solo locale, ma anche nazionale (…) Claudio Scajola è ancora in pista e, dopo l’elezione a sindaco della città di Imperia, potrebbe esportare il suo modello, risultato vincente contro quelli imposti dalle logiche di partito…”.
Al convivio della scorsa estate pare fosse assente l’onnipotente presidente Mediaset Fedele Confalonieri, noto anch’egli – come Scaloja – per l’amore per Silvio Berlusconi e per qualche contrattempo giudiziario nell’Italia tutta da bere (e da dimenticare). Bertinotti e Confalonieri erano invece insieme a cena a casa Scaloja il 18 agosto 2013 proprio nei giorni del terremoto giudiziario che vedeva “vittima” Amedeo Gennaro Matacena, armatore dello Stretto ed (ex) parlamentare forzista. Agli atti del processo Breakfast i brogliacci di una telefonata intercettata quel giorno tra l’ex ministro Scaloja e Chiara Rizzo, moglie di Matacena. I due si sentono cripticamente ormai da giorni: per gli inquirenti di Reggio Calabria l’obiettivo comune è quello di favorire la latitanza in Libano e negli Emirati dell’ex parlamentare reggino. Prima di chiudere la comunicazione Scajola riferisce alla Rizzo: “Ci sentiamo poi... poi, io stasera qui ci ho a casa Confalonieri, Bertinotti, Rapetto, sai Rapetto quello dei dolci Baratti, Elah, Fondazione, hai capito? Che ha attinenza questa cosa all’eventuale dopo di cui parliamo poi noi...”.
L’Italia davvero è sempre più un Paese senza identità e senza speranza…

Il Ponte sullo Stretto è Cosa Nostra di Catania e Messina

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Gli appalti per la realizzazione del Ponte sullo Stretto erano nelle mire del potente clan mafioso dei Santapaola-Ercolano di Catania e delle famigliealleate di Messina e Barcellona Pozzo di Gotto. A rivelare ai giudici del Tribunale peloritano le trame criminali per l’affaire del collegamento stabile Calabria-Sicilia è stato il collaboratore di giustizia etneo Angelo Mascali inteso Catina, già referente del clan Santapaola per la zona di Monte Po. Il 12 febbraio scorso Mascali è stato sentito come teste al processo Beta sulle spericolate operazioni imprenditoriali del gruppo mafioso dei Romeo-Santapoala, legato da stretti vincoli parentali al potente boss di Cosa Nostra Benedetto “Nitto” Santapaola.
Rispondendo alle domande dei Pm Liliana Todaro e Fabrizio Monaco, il collaboratore ha ricordato in particolare un episodio risalente alla primavera del 1998, quando in un summit all’interno di una palestra sita nel quartiere catanese di Picanello, presente Pietro Santapaola (nipote messinese di don Nitto), i rappresentanti mafiosi delle Sicilia orientale si soffermarono sulla futura gestione degli appalti e dei subappalti per la costruzione del Ponte. “Mi ricordo un fatto specifico in cui come gruppo di Catania ci siamo rivolti a Piero ed Enzo Santapaola e a Ciccio Romeo, di quando si parlava del Ponte di Messina che si doveva fare”, ha esordito Angelo Mascali. “Ne parlavamo in una riunione in una palestra: ci sono parecchie entrate, soldi…. Si parrava ca si dovevano fare le costruzioni di ‘stu Ponte di Messina già. Diciamo che si stavano individuando chi erano gli appaltatori che stavano facendo queste cose. Non mi ricordo ora chi erano gli appaltatori, anche perché se ne occupava Pippo Mirenna”. Originario di Paternò, Giuseppe “Pippo” Mirenna è stato definito dagli inquirenti come il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra della Sicilia orientale, essendosi occupato e sempre di infiltrazioni criminali negli appalti pubblici. “Della base principale per le istruzioni degli appalti si occupava lui”, ha aggiunto il collaboratore. “Quando abbiamo parlato del Ponte sullo Stretto di Messina, si parlava dell’estorsione, degli appalti e cose, che ci dovevamo rivolgere a Pippo Mirenna per quanto individuava l’appaltatore. Ora non mi ricordo se ha nominato l’appaltatore… Si parlava ancora quando iniziava ‘sta cosa, non è che si sapeva l’appaltatore chi era o chi l’ha preso perché ancora manco ha iniziato. Sempre Mirenna diceva che nella zona di Messina c’erano molti lavori da fare però erano fra Messina e Barcellona… Io ho detto a Mirenna poi parliamo con Enzuccio perché là ci sono i suoi parenti, i figli di Natale Santapaola, Piero e l’altro fratello, e adesso è pure uscito il cognato di Santapaola, Ciccio Romeo. A Barcellona c’erano i barcellonesi che si interessavano pure… Con Pippo Mirenna si parlava di appalti di lavori di tutta la Sicilia , perché era lui quello che sbrigava tutti i cosi… ”.
Nel corso della sua deposizione Angelo Mascali ha ripercorso le tappe della sua scalata criminale ai vertici di Cosa Nostra e della sua controversa collaborazione con le forze dell’ordine (nel 2013 gli è stato revocato il programma di protezione a seguito di una condanna per reati commessi insieme ad altri esponenti criminali etnei qualche anno dopo l’avvio della collaborazione). “Io facevo parte del clan Santapaola che operava nella città di Catania”, ha dichiarato Angelo Mascali. “Ero dirigente del clan, mi occupavo sia degli omicidi, delle estorsioni, bene o male di tutto. Non è ca i cuntu l’omicidi di cui mi sono accusato: 30, 40, non lo so, 50, boh… Poi dal 26 giugno 1998 ho iniziato a collaborare con la giustizia, fino ad adesso. Nel 2014 sono stato arrestato che mi hanno trovato un’arma”. Mascali ha confermato di conoscere alcune delle persone che operavano a Messina, affiliate di fatto al gruppo Santapaola: “Erano il Ciccio Romeo e i nipoti Enzo e Pietro Santapaola. Loro, per quello che mi diceva il figlio di Benedetto Santapaola, si occupavano di estorsioni, cose di Messina. Per la ripartizione degli appalti nella criminalità organizzata erano loro il riferimento nostro a Messina. Sì, loro erano componenti della famiglia Santapaola…”.
L’ex uomo di vertice del gruppo di fuoco di Monte Po ha ricordato come in occasione dell’incontro a Picanello in cui si parlò del Ponte, fu affrontato pure il tema della guerra in corso tra gli affiliati al clan Santapaola-Ercolano e la cosca dei “carcagnusi” guidata da Santo Mazzei, neoalleata dei corleonesi di Totò Riina e Leoluca Bagarella. “Si parlava di uccidere una persona, si trattava di Aldo La Rocca, il rappresentante di Caltagirone della famiglia Santapaola; era il mio padrino quando mi hanno fatto uomo d’onore”, ha dichiarato Mascali. “Aldo La Rocca lo dovevamo uccidere per gli stretti rapporti con Vito Vitale che era a capo dei corleonesi e per fronteggiare quella strategia che avrebbe portato alla eliminazione degli esponenti della famiglia Santapaola. Praticamente lo volevamo uccidere perché aveva interrotto i rapporti con noi. Nel 1998 mi avevano portato a Palermo da Vito Vitale per dirci di uccidere il figlio di Benedetto Santapaola, Enzo Santapaola, il nipote di Santapaola, insomma di eliminare la famiglia Santapaola e portare il nome di Santo Mazzei. A parrari cu Vito Vitale mi ci ha portato Aldo La Rocca, Ciccio Riela e Massimo Vinciguerra. Salvatore Chiavetta, il cognato di mio fratello Salvatore, mi ha invece accompagnato fino a un distributore di benzina nella Catania-Palermo….”.
“Quando sono ritornato a Catania ho parlato allora sia con Maurizio Zuccaro, sia con Enzo Santapaola, sia con altri componenti della famiglia e allora ho deciso di uccidere le tre persone che mi avevano portato a Palermo. Quando si è deciso, io, mio fratello e altre persone abbiamo ucciso a Massimo Vinciguerra che era dirigente del clan Mazzei. Poi dovevamo uccidere Riela e Aldo La Rocca. Arrivato il momento, lo mando a dire a Enzo Santapaola di Messina e a Piero, ma mi dicono di non tuccari a Aldo La Rocca con tramite il barcellonese… Allora gli ho detto no, questo qua ha tradito la famiglia Santapaola, si doveva uccidere perché già avevamo ucciso il fratello di Riela, però in quel momento mi è stato dato un blocco dal figlio di Santapaola dicendomi che poi scinneva o Piero o Enzo Santapaola a Catania per parlare insieme. Invece poi hanno arrestato a tutti e non si è potuto fare più niente”.
Pur tra qualche non ricordo, Angelo Mascali ha confermato alla dottoressa Liliana Todaro che la decisione di eliminare La Rocca fu esplicitata al messinese Pietro Santapaola proprio in occasione del summit nella palestra di Picanello del 1998. “L’incontro è avvenuto poco prima del giugno, mese in cui venni arrestato”, ha riferito. “Alla riunione oltre a me e a Piero Santapaola, presero parte Vincenzo Santapaola ed altre persone; c’era pure il figlio di Benedetto Santapaola, mio fratello, Giuseppe Lanza, Maurizio Zuccaro. Se non ricordo male c’era pure Nicola Maugeri… Si parlava di uccidere i componenti dei Mazzei; si parlava di uccidere al più presto possibile Aldo La Rocca e di tante cose…”. Angelo Mascali ha poi confermato il contenuto di un verbale d’interrogatorio reso il 3 dicembre 1998 alla Procura di Catania. “All’incontro a Picanello ho spiegato a Piero Santapaola come erano andate le cose ed egli si fece convinto della bontà della nostra idea di eliminare il La Rocca; ci disse che avrebbe riferito tutto a suo zio Ciccio Romeo, il quale non aveva potuto prendere parte alla nostra riunione perché eccessivamente controllato dalle Forze dell’ordine di Messina. In quella occasione Piero Santapaola ci disse che egli e suo zio Ciccio Romeo stavano aspettando che Vincenzo, figlio di Natale, ultimasse di scontare la semilibertà per meglio organizzarsi come gruppo nella provincia di Messina”.
“Io conosco Vincenzo Santapaola da ragazzino, poi l’ho perso di vista”, ha aggiunto Mascali. “Conoscevo la buonanima di suo padre, Natale, che ci piacevano i cavalli. Con mio padre si conoscevano. Poi l’ho rincontrato al carcere di Messina, nel 1987-88 (…) Quando è stato che i barcellonesi hanno mandato a dire di non toccare Aldo La Rocca, perché poi viene Piero… Ci ‘u spiega Pieru, mi diceva Enzo Santapaola, il figlio di Benedetto, io ho avvertito la necessità di parlare con Piero Santapaola. I barcellonesi ci hanno mandato a dire di fermare un poco la situazione perché non vonnu che ci toccu ad Aldo La Rocca, praticamente lo difendevano. Lo hanno mandato a dire con Piero Santapaola, se non mi ricordo male era stato il barcellonese Gullotta (Pippo Gullotti, reggente della famiglia del Longano Nda). Io però a lui non lo conosco, non l’ho mai visto in vita mia. Gullotta si era messo come un paciere, tramite Piero Santapaola. Loro a Catania non ci potevano scendere, così forse ci veniva più facile con Piero. Quando i barcellonesi mandarono a dire che loro potevano garantire per Aldo La Rocca, Vincenzo Santapaola, figlio di Benedetto, organizzò un incontro con Piero, al fine di chiarire allo stesso che il La Rocca era indifendibile. Noi se lo vedevamo u mmazzavumu uguale, non ci interessava mancu dei barcellonesi… Poi però a La Rocca non lo abbiamo ammazzato perché era in galera. Poi ni attaccanu tutti assiemi, e comu fazzu a mmazzallu?...”.
All’ultima udienza del processo Beta ha deposto pure il fratello dell’ex reggente di Monte Po, Sebastiano Mascali, anch’egli affiliato al clan Santapaola dal 1982 fino al 1998 e successivamente collaboratore di giustizia. “Ho conosciuto Vincenzo Santapaola, nipote di Benedetto Santapaola, quello di Messina”, ha dichiarato. “L’ho conosciuto in carcere a Messina, a Gazzi, dopo che fui arrestatu pi na rapina a una banca qua a Messina nel 1986, mi sembra. Se non mi ricordo male ora, era attaccatolui per un omicidio ca ao mazzatu a unu fora, non lo so, un omicidio che avevano fatto loro. In carcere con questo Vincenzo Santapaola parlavamo no chiu e non menu, lui si dichiarava sempre innocente, poi non lo so se era vero o no. Ho pure conosciuto il fratello Piero Santapaola, i messinisi niautri i chiamavumu, picchì iddi non stavunu a Catania, stavunu a Messina. Io Piero l’ho conosciuto fuori, non in carcere, picchì Piero era minorenne, se non sbaglio, così il fratello Vincenzo mi diceva. Credo che l’ho conosciuto nel ’97, mi sembra che era sì, ’97 o ’98 nei principi, ca poi fummu arrestati, dopo un paio di mesi”.
Anche Sebastiano Mascali ha confermato la partecipazione di Pietro Santapaola al summit nella palestra di Picanello dove si parlò degli appalti del Ponte sullo Stretto e dell’intenzione di assassinare il boss del calatino Aldo La Rocca. “A Piero l’ho incontrato in una riunione na vota intra na palestra ca a Catania, ficiumu na riunioni cu il figlio di Benedetto Santapaola. C’era, se non mi ricordo male, Santo La Causa, Maurizio Zuccaro, Antonio Motta, io, e poi c’era mio fratello Angelo Mascali e Nuccio Cannizzaro. Na palestra di Picanello ci ni funnu tanti riunioni là; si parlava di tante cose là, di fare omicidi, di fare estorsioni… Eravamo tutti riuniti gli uomini d’onore. A queste riunioni nella palestra a Piero Santapaola l’ho visto una volta sola, dopo non l’ho visto più. Però prima a Piero l’ho visto che era imputato con noi nell’Orsa Maggiore, però na nautra iaggia, iddu era na nautra cella singola, e noi eravamo in un’altra cella, però sulu c’era ciao ciao, non più di tanto. Dopo tanti anni lo vedo fuori quannu idduè uscito pure. Na palestra ci siamo salutati affettuosamente con questo braccio, con un bacio comu facevumu cu tutti pari”.
Sebastiano Mascali ha pure confermato di aver conosciuto in carcere anche il messinese Francesco “Ciccio” Romeo. “Lui se non mi sbaglio è cognato di Benedetto Santapaola, era imputato con noi con l’Orsa Maggiore, no processu do clan di Santapaola; con lui si parlava di cose banali, di caccia, non si parlava più di tanto…”, ha aggiunto. Poi il racconto sul conflitto tra i santapaoliani e gli ex affiliati passati nelle file dei carcagnusie dei corleonesi di Vito Vitale. “Con Aldo La Rocca ci furono tanti problemi… c’era Pippo Intelisano, andava a Palermo a parlare con Vito Vitale quannuera latitanti e poi un giorno Vitale mannau a chiamari a mia con mio fratello, però abbiamo deciso di andarci o io o lui perché tutti e due assieme non ci andavamo mai, perché questi uccidevano gente macari solo per uno sguardo… Ci dissi a me frati o ci vai tu o ci iemmu, cussi videmu e poi videmu chi volunu e ci è andato solo mio fratello Angelo(…) Con Vito Vitale si parlava di fare il clan di Mazzei, di livari a famiglia Santapaola e noi poi ci siamo ribellati tutti e abbiamo fatto altri para di omicidi. Ad Aldo La Rocca la ‘omo mazzari a poi dopu, perché era d’accordu chi palermitani. La Rocca però era sostenuto da Vito Vitale che era contrario all’uccisione. Favorevole ad Aldo La Rocca c’era puru ‘u barcellonese(Pippo Gullotti, Nda), io non l’ho conosciuto mai, però dice ca si ncuntravunu, era rappresentante di Cosa Nostra a Barcellona. Contrario all’omicidio c’era pure Massimo Vinciguerra che poi è stato ucciso da noi personalmente, era un altro uomo d’onore del clan Mazzei, do carcagnusu. A Massimu Vinciguerrra,u purtammu a casa mia direttamenti e ‘u ffucammu intra… Poi c’era pure quello dei camion, Francesco Riela, abbiamo ammazzato a so frati per sbaglio, aomo ammazzari a lui e ammazzamu a so frati. Era il ’98, tre-quattro mesi prima ca facevunu ca l’arresti, picchì già sapevumu noi da una informazione dei Carabinieri dei ROS di Palermo che c’erano un gruppo che venivano arrestati, non di preciso chi, però sapevumu che erumu noi. Poi c’è stato il blitz ed io e mio fratello Angelo siano stati arrestati. Avevamo avuto una soffiata dei ROS di Palermo è già u sapevumu ca c’erunu l’arresti, no ni aiutammu a fari l’omicidi, chiossai ni facevumu e megghiu era na du periodu…”.
Il teste Sebastiano Mascali ha spiegato ai Pm peloritani che il clan catanese aveva la piena disponibilità della palestra di Picanello per i summit perché i più stretti congiunti del boss Santapaola erano amici dei proprietari. “La palestra apriva al pubblico, se non mi ricordo male, alle dieci e mezza o a mezzogiorno. Noi ci andavamo di mattina perché non c’era nessuno e c’era attipu na saletta, ni inficcavumu là perché stavumu attenti pe microspii picchì na du periodu l’aomo truvatu da tutti i parti, nelle macchine, a tutti i parti e ci stavamo sempre attenti, perciò di fatti poi ficiumi tri, quattru voti dà, poi non ci siamo andati più e siamo andati na autri posti. Di fattu poi i microspii ca c’erunu veramenti, ci laono misu i Carabinieri de ROS, che poi le abbiamo trovate pure, ne citofoni di casa, di tutto l’avevumu misi…”.
Anche Sebastiano Mascali si è soffermato sulla presenza del messinese Pietro Santapaola agli incontri di Picanello. “Quando ci incontrammo nella palestra facemmo presente a Piero quale era la nostra posizione e lo stesso si mostrò propenso ad accogliere la nostra richiesta, affinché i barcellonesi non prendessero le difese di Aldo La Rocca. Ricordo che raccomandammo a Piero di farsela alla larga, ma con Piero vi sono state altre riunioni a Catania in cui si discusse degli appalti di Messina. A tale incontro ricordo che prese parte anche Pippo Mirenna, c’era lui picchìsi parlava di appalti, di Messina, perché se ne occupava lui… Poi si misunu a parlare fra di loro, picchì niautri non ni occupavumu d’appalti, io personalmente no, facevumu omicidi nuautri sulu e basta, di autri cosi non ni interessavumu. Ricordo che quando io e Piero Santapaola fummo liberati dal carcere, Piero riprese ad occuparsi di fatti attinenti l’organizzazione per il settore degli appalti. Con Pippo Mirenna si occupavano loro. Mirenna era un affiliato al clan nostro, si occupava di cose di appalto, di tutti i fatti… Quannu nasciu ‘u spitali Garibaldi di Catania noi abbiamo preso u guatu di soddi…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 9 marzo 2019, https://www.stampalibera.it/2019/03/09/il-pentito-mascali-al-processo-beta-il-ponte-sullo-stretto-e-cosa-nostra-di-catania-e-messina/?fbclid=IwAR0Q-ADtkoO02YslrlbGqj0jA4oNetg9sMVGj7-_uB6lYy8wHrJC8cPNR2M

La traballante memoria dell’ex ministro Scaloja. Il Ponte e gli altri affari della Messina che conta

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Il colosso delle costruzioni Impregilo si aggiudicava prima i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e subito poi arrivava a guidare l’associazione d’imprese vincitrice del bando per la progettazione esecutiva e la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Affari miliardari che non potevano né dovevano sfuggire al controllo delle più potenti ‘ndrine calabresi che decidevano così di attivare i propri canali eccellenti per avviare una trattativa con i vertici della società lombarda. A concretizzare i contatti, secondo il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio (ex uomo-cerniera tra i poteri forti più o meno occulti di tutta Italia), un chiacchierato imprenditore in  odor di mafia, il Gran maestro di una potente obbedienza massonica e l’allora ministro di Forza Italia, Claudio Scaloja.
“Per discutere degli appalti per l’autostrada e il Ponte sullo Stretto il clan Molè di Gioia Tauro inviò Carmelo Cedro, imprenditore attivo nel settore dei biliardi che era dei Cavalieri Templari, dall’ambasciatore di San Marino, Giacomo Maria Ugolini, a capo di una superloggia della massoneria”, ha raccontato Virgiglio al processo Breakfast di Reggio Calabria che vede imputato l’ex ministro Scaloja per favoreggiamento della latitanza dell’armatore ed ex parlamentare forzista Amedeo Gennaro Matacena. “Cedro chiese di intervenire a Ugolini, che scese in Calabria per una riunione durante la quale venne discussa l’intera questione. E Ugolini alla fine gli disse ti mando dal ministro dell’Interno e andò da Scajola. Lui per Ugolini era uno che sapeva muoversi con Impregilo…”.
“Non ho mai partecipato a nessuna associazione e a nessun club; mai sono stato iscritto alla massoneria e non mi è stato manco mai chiesto”, ha prontamente replicato Claudio Scaloja.“Nel 2005 non ero ministro delle Infrastrutture ma delle Attività produttive. Non era nella mie competenze interessarmi del Ponte sullo Stretto o di altri lavori pubblici. Posso aggiungere che la mia posizione su quel tema era di grande dubbio, e ne sono ancora convinto oggi, sulla necessita di quel grande intervento. Devo dire che se qualcuno avesse dovuto agevolare quel percorso mi pare ovvio che si sarebbe servito di chi aveva quelle competenze. Impregilo non è mai stata nelle mie conoscenze o frequentazioni”.

Per Scajola il Ponte sarà un deterrente contro tutte le Mafie…

Memoria corta quella dell’ex uomo di governo di Silvio Berlusconi, oggi alla guida del Comune di Imperia. Una rapida occhiata alle rassegne stampa degli anni in cui la società Stretto di Messina elaborava il bando di gara del Ponte e il piano di spesa per la maxi-opera approdava in Consiglio dei ministri e al CIPE (il Comitato interministeriale per la programmazione economica), ed è invece possibile rilevare un certo attivismo di Scajola nel perorare la causa pontista. L’allora ministro per lo Sviluppo economico, il 3 dicembre 2008 si recava ad esempio in Calabria in occasione della visita ufficiale dell’on. Danuta Hubner, Commissario europeo per le politiche regionali, promuovendo con il suo dicastero la conferenza “Un Ponte fra due stagioni: l’efficacia delle politiche di sviluppo del Sud”. Al tavolo a Reggio Calabria si trovarono insieme Hubner, Scajola, i presidenti delle Regioni Calabria, Sicilia, Campania, Basilicata, Molise, Sardegna e Puglia, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianfranco Miccichè e quello per i Rapporti con il parlamento Raffaele Fitto, pure questi ultimi due berlusconiani convinti. All’ordine del giorno, ovviamente, le due grandi opere strategiche della Calabria: il Ponte e l’hub logistico di Gioia Tauro. “Per il Ponte sullo Stretto si tratta di una scelta nazionale, che spetta all’Italia, ma in linea teorica, qualora la Commissione dovesse essere coinvolta, non ci sarebbero problemi ad utilizzare i fondi comunitari”, affermò ipocritamente Danuta Hubner.
Qualche ora dopo Scaloja si spostò a Lamezia Terme per presiedere un convegno sulle Zone franche, presenti l’allora capo del dipartimento delle Politiche per lo sviluppo Aldo Mancurti (ex Provveditore per le opere pubbliche per la Regione Sicilia) e i parlamentari calabresi Ida D’Ippolito (al tempo di Forza Italia poi Udc) e Giuseppe Galati (già Dc, poi deputato per cinque legislature con Ccd-Udc e Pdl, sottosegretario per le Attività produttive con il III e IV governo Berlusconi, infine agli arresti nel novembre 2018 nell’ambito di un’operazione contro la ‘ndrangheta condotta dalla DDA di Catanzaro). Nella primavera 2009 il Cipe avrebbe dato il via libera ad alcuni megaprogetti infrastrutturali, impegnando (sulla carta) 8,8 miliardi di euro: in prima fila il Ponte sullo Stretto, l’autostrada Pedemontana in Lombardia, il primo lotto dei lavori per il Terzo valico della linea Tav Genova-Milano. “Per le Grandi Opere non tollereremo più altri ritardi; si tratta di interventi di importanza strategica per il Paese”, commentò il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola.
Il 4 maggio 2009, nel corso di un convegno nazionale sui fondi Ue al Teatro Massimo di Palermo, Scaloja, ancora in qualità di ministro dello Sviluppo economico firmava con il sottosegretario Gianfranco Miccichè il Contratto per il Sud, “documento sugli impegni che il Governo Berlusconi manterrà nel corso della legislatura a favore del Mezzogiorno”. All’evento partecipavano quelli che Miccichè definì i membri del consiglio d’amministrazione del Sud: l’allora sindaco di Palermo Diego Cammarata; il presidente di Banca Monte Paschi di Siena, Giuseppe Mussari;, l’ad di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti. In pole position per i fondi europei 2007-2013 - dichiarava l’on. Miccichè - i progetti concreti della Sicilia: il Ponte sullo Stretto, la rete ferroviaria Palermo-Catania, le fibre ottiche e le centrali nucleari. “Se i responsabili della Impregilo che dovrà realizzare il Ponte, si sono detti disponibili a patto che lo Stato sia vicino per garantire la sicurezza, l’opera non è una chimera, anzi, contribuirà nella lotta contro la criminalità organizzata e a velocizzare gli scambi commerciali”, fu il commento del ministro Scaloja.
Pienamente a favore del progetto di collegamento stabile tra Sicilia e Calabria, si dichiarava ancora una volta l’on. Scaloja in occasione della sua visita a Messina il 19 novembre 2009. “Ribadiamo l’impegno come governo a realizzare il Ponte sullo Stretto in tempi brevi e speriamo che nel 2017 ci passeremo tutti sopra”, affermò il ministro. “L’opera può essere un’opportunità enorme per rilanciare il turismo e far conoscere la Calabria e la Sicilia ad esempio ai turisti del Nord Europa che altrimenti con queste vacanze brevi non verrebbero in queste regioni. Il Ponte sarà un deterrente contro la mafia. Con questo collegamento daremo una risposta anche alla criminalità perché le comunicazioni, la possibilità di movimento delle persone, è quella che permette la crescita del territorio. La criminalità si annida dove ci sono delle enclave, dove non ci si può muovere e si comunica poco. Il Ponte infine ci permetterà di diminuire i costi di trasporto delle merci”.
Scaloja espresse il suo credo contro ogni possibile relazione Ponte-mafie anche in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Ministero dell’Economia e delle Finanze a Cosenza, il 16 marzo 2010. “La Calabria è una bellissima regione, tra mare e monti difficile da attraversare, e forse anche per questo, con infrastrutture deboli, la criminalità ha potuto giocare un ruolo più forte”, dichiarò il ministro forzista. “Penso che il Ponte sullo Stretto permetterà di transitare maggiormente e nei luoghi dove si transita di più c’è meno criminalità, c’è più sviluppo”.

Acciaio e pontili per il Ponte, ambiente e fibre ottiche con Franza & C.

Non solo il Ponte tra gli interventi “strategici” auspicati e sponsorizzati dall’allora ministro Scaloja per lo “sviluppo” della città di Messina e provincia. In occasione della sua visita in territorio peloritano del 19 novembre 2009, Claudio Scaloja presenziò all’inaugurazione presso lo stabilimento della Duferdofin–Nucor di Giammoro del nuovo impianto di laminazione per laminati mercantili. Il sito, attivo dal 1996, è uno dei due centri produttivi del gruppo siderurgico Duferco con sede a San Zeno Naviglio (Brescia). “La vostra azienda è divenuta leader italiana nel mercato delle travi da costruzione e fra i primari attori europei nel settore e questo rende il centro di Giammoro una realtà importante per questa zona, che crescerà anche grazie al piano di investimenti che state portando avanti già da alcuni anni”, disse Scajola prima di tagliare il nastro del nuovo impianto. “Con queste iniziative, guadagnerete in competitività e potrete consolidare e ampliare la vostra posizione nel mercato dell’Italia Meridionale e nell’area del Mediterraneo, che offre promettenti opportunità commerciali e infrastrutturali, a cominciare dal Ponte sullo Stretto. Come Ministero ci impegniamo a supportare il potenziamento delle strutture portuali di Messina e Milazzo per adeguarle alle vostre esigenze logistiche. Nei primi mesi del 2010 l’Autorità portuale di Messina potrà procedere alla gara di appalto del molo che servirà per collegamenti e che abbiamo finanziato con 25 milioni di euro di risorse pubbliche”. Il nuovo pontile, nelle aspirazioni dei manager di Duderdofin, avrebbe dovuto assumere “un’importanza strategica nella prospettiva della realizzazione del Ponte sullo Strettosia per lo sfruttamento delle aree industriali esistenti nel comprensorio Villafranca–Milazzo, sia per il trasferimento del materiale utile alla realizzazione dellefondamenta del Ponte nel comprensorio di Venetico”. Scajola chiuse il suo discorso inaugurale con un accenno alle prospettive che si sarebbero aperte per le industre di Giammoro grazie ai “recenti accordi tra il Governo italiano e quello libico”. “Il Ministero dello sviluppo economico sarà al vostro fianco, con tutte le sue strutture, per fornirvi l’assistenza necessaria per beneficiare dei vantaggi accordati agli investitori italiani in Libia, con la quale il Governo Berlusconi ha riaperto un processo di pace e investimenti di crescita di rapporti economici”. Meno di un anno e mezzo dopo lo stesso esecutivo darà l’ok agli alleati USA e NATO per le operazioni di guerra contro Gheddafi, convertendo la Sicilia in trampolino di lancio per i raid aerei su Tripoli e Bengasi.
Dopo il nuovo impianto di laminati il ministro Scajola si recò a omaggiare il vicino stabilimento Esi - Ecological Scrap Industry S.p.A. di Giammoro, operante nel settore del recupero delle batterie esauste. A riceverlo Olga Mondello vedova Franza (a capo dell’omonimo potente gruppo finanziario-industriale e della navigazione dello Stretto) e il figlio Vincenzo Franza, presidente dell’Esi. Anche in questo caso fu affidato a Claudio Scaloja il ruolo di padrino di un “laboratorio di analisi ambientali realizzato nell’ambito di un progetto di ricerca”. Poco fortunato il futuro di quest’azienda Franza dal punto di vista ambientale: il 6 marzo 2018 i tecnici dell’Arpa Sicilia e l’Arma dei Carabinieri, su mandato del gip del tribunale di Barcellona, porranno sotto sequestro lo stabilimento Esi per un presunto sversamento in mare di metalli pesanti ed inquinanti previo passaggio per il depuratore consortile di Giammoro.
Scajola chiudeva il suo tour a Giammoro festeggiando con i Franza l’anniversario del primo contratto di banda larga WiMax della società Mandarin, controllata in buona parte dalla famiglia messinese e attiva nel settore internet, delle nuove tecnologie e della videosorveglianza. “Alla breve presentazione dell’azienda è stata allegata la scheda dei traguardi tagliati in questi primi 12 mesi: oltre un milione di siciliani nella rete di Mandarin; 40 comuni coperti all’interno delle province di Caltanissetta, Catania, Messina, Ragusa e Siracusa; 35 base station accese; circa 1.000 clienti privati serviti e 300 aziende per 10.000 Kmq di rete di proprietà”, riportò il comunicato dell’azienda. Entusiasta il commento dell’illustre ospite di governo. “La diffusione della banda larga in Italia è sempre stata una nostra priorità”, esordì Scajola. “Stiamo cercando di sbloccare i fondi statali destinati al suo sviluppo perché crediamo che così si possano creare ricchezza e posti di lavoro. Sono importanti, altresì, anche gli investimenti di imprenditori privati che, come Mandarin WiMax Sicilia, hanno sposato un progetto e lo stanno portando avanti velocemente ma con coscienza. Banda larga per tutti i cittadini, soprattutto quelli che non possono usufruirne affatto e prima possibile”. Al tempo sedeva nei consigli d’amministrazione di Esi e Mandarin-Wimax Sicilia pure l’on. Francantonio Genovese, eletto nell’aprile 2008 alla Camera dei deputati con il Partito democratico e passato poi con Forza Italia.
Il pomeriggio del 19 novembre 2009 Claudio Scaloja fu pure ospite d’onore al Teatro Vittorio Emanuele II di Messina per la presentazione della rete di telecomunicazioni senza fili Wimax. All’evento, organizzato dalla Linkem S.p.A. di Roma (società di telecomunicazioni e delle connessioni a banda larga in modalità wireless) in collaborazione con il Comune di Messina, parteciparono l’allora sindaco Giuseppe Buzzanca, l’assessore all’e-Government Carmelo Santalco ed il direttore generale di Linkem Carlo Simeone. “La creazione della rete Wimax di Messina è una tappa significativa nel processo di modernizzazione delle nostre infrastrutture di telecomunicazione, indispensabili per innalzare la competitività delle imprese e metterle in grado di agganciare le migliori opportunità del dopo crisi; si tratta di un grande passo verso l’autostrada del sapere”, dichiarò Scaloja nel corso del suo intervento.
All’allora ministro dello Sviluppo economico si era rivolto qualche tempo prima il sindaco Buzzanca per ottenere lo sblocco dei fondi per finanziare un’altra infrastruttura dai devastanti effetti socio-ambientali nello Stretto, il secondo approdo di Tremestieri con annessa piattaforma logistica. “Siamo stati a Roma insieme al Rup del progetto, nonché dirigente tecnico dell’Autorità portuale, l’ingegnere Francesco Di Sarcina, per incontrare il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli”, riferì il primo cittadino il 5 febbraio 2009. “Sono già nella disponibilità del Comune di Messina 45 milioni di euro, risorse finanziarie necessarie al completamento di Tremestieri. Presso il dicastero si è discusso degli aspetti progettuali legati agli interventi previsti per l’ampliamento dell’approdo. Per risolvere le problematiche occorrerà l’impegno finanziario del Governo nazionale; è in quest’ottica che per la prossima settimana è stato fissato un nuovo incontro con il ministro Claudio Scajola”.
Per i soldi e l’avvio dei lavori-scempio di Tremestieri bisognerà attendere ancora diversi anni; a firmare l’intesa sarà però il governo Renzi-Del Rio con il sindaco del “cambiamento” Renato Accorinti.

Articolo pubblicato in Stampalibera.itl’11 marzo 2019,http://www.stampalibera.it/2019/03/11/linchiesta-il-ponte-e-gli-altri-affari-della-messina-che-conta-la-traballante-memoria-dellex-ministro-scaloja/

Mario Ciancio, la mafia e l’affaire del residence dei militari USA a Lentini

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“Mario Ciancio Sanfilippo ha intrattenuto per decenni stretti rapporti con la mafia”. Lo ha sostenuto il 12 marzo scorso la sostituta procuratrice generale Miriam Cantone nel corso della prima udienza del processo in Corte d’appello a Catania sul provvedimento di sequestro e confisca dei beni dell’onnipotente editore-imprenditore siciliano Mario Ciancio Sanfilippo, disposto dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale etneo il 24 settembre 2018. Aziende e immobili per il valore complessivo di 150 milioni di euro (compresa la società editrice del quotidiano La Sicilia e la maggioranza delle quote della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari) di cui è stata richiesta la restituzione da parte dei legali di Ciancio, pure imputato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa presso il Tribunale penale di Catania.
Tra le vicende analizzate nel corso della lunga requisitoria della dottoressa Cantone, quella relativa al progetto di costruzione di un megavillaggio a Lentini (Siracusa) destinato ad ospitare i militari USA di stanza nella base di Sigonella, progetto poi non realizzato anche per l’opposizione di alcune associazioni ambientaliste e dei NoWarsiciliani. “Sarebbe stato l’ex parlamentare Salvatore Urso l’uomo che avrebbe venduto a Ciancio i terreni sui quali sarebbe dovuto sorgere il villaggio Xirumi per i soldati americani”, ha dichiarato la magistrata. “Il nome di Urso compare anche nelle carte del processo a Giulio Andreotti, per la sua presenza a un incontro che quest’ultimo avrebbe avuto all’hotel Nettuno con Nitto Santapaola”. Scomparso nel gennaio 2017, Salvatore Urso (ex sindacalista e democristiano doc, vicinissimo al pluriministro messinese Nino Gullotti) è stato deputato alla Camera dal 1972 al 1994 e sindaco del comune di Aci Sant’Antonio per oltre vent’anni. Della sua partecipazione all’affaire del megaresidence di Sigonella sino ad oggi non era trapelato nulla. Adesso però il progetto Xirumi, già al centro delle indagini del ROS dei Carabinieri nel 2003 e del procedimento penale contro l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, viene ad assumere contorni ancora più complessi e inquietanti.
L’oro americano tra centinaia di ettari d’agrumeti   
“Anche la vicenda della costruzione, in territorio di Lentini del complessoabitativo destinato ai militari americani della base di Sigonella dimostra le cointeressenze tra il preposto Mario Ciancio Sanfilippo e Cosa Nostra”, scrivono i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania nell’ordinanza di confisca dei beni nella disponibilità dell’editore-imprenditore. Il velocissimo iter del progetto insediativo e i controversi attori dell’operazione vengono poi analizzati dai giudici con dovizia di particolari. “A seguito di decisione del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, che aveva programmato un incremento della presenza di militari in Sicilia, venivano presentati diversi progetti per la realizzazione di alloggi per insediamenti temporanei dei militari e dell’altro personale di nazionalità statunitense che avrebbe dovuto prestare servizio presso la base NATO di Sigonella, sita in territorio del Comune di Motta S. Anastasia (Catania)”, si legge nell’ordinanza del 20 settembre 2018. “L’iter amministrativo per ottenere le autorizzazioni per la realizzazione in un’area agricola di un complesso insediativo chiuso ad uso collettivo, in deroga ai dettami dei piani regolatori vigenti e dei limiti di cubatura previsti nei regolamenti edilizi comunali, e disciplinato dall’art. 151. Reg. Sic. 71/1978 è cosi riassumibile: una società privata propone al Comune competente di cambiare la destinazione d’uso dei terreni; il Consiglio Comunale approva la variante urbanistica; l’Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente, in assenza di osservazioni, approva in via definitiva la variante al PRG”.
L’istanza per l’approvazione del progetto per il megaresidence USA (mille casette a schieraunifamiliari con annesso verde privato, parcheggi coperti, alcuni residence, impianti sportivi, ecc.) fu presentata il 2 febbraio 2006 dalla società Scirumi S.r.l. all’allora sindaco di Lentini Sebastiano Neri (esponente dell’Mpa di Raffaele Lombardo). Il progetto prevedeva l’insediamento urbanistico in due distinte aree agricole: la prima di 67 ettari nelle contrade Xirumi e Cappellina; la seconda in contrada Tirirò, estesa 24 ettari. A firmare il progetto erano l’architetto Matteo Zapparrata, all’epoca capo dipartimento della Provincia Regionale di Catania, settore programmazione opere pubbliche, sotto la presidenza di Raffaele Lombardo; Antonio Leonardi, dirigente dell’A.U.S.L. 3 di Catania e segretario provinciale dell’Ordine degli Ingegneri; Rosario Garozzo, direttore generale del Comune di Adrano.
“Il progetto aveva un rapido iter amministrativo”, scrivono i giudici del Tribunale di Catania. “Il 9 febbraio 2006, il Coordinatore del 4° Settore del Comune di Lentini, Arch. D’Anna, chiedeva all’amministrazione comunale di esprimersi sulla variante, precisando che la stessanon contrasta né con lo strumento urbanistico generale, né con le previsioni delloSchema di Massima approvato del nuovo P.R.G. in fase di approvazione e il 17 febbraio 2006 l’allora Sindaco di Lentini chiedeva all’arch. D’Anna di istruire con urgenza il progetto di variante richiesto dalla ScirumiS.r.l. e di richiedere altresì tutti i pareri previsti per legge per permettere che lo stesso potesse essere portato in Consiglio Comunale per la relativa approvazione, motivando l’urgenza con la particolare rilevanza sociale, economica e occupazionale del progetto per la città di Lentini. Il 5 marzo 2006 il sindaco Sebastiano Neri veniva dichiarato decaduto per incompatibilità di tale carica con il mandato di parlamentare regionale, essendo stato eletto all’A.R.S. nel 2003. L’11 aprile 2006 il Presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro emetteva il decreto con il quale veniva dichiarata la cessazione della carica dei componenti della Giunta Municipale di Lentini e contestualmente nominava il vice prefetto di Siracusa dott. Massimo Signorelli Commissario Straordinario per la gestione del Comune, in sostituzione del Sindaco e della Giunta, sino alla successiva tornata elettorale. Il 12 aprile 2006 venivano indette dall’Assessore alle Autonomie Locali le nuove elezioni comunali. Il menzionato arch. D’Anna inoltrava al Commissario Straordinario (frattanto insediatosi in luogo del Sindaco), al Presidente del Consiglio Comunale ed al Segretario Generale per l’inserimento nella delibera per l’approvazione, la relazioneistruttoria integrativa che conteneva la scheda tecnica trasmessa dalla Scirumi S.r.l.e gli obblighi che la società proponente doveva assumere in caso di approvazione della proposta di variante. Il 18 aprile 2006 il Consiglio Comunale di Lentini approvava la variante al P.R.G. (delibera n. 21), trasformando l’area interessata per la realizzazione del complesso residenziale da zona agricola E in zona CE 4”.
A scompaginare le carte giungeva però il 7 giugno 2006 una lettera-esposto a firma del Centro Studi Territoriale DDISA, dei Verdi di Lentini e del giornale online Girodivite.it, in cui si ipotizzava la violazione delle norme regionali in materia urbanistica. “Tutta l’operazione Scirumiè stata viziata dall’inizio da una serie di errori, di violazioni e di omissioni che duramente configgono con la moralità, la trasparenza e le leggi”, scrivevano le associazioni. “L’insediamento deturperebbe irrimediabilmente il contesto paesaggistico e colpirebbe una delle attività produttive locali più redditizie, la produzione di agrumi. La zona di Xirumi, Cappellina e Tirirò è pure interessata da almeno due aree archeologiche, una delle quali ricade proprio all’interno della cinta del complesso in questione. L’altra area, di cui nessuno ha fatto menzione nell’iter progettuale, è di particolare importanza storica e culturale. Si tratta del vasto insediamento rupestre sul colle di San Basilio che domina il vasto paesaggio che si vorrebbe convertito a residence e villette”. L’esposto convinceva gli amministratori lentinesi (alle elezioni era stato eletto sindacoAlfio Santo Mangiameli del partito La Margherita) a sospendere la delibera e convocare una nuova seduta del consiglio comunale per analizzare il progetto degli alloggi USA. “Con delibera 52 del 16 ottobre 2006, veniva tuttavia approvata definitivamente la variante al P.R.G., trasformando l’area interessata all’insediamento del complesso residenziale”, annotano i giudici di Catania. “Tale delibera veniva approvata dall’Assessorato Regionale al Territorio e all’Ambiente – Dipartimento Urbanistica con decreto n. 93 emesso in data 1 febbraio 2007, pubblicato il 13 aprile 2007 sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana. Assessore Regionale era l’avvocata Rossana Interlandi, soggetto molto vicino all’allora Presidente della Provincia Regionale di Catania (successivamente presidente della Regione) Raffaele Lombardo”.
Scirumi USA, un progetto di casa Ciancio
A convincere gli inquirenti sul ruolo chiave di Mario Ciancio Sanfilippo e familiari nell’affaire, i dati riportati nella visura camerale della compagine sociale che aveva presentato al Comune di Lentini il progetto per i militari di Sigonella, la Scirumi S.r.l.con sede a Catania in via XX Settembre 42 presso lo studio del professore Gaetano Siciliano, presidente onorario della Fondazione Dottori Commercialisti Sicilia, già presidente dell’ordine dei commercialisti e del collegio dei revisori dei conti del Comune di Catania. “La Scirumi – si legge nell’ordinanza di confisca - era così composta: Cappellina S.r.l, avente sede a Catania in via Pietra dell’Ova n. 51 (luogo di residenza di Mario Ciancio Sanfilippo), i cui soci erano in parti eguali i figli; tale società aveva detenuto sino al 26 ottobre 2010 il 10% delle quote della Scirumi e da quella data ne era divenuta titolare al 100%; Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a., titolare fino al 26 gennaio 2010 del 51% delle quote del capitale sociale; DA.CA. S.r.l, inizialmente proprietaria del 35,5% del capitale sociale”. Altre piccole quote sociali della Scirumi erano state detenute sino al gennaio 2010 da Giuseppe Celano (4%) e Francesco Siciliano (2,5%), quest’ultimo figlio del commercialista Gaetano Siciliano.
Quanto a tali soggetti merita attenzione anzitutto la Impresa Costruzioni GiuseppeMaltauro S.p.a.”, aggiungono i magistrati etnei.“Tale società, con sede a Vicenza, attiva sin dall’anno 1969, aveva già eseguito lavori per conto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America presso la base di Aviano (Pn). La Maltauro, inoltre, aveva acquistato l’impresa Ferrari di Genova, a sua volta acquirente della IRA Costruzioni di Graci e della Fratelli Costanzo, storiche imprese edili di Catania (originariamente appartenenti a soggetti vicini a Cosa Nostra etnea), ed aveva infine realizzato il centro commerciale Etnapolis, sito a Belpasso (Catania), la cui costruzione aveva costituito oggetto del procedimento penale denominato Dioniso”.
“Amministratori della Scirumi S.r.l. fino al 25 febbraio 2010 erano i seguenti soggetti: Carmelo Garozzo, dal 26 aprile 2007 consigliere del C.d.A. e poi amministratore unico della società, figlio di Francesco Garozzo amministratore unico della Cappellina S.r.l.; Mauro De Paoli, presidente del C.d.A., consigliere nominato in quota Maltauro; Stellario Gentile, consigliere, nominato in quota DA.CA. S.r.l., società di cui lo stesso deteneva una quota di proprietà; Gianalberto Balasso ed Ezio Trentin, consiglieri in quota Maltauro”. La Scirumi aveva quale oggetto sociale l’acquisto e/o la vendita di terreni agricoli e/o l’assunzione e la gestione della conduzione sia indiretta che diretta degli stessi, l’esecuzione di opere di bonifica e di trasformazione agraria e forestale. “Tra il 9 febbraio 2005 e il 20 luglio 2005 la Scirumi S.r.l. acquistava terreni di proprietà di Mario Ciancio Sanfilippo e della S.A.T.E.R. - Società Agricola Turistica Etna RivieraS.r.l. (società le cui quote appartenevano allo stesso Mario Ciancio Sanfilippo, al coniuge Valeria Guarnaccia ed ai figli Domenico Ciancio Sanfilippo e Rosa Emanuela Ciancio) per il complessivo importo di euro 5.434.300”, aggiungono i magistrati. “Contestualmente alla prima vendita di terreni dal Ciancio alla Scirumi S.r.l, il 9 febbraio 2005, Giuseppe Maltauro S.p.A., DA.CA. Service, Giuseppe Celano e Francesco Siciliano, titolari del 90% di quote nominali della Scirumi, inoltravano alla Cappellina S.r.l. una proposta irrevocabile di vendita delle quote in loro possesso”. Da notare come al tempo la S.A.T.E.R. condividesse la stessa sede della Cappellina (via Pietro dell’Ova 51, Catania) e finanche l’amministratore, l’anziano avvocato Francesco Garozzo, presente in altre operazioni finanziarie del gruppo Ciancio.
Infine un’annotazione dei giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania su uno dei progettisti del complesso residenziale USA, l’architetto Matteo Zapparrata. “Egli è stato Ingegnere Capo della Provincia di Catania ed era altresì fidato collaboratore di Raffaele Lombardo, tanto che quest’ultimo, quando divenne Presidente della Regione Siciliana lo aveva nominato Commissario Straordinario del Consorzio per le Autostrade Siciliane, incarico che ha ricoperto fino al 10 agosto 2010, data in cui ha rassegnato le dimissioni. Si ricordi altresì che l’arch. Zapparrata è il soggetto al quale avevano fatto riferimento gli interlocutori della conversazione intercettata il 28 luglio 2008 presso l’ufficio del Ciancio Sanfilippo durante la riunione tra il proposto, il Lombardo e gli altri soggetti meglio sopra indicati, relativa all’approvazione di variante al progetto del centro commerciale Porte di Catania. Si riscontrano inoltre diverse conversazioni tra lo Zapparrata e Mariano Cono Incarbone, imprenditore definitivamente condannato per il delitto di associazione mafiosa nell’ambito del procedimento Iblis. La figura dello Zapparrata emerge anche nella vicenda relativa al progetto della società Stella Polare (la realizzazione di un centro polifunzionale con alberghi, sale congressi, campi da golf, ecc. a sud della città di Catania, nell’ambito del cosiddetto Pua - Piano urbanistico attuativo N.d.a)”.
E il residence dei marines di Sigonella diventa Cosa Nostra
“Diverse conversazioni intercettate nel corso del procedimento c.d. Iblisdimostrano l’estremo interesse alla realizzazione del progetto del residence per i militari di Sigonella sia di Vincenzo Basilotta (e per suo tramite di Cosa Nostra ), sia del Ciancio, benché quest’ultimo avesse già ottenuto dall’affare il suo profitto costituito dalla plusvalenza ricavata dalla vendita dei terreni”, annota il Tribunale di Catania. Imprenditore edile, già co-titolare della società Fratelli Basilotta S.p.A. (successivamente IN.CO.TER.-Infrastrutture Costruzioni Territorio S.p.A.), Vincenzo Basilotta aveva riportato la condanna per associazione mafiosa in primo e secondo grado al processo “Dioniso”,condanna poi annullatacon rinvio dalla Cassazione (il procedimento si è concluso con sentenza di non doversi procedere per sopravvenuta morte dell’imputato).
“Diverse conversazioni telefoniche intercettate consentono di affermare che il Basilotta facesse parte dell’organizzazione criminale denominata Cosa Nostra e fosse in particolare vicino al potente boss di Caltagirone Francesco La Rocca e all’ala della famigliaSantapaola riconducibile ad Antonino Santapaolafratello di Nitto e ad Alfio”, scrivono gli inquirenti. “Meritano, in particolare, di essere esaminate le conversazioni del 26 febbraio 2007, tra Vincenzo Basilotta e Rosario Di Dio (responsabile della famiglia di Cosa Nostra di Ramacca), presso il distributore Agip gestito da quest’ultimo, nel corso della quale il primo riferiva al suo interlocutore che avrebbe dovuto effettuare dei lavori di sbancamento da Ciancio, il quale aveva trovato un accordo con gli Americani, così facendo riferimento evidentemente al progetto in esame; per tale ragione il Basilotta chiedeva al Di Dio informazioni circa un’area in cui depositare il materiale di risulta”. Agli atti d’indagine anche la trascrizione di una conversazione avvenuta il 18 marzo 2007 tra Vincenzo Basilotta e tale “Paolo” non meglio identificato, nel corso della quale il primo discuteva con il secondo dei lavori che avrebbe dovuto eseguire su due distinte aree di proprietà del Ciancio Sanfilippo (realizzazione di quasi milleduecento alloggi), chiedendo di trovare un luogo ove smaltire la terra di risulta.
Due giorni più tardi veniva intercettato un colloquio tra il Basilotta e Mario De Paoli, presidente del C.d.A. della Scirumi S.r.l.dalla quale emerge come il Ciancio Sanfilippo si fosse interessato del rinnovo delle cariche societarie della società predetta, esercitando all’uopo la sua determinante influenza”. Come è andata a finire?, domandava Basilotta. Niente, tutto, tutto in attesa, rispondeva De Paoli. Per quanto riguarda Scirumi, è stato confermato la cosa, no? E verrà ratificata verso aprile, che c’è il rinnovo delle cariche.. no?
Certo! replicava Basilotta. Ma Sicuramente Ciancio ha avuto la sua influenza perché lui ha chiamato molto preoccupato… Ha chiamato venerdì, ha detto: ma qua non è che fate cazzate? E quindi loro hanno subito abbassato l’ala. Mentre per quanto riguarda la fiera è tutto per aria, capito? Ma, ma Pogliese non si è fatto sentire?
Io non so niente, sono stato zitto..., rispondeva De Paoli. E non devo far niente, devono muoversi loro! Un’altra cosa... mi diceva il dottor Lavaglia che va a Milano, non ho capito se domani... Sì  domani, perché ieri sera ci siamo visti e mi ha detto guarda che io devo andare a Milano per quella questione lì, no? E va da Zuncheddu proprio, perché ha un appuntamento con Zuncheddu, no? E vediamo cosa vien fuori, insomma, no? Tu stai andando anche tu per le tue cose? (…) Lui é andato in avanscoperta, domani, non so che cosa traffica, cosa fa, cosa briga, però so che ci va e va da…, mi sembra che lui sia in confidenza con l’ingegner Fantoni, che non so cosa faccia all’interno dell’organizzazione, e parla con il titolare che è l’ingegner Zancheddu… Per quanto riguarda Zapparrata io adesso lo chiamo, gli dico di stare un attimo fermo per… Ed aspettiamo gli sviluppi via Pogliese… La settimana prossima ci vediamo...
Il 3 aprile e il 31 maggio 2007 Vincenzo Basilotta e Mauro De Paoli tornavano a discutere ancora del rinnovo delle cariche della Scirumi S.r.l. e di altre vicende riguardanti il progetto di costruzione del residence per i militari di Sigonella. In particolare nel corso della telefonata di giorno 31 “i due discutevano dell’interessamento di Mario Ciancio Sanfilippo, il quale aveva già informalmente contattato il comando americano, della necessità di una interlocuzione formale con gli statunitensi e della successiva esecuzione dei lavori che, si comprende, sarebbero stati affidati allo stesso Basilotta”.
Ho mandato una lettera, dieci giorni fa, notificando il decreto, tutta la posizione..., spiegava De Paoli. Penso di preparare un’altra lettera per fissare l’incontro, ai fini dell’appuntamento, lui mi ha detto che ha già fissato l’appuntamento con gli americani… E quindi prepariamo un’altra lettera che lo fissiamo ufficialmente per un incontro ufficiale, con un interprete, con questo... con chi cazzo vuoi tu, va bene, e lui, e tutto procede, dai! Quindi dobbiamo essere dentro, poi vediamo, se questo, appena incominciamo,  tutto bene... Scirumi gli dice lui... che è il vecchio ragionamento, no? Questo è stata una parola... del Ciancio...
Quale impegno? Scirumi sarà una catena di montaggio! esclamava Basilotta.
Perfetto! Però l’inizio, è importante che non scombiniamo poco..., replicava l’imprenditore. Però, se io sto qua... Scirumi è un binario! E questo gli ho detto: Guarda, tu non ti preoccupare, ti ho già detto il mese scorso che la mia disponibilità c’è, le condizioni tu le sai, le mie condizioni sono.. perché io... la mia testa, non testa mia mia mia, testa per l’azienda, per fare il lavoro bene, per farlo nei tempi, capito? Il concetto va bene per tutto e per tutti! E ce la giochiamo a fine anno, papem...papum...papam... Ce la giochiamo, come va va! Io penso che a fine anno Scirumi dovrebbe venire a galla, no!? E poi vediamo il lavoro dove è, Scirumi è un bell’impegno,è un impegno pari a quello che devi fare un centro commerciale in pochi mesi, perché fare mille case in tre anni, comprensivo di strade, fognature, impianto di depurazione, illuminazione, cabine, acqua, luce, acqua, gas.. o no!? Parcheggi, dobbiamo fare insomma... è un paese! Mille case è un paesino, un paesino piccolo ma è un paesino! Quindi, è un bell’impegnone, ma lo faremo… la pelle, diciamo, o il pollo lo mettiamo nel sacco, poi vediamo come cucinarlo, se arrosto, lesso, prendiamolo intanto! Adesso sono tre anni che gli corriamo dietro, eh! Tre anni che giriamo su queste cose, con sacrificio, con impegno e puntini puntini che tu conosci perfettamente! Tu hai iniziato, però è una bella padella che prima di arrivare là... Tanto io adesso vengo, io qua vengo una volta al mese perché ho un impegno. Vengo giù e sto con lei, per vedere questo, quell’altro, gli scavi, il materiale, i prefabbricati, darle una mano... Io vengo con lei, nel giorno che vengo giù per lui vengo giù per Scirumi. Cosa faccio per Scirumi? Molto semplice, vado dall’amico a rompere i coglioni, il giorno prima, la sera, ora di pranzo... Che non piglia un colpo, che non scappa, che non... Poi, vado a salutare a Ciancio, perché anche quella è una cosa importante. E quindi con la scusa parlo di Scirumi tutta la sera. Non c’è niente da fare, bisogna andare dal notaio, debbo vedere l’acqua come siamo messi con i pozzi dell’acqua, perché se uno ha pagato le tasse...
Quel Sì al MUOS del governo Lombardo
In quegli stessi giorni gli inquirenti intercettavano pure un colloquio tra l’allora boss reggente del clan di Ramacca Rosario Di Dio, tale Giuseppe Majorana e una donna non identificata, nel corso della quale il Di Dio riportava che le aree di proprietà dell’editore Ciancio erano diventate idonee alla realizzazione del villaggio per i militari statunitensi “grazie al prezioso intervento della Sovrintendenza che aveva concentrato il vincolo originariamente esteso all’intera area ad una porzione molta più ridotta, tanto da consentire lo sblocco dell’iter amministrativo per la realizzazione del villaggio USA sulla rimanente parte dell’area”. Alla richiesta della donna di trovare un geologo per risolvere un contenzioso su un terreno nel comune di Scicli, ancora Di Dio spiegava che era preferibile invece cercare l’architetto Matteo Zapparrata.
Zapparrata è il responsabile dai tempi di Nello Musumeci, dell’ufficio tecnico della Provincia di Catania, giusto?, aggiungeva Rosario di Dio. Ancora oggi è dirigente, massimo dirigente dell’ufficio tecnico della Provincia di Catania... E’ con il pizzetto... Matteo Zapparrata si chiama! In questo monte qui davanti… che è il monte di Mario Ciancio a Scirumi non era geologicamente, no, a parte questo c’era un vincolo della Sovrintendenza. Sa cosa ha fatto lui!? Hanno chiamato la Sovrintendenza, gli hanno fatto fare a spese loro le ricerche per vedere cosa c’era sotto terra, lo studio geologico. E tutti quegli etteraggi dei terreni sono diventati idonei per fare il villaggio agli Americani…
Va infine richiamata la conversazione intercettata in data 23 settembre 2008, allegata alla annotazione del ROS dei Carabinieri di Catania del 23 gennaio 2014”, proseguono i magistrati etnei. “Tale dialogo aveva luogo presso l’ufficio del proposto (Mario Ciancio Sanfilippo Nda), tra quest’ultimo e due soggetti dei quali uno era verosimilmente il più volte menzionato Mauro De Paoli e l’altro e rimasto non identificato. Nel corso della conversazione il De Paoli chiedeva l’intercessione del Ciancio Sanfilippo con l’allora neoeletto Presidente della Regione Raffaele Lombardo affinché agevolassel’installazione del MUOS (il contestato sistema di monitoraggio americano) in territorio di Niscemi, cosi da accreditare lo stesso Ciancio Sanfilippo e tutta la Scirumi presso il nuovo comandante americano di Sigonella (tale Kinsley) al fine di concludere l’accordo con l’amministrazione militare statunitense che avrebbe portato alla realizzazione del progetto…”.
“Da quanto precede – conclude il Tribunale di Catania - emerge come ancora una volta il Ciancio abbia sfruttato i propri legami e rapporti con esponenti del sistema politico siciliano al fine di assicurare un canale privilegiato per l’approvazione del progetto ora in esame, il cui iter amministrativo procedeva e si concludeva positivamente in tempi rapidi: detti legami gli consentivano di avere in anticipo la certezza dell’esito favorevole, tanto da ottenere, ancora una volta, rilevantissimi profitti ricavati dalla plusvalenza dei suoi terreni, venduti quando erano ancora a vocazione agricola ma per i quali veniva corrisposto dalla controparte un prezzo elevatissimo come se già la detta destinazione fosse stata modificata. E tale certezza non poteva che essere comune anche alla controparte del Ciancio Sanfilippo (prima fra tutti la Maltauro, soggetto con notevole esperienza imprenditoriale), che non si sarebbe certo determinata ad effettuare detto onerosissimo acquisto se non avesse avuto adeguate garanzie in ordine alla concessione della variante urbanistica. Emerge inoltre dai dati esposti come ancora una volta fosse stato stabilito che l’esecuzione dei lavori per la realizzazione del villaggio sarebbe stata affidata all’imprenditore mafioso Basilotta. Non si rivela pertinente la deduzione difensiva secondo la quale non sarebbe stato il Ciancio Sanfilippo a scegliere l’impresa del Basilotta, il quale avrebbe piuttosto avuto rapporti privilegiati con la Maltauro. Invero, dalle conversazioni intercettate e dall’ulteriore circostanza che nel consiglio di amministratore della Scirumi figurava l’amministratore della Cappellina, si desume come l’odierno proposto rivestisse in concreto un ruolo di primo piano nella gestione della società, tanto da condizionare la scelta degli organi amministrativi, e ciò malgrado egli detenesse solamente il 10% delle quote, e come egli avesse estremo interesse alla realizzazione del progetto da essa società portato avanti tanto da promettere il suo intervento presso il Presidente della Regione Sicilia per il controverso progetto del MUOS solo a condizione che gli venisse garantita l’adesione al progetto Scirumi delle competenti autorità statunitensi (…)Anche nella presente vicenda, dunque, il proposto si e reso disponibile a dare a Cosa Nostra il contributo costituito dall’affidamento ad un’impresa mafiosa di lavoridi rilevante entità, contributo poi non concretizzatosi solo perche l’affare non eraandato in porto ed i lavori non erano pertanto stati eseguiti”.

Niger, l’avventura italiana antimigranti si trasforma in business delle armi

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Nuove campagne coloniali in Africa delle forze armate italiane, scimmiottando l’intramontabile alleato USA. Accade in Niger dove il 20 settembre 2018 ha preso il via l’operazione MISIN (Missione di supporto nella Repubblica del Niger) finalizzata al rafforzamento dell’apparato militare nigerino e – come spera il Ministero della difesa italiano – presto anche di quello delle forze armate di Mauritania, Nigeria e Benin.
L’ultimo atto della marcia di penetrazione del tricolore in una delle aree più turbolenti dell’Africa sub-sahariana risale allo scorso 26 febbraio quando la ministra pentastellata Elisabetta Trenta e il Capo di Stato maggiore della difesa generale Enzo Vecciarelli hanno raggiunto in visita ufficiale Niamey per incontrare il Presidente della Repubblica del Niger, Mahamodou Issoufou e le massime autorità politiche e militari locali. “Durante il colloquio bilaterale con il Ministro della Difesa Kalla Moutari, la titolare del Dicastero ha ribadito l’impegno dell’Italia ad assistere le forze di sicurezza attraverso il supporto addestrativo e formativo”, riporta il comunicato emesso dal Ministero della difesa. “L’incontro è stato, inoltre, l’occasione per verificare l’efficacia delle attività in corso di svolgimento, esplorare ulteriori forme di cooperazione strutturata e confrontarsi sulla situazione regionale”.
Nel corso del loro soggiorno in Niger, Trenta e Vecciarelli hanno poi incontrato i militari del contingente MISIN. “L’obiettivo di questa missione bilaterale è quello di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritania, Ciad e Burkina Faso)”, ha spiegato la ministra. “Quella in Niger è una missione importantissima per l’Italia poiché, nel sostenere le richieste del Governo nigerino, punta anche a frenare e ridurre il flusso incontrollato dei migranti verso il nostro Paese. Una missione perfettamente in linea con l’interesse nazionale perché in questa fase è fondamentale il supporto al Niger nella lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, incluso quello di esseri umani”.
A testimonianza della gratitudine del governo italiano e di Bruxelles per l’attivismo delle autorità nigerine nella guerra alle migrazioni e ai migranti principalmente a ridosso della frontiera meridionale con la Libia, Elisabetta Trenta ha consegnato al presidente Issoufou attrezzature mediche e sanitarie per il valore di 167 mila euro “che si aggiungono agli otto voli umanitari effettuati dall’Italia alla volta del Niger dal 24 aprile 2018 al gennaio 2019, con cui l’Italia ha donato al ministero della salute di Niamey circa 60 tonnellate di farmaci e presidi medici resi disponibili grazie alla collaborazione tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, le Nazioni Unite e altre agenzie intergovernative”, come riporta ancora l’ufficio stampa della Difesa.
Per la missione MISIN è prevista una presenza massima nel paese africano di 470 militari, più 130 mezzi terrestri e due aerei. Si tratta principalmente di addestratori da impiegare anche presso il Defense College in Mauritania, personale del Genio, delle trasmissioni e raccolta delle informazioni, team sanitario, squadra rivelazioni contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari, ecc.., ma secondo il sito specializzato Difesaonline.it, potrebbero essere schierate presto anche alcune delle unità di èlite e pronto intervento delle forze armate (una task force con personale del 66° Reggimento aeromobile “Trieste”, i paracadutisti della Brigata “Folgore”, elicotteri NH-90 e AH-129D, ecc.)”. Il costo annuale dell’operazione è stimato in 30 milioni di euro circa.
La missione italiana opera in stretto collegamento operativo e strategico con le unità statunitensi dislocate in Niger e poste sotto il controllo di US Africom, il comando per le operazioni USA nel continente africano di stanza in Germania. Non è casuale che i nostri reparti siano attualmente ospitati all’interno della base militare USA realizzata alla periferia della capitale Niamey (Air Base 101). Attualmente è in atto pure il parziale trasferimento delle unità presso l’ex fortino della Legione straniera di Madama, località settentrionale del Niger a un centinaio di chilometri dalla frontiera con la Libia, avamposto della presenza francese nel Sahel nella lotta al terrorismo di stampo neo-jihadista (Operazione Barkhane, con 4.000 uomini e basi sparse dalla Mauritania al Ciad).
Sulle operazioni d’intelligence e di addestramento dei reparti nigerini nel “controllo delle frontiere esterne” il ministero della difesa italiano mantiene il massimo riserbo, mentre sono numerosi i comunicati stampa sugli ambigui e sospetti interventi di ordine medico-sanitario affidati ai militari e finanziati grazie ai fondi della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari esteri. “Il personale della MISIN ha individuato nel settore della salute pubblica la priorità di intervento, in considerazione della particolare situazione in cui versa la Sanità, sia militare che civile, del Paese”, si legge nella nota emessa il 18 dicembre 2018 in occasione della festa nazionale del Niger. “Il Comando della MISIN e l’Ambasciatore d’Italia hanno individuato e consegnato una serie di farmaci e presidi sanitari ritenuti essenziali, concordati poi con i sanitari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si inseriscono in una serie di donazioni che permetteranno alle autorità locali di curare alcune malattie diffuse nella regione (colera, meningite e morbillo). Ciò rappresenta un segno tangibile della volontà di supportare fattivamente il Niger a fronteggiare una situazione emergenziale e costituisce, nel contempo, una chiara dimostrazione di come le missioni svolte dalle nostre Forze Armate all’estero si caratterizzino sempre più marcatamente come interministeriali e interagenzia, nonché come espressione dell’impegno dell’intero sistema Paese nell’aiuto concreto alle realtà locali dove si interviene e nella tutela degli interessi nazionali”. Senza giri di parole, la cooperazione allo sviluppo viene convertita in strumento politico-militare perché cresca il consenso tra i potenziali regimi-partner del continente africano verso le finalità geostrategiche e gli interessi delle holding italiane.
I primi di febbraio intanto, grazie all’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e alla Rete Disarmo, i cittadini italiani hanno avuto modo di conoscere il contenuto dell’accordo di cooperazione stipulato tra Italia e Niger il 26 settembre 2017, nei fatti operativo anche se sino ad oggi non è stato ratificato dal Parlamento né pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Nello specifico l’accordo prevede tra le priorità: lo sviluppo delle politiche di sicurezza e di difesa; la ricerca, il supporto logistico e l’acquisizione di prodotti e servizi per la difesa; l’organizzazione, l’impiego delle forze armate e gli equipaggiamenti diunità militari; la formazione e l’addestramento in campo militare, ecc.. “La cooperazione tra le Parti in materia di difesa – si legge nell’accordo - potrà avvenire secondo le seguenti modalità: incontri, visite e scambi di delegazioni di enti civili e militari; partecipazione ad esercitazioni militari e ad operazioni umanitarie e di mantenimento della pace; visite di navi ed aeromobili militari; supporto alle iniziative commerciali relative ai prodotti ed ai servizi della difesa ed associate a questioni attinenti alla difesa…”.
Fortemente critico il giudizio di ASGI e Archivio Disarmo. “Il testo dell’accordo di cooperazione tra Italia e Niger risulta estremamente semplice ed è sostanzialmente un copia incolla di accordi precedentemente conclusi dall’Italia”, spiegano le due organizzazioni. “A dimostrarlo ci sono varie incongruità, tra cui la menzione di visite di navi tra le forme di cooperazione tra Italia e Niger, un Paese che non ha accesso al mare. Particolarmente rilevante è la parte del trattato che riguarda la cooperazione relativa ai prodotti della difesa, che sembra trasformare la collaborazione tra Italia e Niger in una collaborazione di tipo industriale. Questa si traduce nella cessione di materiale militare da parte del nostro Paese e nella possibilità per i privati di esportare mezzi militari aggirando la normativa sul commercio delle armi”.

Articolo pubblicato in Africa ExPress il 14 marzo 2019, https://www.africa-express.info/2019/03/14/niger-lavventura-italiana-antimigranti-si-trasforma-in-business-delle-armi/

Mario Ciancio, la mafia e i poli commerciali di mezza Sicilia

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Decine e decine di ettari di terreni agricoli trasformati d’incanto in aree ultrafabbricabili; progetti a pioggia per realizzare centri commerciali di medie e grandi dimensioni; investimenti per centinaia di milioni di euro con denaro di dubbia provenienza. Sono solo alcune delle vicende a tinte fosche rilevate dalla Procura della Repubblica di Catania nel corso delle indagini sul potente editore ed imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. “Rapporti stretti e decennali” quelli intrattenuti da Ciancio con Cosa Nostra, come ha dichiarato la sostituta procuratrice generale Miriam Cantone al processo in corso in Corte d’appello sul provvedimento di sequestro e confisca dei beni nella disponibilità dell’editore. Sotto i riflettori i parchi commerciali “Tenutella, “Porte di Catania” e “Sicilia Outlet Fashion Village” realizzati nel catanese e nell’ennese e il “Mito” di Misterbianco, arenatosi alla vigilia dei lavori per presunti attriti tra le cosche: operazioni tutte che per gli inquirenti avrebbero avuto come dominusproprio il potente personaggio siciliano.
All’iter progettuale e realizzativo dei complessi “Tenutella” e “Mito” è dedicato in particolare un capitolo dell’ordinanza di confisca dei beni del gruppo Ciancio emessa il 20 settembre 2018 dai giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania (titolo: I rapporti tra Mario Ciancio Sanfilippo e esponenti di Cosa Nostra, in particolare con Antonello Giostra).“L’esistenza di rapporti di affari tra il Ciancio Sanfilippo ed esponenti della criminalità organizzata risulta dimostrata dalle dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia, questa volta di area messinese, Antonino Giuliano”, scrivono i giudici di Catania. “Sentito il 17 giugno 2005 e il 30 agosto 2005, il Giuliano ha reso dichiarazioni sui rapporti tra il Ciancio e Antonello Giostra, soggetto operante nel messinese, che proprio con il Ciancio Sanfilippo avrebbe dovuto realizzare, tra l’altro, un centro commerciale in territorio di Catania, su terreni del preposto siti lungo la tangenziale. Il Giostra avrebbe partecipato all’affare formalmente in proprio, ma sostanzialmente anche con capitali dei noti boss di CosaNostra messinese Michelangelo Alfano e Luigi Sparacio e di altri soggetti. L’affare poi non era andato in porto”.
Nello specifico, il collaboratore Antonino Giuliano (costruttore per lungo tempo in affari con Michelangelo Alfano), aveva riferito agli inquirenti che verso la fine degli anni ’90 era stata decisa la costituzione di una società tra l’editore Mario Ciancio e gli imprenditori messinesi Antonello Giostra, Salvatore Siracusano e Santino Pagano per realizzare un grosso centro commerciale a Catania. “Ufficialmente nella società figurava solo Giostra”, riferiva Giuliano. “Il Ciancio avrebbe partecipato all’affare apportando un terreno di sua proprietà della superficie di 220.000 mq circa, sito sul lato destro della tangenziale per chi la percorre in direzione di Siracusa, di fronte al distributore di carburante IP. Il Giostra avrebbe invece partecipato con l’apporto dei capitali occorrenti alla costruzione del centro commerciale (…) L’Alfano, oltre a interessarsi tramite Giostra al centro commerciale, so che si è interessato anche per far partecipare ad appalti pubblici per il Policlinico e per delle costruzioni in Sigonella delle imprese di Messina…”. Sempre secondo il collaboratore peloritano, il complesso doveva poi essere ceduto al Gruppo Carrefour o Rinascente-Auchan, che avrebbero pagato l’acquisto in base allo stato di avanzamento dei lavori. “A quanto mi risulta, e fino a quando io seguii la trattativa, l’affare non si concluse perché la Rinascente, rappresentata dall’ing. Reneger, era disponibile a versare il primo SAL, di circa 30 miliardi di lire, ad avvenuta esecuzione dei lavori per un importo di circa 300 miliardi, su un costo complessivo finale di circa 500 miliardi”, ha aggiunto Giuliano. “Io non seguii le ulteriori fasi dell’affare perché il Giostra nei confronti miei e deimiei amici assunse un atteggiamento poco corretto, cercando di estrometterci ecomunque riservandoci, per il lavoro da noi svolto, un compenso pari all’1% delcosto complessivo dell’affare, che ci sarebbe stato corrisposto a costruzioneultimata”.
“Devo precisare che Giostra, che era parte della costituenda società, sebbene figurasse singolarmente, in effetti sarebbe intervenuto nella società impegnando capitali di Alfano, di Siracusano-Pagano, di Sparacio e di alcuni avvocati messinesi, tra i quali, l’avv. Lillo Arena, l’avv. Giuffrida, l’avv. Cannavò nonché altri già indicati in precedenti verbali. Il terreno fu reperito attraverso l’interessamento di tale Pippo Giuffrida di Catania, che gestisce un’agenzia immobiliare denominata Quattro Pareti, già CIA, con sede in Messina nel Palazzo Upim. Reperito il terreno, Giostra inizialmente venne messo in contatto col Ciancio per il tramite di tale Saro, del quale non so indicare più complete generalità. Posso dire che si trattava di un individuo di media statura, di corporatura regolare, capelli neri, di bell’aspetto e molto elegante. Dello stesso può fornire più significative precisazioni il Pippo Giuffrida col quale intrattiene rapporti d’affari. A quanto mi diceva Giuffrida, Saroè un appartenente del clan Santapaola di Catania, anzi, preciso meglio, me lo ha apertamente rivelato lo stesso Saro in una delle tre occasioni nelle quali l’ho incontrato ed, esattamente, allorché andammo a pranzo insieme in un ristorante del centro di Catania io, lui ed il Pippo Giuffrida. Ho visto il Saroin altre due circostanze e cioè: una volta che venne a trovarmi a Messina nel mio ufficio, accompagnato da una bella ragazza, che disse essere un’attrice di Milano o Roma ed un’altra volta, infine, nell’ufficio di Giostra. Il predetto Saroaveva una piccola industria che produceva siringhe a Catania”. Il misterioso intermediario tra l’editore catanese a il costruttore Antonello Giostra veniva poi identificato in Rosario Ragusa, soggetto che - secondo gli inquirenti - aveva avuto un ruolo fondamentale anche per lo “sviluppo di un progetto concorrente e alternativo, sempre in contrada Tenutella, che sarebbe stato poi effettivamente realizzato e che oggi porta il nome di Centro Sicilia.
Interrogato nell’ambito dell’operazione antimafia Dedalo, il collaboratore Antonino Giuliano forniva ulteriori elementi sull’affaire del parco commerciale di Misterbianco. “Nell’area individuata nel 2001 dal Giostra e dal Ciancio Sanfilippo per la realizzazione del progetto, parte dei terreni, posta in una zona soprastante, apparteneva a Ciancio, e l’altra parte, posta di fronte e nella zona sottostante, era costituita da numerosi lotti appartenenti a proprietari diversi, con riferimento ai quali Saretto aveva stipulato altrettanti contratti preliminari di compravendita”, specificava Giuliano. “Il Ciancio Sanfilippo aveva invece stipulato con il Giostra un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto il suo lotto di terreno. Il cognato di Santapaola, Ercolano, il quale era in contatto con il Giuffrida e con Saretto, era anch’egli interessato all’operazione. Saretto, che era il perno dell’affare essendosi occupato del reperimento dei terreni e del relativo iter amministrativo, aveva stipulato con l’impresa di calcestruzzi I.R.A. un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto i detti terreni, che l’I.R.A. avrebbe a sua volta ceduto alla Rinascente.A redigere il progetto relativo al terreno del Ciancio Sanfilippo è stato Carmelo Giuliano, mio genero. Nel 2003, nel corso di un incontro a cui partecipai con Giostra, Giuffrida e Saretto presso l’ufficio di quest’ultimo per addivenire ad un accordo e stabilire le percentuali spettanti a ciascuno, Saretto abbandonò la riunione, lamentandosi del comportamento del Giostra, il quale a suo dire era un prendi-tutto...”.
Ciancio in relazioni d’affari con il messinese Giostra
Nell’ordinanza di confisca dei benidell’editore siciliano, i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania delineano così la figura del costruttore Antonello Giostra: “Si tratta di un imprenditore messinese, già condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta. Il Giostra è stato sottoposto a procedimento penale innanzi al Tribunale di Messina per il delitto di riciclaggio, derubricato in ricettazione con sentenza del predetto Tribunale del 9 febbraio 2001, confermata con sentenza della Corte di Appello di Messina del 13 giugno 2005. Tale ultima sentenza e stata annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione il 5 febbraio 2009 (Giostra è stato poi risarcito per ingiusta detenzione Nda) (…) Dall’esame dei provvedimenti suddetti, emerge che il Giostra aveva effettivamente nel 1995 ricevuto da Vincenza Settineri, suocera di Luigi Sparacio, esponente di spicco di Cosa Nostra messinese, poi divenuto collaboratore di giustizia, assegni di provenienza delittuosa, in quanto provento di usura in danno di tali Vittorio Giacopello e Angelo Aricò, soci della Arpel. La Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, in quanto gli elementi indiziari acquisiti in quel procedimento non consentivano di affermare la consapevolezza da parte del Giostra della provenienza delittuosa degli assegni in oggetto”.
Gli inquirenti hanno tuttavia rilevato come le relazioni tra Antonello Giostra e Mario Ciancio venivano avviate quando il costruttore peloritano era ancora oggetto di procedimento penale. “Straordinario riscontro è costituito dalla conversazione telefonica dell’11 gennaio 2002, riportata nella comunicazione della DIA di Messina del 16 marzo 2002, nel corso della quale il Giostra, dialogando con tale architetto Sergio Bertolami, affermava di avere affari in comune a Catania con il Ciancio Sanfilippo”, annotano i magistrati. Sto lavorando per un polo commerciale di 836.000 mq., specificava Giostra all’interlocutore. Con Ciancio, a Catania, sto pure lavorando su unterreno di 300.000 mq, su un complesso di ville di lusso di 115.000 mq e alla Playa con un complesso turistico di 600.000 mq. Abbiamo lavori per oltre 1.000 miliardi. A Messina invece non è possibile lavorare, ci sono imbrogli, ho dovuto pagare soldi ed è già un anno che preferisco spostarmi a Catania. Ciancio mi ha dato un potere, mi ha reso un patrimonio legale, 150 miliardi… Ciancio sta scommettendo su di me....
“La conversazione sopra riportata fornisce un decisivo riscontro alle dichiarazioni di Antonino Giuliano, in quanto consente di affermare che, negli affari intrapresi unitamente al Ciancio Sanfilippo, il Giostra aveva adoperato capitali illeciti, esattamente come riferito dal collaborante, il quale aveva dichiarato che l’imprenditore messinese disponeva delle risorse economiche e finanziarie messegli a disposizione da Angelo Alfano, esponente di Cosa Nostra attivo a Messina, e di Luigi Sparacio, capo della associazione di tipo mafioso radicata in territorio peloritano”, annotano i giudici del Tribunale di Catania. “Il progetto relativo alla realizzazione di un centro commerciale a Catania al quale hanno fatto riferimento il Giuliano e nella conversazione su esaminata il Giostra è quello del c.d. parco commerciale Mito, che avrebbe dovuto sorgere su terreni siti nella contrada Cardinale di Misterbianco (…) Tale progetto si poneva come alternativo rispetto ad altro che riguardava terreni posti di fronte, nella contrada Cubba di Misterbianco. Solo quest’ultimo era stato poi realizzato, mentre il primo era stato abbandonato”.
La storia del polo commerciale di Misterbiancoè riportata in una informativa del R.O.S. dei Carabinieri di Catania del 29 luglio 2013. In tempi diversi erano stati presentati al Comune due progetti distinti: il primo, datato 14 dicembre 2001, era stato promosso dalla Euredil S.r.l; il secondo (28 febbraio 2003), era stato presentato congiuntamente dalla predetta Euredil S.r.l. e dalla Immencity One S.r.l.. Procuratore Euredil era il costruttore messinese Antonello Giostra. Il primo progetto prevedeva in particolare l’insediamento di un grande centro commerciale e una pluralità di unità edilizie autonome destinate a grandi strutture di vendita, attività para-commerciali, ricreative e culturali ed altri servizi complementari quali parcheggi, percorsi pedonali, aree a verde ed attività collettive. “Le aree interessate erano in gran parte riconducibili al Ciancio Sanfilippo, anche tramite società con quote intestate ai familiari dello stesso; la superficie totale dei terreni riconducibili al proposto ed ai suoi familiari corrispondeva a mq. 704.753, a fronte di mq 824.390, individuati per la realizzazione dell’intero progetto”, documentarono gli inquirenti. “Il nuovo progetto presentato nel 2003 da Euredil e lmmencity, sempre denominato Mito, era relativo alle medesime aree, cui si aggiungevano altri fondi, sui quali, come dichiarato nell’istanza, erano stati stipulati i relativi contratti preliminari di vendita. Anche in questo caso la maggior parte delle particelle erano di proprietà del Ciancio Sanfilippo e di soggetti a lui riconducibili. In particolare, la superficie complessiva dei terreni della famiglia del proposto interessati dal progetto era pari a mq 820.374, a fronte della superficie di mq 939.534 delle aree individuate per la realizzazione del polo commerciale. La Euredil e la lmmencity One erano rappresentate, rispettivamente, dal più volte menzionato Antonello Giostra e da Giuseppe Li Calzi. La motivazione della presentazione di un nuovo progetto, sostitutivo del precedente, risiedeva, a dire degli istanti, nel lungo tempo trascorso dalla presentazione della prima domanda, rimasta inevasa dal Comune”.
Nel corso delle indagini, il R.O.S. dei Carabinieri di Catania rilevava come la società lmmencity One fosse stata registrata nel 2002 a seguito del cambio di denominazione della Cordano Bingo S.r.l. (oggetto sociale la gestione di sale da bingo) nella disponibilità dell’imprenditore Francesco Marussig. Contestualmente le quote della Immencity One erano state cedute alla società di diritto lussemburghese Medical Company S.A. ed alla Asset Development, anch’essa facente capo al Marussig, il quale comunque, pur non rivestendo più formalmente la qualità di socio, continuava a far parte del consiglio di amministrazione della lmmencity One.“Costituiva oggetto sociale di detta società, però, solo la realizzazione di un centro commerciale a Villabate; la progettazione e successiva realizzazione del centro di Misterbianco era invece prevista quale oggetto sociale di altra società, la lmmencity Etnea S.r.l., costituta nel 2001 come Cesa S.r.l.”, specificava il R.O.S..L’anno seguente la Cesa era stata ceduta per il 5% del capitale alla AssetDevelopment e pertanto nel consiglio di amministrazione aveva fatto ingresso in rappresentanza di tale società, Francesco Marussig.Tra i soci originari di Cesa figurava sino al maggio 2002 anche Renzo Bissoli “imprenditore veneto vicino al Ciancio Sanfilippo”, già amministratore delegato dei Cantieri Navali Smeb di Messina e poi socio unico e amministratore della StellaPolare S.r.l., la società proponente del centro polifunzionale con alberghi, sale congressi, campi da golf, ecc. previsto a sud della città di Catania, nell’ambito del cosiddetto Pua - Piano urbanistico attuativo.
Paolo Marussig è soggetto già condannato in primo grado dal Tribunale di Palermo alla pena di sette anni di reclusione per il delitto di corruzione aggravata, insieme a tale Giuseppe Daghino”, scrivono i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania. “Il 14 aprile 2010 la Corte d’Appello di Palermo riformava la sentenza emessa in primo grado, escludendo l’aggravante di cui all’art 7 d.l. 152/1991 e dichiarava prescritto il reato contestato al Marussig. Per il reato suddetto, il Marussig era stato posto agli arresti domiciliari dal G.I.P. del Tribunale di Palermo in data 7 marzo 2006 e successivamente liberato l’1 giugno 2006”. La vicenda giudiziaria riguardava la realizzazione di un centro commerciale a Villabate da parte della Asset Development S.r.l. di cui Marussig e Daghino erano soci ed amministratori. “Lo sviluppo del progetto era stato garantito dai rappresentanti locali di Cosa Nostra, in particolare il boss di Villabate Nino Mandalà, soggetto di primissimo piano che aveva anche gestito la latitanza di Bernardo Provenzano, che assicuravano il consenso alla vendita dei proprietari dei terreni su cui sarebbe dovuta sorgere la struttura e le necessarie modifiche del piano regolatore comunale, grazie al legame esistente tra il Mandalà e l’allora sindaco Lorenzo Carandino”, riportano i giudici etnei. “La famiglia avrebbe ottenuto in cambio la scelta del 30% delle ditte che avrebbero dovuto eseguire i lavori, la gestione dei negozi dell’ipermercato e l’imposizione del 20% dei dipendenti da assumere”. Nel corso delle indagini è pure emerso che la AssetDevelopment si era impegnata a versare una tangente pari a 150.000 euro circa, collettore l’ex presidente del consiglio comunale di Villabate, poi consulente del sindaco, Francesco Campanella, il quale, dopo l’arresto, ha iniziato a collaborare rivelando i retroscena dell’affare.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci
Anche nel caso del polo commerciale di Misterbianco, grazie all’approvazione del nuovo piano regolatore era stato possibile modificare la destinazione d’uso di un’ampia zona destinata originariamente all’esercizio delle attività agricole. Proprietaria di alcune delle particelle interessate al progetto è risultata essere la Cardinale S.r.l., società costituita il 17 maggio 2001 da Mario Ciancio Sanfilippo (socio di maggioranza), Rosa Emanuela Ciancio, Emanuele Biondi, Leonardo Biondi e Rita Biondi (gli ultimi tre, cugini del Ciancio Sanfilippo, rappresentati per procura da quest’ultimo), mediante conferimento di fondi di loro proprietà. Il 4 luglio 2001 i fratelli Biondi avevano poi ceduto le proprie quote ai figli dell’editore siciliano (Angela Ciancio, Carla Ciancio, Natalia Ciancio e Domenico Ciancio Sanfilippo). Quanto alla Azienda Agricola Rovitelli di Natalia Ciancio & C., anch’essa titolare di parte dei terreni destinati al parco Mito, la stessa era stata costituita il 7 agosto 1995 come Azienda Agricola Rovitelli di Strano Santina & C.; tra il 27 settembre 1995 e il 13 settembre 1996 le partecipazioni delle due socie (Santina Strano e Bianca Arneodo) erano però state cedute a Rosa Emanuela Ciancio e a Natalia Ciancio, sicché la società aveva cambiato denominazione sociale. “Alcune delle aree interessate al progetto appartenevano direttamente però a Mario Ciancio Sanfilippo, ed erano state vendute al proposto in data 3 agosto 1995 dalle suddette Santina Strano e Bianca Arneodo”, riporta il R.O.S. de Carabinieri.
“Diverse conversazioni intercettate dimostrano i rapporti di affari tra il Ciancio Sanfilippo ed Antonello Giostra e tra il proposto e Paolo Marussig”, annotano i magistrati etnei. “Tra queste, particolare rilievo riveste la conversazione telefonica intercorsa tra il Giostra e Ciancio in data 25 novembre 2001, dalla quale emerge come sulla realizzazione del progetto vi fossero pressioni di altra natura; significativa la circostanza che nello stabilire un incontro il Ciancio avesse chiesto al Giostra se avesse parlato con i capi dei capi, così lasciando intendere l’interessamento di soggetti sovraordinati al Giostra, il cui nome era talmente riservato da non potere essere menzionato telefonicamente, i quali dovevano dare il loro assenso all’affare. Non c’è che fare, quando uno è a cavallo deve cavalcare…, spiegò Ciancio al costruttore messinese. Senta, sono stato con il geometra Fiume che se ne è andato in questo momento, c’è mio cugino, abbiamo chiuso, lui le dirà come, perché avevamo avuto pressioni di altra natura etc. etc.. Abbiamo scavalcato la cosa, tutto tranquillo, tutto perfetto, io volevo solo dirle che giovedì sono a Roma, quindi o mercoledì o venerdì, a sua scelta… Controlli lei come è combinato, ho saputo che lei ha chiacchierato con il capo dei capi… E quindi non ci sono problemi…
In verità le pressioni si tramuteranno poi in contrapposizione tra il progetto di parco commerciale di Antonello Giostra e Ciancio Sanfilippo da un lato, e quello dell’IRA Costruzioni dall’altro. “Da diversi elementi acquisiti nel corso del procedimento penale contro Raffaele Lombardo (definito in primo grado con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Catania del 18 febbraio 2014, riformata dalla Corte di Appello il 31 marzo 2017 e poi annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione), si evince come sui due progetti si fossero incentrati gli interessi della criminalità organizzata catanese e come, in particolare, alla fine, anche per l’interessamento di appartenenti al mondo politico, l’iniziativa Giostra-Ciancio Sanfilippo, supportata da ambienti criminali messinesi e palermitani, aveva ceduto il passo a quella portata avanti da Rosario Ragusa, la quale, dopo un iniziale conflitto tra le due componenti della famigliacatanese di Cosa Nostra, quella Santapaola (rappresentata da Alfio Mirabile) e quella Ercolano (rappresentata da Mario Ercolano), era passata sotto il controllo della seconda”.
Rosario Ragusa, il Sarino che il collaboratore Giuliano aveva descritto come l’intermediario tra Antonello Giostra e Mario Ciancio Sanfilippo, aveva formato una societàdenominata Tenutella S.r.l., formalmente intestata ad Antonino Santagati. “Ho avuto l’idea di creare un polo commerciale e ho iniziato aricercare appezzamenti di terreno a Misterbianco, dato che nel nuovo Prgapprovato era stata individuata una zona di circa 300 ettari,da destinare ad insediamenti commerciali”, ha ammesso Rosario Ragusa. “Perla realizzazione del progetto ho poi contattatol’amministratore unico della società I.R.A. Costruzioni, Alberto Galeazzi. A sua volta, l’I.R.A. Costruzioni aveva presentato un progetto autonomo, sicché si era creato un contrasto risoltosi con l’abbandono daparte di questa societàdell’iniziativa, a seguito dell’intervento di FrancescoMarsiglione, appartenente alla famiglia Santapaola-Ercolano,che aveva richiesto al Galeazzi di non infastidire la società Tenutella”. Ragusa ha aggiunto diaver conosciuto personalmente sia Paolo Marussig che Ciancio Sanfilippo e di avere incontrato quest’ultimo per discuteredell’affaire Tenutella, “in quanto lo stesso Ciancio era interessato a costruire un centro commerciale su terreni posti difronte a quelli di cui al progetto della Tenutella, in un’area estesa circa200.000 mq di sua proprietà”. “Tale situazione – aggiungeva Ragusa - aveva determinato uncontrasto, per risolvere il quale si era svolto un incontro, cui aveva presoparte anche l’imprenditore Marussig, e si era tentato un componimentodegli opposti interessi, proponendo che uno dei due centri fosse senza food,ma con multisale cinematografiche e l’altro fosse invece un centrocommerciale con ipermercato”.
Per appianare i contrasti, l’ex presidente del consiglio comunale di Villabate Francesco Campanella, avrebbe presentato Paolo Marussig all’allora presidente della Provincia di Catania Raffaele Lombardo.“Ricordo che Marussig mi disse che avevano un’analoga operazione commerciale, sempre con Auchan e Warner Bros, anche su Catania”, ha riferito Campanella nel corso di un interrogatorio con gli inquirenti. “Marussig mi disse che avevano problemi con le opzioni dei terreni e con un altro imprenditore che nelle vicinanze stava portando aventi un analogo progetto per la costruzione di un centro commerciale. Loro, in sostanza, mi chiesero un aggancio con Raffaele Lombardo per risolvere tali problemi, anche perché — a quanto mi dissero – l’altro concorrente era sponsorizzato proprio da Raffaele Lombardo. Così io li misi in contatto con Lombardo, con cui avevo ottimi rapporti politici; portai Marussig ed Armenio al Comune di Catania da Lombardo, che formalmente si mise a disposizione politicamente”.
Dei contrasti insorti per il polo commerciale di Misterbianco, si lamentò pure il costruttore Antonello Giostra in una telefonata intercettata il 6 dicembre 2007 dal GICO della Guardia di finanza sull’utenza dello studio immobiliare Sigma. “Nella conversazione avvenuta tra il Giostra e l’ingegnere messinese Antonino Bellinghieri – annota il GICO - i due discutevano della conferenza di servizi sul progetto in contrada Tenutella ed il Giostra affermava che il progetto suo e di Ciancio era stato pretermesso in favore di quello poi effettivamente realizzato in quanto quest’ultimo interessava alla organizzazione di Cosa Nostra etnea”. L’interlocutore di Giostra, l’ingegnere Antonino Bellinghieri, negli stessi mesi aveva firmato con altri professionisti messinesi il progetto per un grande centro commerciale in un’area di 59.000 mq. in contrada Due Torri nel Comune di Rometta (Messina), progetto promosso dalla società Sviluppo Commerciale Rometta S.r.l., amministratore unico il noto imprenditore peloritano Giuseppe Denaro.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 18 marzo 2019, http://www.stampalibera.it/2019/03/18/linchiesta-mario-ciancio-e-gli-affari-con-il-messinese-giostra-i-rapporti-con-la-mafia-e-gli-investimenti-per-realizzare-centri-commerciali-di-mezza-sicilia/

Biagio Grasso e le relazioni pericolose della borghesia messinese

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Imprenditori che non perdono occasione per fare le scarpe ai propri soci stringendo alleanze più o meno indigeste con le nuove leve della criminalità mafiosa. Famiglie della buona borghesia locale che transitano da affare in affare e fallimento in fallimento senza però perdere il sostegno delle holding  bancarie. Spericolate e spregiudicate operazioni finanziarie per realizzare centri commerciali e complessi immobiliari dal devastante impatto socio-ambientale. Ambigue figure di commercialisti e avvocati che pianificano tortuose triangolazioni di denaro per occultare il marcio di una Messina tutta da bere e da dimenticare. All’ultima udienza del processo Beta sull’infiltrazione della “famiglia” Romeo-Santapaola nell’economia legale e illegale peloritana (12 marzo 2019), il costruttore Biagio Grasso, neocollaboratore di giustizia, è tornato a parlare di alcune delle trame criminali che lo hanno visto attore e pure vittima. Tema chiave del lungo esame del teste, il ruolo del professionista Ivan Soraci, uomo di mezzo tra una certa Messina multi-imprenditrice e il clan guidato dal boss Vincenzo “Enzo” Romeo, già condannato in primo grado con rito abbreviato a 15 anni e 2 mesi di reclusione e da qualche giorno ristretto al 41bis. Ivan Soraci, noto nell’ambiente Grasso-Romeo come Signor Iper il suo tono nobiliare” è stato incriminato nella seconda tranche del procedimento Betadi associazione a delinquere di stampo mafioso, reinvestimento di capitali di provenienza illecita ed estorsione.
Da barista e pasticcere a imprenditore-costruttore
“Ivan Soraci è stato il mio primo collegamento con Vincenzo Romeo”, ha esordito Biagio Grasso. “A Soraci lo conosco dal 2008, 2007 forse pure. Lui era dipendente di un mio ex socio all’interno della società P & F, il dottore Giuseppe Denaro; era nata anche una simpatia al principio e ci frequentavamo. All’epoca Denaro gestiva il bar Irrera a Messina e in questa attività Soraci aveva la funzione di direttore commerciale; successivamente credo che ha rivestito anche ruoli di amministratore di società. Ivan Soraci mi presentò Vincenzo Romeo dicendomi che era il nipote diretto di Nitto Santapaola e che poteva essere interessato a fare delle operazioni immobiliari su Messina o ad altre che stavo trattando in quel momento. Soraci mi presentò contestualmente anche Maurizio Romeo, fratello minore di Vincenzo, come soggetto operativo nel campo immobiliare, in quanto in quel momento era collaboratore di un’agenzia sul territorio messinese, credo nella titolarità dell’imprenditore Mancuso, il brand era Gabetti o un altro marchio nazionale importante. Me lo presenta come persona super corretta, facente parte di una famiglia importante, la famiglia di riferimento dei Santapaola, ragazzi seri con cui si poteva anche fare degli affari insieme”.
Secondo il collaboratore di giustizia, Ivan Soraci e i fratelli Romeo gli chiesero in particolare di agire congiuntamente per acquisire due società, la Se.Gi. S.r.l. e la Edil Raciti S.r.l. che aveva in costruzione dodici appartamenti in località Santa Margherita. “Questo è stato il mio primo approccio con loro e risale agli inizi dell’anno 2010”, ha spiegato Grasso. “In queste prime due operazioni si era raggiunto un accordo che i proventi dovevano essere divisi in quattro quote: il 25% io, il 25% Vincenzo Romeo, il 25% Maurizio Romeo e il 25% Ivan Soraci. La Se.Gi. è stata acquisita attraverso una società di comodo di nome Solea S.r.l. intestata fittiziamente al dottore Fabio Lo Turco presentatomi da Ivan Soraci e dai fratelli Romeo come persona di fiducia che poteva coprire per conto nostro tutto l’assetto societario. Il problema di trovare una terza persona era dovuto al fatto che i Romeo non volevano essere ricondotti in prima persona a questa operazione. La stessa cosa Ivan Soraci perché nelle more era ancora amministratore e credo già di un’altra società sempre facente capo a Giuseppe Denaro. E per quanto riguarda me invece, volevo restare coperto in quanto avevo delle problematiche con le banche con la mia società LG Costruzioni S.p.A.. Quindi sia la Edil Raciti che la Se.Gi S.r.l. furono acquisite attraverso la Solea S.r.l. per questi motivi. I soldi li abbiamo messi io e Vincenzo Romeo coprendo le quote anche di Soraci e Maurizio Romeo”.
“Ivan Soraci mi aveva messo in contatto con il gruppo Santapaola-Romeo per fare questi investimenti e quindi voleva riconosciuto, come poi è stato, il 25% degli introiti”, ha aggiunto Biagio Grasso. “Successivamente al blocco della concessione edilizia per la costruzione al Torrente Trapani, il Soraci è stato il promotore per la separazione della società e quindi mi ha quasi obbligato a prendere tutte le quote della Solea S.r.l. riconoscendo un importo di 600 mila euro da dovere erogare a lui e agli altri due soci, cioè a Vincenzo Romeo e Maurizio Romeo. Importi che ho cominciato a estinguere con denaro che proveniva dalla società Else S.p.A. di Milano che nelle more avevo acquisito insieme al costruttore Carlo Borella. Successivamente sono stato invece costretto a vendere il 33% delle quote che detenevo attraverso la Carmel S.r.l., fittiziamente intestata a mio padre che non era a conoscenza di tutte queste vicende. Ho venduto una quota pari a 220 mila euro, quindi quasi ad un terzo del valore del mercato, allo stesso Giuseppe Denaro che a sua volta è stato costretto ad acquistare sotto pressioni e minacce fatte da Ivan Soraci in prima persona e poi da Maurizio Romeo. Soraci è stato il promotore del dissidio che nasce al principio con me e i fratelli Romeo e poi si appiana solamente con una parte dei fratelli Romeo e quindi con Vincenzo Romeo. E nasce soprattutto dal fatto che il Soraci imputava a me la superficialità nel non aver valutato bene che la concessione edilizia che era stata rilasciata per la costruzione dei 300 appartamenti al Torrente Trapani era in fase di revoca. Era palese che la prese come escamotage per pretendere e ricevere la sua parte di 200 mila euro nella maniera più rapida possibile”.
Stando sempre a quanto raccontato da Grasso, inizialmente Soraci aveva preteso un risarcimento molto più esoso, ma il debito era stato poi ridimensionato dai Romeo. “Vincenzo Romeo, per chiudere in maniera bonaria la vicenda insieme a me, si era dato un valore complessivo di probabili utili all’operazione, e quindi di perdite che io dovevo assumere l’onere in quanto promotore ed esperto del campo, per un valore complessivo di 800 mila euro. Considerato che un quarto di questa somma era mia, il valore da restituire alle tre parti corrispondeva a 600 mila euro, 200 mila per quota, a fronte di un investimento iniziale intorno a 100 mila euro che abbiamo solamente messo io e Vincenzo Romeo. Ivan Soraci mi ha messo contro i fratelli Romeo in maniera anche abbastanza pesante già in quella fase. La richiesta è stata fatta all’incirca dopo qualche mese che avevamo avuto la notifica della sospensione della concessione edilizia, intorno all’estate del 2010. Successivamente ho cominciato a trovare la forma per liquidarli e consegnai come prima trance 150 mila euro nell’estate nel 2011 in assegni circolari trasferibili di importo di 5 mila euro, non ricordo se intestati tutti a Fabio Lo Turco e poi girati a terze persone. Gli assegni erano della Banca di Credito Artigiano di Landriano e furono tutti quanti regolarmente incassati la maggior parte da soggetti vicini ai fratelli Romeo e per una parte direttamente da Ivan Soraci e Fabio Lo Turco che si è prodigato a cambiare le somme e a consegnare i contanti a Soraci e ai due fratelli Romeo. Specifico che per quanto riguarda questi titoli ci sono gli atti depositati nel processo che pende a Milano per il fallimento di Else S.p.A.. La consegna degli assegni fu preceduta da incontri che ho avuto con Ivan Soraci e Maurizio Romeo. Sono venuti due volte a Milano, hanno dormito presso uno degli alberghi convenzionati con la nostra società dove dormivano i dirigenti che venivano dalla Sicilia. In una delle ultime volte sono stato anche minacciato in maniera violenta da Maurizio Romeo ma soprattutto anche da Ivan Soraci. Ricordo pure il posto: eravamo in via Fabio Filzi, in zona stazione centrale. Per minacciarmi mi dissero che io sapevo con chi mi ero messo e che quindi dovevo mantenere l’impegno o altrimenti potevo avere delle conseguenze abbastanza gravi. Ricordo in particolare che addirittura i due incontrarono Giuseppe Barbera, che era un consulente della Else S.p.A. nominato da me e Carlo Borella. E il Barbera mi chiamò abbastanza allarmato dicendo: Guarda, ci sono questi due che hanno un’aria che non mi piace, ti vogliono venire a trovare presso l’ufficio. Cosa realmente poi accaduta: sono venuti presso l’ufficio di via Campanini, sono rimasti lì circa un’oretta e poi siamo usciti fuori a discutere perché la conversazione si era abbastanza animata”.
Messo alle strette, il giorno dopo Biagio Grasso si recò presso la banca di Landriano a ritirare due carnet di assegni. “Consegnai i titoli in un ristorante sempre adiacente alla zona di via Campanini in acconto alla maggiore somma di 600 mila euro”, ha specificato. “La società intestataria del conto era la ITC S.r.l., che era la controllante della Else S.p.A. ed era intestata a Ciro Maraniello e Roberto Forliano, due soggetti con cui avevamo fatto un accordo per mettere a disposizione la società per l’acquisizione della Else S.p.a. in liquidazione. Gli assegni sono stati firmati dall’amministratore della ITC Forliano, e consegnati trasferibili a Maurizio Romeo e Ivan Soraci. Se non ricordo male essi erano intestati a Fabio Lo Turco per evitare che venissero incassati da persone che non conoscevo, però potrebbe pure essere che siano stati lasciati in bianco su richiesta loro. In tutto erano trenta assegni da 5 mila euro e sono stati tutti incassati. Alcune somme pervennero a Giovanni Marano che era un personaggio in società con Vincenzo Romeo nel settore giochi. Altri vennero incassati da un altro personaggio sempre vicino a Vincenzo Romeo che ha un’azienda che ripara e produce biliardi, Tommaso Spampinato, che ci ha messo in contatto con alcuni clan della zona della Calabria. Tra le persone che li hanno incassati c’erano un tale Giovanni Parlagreco, soggetto sempre nel campo settore giochi e Tommaso Arria pure settore giochi vicino a Vincenzo Romeo. Gli assegni erano in verità per un importo di 4.980 euro; li ho fatti per qualche decina di euro in meno, perché superato i 5 mila diventavano non trasferibili e quindi non potevano essere incassati da terze persone. Per giustificare contabilmente questa movimentazione economica dentro l’ITC non ricordo se ho creato qualche partita chiaramente fittizia nei confronti di Fabio Lo Turco…”.
Il controverso affaire del Parrinodell’Irrera
Ovviamente per Ivan Soraci e i fratelli Romeo la partita con Biagio Grasso non si era chiusa, così subito dopo tornarono a incalzare il costruttore perché estinguesse il debito nei loro confronti. “In quel periodo il Soraci diceva che aveva delle problematiche finanziarie dovute a dei debiti che aveva fatto il fratello e che doveva dargli una mano e che quindi non poteva aspettare più questi soldi, gli servivano”, ha aggiunto il collaboratore. “Soraci era uno dei bracci destri di Giuseppe Denaro, gli gestiva anche i rapporti con i fornitori ed era anche amministratore di una delle società, forse la Irrera 1910. Pertanto era a conoscenza anche delle attività che aveva il Denaro e quindi lo era pure del fatto che io ero comproprietario insieme a Denaro e all’ingegnere Giuseppe Puglisi della P & F S.r.l. che aveva un terreno edificabile commerciale a Villafranca Tirrena acquistato da una società che aveva in gestione la liquidazione del territorio dove sorgeva l’ex Pirelli”.
“Considerato che una parte di questo terreno era già stato venduto per circa un milione e centomila euro alla ditta Eurospin per la costruzione di un supermercato, Soraci era anche a conoscenza del valore che poteva avere quest’area. Ragion per cui, mi convocarono e da qui in poi iniziò una pressione esasperata al fine di farmi decidere di vendere questa quota. Cosa che io, pensando che non trovassero nelle more un acquirente, acconsentii. Mentre in realtà loro già avevano in mente di proporre l’operazione a Giuseppe Denaro, il quale non era in quel momento nelle condizioni finanziarie di acquistarle. Era un mio socio e ci raffrontavamo spesso, quindi sapevo che aveva anche delle difficoltà per altre situazioni. In quel periodo Giuseppe Denaro aveva avuto un problema fallimentare in società che comunque gestiva insieme ai fratelli. Un fallimento dovuto a degli investimenti che il fratello maggiore aveva fatto in Sardegna per un cantiere nautico, se non ricordo male era il Terranova come brand, dopo di che avevano altre difficoltà economiche, almeno questo è quello che diceva lui, il Denaro”.
E’ stato possibile riscontrare che in quegli anni Filippo Denaro, fratello di Giuseppe, ricopriva il ruolo di amministratore e socio della Terranova Yacht S.r.l. diPorto di Lavagna, Genova, società produttrice di imbarcazioni di lusso con cantieri in Liguria e a Crotone. Nel febbraio 2006 la Terranova Yacht aveva inoltre concluso nella città sarda di Porto Torres l’acquisizione dell’area in cui erano stati ospitati i Cantieri del Tirreno. Successivamente Filippo Denaro aveva abbandonato il settore della cantieristica concentrando i suoi interessi in altri settori produttivi. Nominato vicepresidente di Confcommercio Messina nel luglio 2013, il mese dopo ricevette dal Gip del Tribunale di Messina l’ordine di sequestro dei beni a seguito di un’inchiesta sul procedimento fallimentare della Grasso Filippo & figlio S.r.l., società operante nella vendita al dettaglio di articoli di profumi con esercizi commerciali a Messina, Catania e Milazzo, di cui era stato amministratore delegato dal maggio 1999 al marzo 2003 il fratello Giuseppe Denaro. Il sequestro fu poi annullato l’anno successivo dal Tribunale del Riesame. Filippo Denaro ha ricoperto sino a poco tempo fa la carica di procuratore della Irrera 1910 S.r.l. la società titolare dell’omonimo prestigioso ritrovo bar-pasticceria di Messina di cui è stato “direttore commerciale” Ivan Soraci (Irrera 1910 è controllata quasi per intero dalla GDH S.r.l. dell’immancabile fratello Giuseppe; nel settembre 2015 la società ha ottenuto dal Cda del Teatro Vittorio Emanuele di Messina l’affidamento in concessione – con trattativa privata - del servizio ristoro nei locali del teatro per cinque anni, poi revocata). A Filippo Denaro è infine riconducibile l’Antica Pasticceria Irrera S.r.l., società gemella di Irrera 1910, oggetto sociale la produzione ed esportazione di pasticceria fresca e gelateria, il servizio catering, ecc., rilevata dall’imprenditore nel 2009 e attualmente controllata per il 98% dalla figlia Daria Denaro e per il 2% da Antonina Salvatrice Santisi, coniuge di Giuseppe Denaro ed ex assessora ai servizi sociali del Comune di Messina. Coincidenza vuole che amministratore dell’Antica Pasticceria Irrera dal febbraio 2008 al settembre 2011 è stato proprio Ivan Soraci, erroneamente indicato da Biagio Grasso come ex amministratore di Irrera 1910.
Nonostante le non soddisfacenti condizioni finanziarie, alla fine Giuseppe Denaro “fu obbligato” ad attivare un mutuo presso la Banca di Crotone poi trasformata in Banca dell’Emilia Romagna. “La sede di questa banca è in via Tommaso Cannizzaro angolo via La Farina, accanto l’entrata dell’hotel Royal”, ricorda Biagio Grasso. “Denaro attivò lì un prestito di 220 - 250 mila euro e obbligarono a me a vendere ed a lui ad acquistare. Di queste somme si è creato fittiziamente anche lì un debito che non ricordo se poi è stato registrato in contabilità o meno nei confronti di Fabio Lo Turco. Le somme transitarono direttamente a Lo Turco e poi furono girate a Maurizio Romeo, Vincenzo Romeo e Ivan Soraci, con una parte che è stata riconosciuta a Fabio Lo Turco di dieci o ventimila euro, me lo disse Vincenzo Romeo, per avere fatto questo servizio. In particolare ricordo che in una delle volte che sono sceso giù a Messina, convocai una riunione; all’epoca ero in buoni rapporti con l’avvocato Andrea Lo Castro in quanto era uno dei miei legali, e gli chiesi di prestarmi la sua sala riunioni perché non volevo fare l’appuntamento nei miei uffici perché temevo per la mia incolumità. Siamo nel periodo antecedente ai rapporti stretti che poi ho avuto con Vincenzo Romeo, non eravamo ancora soci io e lui, e quindi avevo anche un po’ di timore di quest’ultimo. A questa riunione abbiamo partecipato io, Vincenzo Romeo, Ivan Soraci e Romeo Maurizio, mentre Andrea Lo Castro non ha partecipato a questa vicenda. In quell’occasione il Soraci in primis mi ha detto: A me non importa, l’impegno lo devi mantenere. Ti vendi o la casa di Portorosa o una delle tue barche, oppure ti vendi la quota della P & F. Diciamo che anche lì i due fratelli Romeo appoggiavano questa idea per cui ho capito che non avevo ulteriore scelta, e quindi ho detto: Va bene, se Denaro è nelle condizioni di acquistare, io pur di chiudere questa partita, fate in modo di farlo acquistare e vi prendete i soldi. Così sono stato costretto a vendere la mia quota della P & F per 220 mila euro. Giuseppe Denaro attivò il mutuo creando anche degli attriti fra me e l’ingegnere Giuseppe Puglisi con cui ero in ottimi rapporti, che era completamente all’oscuro di tutto e che mi disse: Come mai stai vendendo la quota a Giuseppe Denaro? Ho detto: Guarda, io purtroppo sono nelle condizioni che poi ti dirò e quindi devo venderla”.
“Il Soraci, vantandosi dell’amicizia con i Santapaola, mi ha detto: Siamo andati lì. Il soprannome di Denaro era il Parrino, il prete in italiano. Dice: Abbiamo preso il Parrino e l’abbiamo obbligato in maniera perentoria stavolta a comprare. Perché ci sono stati diversi approcci che hanno avuto con loro, anche perché Ivan Soraci nelle more, a dir sua, avanzava circa 80 mila euro di una liquidazione dovuta ad un’ulteriore assunzione che aveva avuto in un’altra società di Denaro, credo in riferimento ad un supermercato nella zona Maregrosso… Questo credito di 80 mila euro, a dir loro, si trattativa di un trattamento di fine rapporto, il TFR”. La veridicità del racconto del collaboratore di giustizia è comprovata in questo caso dal fatto che Giuseppe Denaro è stato socio unico e presidente del consiglio d’amministrazione della Miper S.r.l., società a capo di una rete di supermercati tra Messina e Roccalumera con sede legale in via Maregrosso (la società è stata cancellata nel giugno 2008 per incorporazione in SMA S.p.A.).
I giochi di prestigio del commercialista P.
Secondo Biagio Grasso, Giuseppe Denaro fu dunque pesantemente minacciato dal gruppo Soraci-Romeo. “Io non ho mai assistito a queste vicende, però me lo disse sia Denaro diverse volte e me lo confermarono sia Maurizio Romeo che Vincenzo Romeo, nonché Ivan Soraci anche in maniera abbastanza soddisfatta”, ha spiegato. “Realmente pensavo che Denaro non si facesse intimorire più di tanto. Avevo avuto questa impressione prima, ecco perché ero tranquillo e acconsentii immediatamente a dire: Okay, se Denaro è d’accordo, vabbè, cosa devo fare? Lo vendo… Però invece a riscontro di quello che mi diceva Soraci, i fratelli Romeo che l’avevano minacciato in maniera violenta, questo si concretizzò nel fatto che Denaro, pur di acquistare, si accollò un ulteriore debito addosso. Giuseppe Denaro questa sua quota non se la voleva comprare, non era nelle condizioni di comprarla. Aveva problemi anche ad accendere il mutuo. L’ingegnere Puglisi mi chiamò per questa vicenda perché il Denaro gli disse che aveva bisogno dell’ipoteca sul terreno o delle quote della società o di una fideiussione, non ricordo la forma tecnica finanziaria che era stata richiesta dall’istituto, per accendere e quindi avere il mutuo. Così Denaro è poi riuscito ad avere i 200 e passa mila euro per l’acquisizione della quota. L’ingegnere Giuseppe Puglisi era l’amministratore della società, anche se non era a conoscenza, almeno da parte mia, dei miei collegamenti con la criminalità. Non lo ricordo se gli specificai realmente chi erano i fratelli Romeo”.
Materialmente la cessione della parte del terreno di Villafranca Tirrena in mano a Biagio Grasso avvenne a fine 2011. “Per questa operazione la quota è stata ceduta alla GDH S.r.l., una società sempre che fa capo a Giuseppe Denaro”, ha aggiunto il collaboratore. “La quota che è stata venduta era detenuta dalla Carmel S.r.l. intestata fittiziamente a mio padre e mia madre. La società invece proprietaria era la P & F S.r.l., che era partecipata dai fratelli Denaro in diverse quote per il loro 33%, il 33% dalla Carmel e il 33% dall’ingegnere Puglisi come persona fisica o con un’altra società sempre facente capo a lui. Si è trattata di un’operazione che mi ha penalizzato per due ordini di motivi. Se valutiamo solamente il terreno dove c’era un progetto già depositato presso il Comune di Villafranca per la realizzazione di un grosso centro commerciale che corrispondeva al doppio della metratura della parte che avevamo venduto ad Eurospin, il valore di mercato si doveva aggirare intorno a 600 mila euro. Mentre io sono stato costretto a venderlo per 220. Dal canto suo Giuseppe Denaro fece un affare: anche se costretto, lo acquistò ad un prezzo totalmente stracciato rispetto al valore di mercato. E’ chiaro che dapprima il Soraci glielo propose anche come necessità di recuperare i soldi nei miei riguardi, ma allo stesso tempo come affare dovuto al fatto che obbligavano me a vendere ad un prezzo molto inferiore”.
“Giuseppe Puglisi acconsentì a questa operazione principalmente perché glielo chiesi io: realmente eravamo arrivati ad un punto non più sostenibile con Ivan Soraci soprattutto e poi i fratelli Romeo a ruota. Dissi a Puglisi che dovevo del denaro a questi soggetti e quindi di aiutarmi a fargli acquistare la porzione di terreno a Denaro. Gli ho detto: Ho dei problemi, devo chiudere la vicenda, ragion per cui vedi se puoi dare anche questo assenso per agevolare Denaro all’acquisizione”. Però, come ho detto prima, non ricordo assolutamente se gli ho detto a chi facevano capo i due fratelli Romeo. Per quanto riguarda invece Giuseppe Denaro, in quel momento è stato pienamente cosciente perché le pressioni e le minacce che ha avute, le ha avute da Ivan Soraci utilizzando anche il nome del clan Santapaola attraverso il nipote Maurizio Romeo. Ivan Soraci si approfittò della pressione e quindi della minaccia dovuta all’appartenenza dei germani Romeo alla famiglia dei Santapaola per l’acquisizione della mia quota, mettendo anche sul banco il fatto che doveva avere 80 mila euro da Denaro”.
Ottenuto il finanziamento dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Giuseppe Denaro acquisì la quota Grasso dell’immobile di Villafranca Tirrena. “I soldi furono inviati a Fabio Lo Turco attraverso la cessione di credito che la Carmel S.r.l. aveva comunicato a GDH in virtù di un debito che praticamente era inesistente”, ha spiegato Grasso. “Fabio Lo Turco poi, non so in che maniera, attraverso carte prepagate, conti correnti, ecc. fece in modo da ripartire in parti uguali, tranne una quota che rimase a lui, che mi disse Vincenzo Romeo successivamente, era di dieci o ventimila euro per questo servizio, e li fece arrivare ai tre, ai germani Romeo e a Ivan Soraci. So che il mutuo fu pagato per pochissime rate e poi, a conferma del fatto che Denaro aveva grosse difficoltà di liquidità in quel momento, andò in incaglio e quindi fino alla data del mio arresto, 6 luglio 2017, qualche mese prima, non era stato estinto. La banca aveva minacciato di procedere, però non so se poi è andata avanti o meno la pratica. Alla fine la società di Denaro e Puglisi ebbe anche un danno da questa vicenda, perché in virtù del fatto che la società proprietaria aveva avallato la società acquirente, chiaramente non pagando ed essendo firmataria della garanzia, andò in centrale rischi, in allarme”.
“Fabio Lo Turco come persona di fiducia di Ivan Soraci e dei fratelli Romeo è stato messo in campo per poter gestire il denaro che doveva arrivare da Giuseppe Denaro”, ha aggiunto il costruttore. “Anche perché io avevo detto loro che movimenti in contanti non gliene facevo, e quindi hanno detto: Okay, allora trova la forma di fare arrivare i soldi a Fabio Lo Turco e poi noi con Lo Turco sappiamo come fare arrivare i soldi nelle nostre casse. A quel punto io insieme al commercialista Benedetto Panarello che in quel momento era il consulente della Carmel S.r.l., abbiamo creato un debito fittizio nei confronti di Fabio Lo Turco, però non so se è rimasta traccia agli atti della società o meno, anche se ritengo che negli atti della GDH deve esserci assolutamente, appunto perché doveva giustificare il passaggio dei soldi, dove il dottore Denaro inviava le somme per l’acquisto della quota a Fabio Lo Turco in virtù della cessione del credito che la mia società Carmel S.r.l. aveva fatto nei confronti di quest’ultimo”.
Il commercialista Benedetto Panarello era stato presentato a Grasso nel 2011 dal costruttore Carlo Borella, in occasione dell’acquisizione della Else S.p.A. di Milano. “Da quel momento lui ha gestito buona parte delle società che io avevo su Messina e anche fuori”, ha dichiarato Grasso. “Ci contattavamo anche via email; lui utilizzava la Co. Professional che era la società intestata alla moglie ma realmente gestita da lui. Il consulente è stato interpellato al fine di creare un documento credibile che potesse in qualche maniera non essere soggetto a problemi di ispezioni e non essere in nessun modo revocato. Quest’operazione borderline è stata congeniata in modo da giustificare la cessione di credito a Fabio Lo Turco, ma allo stesso tempo non si voleva rimanere in qualche misura in debito nei confronti di Lo Turco. Carmel S.r.l. doveva creare nei confronti di Biagio Grasso un pagamento che andasse a Fabio Lo Turco. Come? Solea S.r.l. era proprietaria al 100% di Fabio Lo Turco. Questi vende le quote della Solea a Biagio Grasso per 220 mila euro. Qui faccio un piccolo inciso in riferimento alla sopravalutazione quote, perché il capitale sociale uninominale della Solea era 15 mila euro. Se Fabio Lo Turco avesse ricevuto 220 mila euro faceva una plusvalenza di 205 mila euro. Quindi, per chiarire questo punto, Benedetto Panarello cosa dice? Approfittiamo della sopravalutazione quote, che generalmente si apre e si chiude entro giugno di ogni anno, paghiamo la tassa fissa, non mi ricordo se il 3 o il 10%, e quindi anche dal punto di vista di tassazione Lo Turco è a posto. Allora Grasso acquista le quote da Fabio Lo Turco, ma non ha i soldi per pagare. Cosa fa? Interviene Carmel, per conto di Biagio Grasso paga le quote a Fabio Lo Turco che incassa 220 mila euro. Panarello alla fine dice: L’unica cosa da sistemare è il rapporto tra Biagio Grasso e la Carmel S.r.l., quindi è una cosa che rimane in famiglia e si deve chiarire in famiglia…”.
Quel veliero-fantasma carico di coca che doveva approdare a Portorosa
Nel corso della sua deposizione del 12 marzo, Biagio Grasso ha sostenuto che Ivan Soraci gli aveva pure richiesto una collaborazione per portare a termine un traffico di stupefacenti sulla rotta sud America-Sicilia. “Precedentemente alla vicenda Carmel, Ivan Soraci mi aveva contattato per un altro affare abbastanza illecito presentandomi un soggetto di nome Gianfranco con il soprannome Canaccio o Canazzo, una cosa di questo tipo”, ha dichiarato. “Mi presentarono poi una persona che aveva a dir loro in transito un veliero proveniente dal sud America con diversi centinaia di chili sostanze stupefacenti. Avevano bisogno un porto di appoggio per il veliero e siccome Ivan Soraci era a conoscenza dei miei stretti rapporti con Carmelo D’Amico, capo boss del clan di Barcellona, e con Tindaro Calabrese, capo boss del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, mi disse se mi potevo mettere a disposizione e parlare con loro per fare entrare questo veliero a Portorosa e dargli un posto sicuro dove potere scaricare gli stupefacenti. Loro sapevano che se ci fosse stato l’appoggio di questi due clan in quel territorio dove in quel momento la facevano da padrone, Portorosa poteva essere una location ideale per organizzare con calma l’arrivo della barca e quindi la successiva vendita della sostanza stupefacente. Per questo mi avrebbero riconosciuto una percentuale importante sulla vendita. A me e quindi al clan di Barcellona avrebbero riconosciuto un tot al chilo, un X abbastanza importante. L’episodio accadde poco prima della costituzione della Solea e quindi credo a fine 2008, inizi 2009. All’incontro gli ho detto: Guarda, prima di parlare con D’Amico voglio sapere se questa cosa è vera o meno. Allora mi fecero incontrare in zona Venetico Marina, nel litorale tirrenico, questo signore di accento prettamente romano. Andammo a casa sua perché aveva dei problemi di salute abbastanza seri e questo signore confermò quanto detto da quel tale Gianfranco e da Ivan Soraci, e mi disse che la barca era già in transito e vicina alle coste dell’Europa e quindi aveva necessità di avere il porto di attracco nel più breve tempo possibile. Al che contattai Carmelo D’Amico il quale però mi diede picche e mi disse che era troppo rischioso e che non poteva mettere a disposizione i suoi uomini e tanto meno la sua organizzazione per questa operazione. Fui costretto a dir loro che non se ne faceva niente e proseguirono per affari loro”.
“Carmelo D’Amico fu interpellato perché Ivan Soraci sapeva del rapporto di collaborazione che avevamo in quanto il D’Amico in quel periodo era anche proprietario insieme ad un’altra persona di una società di calcestruzzo e quindi mio fornitore in lavori abbastanza importanti, e quindi avevamo un rapporto quotidiano. Con Carmelo D’Amico avevo un tipo di rapporto sia personale sia d’affari, in quanto lui era consocio di una società denominata Map S.r.l. che mi ha fornito milioni di euro di calcestruzzo in lavori che avevo io in quel periodo nella zona tirrenica. Ho costruito ad esempio il centro commerciale di Milazzo e D’Amico ha partecipato alla costruzione del complesso con forniture di calcestruzzo per più di un milione di euro. Nell’ambito di questo lavoro, al principio ho avuto un furto di tutta una serie di attrezzature che poi ho scoperto che sono state fatte da un soggetto vicino sempre al clan dei barcellonesi, e in virtù di questo, rivolgendomi a D’Amico, le ho ritrovate nell’arco di ventiquattrore. Sostanzialmente poi ho lavorato con la protezione dei barcellonesi”. Grasso ha ricordato che a presentargli l’allora boss del Longano era stato il pregiudicato Antonino Merlino, anche lui facente parte del sodalizio mafioso barcellonese, poco prima del suo arresto per la condanna definitiva come esecutore dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano. “Con Carmelo D’Amico ho pure gestito alcune vicende sempre in campo imprenditoriale che hanno favorito il clan dei barcellonesi”, ha riferito. “In alcune estorsioni fatte ad un altro mio collega che aveva dei lavori presso il consorzio ASI di Messina, ho gestito per conto del clan sia la corruzione di funzionari sia alcuni quattrini che l’imprenditore doveva versare al clan”.
“Con i Romeo di quella iniziativa di droga se n’è parlato successivamente quando la conoscenza con loro si è concretizzata”, ha aggiunto il collaboratore. “Ne parlai con Vincenzo Romeo, però non erano delle attività in cui avevano interesse, con cui volevano fare interessi. Si è parlato solamente del fatto che il Soraci aveva questa tipologia di contatti e se ne parlò anche successivamente negli anni 2015, 2016 quando già il Soraci non era più in ottimi rapporti con Vincenzo Romeo. Quest’ultimo mi aveva detto che Ivan Soraci rischiava di essere arrestato da qui a breve perché era rientrato in giri collegati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Di questa vicenda era a conoscenza pure Maurizio Romeo, però, ripeto, loro erano contrari a questa tipologia di investimenti (…) Mi risulta inoltre che il Soraci deteneva per conto del gruppo diverse armi corte, 9 millimetri e 7 e 65, però non ne sono sicuro. Me lo disse lui stesso e in un episodio specifico assistenti ad una telefonata che ha ricevuto Vincenzo Romeo in mia presenza da un soggetto che diceva che il Soraci era intervenuto su una vicenda che lo interessava armato e quindi egli si lamentava. Gli disse: Il tizio si è presentato armato, volendo rappresentare la sua autorità in quanto vicino a te. Al che Vincenzo Romeo andò su tutte le furie dicendomi che lui non era autorizzato a muoversi con le armi ma solamente a detenerle e non utilizzarle. Dopo accadde che lo rimproverò in maniera abbastanza violenta. Io però materialmente di armi in uso no, non le ho viste”.
Biagio Grasso ha concluso la sua deposizione rivelando una vicenda verificatasi dopo il suo arresto nell’abito dell’operazione antimafia Beta. “Intorno all’ottobre del 2017, io ebbi un colloquio con mio padre presso il carcere di Rebibbia dove ero detenuto e lui mi disse che aveva ricevuto una visita di carattere perentorio da Ivan Soraci. Mio padre è una persona anziana, quindi non è andato lì armato o roba del genere, però con minaccia velata gli disse di contattare la professoressa Simona Agger a cui avevo chiesto la cortesia di intestarsi temporaneamente la Procoim S.r.l., dicendogli di tornare le quote a Gaetano Lombardo, che è altro soggetto che in quel momento faceva parte del sodalizio e che aveva detenuto le quote della Procoim S.r.l. antecedente all’ulteriore passaggio fatto alla professoressa Agger. Gli disse così di dirle che le somme investite dal gruppo erano tutte quante presso i cantieri dove questa società era proprietaria e quindi doveva ritornare queste quote indietro a Gaetano Lombardo, persona di fiducia dei Romeo e anche mia per un certo periodo, per rientrare nel possesso della Procoim S.r.l., proprietaria dei 64 alloggi in costruzione in località Villaggio Aldisio, Messina, via Chinigò, nonché proprietaria per tutta una serie di atti che erano stati fatti del terzo lotto del terreno che era rimasto presso il complesso La Residenza al Torrente Trapani. Di questo contatto con Soraci mio padre me ne parlò nel colloquio che ho avuto pochi giorni prima del mio trasferimento al carcere di Arezzo. Lui chiaramente era abbastanza preoccupato perché già per la vicenda della P & F sapeva che Ivan Soraci era direttamente collegato al clan per cui eravamo stati arrestati e quindi facente parte in maniera diretta, solo che era rimasto fuori dalla prima retata. Quindi in ogni caso sapeva che si muoveva anche per quelle persone. Nelle more io in ogni caso già avevo espresso a mio padre che volevo collaborare con la giustizia, cosa che avevo cominciato a fare già dal 20 di luglio 2017 presso il carcere San Vittore. Per la visita e la maniera in cui si è presentato il Soraci e considerato anche il fatto che avevo cominciato a collaborare con la giustizia, avevamo paura di ritorsioni anche nei confronti dei miei familiari…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 25 marzo 2019, http://www.stampalibera.it/2019/03/25/biagio-grasso-e-le-relazioni-pericolose-della-borghesia-messinese-le-dichiarazioni-del-pentito-nellultima-udienza-del-processo-beta/

Il ruolo strategico della Sicilia nella nuova dottrina nucleare USA

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Sebbene Mike Pompeo e Donald Trump abbiano cercato di attribuire unicamente alla Russia la responsabilità del congelamento del trattato INF, il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo, potrebbe essere inquadrato come la naturale conseguenza della nuova dottrina nucleare USA e di una corsa agli armamenti.
Decade il principio della deterrenza, che finora aveva scongiurato un attacco nucleare, per la paura della rappresaglia e dell'escalation. L'idea di poter circoscrivere il danno e distruggere le capacità di rappresaglia del nemico, giustifica di fatto il ricorso all'atomica. La possibilità di sferrare un attacco nucleare anche dinnanzi a una minaccia di diversa natura, ne accelera l'utilizzo e rende qualsiasi area strategica — come ad esempio la Sicilia, che pur non avendo armi nucleari ospita basi aeree e navali e centri di comunicazione — un possibile obiettivo di guerra nucleare.
Nell’'81 il parlamento italiano decideva di ospitare 112 testate nucleari in Sicilia, nell'aeroporto dismesso di Comiso. Questo dispiegamento trasformò l'isola nel target di un eventuale attacco atomico sovietico.
Oggi la Sicilia gioca un ruolo strategico ancora più centrale: con l'aeroporto di Sigonella, capitale mondiale dei droni, che esercita il controllo aereo del Mediterraneo ai confini sud-orientali dell’Europa con la Russia, con la base navale di Ragusa che ospita esercitazioni come la Dynamic Manta, con l'aeroporto Trapani-Birgi, operativo nelle operazioni belliche contro la Libia, l'isola è diventata la “portaerei del Mediterraneo”. Il MUOS a Niscemi, il sistema Joint Tactical Ground Station (JTAGS) a Sigonella, permettono il controllo a distanza di operazioni belliche, facendo della Sicilia il centro di passaggio di decisioni strategiche. La Sicilia ha già un ruolo centrale nella strategia di riarmo e controllo dell'area mediterranea e dell'est Europa in funzione antirussa. Venuto meno il principio del "sole purpose", cioè dell'utilizzo dell'atomica dinnanzi ad una minaccia della stessa natura, la Sicilia potrebbe diventare, se non lo è già, un obiettivo strategico di rappresaglia, di una guerra nucleare che gli Stati Uniti combattono nel nostro territorio.
Di quello che potrebbe essere il ruolo strategico della Sicilia all'interno della nuova dottrina nucleare statunitense Sputnik Italia ha parlato con Antonio Mazzeo, giornalista e scrittore messinese, che ha prodotto una vasta letteratura sulle strategie USA in Sicilia e sulla sua militarizzazione.
— Cosa comporterebbe la fine del Trattato INF?
— Il rischio di una escalation a livello nucleare. Già in tempi non sospetti, l'amministrazione Obama, aveva stanziato miliardi di dollari per il potenziamento e l’ammodernamento delle armi nucleari. Oggi, la strumentale uscita unilaterale del trattato INF serve per portare a termine questi progetti che, con il rischio escalation, riporteranno l'Europa a una situazione analoga alle crisi missilistiche degli anni '80 e rendono sempre più reale l'incubo dell'olocausto nucleare.
— Com'è cambiata la strategia nucleare degli USA?
— Viene teorizzato il cosiddetto principio del first strike, la dottrina del "primo colpo", volta ad annientare un ipotetico paese considerato nemico, soltanto sulla base del sospetto o della possibilità che possa attaccare. Cioè annientare nell'illusione — perché di questo si tratta — che non ci sia una risposta da parte dell'avversario. Così si esce fuori dalla "mutua distruzione assicurata", cioè il principio di deterrenza che ha retto lo scontro fra superpotenze sino ad oggi, cosa che accelera l'effettivo utilizzo di queste armi.
— Che conseguenze ci sarebbero sulla Sicilia?
— La Sicilia è già all'interno del processo che ha portato alla crisi del INF. Di fatto non si è mai arrestata la corsa a sistemi d'arma sempre più distruttivi e sempre più rapidi. Il principio del First Strike ha mosso investimenti di miliardi di dollari in nuove tipologie di armi, che dovrebbero annientare la capacità di risposta dell'avversario. C'è stata, ad esempio una proliferazione delle cosiddette armi antimissile che, dette così potrebbero sembrare armi difensive, ma che possono accelerare l'attacco. Si tratta di sistemi che danno la possibilità di colpire un obiettivo mentre è in atmosfera o addirittura prima del lancio, neutralizzando le capacità di risposta. Ebbene anche la base di Sigonella in Sicilia, ha avuto un ruolo determinante in questi progetti di riarmo, in questa concezione del colpire con la speranza di non essere colpiti. Infatti ospita un sistema antimissile, la Joint Tactical Ground Station, che ha proprio questa funzione.
— Cos'è esattamente il sistema Jtags e a cosa serve?
— Installato nel 2017, formalmente è un sistema di primo allarme nel caso di lancio da parte di "paesi nemici" di sistemi missilistici a corto e medio raggio. Quello che non si capiva è perché mai questo sistema fosse stato portato dalla Germania in Sicilia. Oggi, con il senno del poi, possiamo comprendere che questo trasferimento a sud è dovuto al fatto che gli Stati Uniti hanno bisogno di coprire un'area molto più vasta, che è quella delle coste africane, del Medio Oriente, e anche buona parte dell'est Europa. Può sembrare che non c'entri niente, ma quotidianamente droni e aerei pattugliatori decollano dalla base di Sigonella per raggiungere la Crimea, per raggiungere l'Ucraina, per raggiungere il Donbass. La base di Sigonella in questo momento ha un ruolo determinante nel braccio di ferro che gli Stati Uniti, con il sostegno dell'Unione Europea, conducono su quest'area in funzione antirussa. In quest'ottica un sistema di controllo e di monitoraggio di un eventuale attacco missilistico, favorisce il ruolo di diamante di questa base siciliana. E ripeto: l'idea di ritenersi sicuro, perché hai un sistema che dovrebbe intercettare anche prima del lancio eventuali missili, convince chi deve scatenare un attacco, che si possono sganciare le testate nucleari e ridurre il più possibile gli effetti sul proprio territorio. Questo significa mettere un acceleratore sulla possibilità che deflagri un grande conflitto nucleare. L'idea che le armi nucleari si possano limitare è un passo avanti verso l'escalation globale.
— Quale potrebbe essere il ruolo strategico della Sicilia?
— Noi non sappiamo in questo momento che tipo di sistema missilistico verrà proposto dagli Stati Uniti. Possiamo pensare che, come accadde a fine anni '70, non saranno soltanto missili terrestri, ma anche missili da imbarcare in cacciabombardieri, in unità navali, nei sottomarini a propulsione nucleare. In ognuno di questi tre casi la base di Sigonella potrebbe avere un ruolo determinante. 
Se si dovessero scegliere le batterie terrestri, come è accaduto ai tempi di Comiso, alcune batterie potrebbero trovare installazione in Sicilia. La Sicilia ormai prolifera di basi e installazioni militari. Non c'è soltanto Sigonella, ma l'enorme area di Niscemi. Abbiamo altri aeroporti che formalmente sono aeroporti militari italiani o dell'alleanza atlantica. Come Trapani Birgi, Pantelleria e Lampedusa, che vengono utilizzati costantemente dalle forze armate statunitensi per esercitazioni o operazioni di guerra.
Se invece venisse preferito l'utilizzo di missili imbarcati su unità navali o sottomarini il porto di Augusta avrebbe un ruolo determinante. Augusta già funziona come base d'attracco dei sottomarini a propulsione nucleare. Augusta in passato è stata una struttura utilizzata anche per il rifornimento di sistemi d'arma per unità navali, per cui darei per scontato il ruolo centrale di questa base, che è una base USA, oltre ad essere base NATO.
Se invece si scegliesse di privilegiare i sistemi aerei per trasportare sistemi missilistici nucleari, l'aeroporto di Sigonella è il grande hub del Mediterraneo, dove vengono movimentate le unità aeree di tutte le forze armate, non soltanto della marina militare statunitense, ma anche dell'aeronautica, e ovviamente avrebbe un ruolo determinante.
Infine c'è il MUOS. Il Muos è un acronimo che sta per Mobile User Object System, cioè un sistema per gli utenti mobili. Cosa sono gli utenti mobili? Sono i sottomarini, sono i cacciabombardieri, sono i droni. Cioè sono tutte quelle unità di attacco che hanno bisogno di ricevere comandi, per poter esercitare la loro funzione che è quella di first strike, distruzione, etc. Ovviamente, nel momento in cui si rilancia il riarmo nucleare, e si deve accelerare la velocità con cui si danno gli ordini di attacco, questi non potranno non passare attraverso un sistema di comunicazioni satellitari come quello del MUOS. Per cui anche Niscemi avrà un ruolo centrale nelle nuove scelte di politiche offensive nucleari.
— Con il sistema Jtags e il Muos di Niscemi la Sicilia diventa il centro di controllo di attacco, non di difesa, perché è da qui che passano gli ordini?
— Assolutamente. Se noi mettiamo assieme questi tasselli, il Muos, il sistema di intercettazione di eventuali missili a medio raggio, i droni sempre più iperautomatizzati, i nuovi pattugliatori che oggi vengono utilizzati in Siria, in Libia e nell'Europa dell'Est, se pensiamo alla proiezione avanzata di Sigonella nel rilancio nelle logiche nucleari, se pensiamo al porto di Augusta, porto centrale del mediterraneo, per l'approdo delle unità oggi a propulsione nucleare, che con la rottura del trattato diventeranno unità di trasporto di testate nucleari, ci rendiamo conto che la Sicilia, molto più di come lo era ai tempi di Comiso quando c'erano gli euromissili, oggi ha un ruolo centrale geostrategico, come credo ormai pochissime aree a livello planetario hanno.
— Questa condizione mette a rischio la sicurezza della Sicilia?
— Nel momento in cui hai sul tuo territorio una presenza di attacco di distruzione di massa, non puoi non immaginare di essere al centro degli obiettivi. La Sicilia è sempre stata a rischio.

Intervista a cura di Clara Statello, pubblicata il 23 marzo 2019 in Sputnik Italia, https://it.sputniknews.com/opinioni/201903237451551-Il-ruolo-strategico-della-Sicilia-nella-nuova-dottrina-nucleare-USA/

Dalle Porte di Catania alle Porte di Messina il grande affaire dei centri commerciali di Ciancio & C.

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“Mario Ciancio Sanfilippo è imprenditore tra i più attivi e facoltosi a Catania e nell’intera Sicilia. Per raggiungere gli scopi della propria variegata attività, che ha preso le mosse dall’editoria ed ha poi riguardato anche alcune tra le più lucrose speculazioni edilizie in territorio catanese, si è avvalso e si avvale ad oggi di una molteplicità di imprese, costituite in forma societaria, spesso con la partecipazione (talora formalmente esclusiva) della moglie Valeria Guarnaccia o dei figli Angela, Rosa Emanuela, Carla, Natalia e Domenico. Tali società debbono essere guardate come facenti parte di un vero e proprio gruppo, esistente di fatto, facente capo al proposto, che, infatti, ne dirige e coordina l’attività. La ricostruzione dei flussi finanziari relativi alle attività di impresa ed alle compravendite immobiliari consente di affermare che a monte di ciascun investimento e di ciascun acquisto (…) si trova la notevole provvista economica che il Ciancio Sanfilippo mette a disposizione della famiglia”. E’ quanto scrivono i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania nell’ordinanza di confisca dei beni nella disponibilità dell’holding Ciancio & family emessa il 20 settembre 2018. Un atto giudiziario che descrive nei minimi dettagli i presuntirapporti di affari tra uno dei più potenti personaggi della recente storia siciliana e italiana, l’editore-imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo e alcuni esponenti di Cosa Nostra. Business multimilionari generati innanzitutto dalla cementificazione del territorio e dalla trasformazione di centinaia di ettari di terreni agricoli in complessi turistico-immobiliari o megaparchi commerciali.
Colate di asfalto e cemento sul Pigno di Catania
Uno dei capitoli chiave dell’ordinanza dei giudici catanesi è interamente dedicato alla realizzazione nel 2010 del noto centro commerciale Le Porte di Catania a due passi dal quartiere Pigno e dell’aeroporto di Fontanarossa, con128 negozi con i brand più glamour di abbigliamento e accessori, oggetti per la cura della casa e della persona, una ricca area di ristorazione, un ipermercato e oltre cinquemila posti auto”, come recita la brochure illustrativa della società che ne detiene il controllo, Ceetrus Italy (gruppo Auchan). Un progetto quello de Le Porte di Catania che prendeva il via – coincidenza vuole - lo stesso giorno in cui Mario Ciancio Sanfilippo e alcuni suoi partner economici (tra essi il chiacchierato costruttore messinese Antonello Giostra) avviavano le procedure per realizzare a Misterbianco, in contrada Cardinale, il parco commerciale denominato Mito. “In data 28 febbraio 2003, ovvero quando la Euredil S.r.l. e la lmmencity One S.r.l. presentavano il progetto di polo commerciale integrato a Misterbianco, veniva richiesto al Comune di Catania dalla società ICOM S.r.l. il rilascio di concessione edilizia e autorizzazione all’apertura di un altro centro commerciale, da realizzarsi in variante allo strumento urbanistico vigente sempre su terreni riconducibili alla famiglia Ciancio”, annotano i R.O.S. dei Carabinieri in una loro informativa del 18 luglio 2013. Con deliberazione del 25 febbraio 2005, il Consiglio comunale di Catania esaminava il documento istruttorio redatto dal Direttore della VII Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio, approvando il cambio delle destinazioni urbanistiche dell’area che nel vigente P.R.G. era stata destinata a verde agricolo. Alla data della delibera consiliare, i terreni del nascente centro commerciale Le Porte erano di proprietà della Sud Flora S.r.l., di cui risultavano soci l’editore Ciancio Sanfilippo e la moglie Valeria Guarnaccia. “I terreni di proprietà del Ciancio erano stati da lui acquistati nel 1973, mentre quelli della Sud Flora tra il 1991 e il 2002”, annotano gli inquirenti. “La Sud Flora era stata costituita il 10 ottobre 1976 da Wilma Amelia Nofori e da Giuseppa Licciardo. Il primo elenco soci disponibile risale al 1999 ed in esso sono indicati quali titolari delle azioni i coniugi Ciancio. Va tuttavia rilevato che già alla data del 4 febbraio 1980 Valeria Guarnaccia aveva assunto la carica di amministratore unico, fatto, questo, dal quale può dedursi l’acquisto delle quote sociali da parte dei due coniugi già in quella data. Il 27 aprile 2007 tanto Mario Ciancio, quanto la moglie, cedevano tutte le quote della Sud Flora alla ICOM S.p.a., società che stava curando la realizzazione del parco commerciale Porte di Catania. Tale vendita, ovviamente, ha costituito un metodo per cedere all’acquirente i terreni di quali la Sud Flora era proprietaria senza sottostare ai più gravosi tributi dovuti per i trasferimenti immobiliari. La maggior parte degli investimenti nella Sud Flora ha avuto luogo in anni (1996, 1997,1998, 2000, 2001, 2002) nei quali i flussi economici negativi sono prevalenti rispetto a quelli positivi. Già tale considerazione consentirebbe di ritenere illecita l’attività imprenditoriale in oggetto, in quanto condotta perlopiù con capitali dei quali non è stata giustificata la provenienza. Va poi aggiunto che quantomeno dal 2003 la Sud Flora è stata finanziata e gestita in vista della sua cessione al soggetto che si sarebbe occupato della realizzazione del centro commerciale, operazione che, appare illecita per le infiltrazioni di Cosa Nostra nella stessa”.
La società acquirente, ICOM S.p.a. (già ICOM s.r.l.), era stata costituta il 16 marzo 2000 da un gruppo di imprenditori pugliesi e siciliani. Due anni dopo, in luogo di taluni dei soci fondatori subentrava la Insular Consulting S.r.l., società costituta da Vincenzo Viola e dai suoi familiari e della quale, nel corso degli anni, avevano fatto parte anche Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante. “Il 15 febbraio 2002 il Viola ed il Mercadante entravano nel consiglio di amministrazione della ICOM”, annotano i ROS. “Nel marzo 2003 i predetti Vizzini, Mercadante e Viola entravano a far parte direttamente della compagine sociale a seguito della cessione in loro favore di parte delle quote detenute dalla Insular Consulting. II 19 maggio 2003 Mario Ciancio Sanfilippo e Valeria Guarnaccia acquistavano il 34% circa del capitale sociale della ICOM. Così Mario Ciancio e Valeria Guarnaccia facevano parte di tale società unitamente agli allora soci Michele Annoscia, Pasquale Iamele, Donato Di Donna, Vincenzo Viola, Loredana Leone, Tommaso Mercadante, Luigi Mellina, Giovanni Vizzini, Michele Castiglione e l’avvocato-editore Fabrizio Lombardo Pijola. La compagine sociale subiva un mutamento nel 2005, quando ai soci Annoscia, Iamele e Lombardo Pijola subentrava la Sircom Real Estate S.p.a.”. La Sircom è una nota società di promozione e sviluppo immobiliare (centri commerciali, resort, hotel, centri congressi, ecc.) con sedi centrali a Bari e Milano.
Il 27 aprile 2007 si registrava un nuovo mutamento tra le compagini societarie impegnate nell’affaire Le Porte; i soci (compresi i coniugi Ciancio-Guarnotta) cedevano infatti le quote della ICOM alla ImmobiliarEuropea S.p.a. e alla Gallerie Commerciali S.p.a.: la prima con sede a Milano (scopo sociale lo sviluppo di centri commerciali per la grande distribuzione, strutture ricettive-alberghiere e porticcioli turistici) e riferibile all’imprenditore-editore sardo Sergio Zuncheddu; la seconda invece interamente controllata da una società di diritto olandese, la I.D.C. Int. Development Corp. N.V., titolare della nota holding francese Auchan. Secondo quanto riferito agli inquirenti dall’allora dirigente del settore sviluppo di Auchan S.p.a. Carlo Salvini, le somme dovute per la vendita delle quote ICOM alla ImmobiliarEuropea e alla Gallerie Commerciali sarebbero state così corrisposte: il 50% all’atto della vendita ed il restante 50% suddiviso in tre tranche, rispettivamente, dopo l’approvazione della variante in corso d’opera, all’approvazione della proroga delle autorizzazioni commerciali e all’inaugurazione del centro commerciale. Stando alla documentazione contabile acquisita nel corso delle indagini, il 19 giugno 2007 l’assemblea straordinaria dei soci della Sud Flora deliberò altresì la fusione della società per incorporazione nella ICOM S.p.a.. Grazie alla cessione delle proprie quote alla ICOM, la Sud Flora ottenne nell’anno fiscale 2007 ricavi per 5.111.984 euro.
Le plusvalenze milionarie di Ciancio & soci
Oltre a consolidare la propria presenza nel tessuto economico catanese, Mario Ciancio Sanfilippo e familiari – scrivono i magistrati - conseguivano importanti guadagni derivanti dalla monetizzazione delle plusvalenze, attraverso la vendita delle azioni della ICOM.In particolare, il dott. Ciancio (e sua moglie) cedevano il 33% delle loro quote ICOM ricevendo quale prezzo la somma complessiva di 12.400.000 euro. In pari data, ICOM S.r.l. comprava da Ciancio Sanfilippo Mario, quale persona fisica, i terreni in contrada Bicocca di cui questi era proprietario ed acquistava le azioni della Sud Flora S.p.A. (di Ciancio e della moglie Guarnaccia), società quest’ultima proprietaria di altra parte dei terreni necessari per la costruzione del centro commerciale. Il prezzo pagato dalla ICOM a Ciancio (compreso il prezzo della Sud Flora) ammonta a 15.730.216 euro. Complessivamente, quindi, Ciancio riceveva per l’affare la somma complessiva di 28.130.216 euro”. Altrettanto rilevanti i ricavi conseguiti dagli altri soci ICOM: 9,6 milioni di euro in tutto, di cui 1.532.082 a Vincenzo Viola, 910.118 a Tommaso Mercadante e 4.850.770 alla Sircom Real Estate S.p.a. di Bari-Milano.
“Quanto alle persone fisiche componenti le società in esame, va rilevato che Vincenzo Viola è un uomo politico siciliano, europarlamentare per il Patto Segni negli anni Novanta; si tratta di soggetto il quale, pur non ricoprendo all’epoca dei fatti alcun ruolo politico attivo, era molto vicino agli ambienti politico-amministrativi regionali siciliani”, riporta la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania. Già funzionario dell’Assemblea regionale siciliana, vicedirettore del Servizio studi legislativi e capo dell’Ufficio del bilancio, Vincenzo Viola fu eletto al Parlamento di Strasburgo nel 1995, ricoprendo l’incarico di coordinatore del gruppo PPE per le relazioni euro-mediterranee. Dopo l’Europarlamento, nel 2001 è stato nominato dal Presidente della regione Siciliana consigliere d’amministrazione del Banco di Sicilia, in quota Alleanza nazionale.
Non meno rilevante la figura dell’altro socio di Ciancio Sanfilippo in ICOM, Tommaso Mercadante, figlio di Giovanni Mercadante, il primario di radiologia a Palermo ed ex deputato regionale di Forza Italia condannato a 10 anni e 8 mesi per il delitto di associazione mafiosa con sentenza della Corte di Appello di Palermo del 21 marzo 2014, irrevocabile dall’8 aprile 2015 (Mercadante era stato condannato in primo grado e assolto in appello, con sentenza poi annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione). “Giovanni Mercadante è nipote di Tommaso Masino Cannella, capo della potente famiglia di Prizzi, ritenuto uno degli uomini di vertice di Cosa Nostra, vicinissimo all’allora latitante Bernardo Provenzano”, scrivono i giudici etnei. “Proprio il Mercadante, come emerge dalle dichiarazioni di numerosi collaboranti, tra i quali Giovanni Brusca, Angelo Siino e Antonino Giuffrè, era tra i soggetti coinvolti nella gestione della latitanza di Provenzano”. Gli inquirenti hanno accertato come tra i due Mercadante ci fossero anche relazioni di tipo economico. “Il 27 maggio 2011 Tommaso Mercadante conferiva al padre Giovanni Mercadante, frattanto assolto dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 21 febbraio 2011, delega ad operare sul proprio conto”, annotano nell’ordinanza di sequestro dei beni dell’editore Ciancio. “Proprio questo ultimo particolare consente di affermare che Tommaso Mercadante fosse prestanome del padre Giovanni, effettivo socio della ICOM, per conto del quale aveva ricevuto il pagamento dell’ultima tranche del prezzo di cessione delle quote di tale società alla ImmobiliarEuropea ed alla Gallerie Commerciali; ed invero, solamente quando Giovanni Mercadante era stato assolto dal delitto di associazione mafiosa, e quindi, nella sua percezione, non vi erano più pericoli a gestire personalmente le somme derivanti dall’operazione ICOM, il figlio gli aveva rilasciato delega ad operare sul conto sopra descritto e, pertanto, gli aveva consentito di disporre di dette somme (Giovanni Mercadante non poteva ovviamente sapere che la Suprema Corte avrebbe annullato la sentenza di assoluzione con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo, che avrebbe invece confermato la condanna emessa)”.
Relativamente ad altro socio ICOM, Giovanni Vizzini, la Procura ha accertato trattarsi del fratello di Carlo Vizzini, pluriministro tra il 1982 e il 1992 (in particolare ha guidato i dicasteri delle Poste e telecomunicazioni e della Marina mercantile), già segretario del Psdi tra il 1992 e il 1993, poi esponente politico di Forza Italia e Pdl. “La figlia di Carlo Vizzini, Maria Sole, ha sposato Vincenzo Rappa, figlio di Filippo Rappa; questi è stato sottoposto a procedimento penale per i delitti di riciclaggio aggravato e di associazione a delinquere di tipo mafioso, ma è stato assolto da tali reati ex art. 530 c.p., rispettivamente ai sensi del primo e del secondo comma. Va tuttavia rilevato che la famiglia Rappa annovera tra le sue fila il capostipite Vincenzo Rappa, padre di Filippo, condannato per il delitto di cui all’art. 416-ins c.p., con sentenza irrevocabile”, annotano gli inquirenti.
Sulla famiglia Rappa e su Giovanni Mercadante ha reso importanti dichiarazioni l’ex imprenditore Massimo Ciancimino, figlio di don Vito Ciancimino, il sindaco Dc del sacco di Palermo contiguo agli ambienti mafiosi corleonesi. “Nei propri interrogatori del 10 aprile 2009 e 8 maggio 2009, Massimo Ciancimino ha riferito che i due erano soggetti vicini al padre e che essi avevano avuto anche problemi con la giustizia per reati di mafia”, si riporta nell’ordinanza di sequestro dei beni della famiglia Ciancio. “In particolare, il capostipite, Vincenzo Rappa, era stato condannato per il delitto di associazione mafiosa. Il nipote del Rappa era sposato con la figlia del già menzionato Carlo Vizzini e le due famiglie erano legate da forte amicizia. Il Ciancimino ha riferito in tali occasioni che in quanto figlio di Vito Ciancimino, aveva avuto modo di prendere parte alla attività del padre, che comprendeva pure incontri con appartenenti al mondo imprenditoriale, anche catanesi, quali Costanzo, Rendo ed altri; ha riferito inoltre dei rapporti esistenti tra il Ciancio Sanfilippo e la famiglia Rappa, affermando, in particolare, che l’odierno proposto era legato a soggetti palermitani vicini a Cosa Nostra…”.
“Quanto a Tommaso Mercadante, il Ciancimino ha riferito che costui – a lui ben noto per essere stato fidanzato per diversi anni con la figlia Gisella Mercadante - era nipote di Tommaso Masino Cannella, soggetto che, unitamente a Pino Lipari, aveva il ruolo di luogotenente di Provenzano e con tale ruolo erano accreditati presso suo padre, con il quale, nell’interesse del predetto Provenzano, trattavano la materia degli appalti. Secondo il Ciancimino, inoltre, i suindicati Rappa erano legati da rapporti di affari con l’imprenditore catanese Ciancio, con il quale condividevano interessi nel settore delle emittenti televisive private. Aggiungeva poi che dagli appunti di suo padre aveva appreso di taluni incontri tenutisi in alberghi di Taormina (fra cui il Timeo) tra suo padre, Ciancio con altri imprenditori palermitani e catanesi ed esponenti di Cosa Nostra fra cui anche Benedetto Santapaola”. Altri compromettenti incontri dell’editore catanese sarebbero avvenuti in una villa di fronte all’hotel Zagarella, nel palermitano (vi erano, oltre a Ciancio e mio padre, anche Santapaola, Provenzano e Costanzo); all’hotel Costa Verde di Cefalù (certamente parteciparono, oltre a mio padre ed al Ciancio, anche Masino Cannella in rappresentanza di Provenzano).
Ciancio era socio dei costruttori Rappa, ha dichiarato Ciancimino. Avevano in comune un’iniziativa nel settore della televisione, in quanto erano comproprietari di una emittente. In particolare ricordo, per avermelo detto mio padre, che detta emittente fu poi ceduta al gruppo Mediaset ed incorporata in Rete4. Di recente gli stessi Rappa e Ciancio hanno condotto altra analoga operazione vendendo sempre al Gruppo Mediaset delle frequenze del digitale terrestre, per una somma di denaro notevole. Lo stesso Vincenzo Rappa mi ha riferito - infatti - in occasione di un incontro nel porto di Salina in uno yacht che aveva appena acquistato, di avere investito tale somma in parte nell’acquisto della barca e in parte per l’acquisto della concessionarie Bmw di Catania e Chrysler di Palermo. Ricordo che il padre Filippo e il nonno Vincenzo Rappa, entrambi frequentatori ed amici di mio padre, sono stati coinvolti in vicende giudiziarie legate a Cosa Nostra e Michele Sindona(…) In effetti, come diceva mio padre e come in parte ho avuto anche io modo di constare, Ciancio per determinati settori, era considerato un punto di riferimento, ossia la faccia pulita da spendere; in sostanza era uno dei personaggi che nei grossi affari che interessavano Catania doveva essere cooptato con il compito di trovare il punto di convergenza e di intesa nei grossi giochi di potere politico e di affare locale e, in ogni caso, Ciancio rientrava anche tra le voci autorevoli allorché nel generale contesto siciliano si decidevano le grandi linee di spartizione del territorio per quanto atteneva ai grossi affari con interessi imprenditoriali nei quali ovviamente vi era l’interferenza non secondaria dell’interesse mafioso (…) Ho ragione di ritenere che il dott. Ciancio Sanfilippo si è associato a Mercadante proprio perché consapevole della caratura e della vicinanza di quest’ultimo, per il tramite di Cannella, a Bernardo Provenzano. Peraltro era notorio a Palermo che Mercadante era un pupo (tale espressione usava mio padre) nelle mani dello zio Cannella, braccio destro di Provenzano, e che lo stesso Cannella era soggetto ben noto a Ciancio per averlo anche incontrato in quel summit alla Costa Verde…
E alla Regione ci pensa Raffaele Lombardo
Gli inquirenti ritengono che nonostante la cessione delle quote della ICOM, Mario Ciancio Sanfilippo, unitamente all’ex europarlamentare Vincenzo Viola, continuò ad occuparsi dello sviluppo del progetto del centro commerciale Porte di Catania. Questa convinzione è suffragata dal tenore di due conversazioni intercettate il 28 luglio 2008 dal R.O.S. dei Carabinieri proprio nell’ufficio del potente signore dei media siciliani. “A tali conversazioni avevano preso parte, oltre al Ciancio Sanfilippo, Raffaele Lombardo, all’epoca Presidente della Regione Siciliana (l’elezione era avvenuta solo pochi mesi prima Nda), Vincenzo Viola, Sergio Zuncheddu, Carlo Ignazio Fantola (consigliere di amministrazione della ImmobiliarEuropea) e Carlo Salvini (dirigente del gruppo La Rinascente - Auchan)”, scrivono i giudici. “Nel corso di tale riunione, gli interlocutori discutevano di una variante edilizia da apportare al progetto del centro commerciale, che volevano evitare fosse sottoposta al vaglio del Consiglio comunale e attirasse le attenzioni dell’Autorità Giudiziaria. La soluzione veniva trovata dal Lombardo, il quale affermava che si sarebbe attivato, tramite l’architetto Matteo Zapparrata, già dirigente tecnico della Provincia Regionale di Catania (della quale lo stesso Lombardo era stato Presidente, prima di essere eletto alla carica di Capo del Governo Regionale), affinché detta variante venisse approvata dai tecnici comunali”. L’ingegnere Zapparrata è ritenuto uomo di assoluta fiducia di Raffaele Lombardo; inoltre è stato alla guida della Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio del Comune di Catania dall’1 gennaio al 31 dicembre 2008.
In verità, l’11 novembre 2008, la dirigente del Servizio attuazione della Pianificazione del Comune di Catania, l’architetta Gabriella Sardella, rilasciava alla ICOM S.p.a. la variante alla concessione edificatoria “per modifiche in corso d’opera alla nuova costruzione di parco commerciale in corso di realizzazione in Contrada Bicocca”, proprio come auspicavano i partecipanti al meeting ospitato da Mario Ciancio. “Si ricava quindi dagli elementi sopra evidenziati la circostanza che, nonostante la vendita delle quote della ICOM, ancora alla data del 28 luglio 2008, il Ciancio Sanfilippo curava personalmente il buon andamento dell’affare (…) con Raffaele Lombardo, da poco divenuto Presidente della Regione Siciliana, il quale formalmente non rivestiva alcun incarico istituzionale che gli attribuisse competenze in ordine all’iter burocratico del progetto. Deve conseguentemente ritenersi che la riunione fotografata dalle due conversazioni intercettate avesse ad oggetto la ricerca di una via parallela per la risoluzione di un problema amministrativo che avrebbe richiesto molto più tempo e non sarebbe neppure stata garantita”, commentano i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania.
Le intercettazioni del R.O.S. dei Carabinieri evidenzierebbero pure come alcuni protagonisti dell’affaire si sarebbero adoperati per ottenere l’approvazione di un disegno di legge che aumentava la volumetria disponibile per i centri commerciali in Sicilia. Due i dialoghi chiave in mano agli inquirenti: il primo è stato intercettato il 6 dicembre 2005 tra Rosario Ragusa “soggetto vicino ai vertici catanesi di Cosa Nostra” e Marcello Massinelli, all’epoca dei fatti consigliere economico dell’allora Presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro; il secondo, due giorni dopo, ancora tra Rosario Ragusa e Fulvio Reina, socio di Marcello Massinelli nella società di intermediazione che si occupava di vendere le quote della “Tenutella S.r.l.”,la società a capo dell’omonimo centro commerciale di Misterbianco in via di costruzione ancora una volta su terreni di proprietà di Ciancio Sanfilippo. “In particolare, nel corso delle conversazioni, gli interlocutori ponevano in rilievo la circostanza che tale disegno di legge avrebbe agevolato il Ciancio Sanfilippo e i suoi interessi”, aggiungono i giudici. “Ed in effetti l’emendamento in questione era relativo alla legge regionale 20/2005, avente ad oggetto Misure per la competitività del sistema produttivo con modifiche alla disciplina degli interventi per le imprese commerciali. Il comma 4 dell’art. 7 cit. prevedeva infatti che nelle more di una più compiuta programmazione della rete distributiva (… ) l’Assessore regionale per la Cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca provvede, entro trenta giorni dalla pubblicazione della presente legge, ad una revisione dei limiti e delle condizioni per il rilascio delle autorizzazioni per le grandi strutture di vendita nei territori delle grandi aree metropolitane prevedendo, in particolare, un incremento non inferiore ad un terzo dei limiti di superficie attualmente vigenti…”.
Il 20 marzo 2013, Raffaele Lombardo, nell’udienza preliminare del procedimento a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa, in riferimento all’approvazione dell’emendamento alla legge regionale 20/2005 che consentiva l’incremento delle superfici da destinare a grandi centri commerciali, ha ammesso di essersi effettivamente occupato della questione relativa alla variante urbanistica del P.R.G. con riferimento al Porte di Catania e che tale questione era stata sottoposta alla sua attenzione, in occasione di un incontro avvenuto nell’anno 2003, dal Ciancio Sanfilippo e da Vincenzo Viola. Ricordo bene che me ne parlò di questa cosa, quando ne parlammo col dottore Ciancio, questa persona che io conoscevo bene e che credo abbia avuto un ruolo nella vicenda, cioè l’onorevole Viola, che fu parlamentare europeo, ma che era stato vice-segretario generale dell’Assemblea Regione Siciliana, ha riferito l’ex governatore Lombardo. Enzo Viola era interessato a questa cosa. Può darsi che lui d’accordo con Ciancio portasse gli investitori o roba del genere. Io l’ho interpretato così, l’ho vissuto così il discorso di Viola. Non mi sembrava Viola uno che ci mette, che so, dieci milioni di euro per fare una operazione del genere, o cento….
Subappaltatori attivi e mancati in odor di mafia
I lavori del centro commerciale Porte di Catania furono poi realizzati dalla società ImmobiliareEuropea S.pA. quale general contractor; le  opere di accantieramento furono affidati alla Framer S.r.l. dei fratelli Francesco e Massimiliano Antonio Laudani, trasformata nel maggio 2007 in Framer S.pA., mentre per la movimentazione terra fu scelta la Fratelli Basilotta S.p.A. (dal 16 aprile 2009 rinominata In.Co.Ter Infrastrutture Costruzioni Territorio S.p.A.), di proprietà di Salvatore Basilotta figlio di Vincenzo Basilotta e di Luigi Agatino e Giuseppe Basilotta, fratelli di Vincenzo. “Vi è una serie di ulteriori conversazioni, intercettate nell’ambito del procedimento penale n. 890/07 (la cosiddetta operazione antimafia Iblis), dalle quali si evince che le imprese che avrebbero dovuto effettuare i lavori di movimento terra (In.Co.Ter dei F.lli Basilotta) e le strutture cementizie (ICOB) facevano a loro volta capo a soggetti appartenenti a Cosa Nostra catanese e calatina”, rilevano gli inquirenti della Procura. “Vanno, a tale riguardo, esaminate le figure di Mariano Cono Incarbone e di Vincenzo Basilotta; il primo è soggetto condannato per il delitto di associazione mafiosa, in esito al menzionato procedimento penale Iblis, con sentenza della Corte di Appello di Catania del 10 settembre 2014 irrevocabile il 7 giugno 2016; l’appartenenza dello stesso alla famiglia Santapaola-Ercolano è quindi definitivamente accertata”.
Quanto invece alla figura dell’imprenditore edile Vincenzo Basilotta, i magistrati etnei rilevano come lo stesso sia stato condannato in primo grado e in appello, nel procedimento penale Dioniso per il delitto di associazione mafiosa; la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catania è stata tuttavia annullata con rinvio dalla Suprema Corte ed il procedimento si è concluso con sentenza di non doversi procedere per la sopravvenuta morte dell’imputato. “Lo stesso Basilotta è stato altresì destinatario di misura di prevenzione patrimoniale con decreto emesso dal Tribunale di Catania il 2 maggio 2012 e poi revocato nei confronti degli eredi, essendo il proposto nelle more deceduto, con provvedimento del 28 aprile 2016”, aggiungono gli inquirenti. “Diverse conversazioni telefoniche, intercettate nell’ambito dei procedimenti Dionisoe Dioniso 2 e testualmente riportate nella sentenza contro Raffaele Lombardo emessa dal G.U.P. del Tribunale di Catania il 18 febbraio 2014 consentono di affermare che il Basilotta facesse parte dell’organizzazione criminale Cosa Nostra, e fosse in particolare vicino al potente boss di Caltagirone Francesco La Rocca: ciò in quanto, la sua attività imprenditoriale aveva conosciuto un imponente incremento grazie ai lavori procuratigli dal predetto La Rocca e dall’ala della famiglia Santapaola riconducibile ad Antonino Santapaola fratello di Benedetto Nitto e ad Alfio Mirabile, che in quel periodo era notoriamente contrapposta all’ala facente capo alla famiglia Ercolano e successivamente a Vincenzo Aiello”.
E’ stato accertato come il Basilotta avesse ottenuto in precedenza parte dei lavori di costruzione del grande centro commerciale Etnapolis,realizzato a Belpasso dalla società Maltauro di Vicenza. Nel corso dell’indagine Iblis veniva invece documentata la presenza dell’impresa di Vincenzo Basilotta nei cantieri del centro Porte di Catania. Veniva altresì intercettato un colloquio tra il geologo Giovanni Barbagallo, al tempo esponente dell’Mpa di Raffaele Lombardo e il boss mafioso Vincenzo Aiello in cui quest’ultimo lamentava di avere richiesto inutilmente a Vincenzo Basilotta il versamento della tangente per quei lavori. Interrogato dalla DIA di Catania nella primavera del 2011, il Barbagallo ha confermato il forte rancoredell’Aiello nei confronti di Basilotta, sia perché costui non gli riconosceva alcuna autorevolezza, sia perché, pur volendo che il Basilotta non lavorasse più, questi riceveva l’aiuto di Raffaele Lombardo.
“Anche i collaboranti Giuseppe e Paolo Mirabile hanno reso dichiarazioni con riguardo a Vincenzo Basilotta”, si legge nell’ordinanza di sequestro dei beni di Mario Ciancio Sanfilippo. “Il primo, in particolare, ha riferito il 6 ottobre 2012 di avere conosciuto il Basilotta, presentatogli da Sebastiano Rampulla e da Pietro Iudicello per ordine di Francesco La Rocca, in quanto lo stesso avrebbe dovuto essere gestito dalla famiglia Santapaola; il Basilotta, quindi, avrebbe dovuto pagare una percentuale all’organizzazione, la quale - se avesse procurato il lavoro - avrebbe avuto anche diritto a scegliere i propri fornitori e subappaltatori (…) Risulta evidente che Vincenzo Basilotta fosse ben più di un imprenditore gestito da CosaNostra, il quale doveva versare una percentuale degli importi ricavati dai lavori effettuati, in cambio di protezione, ma era soggetto inserito nella struttura dell’organizzazione criminale, in grado di dialogare da pari a pari con il rappresentante provinciale dell’organizzazione Vincenzo Aiello, al quale non soltantoaveva rifiutato la messa a posto, ma aveva anche rivolto espressioniingiuriose e minacciose quando l’Aiello, con modi aggressivi, gli avevachiesto di regolarizzare la sua posizione nei confronti del clan…”.
Per quel che concerne invece Mariano Cono Incarbone, legato politicamente sia a Raffaele Lombardo che a Giuseppe Firrarello (ex senatore ed ex sindaco di Bronte di centrodestra), le indagini hanno appurato che in un primo momento gli erano state garantite le opere cementizie per il Porte di Catania, ma successivamente l’imprenditore era stato estromesso dai lavori, in quanto la ImmobiliarEuropea aveva scelto come subappaltatrice la società SICEP. Di quanto accaduto Mariano Incarbone se ne lamentò personalmente il 12 novembre 2007 con l’imprenditore veneto Renzo Bissoli, già amministratore delegato dei cantieri navali SMEB di Messina e poi socio unico e amministratore della StellaPolare S.r.l., la società proponente il centro polifunzionale previsto a sud della città di Catania, nell’ambito del cosiddetto Pua - Piano urbanistico attuativo.“Si comprende dal tenore del dialogo che il Bissoli si era speso affinché la commessa venisse affidata all’Incarbone”, scrivono i magistrati catanesi. “In questa conversazione l’Incarbone affermava che la mancata assegnazione a lui della commessa presso il cantiere del Pigno costituiva uno sgarbo non solo verso il Bissoli, ma anche nei confronti di un’altra persona, che avrebbe dovuto essere informata. Si intuisce dalla successiva conversazione del 22 novembre 2007 che tale soggetto era Raffaele Lombardo, all’epoca Presidente della Provincia di Catania”.
Incarbone: Ma tu con Fantola non ci puoi parlare?
Bissoli: Sì, questa è una cosa che io sto cercando di fare da sei volte che sto cercando di chiamare.
Incarbone: A Fantola hai cercato, pensavo a Zuncheddu…
Bissoli: No, a quello là ho provato una volta sola e il segretario mi ha detto che era impegnato ed altre cinque volte ho provato a chiamare a Fantola però, devi andare anche dal Capo ora a dirgli questa cosa.
La conversazione si chiudeva con Renzo Bissoli che rassicurava l’interlocutore estromesso dai lavori del centro commerciale di Catania con la notizia sull’avvenuta approvazione in commissione della variante al PRG per l’area della Plaja, suscitandone la piena soddisfazione: Uno a zero palla al centro....
“Tutti gli elementi sin qui esaminati consentono di affermare che tanto Mariano Cono Incarbone quanto Vincenzo Basilotta fossero imprenditori che operavano nell’alveo delle famiglie calatina e catanese di Cosa Nostra”, conclude la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania.“Emerge inoltre come fosse già predefinito il pacchetto di imprenditori incaricati della esecuzione dei lavori strutturali (sbancamento dei terreni, ecc.) e di altre analoghe operazioni commerciali (…) Tali imprenditori costituivano pertanto parte di un meccanismo nel quale convergevano gli interessi loro e di tutti gli altri soggetti coinvolti nella vicenda, ovvero di Cosa Nostra catanese, che avrebbe beneficiato del pagamento delle percentuali corrisposte dai predetti imprenditori/amici; del referente politico di turno, nel caso di specie il Lombardo, che garantiva l’esito positivo dell’iter amministrativo per il rilascio delle varie concessioni, ottenendo in cambio vantaggi per la propria carriera politica (voti e denaro per la campagna elettorale); del Ciancio Sanfilippo, che otteneva una rilevantissima plusvalenza dall’impiego dei suoi terreni, a vocazione agricola e dunque inutilizzabili per qualsivoglia altro scopo, per la realizzazione dell’operazione, resa possibile solo grazie all’intervento politico che ne ha modificato la destinazione urbanistica”.
Dieci anni dopo l’affaire Porte di Catania, alcuni dei protagonisti si ripresentano a Messina per chiudere finalmente una partita rimasta aperta da allora, la realizzazione nella zona sud di Fiumara-Zafferia-Tremestieri di un grande centro commerciale (una sessantina di negozi con parcheggio per 2.500 auto). A promuovere il progetto nel capoluogo dello Stretto c’è ancora una volta l’ImmobiliarEuropea S.p.A. di Milano per conto di Ceetrus Italy – Auchan. Il colpo di acceleratore all’ennesima cementificazione del territorio in nome del commercio selvaggio è stato dato prima dall’amministrazione Accorinti (assessore competente l’ingegnere Sergio De Cola, responsabile unico del procedimento, l’ingegnere Raffaele Cucinotta) e adesso dal sindaco Cateno De Luca. Lo scorso 28 marzo a palazzo Zanca l’ultimo incontro tra il vicesindaco Salvatore Mondello, il presidente della VI Commissione consiliare (Urbanistica) Biagio Bonfiglio e il presidente della società CCR S.r.l. (gruppo ImmobiliarEuropea) Carlo Ignazio Fantola “al fine di valutare l’iter di approvazione del progetto relativo al centro commerciale e al connesso raccordo autostradale”, come riporta il comunicato stampa emesso dal Comune di Messina.

Messina, processo Terzo livello. Il sistema Barrile & C. e le relazioni istituzionali dell’ex assessore De Cola

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Aula bunker del Tribunale di Messina, processo al Terzo livello che avrebbe condizionato negli ultimi anni la vita politico-amministrativa e alcuni affari nella città capoluogo dello Stretto. Sul banco degli imputati per differenti reati ci sono - tra gli altri - l’ex Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile (già Pd poi Forza Italia), il commercialista Marco Ardizzone, l’ingegnere Francesco Clemente, l’ex presidente dell’Azienda Meridionale Acque (Amam) Leonardo Termini, l’ex direttore generale dell’Azienda Trasporti di Messina (Atm) Daniele De Almagro, gli imprenditori Angelo e Giuseppe Perricone, il chiacchierato costruttore milazzese Vincenzo Pergolizzi, il pluripregiudicato Carmelo Pullia. Uno dopo l’altro depongono alcuni dei testimoni convocati dall’accusa. Tra essi c’è pure il cofondatore del Movimento Messinaccomuna, l’ex assessore comunale all’Urbanistica Sergio De Cola, uomo di punta dell’amministrazione con Renato Accorinti sindaco. Numerose le vicende su cui si soffermano il Pubblico ministero Fabrizio Monaco, la Presidente della corte Silvana Grasso, alcuni dei difensori degli imputati e i legali di parte civile: il presunto pressing di Emilia Barrile sugli uffici comunali per accelerare l’iter di pratiche urbanistiche e concessioni; l’altrettanto presunto pressing di cooperative e imprese vicine alla politica sulle aziende municipalizzate; le relazioni personali e istituzionali dell’ingegnere Sergio De Cola con alcuni degli imputati sotto processo. Pur tra i tanti adesso non ricordo, qualche tirata d’orecchi della pubblica accusa e più di un assist a favore dell’ex presidente del consiglio comunale, il racconto di De Cola rivela particolari inediti sul sistema Barrile & C. e su come questo abbia tentato di penetrare tra le maglie dell’ex amministrazione del cambiamento.
“Io sono un ingegnere libero professionista, sono stato assessore ai lavori pubblici della Giunta del comune di Messina per tutto il periodo dell’amministrazione precedente, da giugno 2013 a giugno 2018. Sono stato pure assessore alle politiche del territorio, ai rapporti con il consiglio per una parte di questo periodo, circa metà. E sempre per circa metà sono stato assessore all’innovazione tecnologica”, ha esordito Sergio De Cola al processo Terzo livello. “Sono stato autore di un esposto depositato l’1 agosto del 2016 innanzi alla sezione polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Messina. Ho denunciato il fatto che avevo la sensazione molto netta che nella società partecipata Amam, che come sapete, gestisce i nostri acquedotti e fognature, stranamente venivano fuori i nomi delle stesse ditte, cioè si ripetevano in modo irrituale. Cercai di dire le cose che sapevo in quel momento. Ho denunciato questo come principio e, adesso non ricordo esattamente i dettagli, feci anche un esempio citando una ditta che aveva avuto due affidamenti in brevissimo tempo. Mi ricordo che citai con date e circostanze questi affidamenti ma poi queste ditte in realtà ne avevano di più. Erano lavori sicuramente inerenti la manutenzione di acquedotti e fognature perché mi ricordo la ditta in questione qual era ed è una che si occupa di questo. Era una ditta che faceva capo al signor Celesti, non so se il nome di essa poi fosse diverso. Questo caso aveva richiamato la mia attenzione perché nella gestione degli appalti nella pubblica amministrazione è normale seguire criteri di rotazione ed evidenza pubblica. Posso dire che nello stesso identico periodo come assessore ai lavori pubblici dove facevamo molti più appalti di quelli che non facesse l’Amam, questi criteri venivano seguiti anche per appalti piccoli. Tra l’altro stiamo parlando di lavori che non richiedono grandi specializzazioni per cui non credo sia giustificabile il fatto che fosse possibile il ricorso solo a una o due ditte. Che io sappia esisteva un elenco di ditte di fiducia presso l’Amam. Per la manutenzione di acquedotti credo che l’elenco sia di decine e decine di ditte. Questo esposto fa seguito al fatto che io frequentavo abbastanza Amam per seguire l’attività della società e mi resi conto che venivano fuori sempre questi stessi nomi di queste ditte, quindi guardai un po’ di carte e le citai nell’esposto”.
Due esposti dal basso in sette giorni
La convinzione dell’allora assessore De Cola a recarsi in Procura sarebbe stata rafforzata dalla presentazione di un esposto trasmesso agli organi competenti dal sindaco Renato Accorinti e dal Movimento Cambiamo Messina dal Basso la settimana prima  (26 luglio del 2016), dal titolo Il sistema Amam. Periodo preso in esame dal 2013 al 2016. Nell’atto i firmatari segnalavano “alcune anomalie” di cui si chiedeva di verificare la legittimità: il “ricorso sistematico ed esclusivo alle procedure di affidamento in economia (amministrazione diretta e cottimo fiduciario)” e alla “somma urgenza anche per lavori o acquisti che potrebbero rientrare nella manutenzione ordinaria”.
“Il mio esposto del primo agosto del 2016 si basa su dati e informazioni a cui avevo accesso nella mia qualità di assessore; l’Amam è incardinata presso il dipartimento lavori pubblici quindi era nella mia area di competenza”, ha riferito Sergio De Cola. “In esso confermavo le sensazioni derivanti dalla lettura dell’esposto già presentato poco tempo prima dal Movimento Cambiamo Messina dal Basso che aveva anche come oggetto l’Amam. Mi ricordo che esso si occupava in parte di un problema relativo a imprese che si occupavano della pulizia della sede dell’Amam e in parte anche a lavori. All’epoca avevo letto questo esposto, ma non avevo partecipato alla stesura o alla raccolta dei dati. Non so chi lo ha scritto fisicamente, posso immaginarlo però… Non sapevo neanche che fosse stato presentato, ne venni a conoscenza dopo aver presentato il mio perché dissi a Renato, al sindaco Accorinti: Ho maturato questa mia decisione di presentare un esposto. E lui mi disse: Guarda che Cambiamo Messina dal Basso, non ricordo se uno o due settimane fa, l’hanno presentato. Siccome loro per rafforzare la loro volontà di denuncia di cose che secondo loro non vanno, hanno chiesto a me di presentarlo. A me dispiacque questa cosa perché forse era opportuno che ne fossi informato, però… nulla quaestio… Del contenuto di questo esposto io non entro nel merito, non l’ho scritto io. Mi dispiacque molto il fatto che io non fui informato perché con i rappresentanti di Cambiamo Messina dal Basso comunque c’era una forte interlocuzione, è un movimento che ha accompagnato l’elezione del sindaco. Negli esposti comunque denunciavamo anomalie simili…”.
Interviene il Pm Fabrizio Monaco: - Lei nell’esposto dice: Preliminarmente va detto che per quanto a conoscenza dello scrivente l’elenco delle ditte di fiducia per interventi sull’acquedotto è costituito da molte decine di ditte, probabilmente più di cento”. Poi lei dice in prosecuzione: A fronte di questo dato che potrebbe garantire una gestione trasparente ed efficace in termini di ribassi offerti da un esame degli affidamenti si rileva che– dice alcune cose e poi – la distribuzione degli appalti è in pratica appannaggio di poche ditte. Oltre a questa anomalia denunciò lei altre circostanze che destarono il suo interesse, per esempio i ribassi?
Sergio De Cola: – Le due cose sono collegate perché se esiste un sistema che tende a favorire alcuni soggetti, a fare cartello, in qualche modo è chiaro che i ribassi poi sono molto contenuti. Ripeto, avendo io questa duplice veste, seguivo sia quanto avveniva ai lavori pubblici dove si fanno tantissime gare, sia quanto avveniva all’Amam. Le ditte sono molto simili, gli elenchi sono sempre quelli, sono piccole ditte che fanno lavori semplici e quindi comparavo anche il ribasso che avevamo per i lavori pubblici rispetto a quelli dell’Amam. Da questa comparazione emergeva il dato che i ribassi erano modesti.
Pm Fabrizio Monaco:– Oltre a queste due circostanze, con riferimento alle modalità di espletamento delle procedure di selezione del contraente, lei espresse le sue valutazioni dei suoi dati?
Sergio De Cola: – Adesso non ricordo bene ma credo di sì, perché differentemente da quanto faceva il dirigente dei lavori pubblici, il dirigente dell’Amam che all’epoca era l’ingegnere La Rosa, usava delle procedure di affidamento lavori che secondo me non erano il massimo della trasparenza: molto spesso facevano affidamenti diretti, ripetutamente alle stesse ditte. Essi spesso erano giustificati con l’urgenza perché se si rompe l’acquedotto bisogna ripararlo con immediatezza per non arrecare grave disagio a zone della città. Spesso ho sentito dire: No, dobbiamo intervenire subito, chiamiamo il tizio che è disponibile giorno e notte. Così ho riscontrato queste anomalie, cioè il mancato rispetto di un criterio di rotazione (…) L’altra anomalia era quella che, se non sbaglio, viene denunciata anche nell’altro esposto che riguardava le problematiche legate alle ditte di pulizie, però quella, devo dire, la seguivo molto poco”.
Pm Fabrizio Monaco:– Quindi lei riferì di circostanze anomale che riguardavano anche gli appalti relativi alla pulizia dei locali dell’Amam?
Sergio De Cola– Io ricordo nell’esposto di aver parlato dei lavori edili, non di quello…
Pm Fabrizio Monaco:– Le dico allora quello che lei ha dichiarato e ci dice se lo conferma o meno. Gli affidamenti solo raramente avvengono con procedura di gara che seguono le regole dell’evidenza pubblica. Questa modalità se è comprensibile per affidamenti derivanti da situazioni di urgenza, rotture improvvise, eventi calamitosi, danneggiamenti dovuti a cause esterne, le società che normalmente intervengono nella gestione di un acquedotto ormai vetusto e per cui si potrebbe comunque anche per questi procedere secondo il criterio della rotazione attingendo ad un albo di fornitori di fiducia, tuttavia non sono ammissibili per appalti relativi a pulizia locali, gestione dei serbatoi, lavori di colorazione o disinfezione…. Cioè per tutti quei lavori per cui è possibile programmare.
Sergio De Cola:– Sì, sì, confermo. Anche con riferimento agli appalti relativi a pulizia locali io ravvisai questa anomalia. In particolare credo che in quell’esposto mi riferivo al termine pulizia locali più che pulizia, quella classica che si intende… Ci fu un momento in cui ci rendemmo conto che gran parte dei serbatoi cittadini versavano in pessime condizioni igieniche…
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi però, ingegnere, lei magari poi preciserà quello che vuole, però lei fa riferimento a circostanze diverse. Lei dice: Non sono ammissibili per appalti relativi a pulizia locali, gestione dei serbatoi. Sono cose diverse… Poi in effetti fa riferimento a questa anomalia della ditta Celesti. Lei ha mai sentito parlare di una cooperativa che si chiama Universo e Ambiente? Le è nota una riferibilità di questa cooperativa alla signora Barrile?
Sergio De Cola:– Sì. So che era riferibile a lei. Ma non ho mai visto documenti. Era uno dei nomi delle cooperative che si occupavano di pulizie. Quando l’ho appreso sinceramente non me lo ricordo. Probabilmente nei primi anni del mandato.
Pm Fabrizio Monaco:– Quindi, scusi, quando lei fa questo esposto, in qualche modo dice: Guardate che ci sono delle cose che non funzionano negli appalti relativi alla pulizia locali. Lei intendeva riferirsi anche alla cooperativa Universo e Ambiente?
Sergio De Cola: – Immagino di sì.
Pm Fabrizio Monaco: – No, quello che immagina, guardi… quello che lei può aver dedotto sulla base di dati di fatto sì, quello che immagina se lo tenga per lei. Lo sa, non lo sa?
Sergio De Cola: – Io ricordo che il nome di questa ditta di pulizie, questa società era un nome ricorrente, questo lo ricordo bene.
Pm Fabrizio Monaco:– Quando lei apprende che questa cooperativa è in qualche modo riferibile alla signora Barrile?
Sergio De Cola: – Quando sinceramente non lo ricordo, l’ho appreso frequentando l’Amam, parlando con i dirigenti, con i funzionari. Loro avevano cognizione di questo… Sì, lo apprendo prima di fare questo esposto.
A questo punto dell’interrogatorio il teste Sergio De Cola si sofferma sulla sua relazione personale e istituzionale con il dottore commercialista Leonardo Termini, prima consulente a titolo gratuito dell’amministrazione Accorinti, poi presidente dell’Amam. Termini, come abbiamo visto è uno degli imputati al processo Terzo livello. Secondo l’accusa, Emilia Barrile e Leonardo Termini, congiuntamente a due dei più stretti collaboratori dell’esponente politica, il commercialista Marco Ardizzone e Giovanni Luciano, “con collusioni e altri mezzi fraudolenti” avrebbero turbato la gara per l’affidamento del servizio di pulizia degli immobili dell’Amam (con un importo di spesa pari a 85.535 euro più 18.817,70 di IVA), proprio alla cooperativa Universo e Ambiente.
Pm Fabrizio Monaco:– A corredo di questo esposto lei deposita una corposa documentazione, sono 14 allegati. La ricorda questa circostanza?
Sergio De Cola:– Ricordo che quando feci l’esposto andai a presentarlo insieme a Leonardo Termini che in quel momento era il presidente del consiglio di amministrazione di Amam e che mi disse: Io voglio venire con te così per qualunque informazione mi metterò a disposizione degli inquirenti. E mi ricordo che in quell’occasione, la funzionaria, era una signora, che raccolse questo mio esposto, disse al dottor Termini: Poi le chiederò una serie di documenti, di cose. Quindi non fui io a consegnare quegli allegati ma probabilmente li consegnò il dottor Termini successivamente. Con il dottore Termini parlai molte volte dei rapporti che lui aveva con la signora Barrile. Io sapevo, ne parlammo, che Leonardo, che il dottore Termini, conosceva la signora Barrile tramite l’amicizia che esisteva tra lei e la compagna del dottore Termini. Sapevo che la loro conoscenza era basata su questo dato… La compagna era l’avvocato Ardizzone, Elisa Ardizzone, che io ho conosciuto, incontrato più volte. Me l’ha presentata Leonardo perché è capitato che essendo in aula magari veniva lei, delle volte anche al Comune. Mi ricordo anche una volta di essere passato da casa loro”.
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi, com’è che questa relazione sentimentale tra Termini e Ardizzone legava poi Termini alla Barrile?
Sergio De Cola:– Quello che so io è che esisteva un’amicizia, una conoscenza, non so bene il livello, fra la signora Barrile e l’avvocato Ardizzone. Questa circostanza l’apprendo quando ho incominciato a lavorare con il dottor Termini, quando lui è diventato presidente del Cda in seguito alla nomina del sindaco Accorinti. Quindi io lavoravo con lui normalmente. C’era una relazione di convivenza tra Termini e questa donna.
Pm Fabrizio Monaco: – Quando lei si presenta alla polizia di Stato sa quindi che Termini è legato in qualche modo alla signora Barrile per via di questa Ardizzone.
Sergio De Cola:– Io so che la signora Barrile conosceva l’avvocato Ardizzone. Non so quale fosse il livello di confidenza che esisteva tra loro; so che si conoscevano, me lo disse Leonardo in più occasioni.
Per la cronaca l’avvocata Elisa Ardizzone, specializzata in diritto amministrativo e societario, è sorella del commercialista Marco Ardizzone, definito nell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta Terzo livello quale “persona con trascorsi giudiziari che lo collegano agli ambenti della criminalità organizzata messinese degli anni novanta”. Dal curriculum vitae della sorella Elisa si evince invece che essa è “legale di fiducia del Comune di Messina e di Società a partecipazione pubblica operanti nei settori dell’ambiente ed igiene urbana, della gestione del servizio idrico e della gestione integrata dei rifiuti”. Secondo quanto riportato in un’inchiesta della giornalista Rosaria Brancato di Tempostretto.it (7 giugno 2016), “dal gennaio 2015 al febbraio 2016 l’avvocata Ardizzone ha ottenuto in affidamento sette incarichi legali, per un importo complessivo di circa 20 mila euro, per rappresentare il Comune di Messina in una serie di ricorsi al Tar”. Le delibere d’affidamento sono state emesse tutte dalla Giunta guidata dal sindaco Accorinti. L’8 dicembre 2018 la professionista ha avuto affidato anche un incarico per rappresentare l’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Messina in un giudizio presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (compenso 1.500 euro).
Quella strana dimenticanza sulla coop della signora Emilia
Pm Fabrizio Monaco:– Ma Termini con lei si ebbe in qualche modo mai a lamentare del comportamento tenuto nei suoi confronti dalla signora Barrile? Termini le parlò dei suoi rapporti con la Barrile, di eventuali problemi che c’erano stati tra loro due?
Sergio De Cola:– Leonardo mi disse alcune volte che Emilia cercava di proporre queste sue ditte. Questa ditta Universo e Ambiente che si occupava di pulizia.
Pm Fabrizio Monaco:–Termini le parlò di altre imprese?
Sergio De Cola:– Adesso che io ricordi no, mi ricordo di questo fatto della ditta delle pulizie. Non ricordo sinceramente, direi una cosa che non ricordo. Non ricordo perché me ne parlò, non credo ad un proposito specifico; ripeto, essendo lui il presidente del Cda di Amam e io il suo assessore di riferimento, noi ci vedevamo due volte la settimana almeno, così, per confrontarci… Ci raccontavamo, lui mi raccontava, soprattutto lui a me, quello che succedeva e mi diceva se durante la settimana c’erano stati problemi e mi ricordo che qualche volta mi disse Emilia… Lui mi disse che cercava di andare sempre con la massima chiarezza negli appalti, negli affidamenti e mi disse che Emilia un po’ era presente però cercando di proporre questa sua società.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei viene a conoscenza dal dottore Termini che il presidente del consiglio comunale di Messina sostanzialmente ha un’impresa che fa affari con l’Amam. Questa cosa non è un pochino allarmante?
Sergio De Cola:– Allarmante?
Pm Fabrizio Monaco:– Visto che lei poi, tra l’altro, fa un esposto in cui fa riferimento a delle anomalie che riguardano tante cose ma anche appalti relativi a pulizia locali in cui ci sarebbe questa impresa… Ce la spiega questa cosa, vorrei capire.
Sergio De Cola:– Le chiedo scusa, forse non ho capito bene la domanda. Io le mie perplessità quando le ho maturate e quando mi sono sentito convinto di poter fare un atto grave come quello che ho fatto, questo esposto l’ho fatto. Scrivendo le cose, magari ora qualcosa non l’ho ricordato perché sono passati degli anni ma quella volta lo lessi molto attentamente prima di consegnarlo.
Nel corso dell’udienza, la Presidente dottoressa Silvana Grasso, il Pm Fabrizio Monaco e alcuni difensori degli imputati sono tornati a chiedere al teste ulteriori chiarimenti sull’esposto presentato in Procura e sulla documentazione allegata prodotta da Leonardo Termini.
Sergio De Cola:– Forse non l’ho detto chiaramente, io quando andai a fare l’esposto informai prima Renato, poi informai il dottore Termini e Leonardo mi disse: Vorrei venire con te se tu non hai nulla in contrario perché poi io sono il braccio operativo. Qualunque cosa hanno bisogno io voglio mettermi a disposizione. Quindi lui era con me quando andai a presentare l’esposto alla funzionaria, un ispettore, non so bene che ruolo avesse e Leonardo disse: Io qualunque documento…. Questa signora disse: Poi noi avremo bisogno di atti, di documentazione. E Leonardo disse: Io sono il presidente Cda di Amam, qualunque cosa voi me la chiedete io ve la darò.
Presidente Silvana Scolaro:– Lei quindi concordò con l’allegazione di quei documenti al suo esposto?
Sergio De Cola:– No. Io feci un esposto di due o tre pagine mi sembra, non di più e basta. Io portai solo quello. Gli allegati in realtà furono depositati da Termini. Contestualmente all’esposto…
Presidente Silvana Grasso:– Aspetti un attimo. Il funzionario ha detto: Noi avremo bisogno. Termini dice: Vengo, così se c’è bisogno sono pronto qua a fornire i documenti.
Sergio De Cola:– Sì. Io ricordo che Leonardo quella volta aveva portato un po’ di documenti con sé, sinceramente non ricordo se li depositò. So perché lui me lo disse più volte che era tornato perché gli avevano chiesto ulteriore documentazione. E l’aveva depositata lui.
Pm Fabrizio Monaco:– Magari se ci vuole spiegare meglio perché noi abbiamo qui un verbale dell’1 agosto 2016 ore 17,50 presso gli uffici della sezione polizia giudiziaria della polizia di Stato. Si dà atto che si presenta lei in questa circostanza, consegna un esposto sulla gestione degli appalti dell’azienda Amam che consta di tre pagine sottoscritte dal medesimo. Unitamente all’esposto il denunziante De Cola Sergio consegna copia di atti relativi a n. 14 gare d’appalto svoltasi nell’anno 2016 con riserva di integrare la documentazione a supporto di quanto esposto in denunzia.
Presidente Silvana Grasso:– Quindi contestualmente da quello che si evince da quanto letto dal Pubblico Ministero. Parliamo dei 14 documenti che sono stati indicati come allegati all’esposto ma in realtà lei dice depositati da Termini…
Sergio De Cola:– Sì, eravamo insieme ma, diciamo, li aveva Leonardo. E’ un fatto che non ricordo bene perché lui mi disse che nel tempo più e più volte era tornato, quindi adesso non ricordavo se anche in quella prima occasione avesse depositato dei documenti.
Presidente Silvana Grasso:– Un chiarimento su quello che lei aveva detto prima. Lei ha fatto riferimento alla presentazione del suo esposto e al fatto di averne parlato con Accorinti. E che Accorinti le ha reso noto che c’era stato questo altro precedente esposto. Però nel suo, sembrerebbe da quello che si diceva prima, che lei faccia riferimento a questo precedente e manifesta una certa condivisione. Ci spieghi la tempistica esatta di questi passaggi.
Sergio De Cola:– Certo. Ovviamente io lì agivo come assessore, perché ho avuto una delega dal sindaco, quindi un’azione così importante prima di compierla l’ho condivisa col sindaco. Gli ho detto: Renato, io ho fatto questo esposto. Glielo feci leggere, lui mi disse: Guarda che anche Cambiamo Messina dal Basso poco tempo fa ha preparato questo altro esposto. Me ne diede copia, io lo lessi ovviamente e probabilmente prima di andarlo a depositare integrai richiamando…
Presidente Silvana Grasso:– Fece qualche integrazione prima di depositarlo materialmente?
Sergio De Cola:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Risulta, ingegnere, che lei in quella stessa data, l’1 agosto del 2016 alle 17,52 consegna, ci ha spiegato come, una documentazione che viene riepilogata in 14 punti. L’ultimo punto è un verbale di somma urgenza del 27 aprile 2016 e dell’8 giugno… In realtà ci sono delle correzioni a penna. 8 maggio. Lei questa documentazione l’ha consultata?
Sergio De Cola:– In parte. Dovrebbero essere atti ufficiali dell’Amam.
Pm Fabrizio Monaco:– Sì. Vorrei capire una cosa e vedere se lei ci sa dare una spiegazione. Lei fa una denuncia in cui dice: Guardate che ci sono una serie di cose che non funzionano. Tra le cose che non funzionano dell’Amam ci sono anche gli appalti relativi alla pulizia dei locali. In questa documentazione, io l’ho letta velocemente ma mi pare che sia così, consegnata in 14 punti, non ci sono dei verbali che riguardano i lavori di pulizia dei locali dell’Amam. Come si spiega questa cosa? Cioè lei si affida a Termini e non gli chiede: Leonardo, siccome io qua nell’esposto ho detto che, tra l’altro, ci sono, mi puzzano appalti relativi a pulizia locali. Li abbiamo fatti avere alla polizia gli atti che riguardano anche questi appalti?
Sergio De Cola:– Io ricordo bene che il focus principale, soprattutto per me, era quello relativo agli appalti di lavori anche per gli importi in gioco, per parecchi motivi. Del problema degli appalti delle pulizie se ne era parlato più volte con Leonardo perché lui mi evidenziava… Chiedo scusa, io lo chiamo Leonardo per confidenza, il dottore Termini, perché lui più volte mi aveva detto di questa pressione per continuare a lavorare con questa ditta, ne avevamo parlato molte volte… Con Universo e Ambiente. Ne avevamo parlato più volte, eravamo concordi sul fatto che questa fosse un’anomalia. Quando andammo a presentare l’esposto, probabilmente su mia richiesta lui aveva preparato una documentazione solo relativa ad appalti di lavori pubblici, lavori edili. Non di pulizia.
Pm Fabrizio Monaco: - Nei quali è coinvolta una cooperativa che fa capo al presidente del consiglio comunale di quel momento. Per quale ragione? Politica? Ce la spieghi lei, per quale ragione, se c’è una ragione.
Sergio De Cola:– Guardi, le ripeto, non credo che ci sia una ragione specifica. Tra l’altro, essendo un primo contatto che aprivo con questa denuncia nella mia qualità di assessore era, come dire, focalizzato fondamentalmente sui lavori edili però sapevamo già che c’erano delle altre cose che non ci convincevano e quindi mi convinsi a scriverlo nell’esposto. Tra l’altro andando lì lo stesso dottore Termini si mise a disposizione di questa ispettrice che c’era, dicendo che qualunque documento potesse essere utile, lui glielo avrebbe poi prodotto. Non c’era una ratio nello scegliere un documento piuttosto che un altro. Probabilmente erano gli ultimi appalti di quel periodo, adesso non so le date, non le ricordo ma come logica…
Controesame dell’avv. Paratore, difensore di Giovanni Luciano: – Che lei sappia la Universo Ambiente ha avuto affidamenti diretti dall’Amam o inviti a partecipazione a gara?
Sergio De Cola:– Io questo non lo so ma credo che abbia avuto inviti a partecipazione a gara però non posso essere sicuro. Ricordo inviti, però ripeto è la struttura operativa non la struttura politica che invita le ditte quindi potrei dire una cosa….
Avv. Paratore:– Per la pulizia dei locali Amam lei sa quante aggiudicazioni ha avuto la Universo Ambiente?
Sergio De Cola:– No, il numero esatto non lo so.
Avv. Silvestro, difensore di Emilia Barrile:– Lei nell’esposto ha fatto riferimento a questa sua contezza, ha fatto riferimento alla Universo Ambiente come momento di criticità all’interno dell’Amam?
Sergio De Cola:– Ricordo che nell’esposto io non feci il nome della Universo Ambiente, ricordo che l’unico nome che feci era quello della ditta Celesti. Lo ricordo perché mi sembrò impegnativo scrivere un nome.
Avv. Silvestro: – La circostanza che ha riferito relativa alla partecipazione della Universo e Ambiente sempre attraverso la procedura degli inviti a gara era già a sua conoscenza nel momento in cui ha presentato l’esposto?
Sergio De Cola:– Sì, sapevo che c’era questa ditta, questa società che…
Avv. Silvestro:– Quindi nel momento in cui lei fa riferimento ad affidamenti diretti non voleva fare riferimento alla Universo e Ambiente in quell’esposto.
Sergio De Cola:– No, io nell’esposto, ripeto, mi focalizzai fondamentalmente sugli aspetti relativi a lavori di edilizia, di manutenzione che erano importi…. Quello era il mio focus principale, poi citai anche altre cose.
Nel corso della sua deposizione l’ingegnere Sergio De Cola ha omesso tuttavia di ricordare che il nome impegnativodella cooperativa nella disponibilità di Emilia Barrile ricopriva invece un ruolo centrale nell’esposto sugli affidamenti Amam presentato da Cambiamo Messina dal Bassocongiuntamente al sindaco Renato Accorinti. In quel documento si segnalava testualmente “l’affidamento ad alcune ditte di trasparenza sospetta (vedi Soc. Cooperativa Universo e Ambiente” e si allegava a supporto un articolo stampa pubblicato il 25 marzo 2014 da Tempostretto.it, relativo alle innumerevoli società in mano all’allora deputato del Pd Francantonio Genovese. In un passaggio dell’articolo si faceva espresso riferimento alla Universo e Ambiente: “la cooperativa ha sede in via Nicola Fabrizi n. 13, studio dell’avvocato Piero Cami e di Francantonio Genovese ed è amministrata da Giacomo Crupi, marito della cugina prima della Barrile. Il responsabile tecnico è Margherita Adamo, moglie di Francesco Costa, candidato Pd al V Quartiere nelle liste del Pd. I parenti della Barrile, dalla madre ai cugini di primo grado, partecipano all’atto costitutivo della coop, che annovera tra i dipendenti le figlie della Barrile, Rosaria e Stefania Triolo, dal 20 agosto 2013 al 31 agosto 2013. Alla Cooperativa Sociale Universo e Ambiente risultano inoltre anche contratti diretti con il Comune di Messina – Ato – per gli anni relativi al 2010, 2011 e 2012”. I contenuti dell’esposto furono resi pubblici dal Movimento nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella mattinata del 2 agosto 2016. “Abbiamo affrontato i nodi relativi ai vertici dell’Amam – ed in particolar modo alla figura di Leonardo Termini – evidenziando la necessità prettamente politica di dare seguito alle richieste di dimissioni avanzate dal Sindaco in seguito alle vicende giudiziarie che hanno visto protagonista lo stesso Termini”, dichiaravano i rappresentanti di CMDB neanche dodici ore dopo la sortita in Procura dell’assessore De Cola in compagnia dell’allora Presidente del Cda di Amam.   
L’azione di fuoco-firesull’Amam
Nel corso della sua deposizione all’udienza del processo Terzo livello, l’ex assessore Sergio De Cola è stato chiamato a rispondere anche sulla figura dell’imprenditore Sergio Bommarito, amministratore unico e principale azionista di Fire SpA, la società che si è occupa del recupero crediti stragiudiziale per conto dell’Azienda Meridionale Acque di Messina.
“Certo, ho sentito parlare dell’impresa Fire”, ha risposto De Cola. “Se non sbaglio uno dei suoi responsabili è il dottor Bommarito che però credo di non aver mai incontrato. Non ho mai appreso di rapporti correnti tra Bommarito e la signora Barrile”.
Pm Fabrizio Monaco:– No? In questi colloqui che lei ebbe con Termini, evidentemente di una certa fiducia se tra l’altro andate a fare una denuncia insieme o quasi, Termini non le parlò mai di questioni che riguardavano rapporti tra la signora Barrile e il signor Bommarito?
Sergio De Cola:– Termini mi parlò più volte delle problematiche legate alla Fire. Tra l’altro mi ricordo che esaminammo anche con Guido Signorino che all’epoca era vicesindaco, una corposa documentazione che lui aveva raccolto in merito al fatto che il meccanismo per il recupero crediti, perché Fire lavorava per Amam, era un meccanismo che alla fine dava un enorme vantaggio a questa azienda e il dottore Termini mi disse che la sua intenzione era quella di smettere di lavorare con Fire e provare a recuperare i crediti in altro modo perché riteneva che sarebbe stato più utile per l’azienda. A questo proposito ricordo che ci furono molti incontri, molte discussioni e che poi verso la fine del mandato in effetti riuscirono a non lavorare più con la Fire. Adesso gli atti non li ricordo se furono posti in essere dal Cda di Amam. Mi ricordo che Termini mi parlava degli incontri che lui aveva con i responsabili di Fire, che insomma facevano forti pressioni e dice: Se tu ci interrompi il contratto noi ti facciamo causa. Volevano non so quanti milioni. Era una discussione molto tesa e in effetti ricordo anche che alla fine la Fire riuscì a bloccare una parte dei conti di Amam per un pignoramento. Termini mi parlò che Fire avanzava dei soldi, cioè l’Amam doveva pagare la Fire (…) Non ricordo se lui mi disse che qualcuno gli avesse fatto pressioni… Mi ricordo che mi spiegò perché secondo lui bisognava mandare via Fire, prendevano troppi soldi, c’era tutto un contenzioso tra quello che Fire voleva da Amam e quello che Amam invece avrebbe dovuto avere da Fire secondo questi conteggi…
Controesame dell’avv. Gullino, legale di parte civile Amam:– Sa se pure a seguito del suo esposto è iniziata un’indagine amministrativa all’interno dell’Amam per comprendere un po’ le anomalie che lei aveva verificato?
Sergio De Cola:– Non so bene cosa intendere per indagine amministrativa, ricordo che il dottore Termini mi disse che lui stava raccogliendo tutte queste carte perché era sua intenzione procedere per fare chiarezza.
Avv. Gullino:– Quindi lei non sa se ci sono state delle indagini amministrative chiedendo ai dirigenti come mai queste anomalie?
Sergio De Cola:– No.
Avv. Gullino:– Dopo si è posto un po’ di rimedio alle turnazioni negli appalti o è rimasto tale e quale a prima del suo esposto?
Sergio De Cola:– Io ricordo che questa situazione…. Vorrei spiegare, se mi è possibile, qual è il modo con cui un assessore si rapporta con una partecipata. Io andavo ai consigli di amministrazione, quando mi invitavano, andavo sempre all’assemblea perché rappresentavo il socio unico perché la Amam è una società totalmente partecipata dal Comune di Messina. Quindi io rappresentavo la proprietà, diciamo. E davo quello che doveva essere un indirizzo; per quanto attiene lo sviluppo doveva essere l’azienda a porre in essere atti e procedure per seguire questo indirizzo. Mi ricordo che io dissi in questi incontri che c’erano sia formalmente, sia informalmente, che bisognava guardare queste cose, perché accadevano queste cose e sia il direttore che prima era l’ingegnere La Rosa e poi per un periodo ci fu un giovane ingegnere che lo sostituì perché La Rosa andò in pensione, e dicevano che loro si stavano attrezzando per far sì che la situazione si normalizzasse anche se loro ritenevano, questo lo ricordo bene, sia l’ingegnere La Rosa, sia l’ingegnere Cardile che era quello che per un periodo fece le funzioni di direttore, che il dare questi appalti con affidamenti diretti era una cosa fattibile, nelle maglie della normativa. Io personalmente dissi che al Comune, lavori pubblici, seguivamo procedure differenti. Quando il Comune fa un appalto per la manutenzione strade si presentano trecento ditte. Ma sono quasi le stesse che fanno poi, che sono nell’albo dell’Amam perché sono lavori semplici però al Comune il dirigente ai lavori pubblici ha messo in atto un meccanismo, un sistema, una procedura per cui effettivamente è difficilissimo anzi è praticamente impossibile che la stessa ditta prenda lo stesso appalto alla prossima gara anche per appalti sotto soglia… L’unica differenza vera è che quando facciamo manutenzione strade o illuminazione o problemi di tombini o che so io, raramente o quasi mai c’è un problema di urgenza. Invece al contrario in Amam anche per una scarsa attitudine alla programmazione che l’azienda aveva, molto spesso si arrivava in affanno, era necessario fare il lavoro perché se si rompe una fognatura il quartiere si riempie di liquami, è una cosa da evitare in tutti i modi, quindi bisogna intervenire immediatamente.
Avv. Gullino: – Quindi in buona sostanza anche dopo le sue segnalazioni e il suo esposto in effetti in Amam non è avvenuto niente di nuovo, hanno continuato quel modus che vi era precedentemente.
Sergio De Cola:– Diciamo che è avvenuto poco, forse doveva avvenire di più.
I lidi e i parcheggi fantasma di Capo Peloro
Altro tema spinoso al centro della deposizione fiume di Sergio De Cola quello delle concessioni per i lidi balneari nella supergettonata area di Capo Peloro.
“Sulle questioni relative ai lidi balneari me ne sono occupato come assessore, certamente”, ha dichiarato il professionista messinese. “Ricordo in questo contesto di un interessamento della signora Barrile. Nella primavera, non ricordo se era aprile o maggio del 2017, Emilia mi chiese, la signora Barrile chiedo scusa, mi chiese se era possibile accelerare l’iter che era incardinato presso il dipartimento edilizia privata relativa alla concessione di un lido a Capo Peloro. Se non sbaglio è quello lì che si chiama La Punta, ma io con i nomi non vado bene”.
Pm Fabrizio Monaco:– E lei che fece?
Sergio De Cola: – Assolutamente nulla. Le dissi che gli uffici avrebbero fatto il loro lavoro come facevano sempre. Tra l’altro quello era un periodo in cui riuscivamo ad evadere le pratiche in tempi ragionevoli, quindi… Questo intervento avvenne all’interno del Comune sicuramente perché io e la signora Barrile abbiamo le nostre occasioni di incontro in consiglio, nel corridoio, al bar, nella casa comunale.  
Pm Fabrizio Monaco:– Ma il Comune con riferimento a queste procedure che ruolo ha?
Sergio De Cola:– Questa è una domanda molto interessante perché il regime esistente ancora oggi messo in piedi dalla Regione Siciliana per concedere le concessioni a chi vuole aprire un lido nonostante la Regione abbia chiesto, ma da prima dell’amministrazione Accorinti, che fossero redatti i cosiddetti piani spiaggia che sono degli strumenti di pianificazione urbanistica che si occupano della parte demaniale regionale, quindi la spiaggia vera e propria, e nonostante il Comune di Messina prima che arrivassimo noi come amministrazione avesse già mandato a Palermo questo piano spiagge, PUDM, Piano di Utilizzo del Demanio Marittimo, l’Arta, l’Assessorato regionale territorio e ambiente, prima prorogò tutte le concessioni esistenti fino al 2020 e poi con una serie di circolari in pratica arrogò a sé il diritto di concedere o no. Per cui è successo più volte che il Dipartimento edilizia privata dava un parere contrario e diceva: Qui non si può fare perché il nostro piano spiagge prevede fruizione libera, per esempio, e poi invece la Regione dava la concessione. Con riferimento a questo lido, ricordo abbastanza bene il tenore di questo parere perché cercavo di seguire il lavoro degli uffici e in particolar modo sul piano spiagge abbiamo fatto più di un incontro a Palermo chiedendo di restituircelo approvato, modificato comunque per dare al Comune uno strumento pianificatorio valido, ma non ci siamo riusciti. Gli uffici mi fecero vedere una serie di pratiche per cui avevano emesso parere contrario e mi ricordo di questa pratica per un motivo preciso perché in un’area particolarmente preziosa, prestigiosa, che è proprio Capo Peloro. E mi ricordo che questa era una di quelle per cui gli uffici avevano trovato una serie di elementi che non andavano bene. Adesso il dettaglio non lo ricordo ma il problema era sempre quello, cioè spesso dei concessionari per tentare di avere comunque un parere positivo dicono: Metterò una pedana, quattro ombrelloni e due sdraio. Gli uffici magari danno un parere positivo per questo tipo di istallazione e poi quelli costruiscono di fatto bar, ristoranti… Immagino che anche in quel caso, anzi ne sono sicuro, che il problema sarà stato questo.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei si è occupato di questioni concernenti l’istituzione di un’isola pedonale a Torre Faro?
Sergio De Cola:– No.
Pm Fabrizio Monaco:– Ha appreso che vi era una problematica di questo genere, cioè qualcuno se ne occupava?
Sergio De Cola – Se ne occupava Cacciola che era l’assessore alla mobilità ed era lui che seguiva le tematiche relative alle isole pedonali. Mi ricordo di aver sentito Tanino in più occasioni parlare della problematica delle isole pedonali che tra l’altro era un tema che a noi stava molto a cuore, ma non sono in grado di…
Pm Fabrizio Monaco:– Sa se fu fatta o no questa isola pedonale a Torre Faro?
Sergio De Cola:– No, non glielo saprei dire, non lo so.
Pm Fabrizio Monaco:– Sa in che area avrebbe dovuto essere istituita questa isola pedonale?
Sergio De Cola:– No, non lo so.
Pm Fabrizio Monaco:– I luoghi li conosce lei?
Sergio De Cola:– Sì, certamente.
Pm Fabrizio Monaco:– Non sa dire dove fosse?
Sergio De Cola:– No, no, non lo so dire, probabilmente ho anche visto qualche volta qualche planimetria ma non la ricordo, non era nelle mie competenze e avevo tante cose in testa. Io credo che la citazione, il richiamo che lei fa è relativo al fatto che attorno a quel lido il primo anno che noi istituimmo il famoso servizio di navetta praticamente gratuita che faceva la spola tra il parcheggio delle Torri Morandi che avevamo recuperato e portava le persone a fare il bagno e poi le riprendeva, lì fu messa questa segnaletica orizzontale, le cosiddette strisce blu a pagamento molto elevato, ricordo due euro l’ora proprio perché volevamo che le persone usassero il bus, però non era un’isola pedonale. Mi ricordo che lì invece ci furono più e più episodi di macchine che ignoravano totalmente questa proibizione, intervento dei vigili, però di isola pedonale no. Cercammo di regolamentare, di minimizzare l’afflusso di macchine utilizzando il sistema parcheggio e navetta. Questo lo ricordo ma di isola pedonale no.
Controesame dell’avv. Silvestro:– In riferimento a quanto lei ha detto sull’interessamento della signora Barrile per le concessione dei lidi, spettava al Comune il rilascio della concessione o di un solo parere?
Sergio De Cola:– Un parere.
Avv. Silvestro:– Le spiegò la prima volta che la signora Barrile si presentò da lei qual era l’esigenza che la stessa manifestava? Cioè, c’era una ragione per la quale perorava questa causa?
Sergio De Cola:– No, mi chiese se era possibile accelerare l’iter di questa pratica, non mi disse il motivo.
Avv. Silvestro:– Perché lei nel verbale del 7 agosto 2018 testualmente riferisce: Ricordo che in un caso la Barrile mi aveva sollecitato il rilascio di alcune concessioni per lidi balneari di cui non ricordo il nome sostenendo come fossero iniziative idonee a creare posti di lavoro. Lei ha anche detto che è capitato che in relazione ad alcune richieste di parere o di concessione, il Comune, il dipartimento, ha rilasciato dei pareri negativi. Ma la signora Barrile le chiese di rilasciare pareri positivi o solo di evadere l’iter procedimentale?
Sergio De Cola:– Mi chiese di accelerare l’iter della pratica, non mi chiese espressamente ma immagino che… Mi chiese solo di accelerare l’iter della pratica.
Avv. Silvestro:– Perché questo è quello che lei ha riferito il 7 agosto. Ma questo interessamento del politico, del consigliere comunale o del presidente era un comportamento isolato della Barrile o a lei è capitato che anche altri politici si presentassero al suo cospetto a chiedere l’accelerazione di una pratica o di un’altra?
Sergio De Cola:– Diciamo che purtroppo la classe politica ancora in essere non solo a Messina è abituata sempre a chiedere un favore, un’accelerazione, un qualcosa, quindi devo dire che anche in questi cinque anni in cui ho fatto l’assessore tra l’altro con ruoli di grande importanza, appunto avevo l’edilizia privata, urbanistica, è facile immaginare che molti, soprattutto privati, venivano a chiedere di accelerare, eccetera, eccetera. Devo dire anche altri soggetti politici, consiglieri comunali, piuttosto che anche altri politici alle volte hanno chiesto qual era lo stato di quella pratica o di quel lavoro.
Avv. Silvestro:– Perfetto ingegnere, allora le chiedo la differenza del comportamento di questi politici e di quello della Barrile. Lei la coglieva o era un comportamento, anche se malcostume ma comunque identico?
Sergio De Cola:– Vorrei dire che forse le interlocuzioni che ho avuto con la signora Barrile erano un po’ più mirate, un po’ più precise. Faccio un esempio per spiegarmi bene. L’asfaltatura delle strade è una delle tragedie che ci attanaglia. Moltissimi consiglieri comunali venivano a chiedere: Facciamo Portella, Le Masse, Mortelle, Spartà. Pressando anche però, forse rappresentando più un interesse pubblico cioè: Fammi quell’impianto di illuminazione a Castanea o l’asfalto a Santa Marinella. Forse anche qualcun altro ha chiesto delle cose specificatamente più personali.
Avv. Silvestro:– Quindi non era solo la Barrile.
Sergio De Cola:– No.
Avv. Silvestro:– Nel momento in cui alla richiesta della Barrile, andiamo sempre sull’aspetto del lido, la signora Barrile si è interessata solo in quell’occasione in cui ne parlò con lei oppure in altre? Ritornò la Barrile a perorare la causa di questo lido o soltanto in un’occasione venne e le disse: Guarda se puoi accelerare il rilascio di questo parere...
Sergio De Cola:– Di questo lido ricordo che me ne parlò una sola volta.
Avv. Silvestro:– Una sola volta. Questo lo ha detto anche il 7 agosto: Ricordo che Barrile si è interessata solo in quell’occasione e in seguito non mi ha mai chiesto più nulla in merito.
Sergio De Cola:– Sì, ricordo questo.
Avv. Silvestro:– Ha avuto un effetto l’interessamento della Barrile?
Sergio De Cola:– Assolutamente no.
Presidente Silvana Grasso:– Quando la signora Barrile si rivolse a lei per intervenire sulla questione del lido, ma lei il parere lo aveva già espresso o no?
Sergio De Cola:– Il parere lo esprimono gli uffici e non io. Non ricordo, però forse sì, non lo ricordo.
Presidente Silvana Grasso:– Se lei mi dice che lo aveva espresso vorrei capire se era positivo o negativo.
Sergio De Cola:– Il parere era negativo, me lo ricordo bene. Lo dicevo prima, con gli uffici cercavo di seguire la tematica… Ricordo che l’ufficio aveva riscontrato irregolarità in quello che c’era. Io adesso non ricordo quando avvenne l’incontro su questo tema con Emilia Barrile, il periodo era quello. Era primavera…
Presidente Silvana Grasso:– Ma se il parere è già negativo non è un problema di accelerazione di una pratica.
Sergio De Cola:– Purtroppo non… Il parere sicuramente sarà datato perché è un documento che si può avere. Non ricordo il mio incontro, questa discussione con Emilia Barrile avvenne prima a dopo, mi ricordo che questo parere faceva parte di quel gruppo di pareri negativi e anche specificamente per questo e per un altro, erano state riscontrate delle difformità importanti e addirittura gli uffici andarono lì a fare un sopralluogo con i vigili urbani per accertare.
Presidente Silvana Grasso:– Però non sa se prima o dopo.
Sergio De Cola:– Io sinceramente no, il periodo era quello perché era la primavera del 2017, le ditte presentano i pareri a febbraio-marzo per averli a maggio-giugno.
Clienti in gara per lo scavalco in graduatoria
“In merito all’assegnazione dei cosiddetti alloggi sociali ricordo bene che Emilia, anche perché io in una…., mi sembra per il primo anno, anno e mezzo del mandato mi occupai anche del dipartimento politica della casa, il cosiddetto risanamento”, ha aggiunto l’ex assessore De Cola. “Facemmo le graduatorie con molta fatica. Mi ricordo che Emilia spesso mi chiedeva se questa persona o quell’altra poteva o no avere diritto alla casa, se potevano entrare in posizioni utili in graduatoria. Mi chiedeva solo se era possibile fare avere casa a determinate persone però… Far avere un alloggio a dei soggetti, a delle famiglie…”
Presidente Silvana Grasso:– Ma scusi, non c’erano degli elenchi?
Sergio De Cola:– Assolutamente sì, c’era una graduatoria che noi avevamo fatto poco dopo il nostro arrivo, autunno del 2013.
Presidente Silvana Grasso:– Quindi bastava guardare la graduatoria?
Sergio De Cola:– Certamente.
Presidente Silvana Grasso:– Perché glielo chiedeva?
Sergio De Cola:– Questo non lo so ovviamente. Non lo so, forse perché voleva che queste persone avessero casa perché probabilmente…
Presidente Silvana Grasso:– Sì, questa è l’aspirazione di tutta la graduatoria.
Sergio De Cola:– Non era neanche un fatto originale devo dire.
Presidente Silvana Grasso:– Dico, se rientravano nella graduatoria di quelli che potevano aver casa era un dato di fatto.
Sergio De Cola:– Certamente.
Presidente Silvana Grasso:– Se erano al di fuori di quel numero…
Sergio De Cola:– Erano al di fuori.
Presidente Silvana Grasso:– Erano al di fuori. Quindi perché glielo chiedeva? Io questo non riesco a capire, non lo chiedo a lei di formarsi una convinzione, non voglio sapere la sua convinzione, io voglio sapere il fatto materiale: come glielo proponeva?
Sergio De Cola:– Me lo proponeva molto semplicemente…
Presidente Silvana Grasso:– Posto che si trattava di persone fuori o dentro la graduatoria, come si poneva il discorso?
Sergio De Cola:– Il discorso, come tutti i discorsi della signora Barrile, sono molto diretti perché la signora Barrile è una persona molto aperta.
Presidente Silvana Grasso:– Proprio perché sono diretti le chiedo chiarezza.
Sergio De Cola:– Lei diceva: Per la famiglia XY possiamo far avere una casa, hanno problemi, il bambino malato, il nonno che sta male. E io rispondevo come sempre: Se sono in graduatoria arriveranno, sennò speriamo di trovare più case, speriamo di trovare più soldi, se magari invece di avere 10 alloggi ne avremo 20, magari 100. Questo era il dialogo.
Pm Fabrizio Monaco:– Le fu chiesto di intervenire su questa graduatoria?
Sergio De Cola:– No, no.
Pm Fabrizio Monaco:– Va bene. A contestazione Presidente, lei è stato sentito il 7 agosto del 2018 innanzi ad appartenenti la Dia di Messina. Domanda: In merito agli alloggi sociali, ha mai la Barrile effettuato delle pressioni al fine di favorire l’assegnazione di una famiglia rispetto ad altri in graduatoria?, lei risponde: Sì, più volte la Barrile mi ha sollecitato in tal senso chiedendomi di favorire un nucleo familiare facendolo scavalcare di rilevanti posizioni dalla graduatoria al fine di fargli ottenere l’assegnazione. Alle sue reiterate richieste ho sempre in modo categorico risposto che non era possibile essendo la graduatoria per l’assegnazione di alloggi generata da dati oggettivi che non potevano essere modificati. Non ricordo di chi mi abbia chiesto di agevolare la pratica. Che è un po’ diverso da quello che lei ha detto ora.
Sergio De Cola:– Veramente mi sembra uguale.
Pm Fabrizio Monaco:– No, è molto diverso perché io le ho chiesto se la signora Barrile le aveva chiesto di intervenire sulla graduatoria, lei ha detto di no, qui dice invece: Facendolo scavalcare di rilevanti posizioni dalla graduatoria al fine di fargli ottenere l’assegnazione. Che è un po’ diverso. Poi se per lei non è diverso ce lo dice e noi ne prendiamo atto.
Sergio De Cola:– Secondo me non è diverso e provo a spiegare il perché.
Presidente Silvana Grasso:– Ma quello che le ha letto il Pubblico Ministero lo conferma o non lo conferma?
Sergio De Cola:– Sì, lo confermo completamente. Dicevo prima che la signora Barrile è una persona molto diretta per cui lei mi chiedeva: C’è la famiglia X, proviamo a fargli avere una casa; io magari chiedevo: Ma a che posto sono in graduatoria?; 400; Ma non è possibile. La discussione era questa per cui probabilmente quando poi sono stato sentito dalla Dia ho detto che magari lei avrebbe voluto che io alterassi la graduatoria, ma cosa che non è mai avvenuta.
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi, lei è nella mente della signora Barrile? Lei era nella mente della signora Barrile? Come faceva ad ipotizzare quello che la Barrile intendeva? Lei qui dice: Più volte la Barrile mi ha sollecitato in tal senso chiedendomi di favorire un nucleo familiare facendolo scavalcare di rilevanti posizioni dalla graduatoria al fine di fargli ottenere l’assegnazione.
Sergio De Cola:– Sì, sì, lo confermo, è così.
Pm Fabrizio Monaco:– Dico, non sono ipotesi, cose che lei ipotizzava, le fu detta questa cosa?
Sergio De Cola– Lo confermo.
Controesame dell’avv. Silvestro:– Lei ha fatto riferimento all’esistenza di una graduatoria. Il Sindaco o comunque la giunta aveva potere di agire in deroga alla graduatoria?
Sergio De Cola:– Solo il sindaco può agire in deroga alla graduatoria. Il regolamento dà la possibilità che in casi eccezionali documentati il sindaco può andare in deroga.
Avv. Silvestro:– La Barrile chiese il suo intervento o che lei veicolasse la sua richiesta al sindaco, se lo ricorda?
Sergio De Cola:– La signora Barrile parlava con me e quindi chiedeva a me.
Avv. Silvestro:– Parlava con lei ma sapeva che era solo il sindaco che poteva fare l’intervento.
Sergio De Cola:– Sicuramente io glielo avrò anche detto ma lei lo sapeva benissimo che l’unica possibilità in deroga era in mano a Renato.
Avv. Silvestro:– Quante volte le chiese la signora Barrile, una, due, tre volte una cosa del genere?
Sergio De Cola:– Alcune volte, quattro o cinque.
Avv. Silvestro:– Sempre per la stessa persona, per lo stesso nucleo familiare o per persone diverse?
Sergio De Cola: – No, ricordo soggetti diversi.
Avv. Silvestro:– Le rappresentò particolari esigenze di gravità e urgenza?
Sergio De Cola:– Sì, quasi sempre perché quello è l’unico motivo che può far leva…
Avv. Silvestro:– Quindi sostanzialmente rappresentava situazioni che potevano essere attivate in deroga?
Sergio De Cola:– Questo io non lo so perché non conoscevo le reali condizioni di quelle famiglie…
Avv. Silvestro:– Le chiedo scusa, ma al di là delle sue conoscenze ma nel momento in cui la signora Barrile si relazione con lei e le rappresenta situazioni di urgenza e gravità evoca la procedura finalizzata al rilascio di un’assegnazione in deroga. E’ così sì o no?
Sergio De Cola:– Sì.
Avv. Silvestro:– In quel periodo storico il sindaco aveva assegnato immobili comunali in deroga alle graduatorie?
Sergio De Cola:– Ricordo che fece un paio di assegnazioni in deroga, sì. I nominativi no...
Avv. Silvestro:– Lo fece per alcune famiglie rom?
Sergio De Cola:– Io questo non lo so perché quando scattava questa procedura della richiesta il gabinetto del sindaco raccoglieva tutta una documentazione attestante la gravità della malattia, se era malattia, o di una condizione sociale particolarmente disagiata. Però erano valutazioni che il sindaco faceva.
Avv. Silvestro:– Perfetto. Lei queste richieste della signora Barrile le ha mai veicolate al sindaco?
Sergio De Cola:– No.
Avv. Silvestro:– Ma nel momento in cui lei le rappresentò l’impossibilità anche di accettare il confronto con questa procedura in deroga, ebbe un atteggiamento pressante, di scontro anche a livello politico con lei o assunse soltanto un atteggiamento passivo?
Sergio De Cola– No, non ci fu un atteggiamento di scontro.
Avv. Silvestro:– Prese atto del suo diniego e fece un passo indietro e ritornò dopo con un’altra famiglia.
Sergio De Cola:– Esatto.
Presidente Silvana Grasso:– In relazione alla vicenda della graduatoria, vorrei capire, le pratiche relative a queste sollecitazioni erano state inoltrate o non lo sono state mai per poter superare la… Visto che c’era una procedura molto particolare che doveva essere attivata dal sindaco, volevo sapere se quelle sollecitazioni che sono state rivolte a lei sono state accompagnate dal deposito di una documentazione, di qualcosa che dovesse supportare una richiesta formale o se non ci fu.
Sergio De Cola:– Le richieste di agire in deroga alla graduatoria andavano consegnate direttamente al sindaco per cui io se è stato fatto non lo so perché non passava per i miei uffici. Ma moltissime richieste di agire in deroga vengono fatte al sindaco normalmente.
Presidente Silvana Grasso:– Ma lei non era destinatario normalmente?
Sergio De Cola:– No, non dovevo esserlo.
Presidente Silvana Grasso:– Non doveva esserlo, ma ne era comunque destinatario in qualche modo oltre che dalla Barrile, da parte di altri, oppure fu destinatario soltanto in questi casi di cui abbiamo parlato poc’anzi?
Sergio De Cola:– No, solo in questi casi.
Quel maledetto angolo di via Felice Bisazza
La conclusione della deposizione del teste è piena di vuoti di memoria, ma fra i non ricordo e i non lo so, Sergio De Cola rivela una sua antica conoscenza con un altro imputato eccellente del Terzo livello, l’ingegnere Francesco Clemente, amico fidato di Emilia Barrile, con trascorsi politici di peso nelle file della Dc prima, dell’Udc dopo.
Pm Fabrizio Monaco:– Ingegnere, lei ha memoria di una vicenda amministrativa concernente la sdemanializzazione di aree che si trovano in via Felice Bisazza?
Sergio De Cola:– No, quella è una cosa che stava al patrimonio, io non ho mai avuto responsabilità. Mi ricordo che se ne parlò più volte ma non… Di questa vicenda ricordo poco e male, ricordo che c’era un problema di un privato che voleva in qualche modo acquisire un’area. Credo che questo fosse il termine della questione. Non mi sono occupato di nulla perché non ho mai avuto responsabilità al demanio.  Non ho idea chi era questo privato. Forse l’ho anche sentito il nome ma non lo ricordo assolutamente.
Pm Fabrizio Monaco:– Ingegnere, più volte lei ha fatto riferimento alla signora Barrile chiamandola Emilia. Che rapporti c’erano tra di voi?
Sergio De Cola:– La signora Barrile era il presidente del consiglio. Io ero l’assessore ai rapporti col consiglio quindi inevitabilmente eravamo in dialogo, in contatto, un rapporto quasi quotidiano. Capitava che qualche giorno non ci vedevamo ma per il resto ci siamo visti praticamente ogni giorno per cinque anni, tre-quattro volte la settimana. C’era un rapporto sicuramente di confidenza.
Pm Fabrizio Monaco:– Visto che c’era questo rapporto di confidenza, lei ha avuto modo di cogliere una certa propensione della signora Barrile a dire bugie, a mentire? Specifico la domanda. Risulta da alcune conversazioni intercettate, indico i riferimenti: 9 luglio 2015, 18,50. Lei in quei giorni era a Messina?
Sergio De Cola:– Non lo ricordo, penso di sì.
Pm Fabrizio Monaco:– In questa conversazione con l’ingegnere Francesco Clemente la signora Barrile dice di aver parlato con De Cola, quindi di aver parlato anche con lei di questa vicenda della desmanializzazione di un lotto. Dice la verità o dice una bugia?
Sergio De Cola:– Io non lo ricordo ma è possibile. Magari ne ha parlato con me in quanto assessore ai lavori pubblici.
Pm Fabrizio Monaco:– Perché la signora Barrile avrebbe dovuto parlarne con lei?
Sergio De Cola:– Probabilmente perché pensava che essendo io assessore alle politiche del territorio, cioè all’urbanistica e ai lavori pubblici, potessi avere competenza su questa materia.
Pm Fabrizio Monaco:– Ho capito. Ricorda qualcosa di più di questa vicenda specifica?
Sergio De Cola:– No.
Pm Fabrizio Monaco:– Cosa la Barrile le disse, cosa lei riferì?
Sergio De Cola– No, sinceramente non me lo ricordo.
Pm Fabrizio Monaco:– Non se lo ricorda. Lei in effetti in quella seduta di Giunta in cui viene proposta ed approvata la delibera di cessione di quelle aree, vado a memoria, mi pare che fosse assente.
Sergio De Cola:– Non lo ricordo. Sì, sono assente.
Pm Fabrizio Monaco:– C’era qualche ragione particolare per cui lei fu assente, se lo ricorda?
Sergio De Cola:– No.
Pm Fabrizio Monaco:– Non se lo ricorda perché lei fu assente quel giorno in Giunta. O meglio, non vota quella delibera. E’ presente; lei ha ricordo di essere stato presente per altre circostanze o è assente durante tutta la riunione di giunta?
Sergio De Cola:– Adesso vado a memoria ma credo che l’agosto del 2015… Io ho avuto un incidente il 2 agosto ma non ricordo se era il 2015 o il 2014 però. Sono stato sottoposto ad un intervento… Potrebbe essere quello il periodo. Devo dire che sono quasi sempre stato presente in giunta. Lo posso ricostruire, mi è facile dai documenti medici che ho.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei Francesco Clemente lo conosce?
Sergio De Cola:– Sì, ho conosciuto Francesco Clemente. Lo conosco perché l’ingegnere Clemente sposò quando lavorava al mio studio l’ingegnere Daniela Ruggeri che è una collega molto più giovane di me, che per un periodo lavorò al mio studio professionale, parliamo di tanti anni fa. Intorno a quel periodo si sposarono, mi invitarono al matrimonio. Poi ho risentito Francesco Clemente molti anni dopo perché lui mi chiese… Lui collaborava col Comune di Milazzo, non so se aveva forse un incarico di dirigente a tempo, una cosa del genere. Mi chiese di fare una perizia su una problematica di un’opera pubblica, di un parcheggio, che io feci. Questo non me lo ricordo quando accadde ma sarà stato il 2010 forse. Però posso sbagliare la data. E’ ricostruibile, sono tutti dati ufficiali.
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi nel luglio-agosto del 2015 che rapporti aveva con Clemente, vi sentivate, vi frequentavate, avevate rapporti o no?
Sergio De Cola: - No. Non avevamo rapporti.
Pm Fabrizio Monaco:– Ho capito. Per qualche ragione particolare oppure…
Sergio De Cola:– No, no, perché io in realtà conosco l’ingegnere Francesco Clemente perché lui sposò questa ragazza, all’epoca ragazza, adesso è una signora, che frequentava il mio studio, questo tipo di conoscenza e poi, immagino, per un rapporto di stima che era maturato tramite Daniela che frequentava il mio studio, mi affidò questa perizia da fare a Milazzo. Basta, non ho mai avuto poi altri motivi di incontro. Ricordo che presentò il curriculum quando noi raccogliemmo le candidature per costituire la commissione urbanistica comunale.
Per la cronaca  l’ing. Daniela Ruggeri è consigliere dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Messina per il quadriennio 2017-2021; in passato ha ricoperto incarichi di consulente tecnico di fiducia del Tribunale di Messina e di componente delle commissioni giudicatrici di gare indette da diversi Comuni e ASP siciliani. Con l’ingegnere Sergio De Cola e altri professionisti siciliani, l’ing. Ruggeri ha fatto parte nel 1997 del gruppo di progettazione della nuova sede della Giunta regionale della Regione Calabria.
Niente da dichiarare invece su un altro imputato chiave del processo Terzo livello, il noto costruttore Vincenzo “Enzo” Pergolizzi, da decenni al centro delle cronache giudiziarie.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei ha sentito parlare dell’imprenditore Vincenzo Pergolizzi?
Sergio De Cola:– Uhm…
Pm Fabrizio Monaco:– Non le dice niente questo nome?
Sergio De Cola:– No, di specifico no.
Pm Fabrizio Monaco:– E di generico?
Sergio De Cola:– No, dico, forse è un nome che avrò sentito tra i nomi degli imprenditori, però non lo collego a nessun fatto specifico… 


Emilia Barrile, il Terzo livello e l’assessore “testa di caz…”

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Nuova deposizione eccellente al processo Terzo livello che vede imputata, tra gli altri, l’ex presidente del consiglio comunale di Messina Emilia Barrile (già Pd, poi Forza Italia), candidata a sindaco – non eletta - alle elezioni amministrative del giugno 2018. La Corte presieduta dalla dottoressa Silvana Grasso ha chiamato a testimoniare Sebastiano Pino, comandante della navi traghetto Rfi che operano nello Stretto ed ex componente della Giunta municipale con Renato Accorinti sindaco. All’esame dell’interrogatorio condotto dal Pubblico ministero Fabrizio Monaco una controversa delibera approvata dall’amministrazione comunale nell’estate 2015 che autorizzava la sdemanializzazione a titolo oneroso di due particelle di terreno di proprietà del Comune adiacenti alle centralissima via Felice Bisazza, previa richiesta dei fratelli Bartolo Vittorio, Giacoma, Santa e Antonino Cuscinà (residenti tutti a Valdina), interessati a realizzare nell’area una palazzina residenziale.
La delibera che è stata approvata dalla Giunta comunale - per bypassare la mancanza del capitolo previsto dal PEG nell’attuale bilancio grazie ad un escamotage trovato da Emilia Barrile - è stata redatta in maniera non conforme alla legge”, scrive la Direzione Investigativa Antimafia nell’Informativa del 6 ottobre 2017 sul presunto traffico di influenze illecite che sarebbe stato gestito dall’esponente politica da sempre vicina all’allora parlamentare Francantonio Genovese. E proprio per l’affaire della palazzina di via Felice Bisazza, Emilia Barrile deve difendersi processualmente dall’accusa di avere accettato dal noto imprenditore mamertino Vincenzo Pergolizzi, interessato in prima persona all’operazione immobiliare dei fratelli Cuscinà, “la promessa, per sé o per altri, di utilità economiche, come prezzo della propria mediazione illecita, per compiere o avere compiuto atti contrari ai doveri di ufficio”. In particolare, secondo il Pm, Emilia Barrile avrebbe interferito sull’operato degli uffici comunali, “esercitando un’attività di pressione e di condizionamento, in ordine ad una pratica amministrativa di interesse di Vincenzo Pergolizzi e dell’ingegnere Francesco Clemente”, concernente la vendita del terreno comunale in via Felice Bisazza, “sollecitandone sistematicamente la trattazione presso gli uffici competenti, dando la garanzia che, nel caso fosse necessario il passaggio della pratica in Consiglio Comunale, essa sarebbe stata approvata, anche tramite escamotage irregolari (…) benché non fosse possibile una regolare imputazione contabile dell’entrata derivante dalla vendita dell’area comunale”. Escamotage irregolari quelli architettati dall’ex presidente del Consiglio inspiegabilmente ignorati dall’amministrazione comunale che alla fine sottoscrisse di proprio pugno un atto che per la pubblica accusa era affetto da vizi di legittimità.
Competente il Consiglio, ma la delibera ce la facciamo in Giunta  
Sono stato nominato assessore comunale il 26 gennaio del 2015 e per un breve periodo ho avuto anche la delega al patrimonio; sono subentrato dopo le dimissioni dell’assessore Filippo Cucinotta e sono stato componente della Giunta fino al 26 giugno 2018”, ha esordito al processo Terzo livello il comandante Sebastiano Pino.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei all’epoca, quale assessore al patrimonio, risulta proponente di una proposta di delibera della Giunta comunale di Messina che aveva ad oggetto la vendita di relitti di area comunale ricadenti all’interno del primo comparto dell’isolato 247/A del Prg di Messina, strada comunale denominata San Sebastiano angolo con via Felice Bisazza. Lei ricorda questa vicenda?
Sebastiano Pino:– Di questa no. O meglio in quel periodo ci sono state due delibere perché mi pare che una riguardasse un’altra area sempre di relitti… Comunque queste delibere sono del dipartimento patrimonio. Se è agli atti sì, la delibera l’ho firmata.
Pm Fabrizio Monaco:– E’ una delibera di Giunta, lei risulta proponente, figura anche presente nella riunione dell’11 agosto del 2015 in cui fu votata ed approvata. Ricorda qualcosa? Come funziona questa procedura della vendita dei relitti di aree comunale, come funzionava all’epoca?
Sebastiano Pino:– Allora, il dipartimento patrimonio istituisce la pratica e evidentemente vi era una manifestazione di interesse per quest’area che poi sono delle superfici di risulta, abbandonate. Infatti viene chiamato proprio relitto in base a delle lottizzazioni o comunque probabilmente lì era un relitto da quando era stata costruita la strada. Il dipartimento istruisce la pratica e propone, esprime un parere tecnico sulla congruità del prezzo e sul fatto che comunque quel pezzo di terreno è previsto nel piano delle alienazioni e viene proposto alla Giunta di approvare una delibera che poi dovrà andare in Consiglio comunale perché sul patrimonio poi è questo a decidere.
Pm Fabrizio Monaco:– Mi faccia capire meglio, quindi questa è una cosa che doveva poi passare dal Consiglio comunale?
Sebastiano Pino:– Sì, sì, tutto quello che riguarda dismissione di patrimonio ovviamente sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Perché a noi non risulta che questa cosa sia passata dal Consiglio comunale.
Sebastiano Pino:– Sì, poi non l’ho più seguita, lo ricordo male però da settembre-ottobre in poi io non ho avevo più la delega al patrimonio.
Pm Fabrizio Monaco:– A noi risulta che qualcuno era interessato a che passasse dal consiglio comunale però non passa dal consiglio comunale questa cosa. Ci sa riferire qualcosa?
Sebastiano Pino:– Su questo aspetto no.
Pm Fabrizio Monaco:– Perché doveva passare dal Consiglio comunale?
Sebastiano Pino:– Perché trattandosi di una dismissione di patrimonio comunale è competente il Consiglio e non la Giunta comunale.
Pm Fabrizio Monaco:– E scusi, come l’avete fatta questa delibera allora?
Sebastiano Pino:– No, la Giunta fa la proposta di delibera al Consiglio comunale. Questa è una pratica che istruisce il dipartimento patrimonio del Comune.
Pm Fabrizio Monaco:– Io vedo qui: Delibera, approvare lo schema dell’atto di vendita predisposto dal dipartimento demanio eccetera, eccetera, prevedente la cessione a titolo oneroso dei signori Cuscinà, Bartolo Vittorio, Giacomo, Santa e Antonino. Lei li ha mai conosciuti questi soggetti?
Sebastiano Pino:– No, assolutamente.
Pm Fabrizio Monaco:Delibera di autorizzare il dirigente del demanio a procedere alla sottoscrizione dell’atto di vendita e di autorizzare i servizi finanziari e di ragioneria ad introitare alla risorsa 640/11 entrata reperita dal patrimonio comunale disponibile la somma di 76.950 euro. Qui non si parla di Consiglio comunale o di un passaggio al Consiglio comunale. Lei ricorda che, per esempio, in altre vicende, vi fu effettivamente un passaggio dal Consiglio?
Sebastiano Pino:– Sì, lo stabilisce la legge. Il testo unico sugli enti locali, il TUEL.
Pm Fabrizio Monaco:– Quindi lei ha memoria di questa circostanza, che era noto a chi operava nel Comune di Messina che vi era necessità di un passaggio in Consiglio comunale? Vorrei capire se le risulta che per altri casi simili vi fosse stato un passaggio in Consiglio.
Sebastiano Pino:– Sì, ovviamente sì. Però, ripeto, siccome io ho avuto la delega al patrimonio per un breve periodo non mi sono occupato perché poi la proposta va in Consiglio e la segue l’assessore competente. Io non ricordo di essermi interessato ad altre pratiche simili, in questo senso.
Pm Fabrizio Monaco:– Io leggo da questa delibera che risulta qui pervenuta una determinazione di stima in data 22 luglio 2014. Com’è che la delibera poi viene approvata ad agosto dell’anno successivo?
Sebastiano Pino:– Ripeto, l’istruttoria la svolge il dipartimento patrimonio che fa una valutazione di congruità anche del prezzo, non è un aspetto che riguarda l’assessorato.
Pm Fabrizio Monaco:– In questa delibera si dà atto che fondamentalmente l’ultimo atto amministrativo presupposto è questa determinazione di stima che risale ad un anno prima. Com’è che passa un anno e com’è che si arriva ad agosto del 2015 a cedere o a proporre di cedere quest’area ai signori Cuscinà?
Sebastiano Pino:– No, mi pare che sia cambiato anche in quel periodo il dirigente del dipartimento patrimonio. Probabilmente è dovuto a questo il ritardo, non saprei. Mi pare che al dipartimento patrimonio era l’ingegnere Castronovo.
Pm Fabrizio Monaco:– Dal punto di vista contabile come fa il Comune ad incassare queste somme?
Sebastiano Pino:– E’ indicato qua l’Iban, è indicata anche una risorsa per le entrate. Qui parla 640/11. E’ il capitolo con la quale doveva confluire questa somma per…
Pm Fabrizio Monaco:– Sì, e come è denominato?
Sebastiano Pino:– Il P.E.G…
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi, come è denominata questa risorsa?
Sebastiano Pino:– Qua c’è scritto: entrate reperite dal patrimonio comunale disponibile, dalle vendite del patrimonio disponibile.
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi, come si vende un’area dove c’è una strada e si imputa l’incasso alla risorsa patrimonio disponibile?
Sebastiano Pino:– Questo terreno, che io sappia, era appunto un relitto, un’area inutilizzata, non era pertinenza della strada. Per questo era stata inserita nel piano della alienazioni.
Pm Fabrizio Monaco:– Ho capito, ma non è che tutte le aree che il Comune non utilizza sono relitti e si vendono.
Sebastiano Pino:– No, no.
Pm Fabrizio Monaco:– Magari il Comune ci vuole fare qualcos’altro.
Sebastiano Pino:– No, prima viene inserito nel piano dismissioni che è approvato sempre dal Consiglio comunale, c’è tutta una serie di passaggi predisposta dal dipartimento e poi… E quest’area era inserita nel piano di dismissione…
Pm Fabrizio Monaco:– E da dove risulta questa cosa?
Sebastiano Pino:– Risulta dal parere tecnico intanto del dirigente. Perché la pratica è istruita dai dirigenti del dipartimento. Anche il capitolo di imputazione…
Pm Fabrizio Monaco:– Ma se è quello che dice lei, nella premessa della delibera dovremmo trovare anche che questo relitto di area è stato inserito nel piano di dismissioni. C’era, esisteva questo piano di dismissioni all’epoca, agosto del 2015?
Sebastiano Pino:– Sì. Il piano di alienazione, se non ricordo male, risale al 2015.
Pm Fabrizio Monaco:– In cui ci vanno quali aree?
Sebastiano Pino:– Gli immobili che possono essere venduti, i terreni…
Pm Fabrizio Monaco:– Ma da dove risulta che quelle aree fossero del patrimonio disponibile e quindi vendibili?
Sebastiano Pino:– Dovrebbe essere indicato in ratifica.
Pm Fabrizio Monaco:– Vista che l’ha proposta lei o magari se non l’ha proposta lei formalmente ci dice sostanzialmente chi l’ha fatta, se ci vuole dire anche questo relitto di area era inserito in questo piano di dismissione, se rientravano nel patrimonio disponibile e quindi vendibile…
Sebastiano Pino:– Su questo aspetto, ripeto, una volta che c’è il parere tecnico del dirigente, il dirigente ha fatto l’istruttoria ed ha verificato tutti questi passaggi.
Pm Fabrizio Monaco:– Ho capito. Mi scusi: il P.E.G. che cos’è?
Sebastiano Pino:– Piano Economico di Gestione, è un capitolo che viene individuato dai dirigenti quando si predispone il bilancio per…
Pm Fabrizio Monaco:– Mi scusi, in quel periodo, agosto del 2015, esisteva questo P.E.G.?
Sebastiano Pino:– Il problema è che c’era un ritardo nell’approvazione dei bilanci.
Pm Fabrizio Monaco:– Quindi non c’era il P.E.G.?
Sebastiano Pino:– Probabilmente no. No.
Pm Fabrizio Monaco:– Se non c’era il P.E.G. non ci poteva essere neppure una risorsa specifica su cui imputare questa entrata, messo che poi questi i soldi li avessero dati.
Sebastiano Pino:– Sì, erano nella delibera predisposta dal dirigente ed era indicato un capitolo. Sì, un capitolo: patrimonio disponibile.
Pm Fabrizio Monaco:– Di una strada, di un pezzo di strada, sia pure relitta, sia pure in stato di abbandono ma di una strada che si trova dove? In montagna? Dove si trova?
Sebastiano Pino:– Questa è via Felice Bisazza.
Pm Fabrizio Monaco:– Pieno centro.
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Che ai signori Cuscinà serviva per farci cosa? Lo sa lei? Lo ha appreso? Lo ha verificato? No.
A questo punto interviene l’avv. Salvatore Silvestro, difensore dell’imputata Emilia Barrile: – Presidente, le chiedo scusa... Io invito il Tribunale a valutare l’opportunità eventualmente di interrompere l’esame e fargli nominare un difensore. Le domande formulate dal Pubblico Ministero e le risposte date, ma soprattutto le obiezioni inconducenti e infondate del Pubblico Ministero, potrebbero far assumere al teste una veste diverse.
Pm Fabrizio Monaco:– Inconducenti e infondate lo stabilisce il Tribunale.
Avv. Silvestro:– Infatti io non ho detto niente. Io sto sollecitando il Tribunale a verificare questo profilo.
Presidente dott.ssa Silvana Grasso:– Posto in questi termini potrebbe essere anche una forma di pressione nei confronti del teste. Allo stato non rilevo che ci siano le condizioni, poi vedremo in seguito.
Avv. Silvestro:– Presidente, se si chiede al teste di valutare un suo atto, e se si fa evidenziare che non c’è…
Presidente Silvana Grasso:– Avvocato e che dobbiamo chiudergli la bocca, non ho capito? Non possiamo farlo parlare?
Avv. Silvestro:– No Presidente, si devono semplicemente adottare i provvedimenti consequenziali alle risposte date.
Presidente Silvana Grasso:– Perfetto. Visto che non è suo assistito il teste, visto che le eventuali dichiarazioni che potrebbero essere usate contro di lui non potrebbero essere utilizzate qualora ci fosse deposizione, il problema non sorgerebbe a monte. Interesse dei difensori è quello di stare ad ascoltare, credo, il contenuto della deposizione per poi fare il controesame. Comunque allo stato non rilevo che ci siano queste condizioni, quindi possiamo procedere.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei conosce Francesco Clemente?
Sebastiano Pino:– No. Assolutamente.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei sa chi è Pergolizzi Vincenzo?
Sebastiano Pino:– No, non lo conosco, non so chi sia.
Pm Fabrizio Monaco:– Non lo conosce. Sa chi sia?
Sebastiano Pino:– Da quello che leggo sulla stampa.
Pm Fabrizio Monaco:– Che cosa ha appreso?
Sebastiano Pino:– Ho appreso che è imputato in questo processo ma non so…
Pm Fabrizio Monaco:– Sa che è un imprenditore?
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Ha appreso questa circostanza sia pure come ha detto lei da notizie di stampa?
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Ho capito. Lei con riferimento a questa delibera ha mai avuto a che fare con la signora Barrile?
Sebastiano Pino:– Su questo no, non ricordo.
Pm Fabrizio Monaco:– Non lo ricorda. Lo può escludere?
Sebastiano Pino:– Io non ho un ricordo su questi aspetti qua, di un intervento della Barrile.
Pm Fabrizio Monaco:– Sa perché? Perché dalla pagina 341 dell’Informativa si legge che la Barrile conversando con il signor Clemente fa riferimento a lei. Dice che andrà subito a trovarla personalmente e dice… E’ il 28 maggio 2015, sono le ore 11,27… Si fa riferimento ad una testa di cazzo dell’assessore. “Chi è la testa di cazzo”; Barrile: “Vado direttamente, Pino”; “Uhm – dice Clemente – Lui non ha imparato che quando io lo chiamo mi deve rispondere, comunque ora vado e me la prendo io brevi manu perché non è che possono stare. Va bene, ora più tardi ti faccio sapere, ora sto arrivando al comune”. Lei si ricorda se effettivamente la Barrile si rivolse a lei per questa vicenda?
Sebastiano Pino:– No. Non ricordo, no.
Pm Fabrizio Monaco:– Non se lo ricorda?
Sebastiano Pino:– Non mi pare.
Barrile & C., tra calcio a cinque e pallamano
Qualche vuoto di memoria dell’ex assessore Pino anche sul presunto pressing a tutto campo (in verità a tutto palazzetto) dell’allora Presidente del consiglio comunale per bypassare il regolamento sulla concessione degli impianti sportivi ed evitare alla società in cui militava la figlia la trasmigrazione da una parte all’altra della città. Nella sua deposizione, il teste non ha lamentato tuttavia comportamenti particolarmente molesti da parte di Emilia Barrile e comunque alla fine le divergenze tra le parti furono conciliate provvidenzialmente dal dio maltempo.
Pm Fabrizio Monaco:– Si ricorda di un interessamento della signora Barrile per altre vicende?
Sebastiano Pino:– Sì, per altre vicende sì. Quelle che riguardavano la mia delega come assessore allo sport. La Barrile chiedeva che la squadra dove giocava la figlia, una squadra di pallamano, potesse svolgere le partite e gli allenamenti al PalaRussello. Ora noi in Giunta avevamo esitato una delibera di indirizzo per il dipartimento sport del Comune di Messina sull’utilizzo degli impianti sportivi cercando di razionalizzarne l’uso e quindi stabilendo quali discipline andavano fatte e in quali impianti. Il PalaRussello, cioè il palazzetto di Gravitelli, era destinato a basket e pallavolo. Ma questo è stato fatto per razionalizzare intanto l’utilizzo, nel senso che lo smontaggio delle porte e il posizionamento dei canestri comportava una perdita di tempo e quindi tutto questo a discapito del tempo disponibile per la squadra che subentrava e soprattutto per tutelare l’impianto in quanto lo spostamento continuo dei canestri comportava un danneggiamento del parquet e quindi un danno all’impianto. Per questo era stata fatta questa delibera e la pallamano era stata destinata in altri impianti, il PalaRescifina di San Filippo e il palazzetto di Mili Marina. Comunque due palazzetti abbastanza importanti e quindi ritenevamo che fossero sufficienti per la pallamano.
Pm Fabrizio Monaco:– Ci vuole riferire in che termini si svolse questo interessamento della Barrile? Quando? Cosa accadde?
Sebastiano Pino:– La delibera è del primo ottobre del 2015, quindi andava a disciplinare le attività della stagione sportiva 2015-2016. L’intervento avvenne successivamente, non so, sarà stato a metà ottobre. La presidente del consiglio appunto perorava la causa della Pallamano Messina che aveva anche scritto tramite il suo presidente chiedendo se era possibile ritornare ad allenarsi e a giocare al PalaRussello che si trova alla fine della salita Pietro Castelli, rione Gravitelli. In quell’occasione ho fatto presente alla Barrile quali erano appunto le motivazioni per le quali la Giunta aveva emanato quella delibera che però lei non condivideva e quindi continuava a chiedere in… Se non ricordo male in due o tre occasioni successivamente per modificare la delibera o comunque di permettere alla squadra di giocare al PalaRussello.
Pm Fabrizio Monaco: – E che cosa accadde?
Sebastiano Pino:– L’assessorato aveva comunque comunicato al dipartimento sport di attenersi alla delibera. Sennonché poi, nel mese di febbraio, a causa della temporanea inagibilità sia del PalaRescifina che era interessato purtroppo a delle infiltrazioni di acqua piovana che avevano danneggiato anche il terreno di gioco e al PalaMili c’era una parte del tetto scoperchiato per una burrasca invernale, successivamente è stata emanata un’altra delibera di Giunta che autorizzava le squadre di pallamano, tutte le squadre di pallamano, a giocare nel PalaRussello fino al ripristino dell’agibilità del PaleRescifina.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei come apprese che in questa squadra ci giocava la figlia della signora Barrile?
Sebastiano Pino:– Adesso non ricordo se me lo ha detto direttamente lei o un funzionario del dipartimento sport, uno dei funzionari, ora non so. Sono tre i funzionari, non saprei chi.
Pm Fabrizio Monaco:– Non se lo ricorda chi?
Sebastiano Pino:– No, ma probabilmente la stessa Barrile.
Pm Fabrizio Monaco:– Le dico quello che lei ha dichiarato il 7 agosto del 2018. Lei quando viene sentito sa che ci sono stati degli arresti?
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Dalla D.I.A., lo sa?
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Sa che la signora Barrile è stata arrestata?
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei dichiara… La domanda è: Ricorda se c’è stato un diretto interessamento della Barrile affinché il PalaRussello venisse assegnato per discipline sportive diverse? Lei risponde: Se non ricordo male, nel corso dell’anno 2016 la Barrile sostenne la necessità di utilizzare tale impianto per la pallamano. In particolare ricordo di essere stato contattato dal dirigente del dipartimento delle politiche culturali ed educative nella persona di De Francesco Salvatore, il quale mi faceva vedere una richiesta presentata da un’associazione sportiva di cui adesso non riesco a ricordare la denominazione, credo sia la Messana. Se la ricorda adesso qual era questa società?
Sebastiano Pino: – Sì, sì, ho verificato. La Messana.
Pm Fabrizio Monaco:E mi esponeva che voleva utilizzare il predetto palazzetto. Mi riferiva inoltre che la delibera non permetteva tale utilizzo e pertanto io gli dicevo che si doveva attenere alla delibera in parola. Nell’occasione De Francesco mi ricordava che la figlia della Barrile giocava nella squadra… Che cosa le disse De Francesco?
Sebastiano Pino:– Il responsabile del dipartimento, il dottor De Francesco, probabilmente avremo parlato, quasi sicuramente perché avevamo contatti quasi giornalieri sulle questioni che riguardavano le attività…
Pm Fabrizio Monaco:– Lei apprese in quell’occasione che c’era stato un interessamento della signora Barrile?
Sebastiano Pino:– Sì, mi pare di sì. Io anche nell’interrogatorio del 6 agosto, poi ho verificato, non riuscivo a collocare temporalmente se era già 2016 o 2015, ripeto, poi ho avuto la possibilità di verificare successivamente e, come dicevo prima, la delibera è del primo ottobre quindi probabilmente anche il periodo è un po’ anticipato di qualche mese rispetto all’inizio del 2016. Siamo a fine 2015…
Pm Fabrizio Monaco: – Sì. La mia domanda era che cosa le dice De Francesco…
Sebastiano Pino:– Sì, di questo abbiamo parlato sicuramente anche con De Francesco quando… Perché lo chiedeva all’assessorato come doveva comportarsi essendoci una delibera…
Pm Fabrizio Monaco:– Le disse che c’era stato un interessamento, una segnalazione della Barrile?
Sebastiano Pino:– Io ricordo di sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Ricorda? Ne è certo? Va bene Presidente, visto che il ricordo non è certo, sempre stesso verbale: Nell’occasione De Francesco mi ricordava che la figlia della Barrile giocava nella squadra che aveva fatto la richiesta e che pertanto la stessa era stata segnalata dalla Barrile. La conferma questa dichiarazione?
Sebastiano Pino:– Sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Ha detto la verità lei alla D.I.A.?
Sebastiano Pino:– Certo. Per quello che ricordavo, sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Poi, dopo questo contatto con De Francesco, lei ha detto che diede indicazioni di attenersi a questa delibera. Sì?
Sebastiano Pino:– Sì, certo.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei, dopo, ha avuto ancora a che fare con la signora Barrile?
Sebastiano Pino:– Sì, ripeto, ci sono state due o tre occasioni… Per questa vicenda, sì.
Pm Fabrizio Monaco:– E che cosa accadde?
Sebastiano Pino:– No, non accade nulla perché fino a febbraio, mi pare alla fine di febbraio, c’erano le condizioni per giocare al PalaRescifina e continuarono a giocare lì.
Pm Fabrizio Monaco:– Le chiedevo questo incontro con la Barrile, se avvenne, quando, dove, che cosa vi siete detti, che cosa le disse. Se lo ricorda? Se non se lo ricorda io le dico quello che lei ha dichiarato. Sempre stesso verbale, Presidente: Ribadivo quando asserito ovvero di attenersi alla delibera. Dopo qualche giorno la Barrile si è presentata presso il mio ufficio a palazzo Zanca, perorando insistentemente che predetto palazzetto potesse essere utilizzato anche per la pratica dell’attività sportiva di pallamano riferendosi alla squadra del Messana. Ricorda quale sia stato l’atteggiamento della signora in questo caso? La conferma intanto questa cosa che le ho letto?
Sebastiano Pino:– Sì, sì perché è probabile che… Sì, la Barrile sarà venuta nel mio ufficio sicuramente e siccome si parlava di questo anche negli incontri nei corridoi, per questo dico… Comunque lo confermo, sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Ricorda questo atteggiamento come fu?
Sebastiano Pino:– Lei contestava quella delibera dicendo che non era giusto, secondo il suo punto di vista non era corretto e quindi chiedeva ancora di modificarla, di consentire di giocare al PalaRussello, in questo senso…
Pm Fabrizio Monaco:– Lei le rappresentò queste problematiche che ha riferito adesso, cioè il fatto che c’erano delle difficoltà di spostare delle attrezzature, che questo avrebbe potuto danneggiare gli impianti?
Sebastiano Pino:– Certo, sì.
Pm Fabrizio Monaco:– Scusi, la signor Barrile le dice: Sì, effettivamente è vero, hai ragione, oppure le dice qualche altra cosa?
Sebastiano Pino:– No, no, non mi ha detto che avevo ragione, insisteva per concedere l’utilizzo del PalaRussello.
Pm Fabrizio Monaco:– Mi scusi, condivideva queste problematiche o le rifiutava?
Sebastiano Pino:– No, no, non le condivideva e le contestava in un certo senso.
Pm Fabrizio Monaco:– Com’è terminato questo incontro?
Sebastiano Pino:– Ognuno è rimasto sulle proprie posizioni.
Pm Fabrizio Monaco:– Lei poi ha detto che per qualche mese effettivamente il PalaRussello fu utilizzato anche per la pallamano.
Sebastiano Pino:– Sì, sì. Poi ho verificato, era una delibera del 23 febbraio.
Pm Fabrizio Monaco:– Fu utilizzato anche per altre discipline sportive e in relazioni alla quali ci fu un interessamento della Barrile?
Sebastiano Pino:– Sì, anche per il calcio a cinque.
Pm Fabrizio Monaco:– Ci racconta questo fatto?
Sebastiano Pino:– Anche qui non ricordo se la comunicazione mi venne data da De Francesco o direttamente dalla Barrile. C’era una richiesta della società Pompei di calcio a cinque di poter giocare al PalaRussello, credo che questo fosse comunque successiva a quella della pallamano ed eravamo già nella fase in cui al PalaRescifina si verificavano già delle infiltrazioni d’acqua e quindi c’era qualche problema a continuare a giocare lì… Anche in questo caso la Barrile ha sostenuto la richiesta di far giocare la Polisportiva Pompei di calcio a cinque al PalaRussello.
Pm Fabrizio Monaco:– Come ha appreso lei questa circostanza? Ci racconti che cosa è accaduto.
Sebastiano Pino:– Nel dettaglio non ricordo perché comunque c’erano anche tante altre cose.
Pm Fabrizio Monaco:– Va bene, le leggo quello che lei ha dichiarato. La domanda è: Con riguardo invece all’utilizzo del PalaRussello per compagini di calcetto vi fu un interessamento della Barrile? Lei risponde: Sì, ricordo che successivamente alla vicenda riguardante la pallamano sono venuto a conoscenza– ora magari ci dice come – che la Barrile si era interessata anche per fare in modo che una squadra di calcetto a cinque…. Ricorda lei come è venuto a conoscenza di questo fatto, cioè che la Barrile si interessò per fare in modo che una e non varie squadre, una squadra di calcetto a cinque giocasse all’interno del palazzetto?
Sebastiano Pino:– Io appunto non ricordo se fu direttamente la Barrile o tramite il dirigente che mi sollecitava questa soluzione, ecco.
Pm Fabrizio Monaco:– Chi era il dirigente?
Sebastiano Pino:– Il dottor De Francesco.
Pm Fabrizio Monaco:– Ci dica lei che linea tenne.
Sebastiano Pino:– La linea era sempre quella, comunque, di mantenere quanto previsto nella delibera di indirizzo, nell’atto di indirizzo per l’utilizzazione dei palazzetti. Poi ci sono state le cause di forza maggiore, ripeto, quelle che hanno reso inagibili i due palazzetti dove veniva svolto anche il calcio a cinque.
Pm Fabrizio Monaco:– Questo avvenne quando?
Sebastiano Pino:– Questi lavori al PalaRescifina, sempre per una questione di bilancio non erano utilizzabili subito i fondi e, ho avuto modo di verificare successivamente all’interrogatorio dell’agosto 2018, si conclusero poi nell’estate del 2016. I lavori si conclusero in estate, fine settembre se non mi ricordo male...
Pm Fabrizio Monaco:– Signor Pino, c’è una conversazione registrata il 13 settembre del 2016, parlano la signora Barrile con il dirigente Salvatore De Francesco. La Barrile dice: Io ho detto, tu stai togliendo la possibilità a squadre di campionato, gli ho detto che hanno pure la serie giovanile per mettere il minibasket, che hanno il club, che fanno scuola più che altro, gli ho detto io togliendo la priorità a certe società che lavorano sul territorio. Qui la Barrile dice anche: Io ho detto: io me ne vado in Procura e denuncio tutte le cose. Lei ricorda se la Barrile le disse che l’avrebbe denunciata?
Sebastiano Pino:– No.
Pm Fabrizio Monaco:– Uhm? Del resto non si ricorda neppure se ci aveva parlato quindi questa è una cosa impressa…
Controesame dell’avv. Silvestro:– Un paio di chiarimenti. Lei rispondendo alla domanda del Pubblico Ministero ha collocato nel 2016 la richiesta o il primo incontro che lei ha con De Francesco.
Sebastiano Pino:– No, io nell’interrogatorio del 6 agosto non ricordavo esattamente il periodo e poi ho potuto verificare che in effetti era l’inizio della stagione 2015-2016. La delibera infatti di indirizzo al dipartimento per l’utilizzo degli impianti è del primo ottobre 2015 (…) Quindi siamo a subito dopo l’ottobre del 2015.
Avv. Silvestro:– Quindi siamo o fine 2015 o inizio 2016?
Sebastiano Pino:– Fine 2015 è più probabile.
Avv. Silvestro:– Perfetto. Quando De Francesco si presenta a lei, parliamo della necessità di assegnare il ParaRussello alla squadra di pallamano, le riferiscono di una richiesta informale da parte del presidente della società?
Sebastiano Pino:– No, no, c’era una richiesta formale, una richiesta scritta.
Avv. Silvestro:– Lei ha avuto contezza del contenuto di questa richiesta? Le disse De Francesco quali erano le ragioni?
Sebastiano Pino:– Le ragioni erano soprattutto sul fatto che il PalaRescifina era un po’ fuori mano, si lamentava dei problemi logistici.
Avv. Silvestro:– Solo dei problemi logistici o si lamentava anche delle condizioni del parquet, del pavimento che era sollevato, della mancanza di idoneità dei servizi igienici? Lo ricorda?
Sebastiano Pino:– No, non lo ricordo.
Avv. Silvestro:– Rispetto al primo approccio che lei ha con De Francesco, l’incontro che poi ha con la Barrile, quanto tempo dopo è avvenuto?
Sebastiano Pino:– Ricordo questioni di giorni potevano essere…
Avv. Silvestro:– Le infiltrazioni, tutti quei problemi logistici, quando si sono verificati?
Sebastiano Pino:– Ad inizio della stagione invernale, appunto.
Presidente Silvana Grasso:– Queste infiltrazioni quando si sono verificate, prima o dopo?
Sebastiano Pino:– No, le infiltrazioni si sono verificate dopo. Poco prima della delibera del 23 febbraio, quindi siamo nel mese di gennaio probabilmente.
Avv. Silvestro:– Le chiedo scusa, se il problema era l’osservanza della delibera e la delibera è successiva, mi fa capire in che contesto temporale si inseriscono queste conversazioni e come fa lei, rispetto ad una delibera successiva a dire: Io mi devo attenere alla delibera?
Sebastiano Pino:– No, un momento… La delibera di indirizzo sull’utilizzo degli impianti sportivi è del primo ottobre 2015. Quindi da quel momento la pallamano non poteva più essere svolta al PalaRussello. Quindi le squadre giocavano al PalaRescifina e al PalaMili.
Avv. Silvestro:– Quante squadre c’erano di pallamano a Messina?
Sebastiano Pino:– Di pallamano a Messina almeno tre che facevano campionati regionali e poi tutta l’attività giovanile e si dividevano tra il PalaRescifina e il PalaMili. Credo che anche oggi ancora si dividono.
Avv. Silvestro:– Nel momento in cui sono sorti quei problemi logistici si trasferì solo la Messana o si trasferirono tutti?
Sebastiano Pino:– No, si trasferirono tutte le squadre ovviamente perché poi la delibera successiva, quella di febbraio, dava la possibilità di spostare tutte le squadre al PalaRussello, due o tre squadre credo che fossero quelle che facevano i campionati regionali. Per la durata comunque strettamente necessaria per ripristinare l’agibilità, questo diceva la delibera dei due palazzetti.
Avv. Silvestro:– La signora Barrile rispetto alla Giunta di cui lei faceva parte, eravate della stessa espressione politica?
Sebastiano Pino:– No.
Avv. Silvestro:– Lei era all’opposizione? Come eravate? Come funzionava?
Sebastiano Pino:– L’amministrazione non aveva un colore politico, era una lista civica.
Avv. Silvestro:– Nella sua determinazione di non addivenire a questa istanza formalmente presentata dal presidente della Messana ci furono anche ragioni politiche?
Sebastiano Pino:– No, assolutamente, solo una valutazione di tutela dell’impianto e di razionalizzare l’utilizzo dei tempi di utilizzazione.
Avv. Silvestro:– Tutela dell’impianto. Lei rispondendo al Pubblico Ministero ha detto che se si dovesse svolgere una partita di pallamano si doveva smontare tutto? Mi faccia capire come funziona.
Sebastiano Pino:– No, se per esempio, finito l’allenamento o la partita di pallamano, successivamente lo spazio era destinato a pallacanestro, devono smontare le porte, adeguare il terreno di gioco e soprattutto lo spostamento dei canestri comportava la perdita di un quarto d’ora, venti minuti per fare questo lavoro. Quindi era tempo che si rubava all’altra squadra e sommando nella giornata, perché si allenavano dalle 3 del pomeriggio fino alle 10 di sera, tutti questi tempi creavano una sottoutilizzazione della struttura e c’erano delle proteste anche da parte di chi faceva pallacanestro e doveva aspettare. Lo spostamento continuo tra l’altro dei canestri, siccome si muovono su ruote avevano iniziato a danneggiare il parquet. Su questo c’erano delle relazioni anche del dipartimento manutenzione che segnalavano questi inconvenienti.
Avv. Silvestro:– Nell’ottobre del 2015 la signora Barrile che cosa le chiedeva al di là di questo?
Sebastiano Pino:– Voleva che ci fosse la possibilità di far giocare la Messana al PalaRussello.
Avv. Silvestro:– E lei le ha detto che non c’era la possibilità. Ci sono stati atti ostili nei suoi confronti sotto il profilo politico a seguito di queste determinazione? Che ne so, potrebbe anche essere che il presidente del consiglio comunale dinanzi a una delibera che presenta lei assume determinati comportamenti per non fargliela approvare, oppure lei disse: Non si può fare e il discorso finì là?
Sebastiano Pino:– No, no, finì là.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 12 aprile 2019, http://www.stampalibera.it/2019/04/12/il-processo-altro-teste-altro-giro-emilia-barrile-il-terzo-livello-e-quellassessore-testa-di-caz/

Processo Terzo livello. Le eminenze grigie della riscossione crediti del Comune di Messina

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Ma come e dove si prendevano le decisioni in tema di riscossione crediti comunali negli anni dell’amministrazione Accorinti? Sorge spontanea la domanda dopo la deposizione al processo Terzo livello di una delle figure più autorevoli della Giunta,  il professore Guido Signorino, ordinario presso il Dipartimento di economia dell’Università degli Studi di Messina. Chiamato in qualità di testimone, l’ex vicesindaco ed assessore con delega alle attività economiche e finanziarie ha riferito di una serie d’incontri con l’allora presidente del Consiglio Emilia Barrile (tra gli imputati del procedimento) per individuare una società o i referenti a cui affidare il remunerativo recupero degli ingenti crediti vantati dal Comune. Due le alternative: da una parte il suggerimento della Barrile di puntare magari anche sul proprio consigliere-consigliore Marco Ardizzone, commercialista messinese emigrato in Lazio ed altro imputato eccellente di Terzo livello; dall’altra, la convinzione di Signorino e di un illustre collega che sarebbe stato meglio privilegiare la modalità del project financing, espressione anglosassone per celare tout court l’affidamento ai soggetti privati della gestione pubblica.
Ma me la tagliate l’erbaccia sotto casa?
Durante l’amministrazione comunale nel periodo di Accorinti ho ricoperto vari incarichi: sono stato vicesindaco, assessore al bilancio, assessore alle società partecipate, all’equilibrio finanziario, per un certo periodo assessore al patrimonio, fino al settembre del 2014 mi pare; insomma, questo tipo di responsabilità”, ha esordito Guido Signorino in udienza. “Dal 2016 sono stato assessore allo sviluppo economico, alla programmazione, non alle società partecipate a cui sono rientrato solo nel 2017. Nell’ambito della mia attività mi sono interfacciato con il presidente del Consiglio comunale dell’epoca, Emilia Barrile, ripetute volte ovviamente, per motivi istituzionali di gestione delle attività di calendarizzazione dei rapporti tra l’amministrazione e il Consiglio e anche per la partecipazione alle sedute del Consiglio a cui ho partecipato con una certa frequenza”.
Pm Federica Rende: - Senta, lei conosce Bommarito Sergio?
Guido Signorino: - Ho incontrato Sergio Bommarito…
Pm Federica Rende: - Ci spiega un attimo in che occasioni, perché e via dicendo?
Guido Signorino: - Sì, è stata una occasione di incontro che mi era stata proposta dal presidente del Consiglio Emilia Barrile per incontrare questa persona che voleva incontrarsi  con me, presumo nella qualità di vicesindaco. Abbiamo avuto appunto un colloquio alla presenza anche della signora Barrile nel quale in maniera abbastanza ampia e generale discutemmo delle attività svolte da Bommarito che fanno riferimento alla sua azienda di riscossione e di recupero crediti. Poi lui mi avanzò anche una segnalazione relativa allo stato delle scerbature attorno alla sua azienda, chiedendomi se Messinambiente (società interamente controllata dal Comune che svolgeva i servizi di igiene ambientale, in liquidazione Nda) poteva intervenire per bonificare il luogo e mi lasciò anche una specie di dossier fotografico relativo all’azienda e allo stato delle strade lì vicino. Non ricordo bene veramente quando si è verificato tutto questo, se è stato prima della fine del 2013 o nei primi mesi del 2014, mi sembra di poterlo collocare più nei primi mesi del 2014.
Pm Federica Rende: - Il ruolo della Barrile qual era in questa circostanza?
Guido Signorino: - La signora Barrile mi chiese di incontrare Bommarito e lo accompagnò a questo incontro, quindi diciamo agì da tramite per realizzare il contatto.
Pm Federica Rende: - Ma per quale motivo glielo presentava?
Guido Signorino: - Questo non… In realtà era la richiesta di un incontro, cosa che diciamo può avvenire, può accadere che ci siano persone che desiderano incontrarsi con le componenti politiche.
Pm Federica Rende: - Ma c’era la necessità di procedere ad attività?
Guido Signorino: - Io non avevo una necessità e non avevo manifestato alcuna esigenza di incontrare questa persona. Viceversa mi era stata manifestata l’intenzione, il desiderio, di questa persona di incontrarsi con me.
Pm Federica Rende: - Ma al Comune c’era la necessità di procedere al recupero di crediti per cui ci si potesse avvalere dell’attività di Bommarito?
Guido Signorino: - Diciamo che più che Bommarito la Fire gestiva in quel periodo il recupero crediti dell’Amam (Azienda Meridionale Acque Messina, Nda), e sicuramente c’era un contesto nel quale si stava ragionando sulla razionalizzazione dell’attività di recupero crediti complessivi del Comune. Poteva esserci anche naturalmente da parte di aziende, tanti anche si facevano avanti per proporre ipotesi contrattuali o modalità di relazione con il Comune, poteva esserci anche questo tipo di interesse da parte di Bommarito che però non venne esplicitamente manifestato in quell’occasione.
Pm Federica Rende: - Senta, invece Marco Ardizzone lo consoce in che occasione?
Guido Signorino: - Marco Ardizzone… ecco, io non ricordavo di averlo incontrato o conosciuto. Poi, riscontrando alcune evidenze di tipo, come dire, documentale sulle memorie dei cellulari, ho ricostruito un’altra circostanza nella quale la presidente del Consiglio mi chiese di incontrare persone… Mi nominò un tale Ardizzone col quale fui messo in contatto e dalla ricostruzione che ho potuto fare ritengo che questo incontro sia avvenuto all’inizio dell’anno 2014 nella mia stanza, appunto. Se ricostruisco in maniera corretta, in quell’occasione poteva essere emersa la possibilità di avere rapporti con il Comune anche in relazione alla possibilità di gestire attività di recupero credito, stante le esigenze che si aveva di razionalizzare l’attività.
Pm Federica Rende: -  Ci fa capire un po’ come ricostruisce?
Guido Signorino: - Ho riscontrato l’esistenza di alcuni contatti telefonici… No, di alcuni messaggi che ci siamo scambiati tra me e la presidente Barrile nella quale si faceva riferimento ad un incontro con persone e con un Ardizzone. Avevo detto io, avendo ricevuto un numero di telefono da richiamare, che avrei contattato Ardizzone e che ci saremo risentiti. Nei giorni immediatamente a seguire riscontrai dei messaggini nei quali la Barrile mi confermava e mi diceva qualcosa tipo: Verranno, ci dobbiamo sentire per incontrarci la settimana prossimae la ricostruzione che faccio io di questi messaggi sono che erano tutti tesi a realizzare questo incontro che poi avvenne nel gennaio del 2014 con persone che venivano anche da fuori Messina per rappresentare ipotesi di rapporto con il Comune in ordine alla gestione dei crediti.
Pm Federica Rende: - Senta, ma lei ha parlato anche di un numero telefonico. Poi lei ha avuto anche dei contatti telefonici con questo Ardizzone?
Guido Signorino: - Questo lo ricostruisco dal messaggio che io ho inviato alla Barrile all’epoca, ma non ricordo di aver avuto poi un contatto telefonico effettivo. Presumo di sì, probabil… E’ possibile di sì, però non lo ricordo e non lo posso ricostruire.
Pm Federica Rende: - Ma in ogni caso, tanto col Bommarito quanto con l’Ardizzone, poi c’è stata una prosecuzione dei rapporti?
Guido Signorino: - No.
Pm Federica Rende: - No. Ma per quale motivo?
Guido Signorino: - Non ho avuto ulteriori richieste di contatto né io avevo modo o motivo di…
Pm Federica Rende: - Ma perché questa attività non è proseguita, visto che si erano presentati come titolari di possibili ditte o comunque di attività volte a recuperare crediti e visto che il Comune aveva necessità?
Guido Signorino: -  Perché in realtà l’amministrazione si orientò verso un’ipotesi di proposta da sottoporre poi alle sedi competenti per l’approvazione eventualmente al Consiglio comunale, che andava verso un’altra direzione… Cioè noi ricevemmo una proposta di project financing che ci sembrò più interessante sotto il profilo tecnologico e potenzialmente anche sotto il profilo economico per il Comune. Per cui… sì, più vantaggiosa… Era una ditta del Piemonte che presentò questa proposta di project financing.
Pm Federica Rende: - Questa ditta si presentò autonomamente?
Guido Signorino: - Si presento autonomamente, sì, senza nessuna intermediazione di tipo politico, sicuramente.
Pm Federica Rende: Senta, il nome di Cuscinà le dice qualcosa?
Guido Signorino: - No.
Pm Federica Rende: - Non le dice niente. Senta, lei ricorda una vicenda relativa alla sdemanializzazione di un’area sita in Via San Sebastiano?
Guido Signorino: - Dunque, ritengo che questa vicenda sia legata ad una delibera relativa alla gestione del patrimonio o ad una ipotesi di delibera che però è intervenuta in maniera significativamente seguente alla mia alternanza rispetto alla delega. Io non ero più al patrimonio da oltre un anno quando si discusse di questa delibera.
Pm Federica Rende: - E allora, com’è che se la ricorda?
Guido Signorino: - No, l’ho ricostruita perché quando mi fu chiesto di rendere evidenza e mi fu chiesto di questa delibera, io chiesi un minimo di tempo per ricostruire documentalmente. Recuperai la delibera che inviai poi infatti alla D.I.A. al seguito della testimonianza resa. E nel recuperarla realizzai il fatto che questa risale alla fine del 2015, all’ultima parte del 2015, quando io non ero più assessore al patrimonio già da un anno abbondante.
Pm Federica Rende: -  Quindi non è a conoscenza di questa vicenda?
Guido Signorino: - No.
Controesame dell’avvocato Salvatore Silvestro, difensore dell’imputata Emilia Barrile: - Lei poc’anzi, rispondendo al Pubblico Ministero, ha fatto riferimento a questa opera di intermediazione della Barrile. Lei è stato assessore della Giunta del Comune di Messina per parecchi anni. E’ un’attività usuale per i consiglieri, il presidente del Consiglio?
Guido Signorino: - Rientra sicuramente fra le attività di relazione che ci sono… Insomma, è abbastanza usuale che persone chiedano a componenti politici di farsi introdurre presso l’amministrazione o comunque di potere essere in contatto per tramite di…
Avv. Silvestro: - Durante la sua permanenza a Palazzo Zanca, lei ha fatto riferimento a questi due incontri con la Barrile per motivi diversi a quelli istituzionali… Altri consiglieri comunali o vicepresidenti del Consiglio o presidenti delle singole commissioni in percentuale hanno avuto gli stessi incontri con lei come numero o è un dato anomalo due incontri in cinque anni, quello della Barile?
Guido Signorino: - Non è un dato anomalo.
Avv. Silvestro: - Senta, la Barrile, durante l’incontro che lei ha avuto con Bommarito, spese la sua influenza? Le disse: Guarda, vedi se lo puoi aiutare, o si limitò soltanto a mettervi in contatto?
Guido Signorino: - No, lo accompagnò e per altro Bommarito non avanzò nessun tipo di richiesta indipendentemente da quella della scerbatura…
Avv. Silvestro: Lei ha detto che le consegnò un book fotografico. Era una richiesta legittima?
Guido Signorino: - Diciamo non ci trovai nulla di particolarmente strano, perché segnalazioni, anche segnalazioni fotografiche rispetto a questi interventi sono usuali. Diciamo avvengono ordinariamente…
Avv. Silvestro: - Andiamo al secondo incontro, Ardizzone… Intanto in quel periodo vi era l’esigenza o comunque il Comune aveva manifestato all’esterno l’esigenza o l’interesse a questi programmi  per la realizzazione degli accertamenti finanziari?
Guido Signorino: - Non c’era stata una manifestata di interesse di carattere pubblico.
Avv. Silvestro: - Ma era risaputo?
Guido Signorino: - Diciamo… c’era un’esigenza che era nell’ordine delle cose e che era sicuramente conosciuta a tutta la comunità messinese.
Avv. Silvestro: - Senta, oltre l’Ardizzone, ci furono altri soggetti che proposero quella società di project financing, come l’ha definita lei, di Napoli? Ci sono stati altri soggetti che direttamente o per interposta persona si sono relazionati con lei?
Guido Signorino: - Sì, sì, anche per il tramite forse di qualche dirigente del Comune.
Avv. Silvestro: - E di altri politici?
Guido Signorino: No.
Avv. Silvestro: Quando fa riferimento ai dirigenti del Comune, anche a capi dipartimento, ragionieri?
Guido Signorino: - Sì, certo.
Avv. Silvestro: - Mentre quella società di Napoli si attivò…
Guido Signorino: Non di Napoli… del Piemonte, mi pare Pinerolo.
Avv. Silvestro: - Da chi fu veicolata?
Guido Signorino: - Se non ricordo male dall’avvocato Parrinello, Marcello Parrinello.
Avv. Silvestro: - L’avvocato Parrinello aveva dei ruoli all’interno del Comune?
Guido Signorino: - No.
Avv. Silvestro: - Era persona vicina ad ambienti, contesti politici?
Guido Signorino: - Non mi risulta.
Avv. Silvestro: - Aveva dei ruoli all’interno di Messinambiente?
Guido Signorino: - No.
Avv. Silvestro: - Non è stato liquidatore?
Guido Signorino: - All’epoca no.
Avv. Silvestro: - Ma le risulta che è stato liquidatore di Messinambiente?
Guido Signorino: - No.
Avv. Silvestro: - Non è stato liquidatore?
Guido Signorino:– All’epoca no… Non è stato liquidatore di Messinambiente, è stato avvocato dell’azienda Messinambiente in occasione della…
Avv. Silvestro: - Con nomina fiduciaria o nomina politica?
Guido Signorino: - Con nomina fiduciaria, diciamo…
Avv. Silvestro: - Fiduciaria da parte di chi?
Guido Signorino: - Da parte dell’amministrazione.
Avv. Silvestro: - E quindi, diciamo… okay. Amministrazione in quanto espressione di un colore politico.
Guido Signorino: - Sì.
Avv. Silvestro: - In particolare se lo ricorda?
Guido Signorino: - Io personalmente caldeggiai la figura del professore Parrinello.
Controesame dell’avvocato Tinarelli, difensore di Marco Ardizzone: - Ci può collocare temporalmente quando avvenne l’incontro con Ardizzone?
Guido Signorino: - Per ciò che ricordo io, diciamo è stato all’inizio del 2014, ritengo nelle prime settimane del mese di gennaio.
Avv. Tinarelli: - Si ricorda da dove veniva? Di dov’era? Da dove arrivava Ardizzone per l’incontro? Perché aveva parlato di soggetti all’esterno…
Guido Signorino: - Che dovevano venire da fuori, sì. Adesso non ricordo se da Roma o da Bologna, non so… L’incontro a cui faccio riferimento e se lo ricostruisco bene, ha visto la presenza oltre che della signora Barrile di altre due persone che provenivano da fuori. Uno era Ardizzone e l’altro un’altra persona. Non ricordo bene se ambedue venivano da fuori, dalla stessa città. Qualcuno veniva da fuori sicuramente, le città interessate potevano essere Roma e forse Bologna.
Avv. Tinarelli: - A che titolo pervenivano, ovvero si qualificarono per un’azienda? Personalmente? Quale fu l’argomento trattato in quell’occasione?
Guido Signorino: - Se ricostruisco bene, torno a dirlo, perché sono cose che sono relative a vari anni fa, la richiesta e la proposta venne a me avanzata dalla presidente del Consiglio Barrile ed era in relazione specifica appunto alle esigenze che il Comune poteva avere in relazione alla materia generale della riscossione dei crediti e delle attività di accertamento e poi di riscossione attiva.
Avv. Tinarelli: - Quindi non si parlò di una particolare azienda che si doveva occupare di questa attività?
Guido Signorino: - No, fu detto che poteva esserci la possibilità e la capacità per realizzare questo tipo di attività, ma poi la cosa non ebbe un seguito, per l’appunto.
Avv.  Tinarelli: - Ascolti un attimo. Ha parlato poi di alcuni contatti telefonici, poi ha ridimensionato dicendo che forse è stato un contatto. Ho capito bene o può spiegarci meglio il dato? 
Guido Signorino: - La circostanza è questa. Io ho recuperato sulla segreteria, sulla messaggeria mia telefonica, un mio messaggio al presidente del Consiglio Barrile nel quale dicevo qualcosa tipo Chiamo o chiamerò io Ardizzone. Il giorno dopo ho recuperato un messaggio nel quale mi veniva comunicato che c’era stato un contatto, quindi io non ricordo se poi effettui questa telefonata o se fu superata da un contatto diretto della Barrile con Ardizzone. E il giorno dopo ancora un altro messaggio nel quale mi veniva comunicato che c’era stato il contatto e che si sarebbe realizzato l’appuntamento nella settimana seguente, per cui già… Da tutto questo ricostruisco che c’è stata l’organizzazione di questa piccola riunione con questo numero di persone, per cui desumo che sia una riunione che è avvenuta tra me, Ardizzone, quest’altra persona e la presidente del Consiglio Barrile.
Avv. Tinarelli: - Quindi ricostruisce lì un contatto o due con la signora Barrile, sui quali presume che potrebbe esserci stato un contatto telefonico con l’Ardizzone, ma non ne ha ricordo. E’ corretto dire questo?
Guido Signorino: - Esatto, esatto.
Avv. Silvestro: - Ho fatto l’esame per la Barrile, una domanda nel contesto generale per l’imputato Carmelo Pullia. Se lei ricorda, nel momento in cui la signora Barrile e quel signore che lei ricorda essere Marco Ardizzone si sono interfacciati con lei, la Barrile cosa le disse espressamente?
Guido Signorino: - La Barrile introdusse la riunione naturalmente, presentando le persone. Ricordo che discutemmo appunto delle ipotesi di recupero crediti, insomma  delle problematiche del Comune rispetto questo, ma non cosa disse…
Avv. Silvestro: - A sollecitazione della sua memoria, l’8 agosto del 2018, quando è stato sentito presso gli uffici della Direzione investigativa antimafia, lei ebbe a dire: Mi ha presentato Ardizzone come un suo amico proveniente da Roma. La Barrile era interessata a presentarmelo perché riteneva che le attività o iniziative dell’Ardizzone, verosimilmente dei programmi per la realizzazione di accertamenti finanziari a favore del Comune, potevano essere vantaggiosi per l’ente… Lo conferma quello che lei ha dichiarato?
Guido Signorino: - Sì, ritengo di poterlo confermare…
Avv. Silvestro: - Dopodiché nel momento in cui disse: Guarda, ci sono questi programmi per la realizzazione di accertamenti finanziari, così come lei ricordava, perché non era certo in quel contesto che possono essere vantaggiosi per l’ente, la Barrile spese più parole? O poi il colloquio è avvenuto solo tra lei e Ardizzone oppure finì tutto là? Vi siete salutati e basta?
Guido Signorino: - Diciamo con le persone sicuramente sì. Con la Barrile in altre occasioni fu ripreso il discorso relativo alle questioni del recupero credito…
Avv. Silvestro: - Perfetto. Le caldeggiò più la Barrile nelle occasioni successive l’affidamento di questi servizi al…
Guido Signorino: - No in maniera diretta rispetto all’azienda. Espresse forti perplessità circa la strada che invece l’amministrazione avrebbe inteso intraprendere…
Avv. Silvestro: - Queste perplessità erano solo personali della Barrile o erano perplessità del gruppo politico?
Guido Signorino: - Non ne parlai col gruppo politico. Io la ricevetti semplicemente nel rapporto personale…
Avv. Silvestro: - E queste perplessità le ha rappresentate a lei solo la Barrile o anche altri esponenti politici? Altri consiglieri?
Guido Signorino: - Non ricordo di avere ricevuto altre perplessità in merito a questo, al project financing…
Avv. Silvestro: - Ma era stato fatto un appello? Un bando? Avevate aperto o se… o parliamo sempre di discussioni interne?
Guido Signorino: - Parliamo sostanzialmente sempre di discussioni interne perché poi la componente tecnica del Comune espresse una serie di riserve rispetto alla procedura, rispetto al progetto, rispetto alla sua sostanza, che ci impegnarono per lunghissimo tempo nella definizione degli aspetti…
Avv. Silvestro: - E questi rilievi dell’area tecnica del Comune erano sovrapponibili alle perplessità che le aveva manifestato la Barrile?
Guido Signorino: - La Barrile non mi manifestò perplessità sotto il profilo tecnico o non avemmo modo di argomentare e di approfondire i motivi di perplessità, ma generica perplessità, dicendomi poi comunque questa cosa deve passare dal Consiglio.
Avv. Silvestro: - C’era anche un problema di prescrizione nell’esazione dei crediti da parte del Comune in quel periodo temporale? Se ne discuteva?
Guido Signorino: - No, non discutemmo di questo. Non lo ricordo almeno.
Avv. Silvestro: - Ma c’erano?
Guido Signorino: - Non lo ricordo, almeno. Diciamo, il problema delle prescrizioni è un problema che è ovvio, perché appartiene al tempo che passa… In linea generale dovrebbe essere gestito dagli uffici tramite i ruoli poi inviati eventualmente alle agenzie di riscossioni…
Avv. Silvestro: - Da quanto tempo il Comune aveva necessità di organizzarsi in tal senso e non riusciva a farlo?
Guido Signorino: - Il problema della gestione dei crediti del Comune e dei comuni in linea generale è un problema continuo… Risale credo al 1861. Non credo che ci sia… e i tentativi di gestione sono stati i più vari e volta per volta il problema delle prescrizioni si è sempre posto e riproposto. Per cui è un problema costante e continuo…
Avv. Silvestro: - Sì, ma in quel contesto stavate affrontando il problema sia a livello di Giunta che a livello di Consiglio? 
Guido Signorino: - No, non specificatamente rispetto alle prescrizioni, ma generalmente rispetto alla gestione della problematica, che è cosa più ampia. La gestione tecnica, la gestione operativa, la gestione interna…
Pm Federica Rende: - Solo una precisazione su come è stata scelta questa ditta piemontese alla quale ha fatto riferimento…
Guido Signorino: - La ditta non è stata scelta… Il project financing non funziona nel senso che il Comune sceglie una ditta per attivare un project financing. Il procedimento è totalmente inverso, sono le ditte che propongono al Comune un project financing. Se il Comune lo ritiene interessante lo valuta ed eventualmente lo utilizza come bando pubblico per aprire una competizione rispetto al contenuto del progetto che è stato richiesto. Per cui non c’è una scelta, c’è una valutazione eventuale di una proposta che in maniera unilaterale proviene dalla ditta.
Pm Federica Rende: - Ma questa ditta com’è arrivata al Comune?
Guido Signorino: - Ha fatto una proposta  che è stata mediata per il tramite dell’avvocato Marcello Parrinello.
Pm Federica Rende: - Siccome inizialmente aveva detto che aveva fatto una proposta diretta…
Guido Signorino: - No. Io avevo detto che non c’era stata nessuna intermediazione di tipo politico. Cioè non c’era stata indicazione politica.
Pm Federica Rende: - Non mi pare. Comunque va bene. La ringrazio…
Se l’ex assessore ha ammesso come per l’amministrazione fossero determinanti certi suggerimenti dell’avvocato Marcello Parrinello, il prof. Signorino ha però manifestato più di un vuoto di memoria relativamente agli incarichi che il collega ha rivestito per conto del Comune di Messina nel quinquennio della sindacatura Accorinti. Già docente di Diritto commerciale alla facoltà di Economia dell’Università di Messina e presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo di Catanzaro, il prof. Marcello Parrinello vanta un curriculum professionale più che invidiabile: ex componente giuridico della Commissione urbanistica del Comune di Messina; curatore fallimentare su nomina del Tribunale di importanti aziende e società (SMEB Cantieri Navali S.p.A.; Demoter – società di costruzioni del Gruppo Borrella, ecc.); commissario straordinario della Gdm S.p.A. in liquidazione (grande distribuzione e realizzazione di megacentri commerciali); amministratore giudiziario delle società edili del gruppo Versaci; già amministratore delle società Paride S.r.l. (con delibera soci del 28 giugno 2004) e Piramide S.r.l. (delibera del 23 novembre 2004), entrambe riconducibili all’on. Francantonio Genovese e al cognato on. Franco Rinaldi; ecc. ecc..
Con provvedimento della Giunta municipale del 7 gennaio 2014, il prof. Parrinello è stato nominato Presidente del Cda della società di trasformazione urbana (Stu) “Tirone S.p.A.”, un carrozzone ideato dalle passate amministrazioni di centrodestra in vista di una cementificazione selvaggia dello storico e centralissimo  quartiere del Tirone. Lo scioglimento della Stu era uno dei punti chiave del programma elettorale del movimento che sostenne la candidatura di Renato Accorinti, ma inspiegabilmente, pochi mesi dopo il suo insediamento, venne deciso di riesumare la società affidandone la presidenza all’avvocato Parrinello e causando il primo violento strappo con l’ala più radicale dei suoi sostenitori. Della Tirone S.p.A. il Comune di Messina è titolare del 30% delle azioni, mentre i partner sono la nota società di costruzioni Pizzarotti Parma (socio di maggioranza), la Demoter (già nella titolarità di Carlo Borrella, poi dichiarata fallita dal Tribunale di Messina), il costruttore peloritano Paolo Arcovito. Dopo l’insediamento ai vertici della Stu, preso atto della decisione dei soci di non voler più proseguire nel progetto Tirone, il prof. Parrinello ha individuato nuove risoluzioni tecnico-economiche. Intervenendo il 25 settembre 2016 in Commissione consiliare, il legale ha fatto esplicito riferimento al “trasferimento della cubatura  prevista nel Tirone in altri luoghi della città” (al tempo si fece espresso riferimento all’area di via La Farina dove sorge un parcheggio interrato), cioè un intervento urbanistico particolarmente rilevante ma che sino a quella data non era mai stato rilevato nelle sedi politiche e istituzionali competenti. Per la cronaca, il responsabile unico RUP per il Comune di Messina nella procedura Stu “Tirone” era al tempo l’ingegnere Raffaele Cucinotta, odierno imputato insieme al costruttore Carlo Borrella nel processo Beta.
Con delibera n. 420 del 16 giugno 2016, la Giunta municipale ha inoltre attribuito a Marcello Parrinello l’incarico di patrocinio del Comune relativo al procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Messina e per l’avvio di azione civile per la nullità dei contratti di finanza derivata contro la BNL S.p.A. e la controllata Dexia (proponente il sindaco Renato Accorinti; importo riconosciuto 10 mila euro).
L’amministrazione comunale – lo ha ricordato Guido Signorino nel corso della sua deposizione al processo Terzo livello– ha affidato infine a Parrinello la predisposizione del concordato preventivo con la controllata Messinambiente, società di cui era stata avviata la procedura fallimentare (previsto in suo favore il versamento da parte del Comune di 30 milioni di euro: 10 milioni nel triennio 2017-19 e 5 milioni all’anno a partire dal 2020 fino all’esercizio 2023). La delibera che autorizza il contributo di palazzo Zanca al concordato è stata approvata dal Consiglio comunale il 3 ottobre 2017 (proponente l’assessore alle partecipate prof. Guido Signorino).
Nel maggio 2017 il nome di Marcello Parrinello è comparso infine nelle cronache di stampa locali come possibile candidato alla presidenza dell’Azienda Trasporti Municipalizzata (Atm) di Messina. A proporlo, stavolta inutilmente, ancora il professore Guido Signorino.

Quando i Santapaola misero gli occhi sul calcestruzzo per il Ponte sullo Stretto

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Alle forniture di calcestruzzo per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina ci avrebbero dovuto pensare i fratelli Pietro “Piero” e Vincenzo “Enzo” Santapaola, stretti congiunti e presunti rappresentanti della famiglia mafiosa del boss catanese Benedetto “Nitto” Santapaola per la provincia di Messina. A riferirlo è stato il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, già a capo del potente clan di Mazzarrà Sant’Andrea, nel corso della sua deposizione come teste al processo Betasulle trame affaristiche e immobiliari del gruppo Romeo-Santapaola e di alcuni professionisti e imprenditori messinesi “contigui” all’organizzazione criminale.
“Piero o Enzo Santapaola, ma direttamente Piero, sono stati i garanti per ciò che concerneva il montaggio da parte della Calcestruzzi S.p.A. di Bergamo, all’epoca retta per la Sicilia da Franco Librizzi, di un impianto di calcestruzzo che facemmo montare sulla Panoramica in una cava che all’epoca o tutt’oggi, ancora non so, era di proprietà o è di proprietà di un certo Puglisi che era socio con la buonanima di Rotella Michele”, ha dichiarato Bisognano. “Essi furono i garanti affinché questo impianto fosse montato e desse la tangente direttamente a Piero. Però non lo so se avvenne, poi io fui arrestato. E questo impianto fu montato dalla Calcestruzzi S.p.A.; nel contempo c’era stato il progetto preliminare per la costruzione del Ponte affinché la Calcestruzzi subentrasse di nuovo su Messina per le forniture di calcestruzzo. Difatti mi ricordo che all’epoca fece un contratto di circa centomila metri cubi di materiale con questa cava dove aveva montato l’impianto”.
Quegli scivoloni della Calcestruzzi S.p.A. in Sicilia
Utile rispolverare alcune delle vicende giudiziarie che hanno interessato certe attività della società leader in Italia nella produzione di cemento e calcestruzzo. Fondata alla fine degli anni cinquanta dalla famiglia Ferruzzi di Ravenna, nel 1997 la Calcestruzzi S.p.A. fu acquistata dall’allora Gruppo Italcementi in mano alla famiglia lombarda dei Pesenti, per essere definitivamente trasferita tre anni fa al colosso tedesco HeidelbergCement che vanta un fatturato annuo di 17,3 miliardi di euro e poco meno di 70.000 dipendenti sparsi in tutto il mondo.
Nel novembre 2005, nell’ambito del procedimento Odessa relativo alla riorganizzazione della famigliadi Riesi, la Procura della Repubblica di Caltanissetta ordinava l’arresto di una quarantina di persone, tra i quali Giuseppe Giovanni Laurino, al tempo capo zona per la Sicilia orientale della Calcestruzzi S.p.A di Bergamo, ritenuto dagli inquirenti uomo d’onore affiliato alla cosca locale, per conto della quale avrebbe operato nell’impianto di calcestruzzo gestito a Riesi. Nel luglio 2006 l’operazione antimafia Doppio Colpo fornì ulteriori elementi sul sistema di penetrazione economica delle cosche nissene nella gestione degli appalti e della fornitura di materiali ai cantieri edili. Sotto inchiesta insieme a Laurino ed alcuni boss locali finirono altri due dipendenti della Calcestruzzi, Fausto Volante (allora direttore regionale per la Sicilia) e l’autotrasportatore Salvatore Paterna. Alla sede centrale della società controllata da Italcementi venne notificata un’informazione di garanzia: secondo la Procura la Calcestruzzi aveva “svolto attività di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra”.Contestualmente la Procura emise un decreto di sequestro preventivo degli impianti posseduti nella provincia di Caltanissetta.
A fine gennaio 2008 la Calcestruzzi S.p.A. rimase coinvolta in una nuova inchiesta della Procura nissena che ordinò il sequestro preventivo della società e l’arresto dell’allora amministratore delegato Mario Colombini per “truffa, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e intestazione fittizia di beni con l’aggravante di avere agevolato l’attività della mafia”. Assieme a Colombini finirono in manette anche l’ex direttore generale per la Sicilia e la Campania Fausto Volante e due suoi ex predecessori alla guida della Calcestruzzi, Francesco Librizzi e Giuseppe Giovanni Laurino.Stando agli inquirenti, la gestione del comparto produttivo di Calcestruzzi, “carente di adeguate direttive e di dovuti controlli, sarebbe stata affidata a figure aziendali di dubbia lealtà ed alcune addirittura organiche a Cosa Nostra che avrebbero consentito di curare gli interessi della consorteria criminale e, contestualmente, avrebbero garantito adeguati introiti alla holding”. Qualche mese dopo l’intero capitale sociale dell’azienda bergamasca fu però dissequestrato e decadde l’accusa di favoreggiamento della mafia ed intestazione fittizia di beni.
In un nuovo filone d’indagine del 2010 denominata Doppio Colpo 2, i Carabinieri e la Guardia di Finanza di Caltanissetta arrestarono 14 persone per associazione a delinquere e frode in pubbliche forniture. Secondo l’accusa, la Calcestruzzi S.p.A., al tempo sotto amministrazione giudiziaria, aveva assunto un ruolo da “monopolista” nella fornitura di calcestruzzo in Sicilia grazie a presunti accordi stipulati con alcune consorterie criminali. Anche stavolta però buona parte delle accuse vennero smontate dalla difesa in sede processuale: in particolare fu rilevato dalla società come dei circa 250 impianti di produzione di calcestruzzo esistenti in Sicilia solamente sette erano sotto il suo controllo e pertanto non era possibile “insinuare alcuna posizione di monopolio”. Nel dicembre 2013 il Tribunale di Caltanissetta, su richiesta del Pm titolare delle indagini, prosciolse gli indagati coinvolti nell’operazione. Al processo di primo grado sulle presunte forniture di calcestruzzo depotenziato per la costruzione di importanti opere pubbliche in Sicilia, tra cui pure lo svincolo autostradale di Castelbuono sulla Messina-Palermo (secondo l’accusa grazie ad una peggiore qualità dei materiali, l’azienda avrebbe ottenuto i fondi per pagare il pizzo a Cosa Nostra), l’ex amministratore Mario Colombini fu invece condannato a 4 anni di carcere e seimila euro di multa per frode in pubbliche forniture. Sei anni e 10 mesi furono inflitti invece all’ex direttore Fausto Volante e 3 anni e sei mesi all’altro capo area della Calcestruzzi S.p.A., Giuseppe Giovanni Laurino, divenuto intanto collaboratore di giustizia (Laurino era stato già condannato a 10 anni per associazione mafiosa al processo scaturito dall’operazione Odessa). Al processo d’appello (sentenza del 30 settembre 2014), i giudici della Corte di Caltanissetta hanno ridotto la condanna per Mario Colombini a 2 anni e 6 mesi, mentre hanno assolto Volante e Laurino. Nell’aprile 2017 l’ex dirigente della Calcestruzzi Fausto Volante è stato assolto ancora una volta a Caltanissetta al processo che lo vedeva imputato di concorso esterno in associazione mafiosa (il Pm aveva chiesto la condanna a 9 anni ritenendolo “vicino” alla famiglia di Riesi).
Una cava sulla Panoramica per i grandi affari del Ponte
Se alla fine la società bergamasca e quasi tutti i suoi responsabili locali uscirono indenni dalle pesanti inchieste che li aveva visti coinvolti in Sicilia, le attività d’indagine e le intercettazioni ambientali hanno provato come uno degli interessi strategici delle alleanze realizzate nell’Isola dalla Calcestruzzi S.p.A. erano finalizzate proprio alla compartecipazione ai lavori di realizzazione del Ponte di Messina.
“La Calcestruzzi aprì un impianto a Messina in previsione della costruzione del Ponte sullo Stretto; del resto Impregilo, ex Girola, ha sempre lavorato con la Calcestruzzi”, ha riferito ai giudici di Caltanissetta Salvatore Paterna, già dipendente della società al tempo in cui era in mano al gruppo Pesenti. A seguire l’evoluzione dell’impianto peloritano c’era allora Francesco Librizzi, l’ex capo zona menzionato dal collaboratore Carmelo Bisognano all’ultima udienza del processo Beta (anche Librizzi è stato assolto a Caltanissetta). In quegli anni il capo zona di Calcestruzzi era in contatto con il capo della famiglia mafiosa di Caltagirone, Francesco “Ciccio” La Rocca, storico alleato dei Santapaola e delle cosche dei Nebrodi (clan Rampulla). Secondo quanto appurato dagli inquirenti, il 29 novembre 2002 a San Michele di Ganzaria si tenne un incontro a cui parteciparono Francesco La Rocca e Francesco Librizzi insieme a Giovanni Giuseppe Laurino, Alfio Mirabile e altri esponenti di spicco delle mafia catanese e nissena per discutere sulle forniture di calcestruzzo in Sicilia. All’ordine del giorno del meeting pure la produzione di un nuovo impianto Calcestruzzi nella città dello Stretto e la realizzazione di un piano di urbanizzazione nel quartiere di Santa Lucia a Contesse. “Dal tenore dei dialoghi – riportano gli inquirenti – appare chiaro il riferimento alla pianificazione di alcuni lavori ed alla relativa fornitura di conglomerato cementizio che sarà a cura di un impianto della Calcestruzzi. Gli elementi, naturalmente, convergono ad individuare l’impianto di Messina che sono dei locali di Messina, ci dicono come soprannome l’arancino”.
Successivamente i magistrati sono stati in grado di accertare che dietro lo pseudonimo di arancinoutilizzato nei colloqui tra gli indagati si celavano i fratelli Nicola e Domenico Pellegrino, “persone che senza essere inserite nella struttura organizzativa di un sodalizio e costituire un autonomo gruppo criminale, hanno operato nell’ambito della loro attività imprenditoriale d’intesa con esponenti mafiosi” (i due boss messinesi Luigi Sparacio, poi collaboratore di giustizia, Giacomo Spartà, ecc.). Ai fratelli Pellegrino, originari del villaggio della zona sud di Santa Margherita, attivi nel settore della movimentazione terra, dell’edilizia e della produzione di calcestruzzo, sei mesi fa sono stati confiscati in via definitiva i beni patrimoniali per un valore di 50 milioni di euro. Il ruolo di dominus assunto dalle aziende in mano ai fratelli Pellegrino nelle opere pubbliche della città di Messina è confermato dalla rilevanza dei lavori ottenuti in appalto: la demolizione di alcune palazzine del complesso “Casa Nostra” di Tremonti; lo smantellamento dei padiglioni all’interno di alcune caserme militari; le operazioni di sbaraccamento di Fondo De Pasquale, nel quartiere di Giostra; la costruzione dell’approdo di Tremestieri utilizzato per il traghettamento dei Tir nello Stretto e un grande centro commerciale nel villaggio di Contesse.
C’è stato un altro ex funzionario della Calcestruzzi S.p.A., tale Francesco Staiti, a fornire ai magistrati nisseni ulteriori elementi sull’interesse suscitato dallo stabilimento creato a Messina in vista dei lavori del Ponte. Nel corso di un’udienza del processo Odessa contro le cosche di Riesi, Francesco Staiti ha dichiarato di essere stato raggiunto nella città dello Stretto da Francesco Librizzi e Giovanni Giuseppe Laurino che gli proposero di curare la realizzazione di un impianto di calcestruzzi. “La costruzione dello stabilimento di Messina iniziò nell’agosto 2002 e già due mesi dopo, ad ottobre, esso era operativo”, ha spiegato l’ex dirigente. Francesco Staiti fu nominato responsabile dell’impianto, ma il suo rapporto fiduciario con Laurino e Librizzi si incrinò dopo gli arresti ordinati a fine 2005. L’agosto successivo Staiti fu sospeso dall’azienda su pressione dei due, subendo pure danneggiamenti e minacce telefoniche da parte di misteriosi terzi. Francesco Staiti ha rivelato agli inquirenti di avere avuto dei conflitti con Laurino perché quest’ultimo non condivideva il modo con il quale egli seguiva le regole di gestione, curava la riscossione dei crediti aziendali e controllava la qualità degli inerti forniti. A far precipitare le cose, l’intenzione del responsabile di mettere seriamente in discussione “per la sua scarsa qualità”, la fornitura alla Calcestruzzi del materiale da cava da parte dell’A.G.P. S.r.l. di Messina, “società che vedeva titolari gli autotrasportatori Michele Rotella e Giacomo Lucia”. Il primo era noto negli ambienti criminali barcellonesi con il soprannome u baruni. Arrestato nell’ambito dell’inchiesta Vivaiosulle infiltrazioni mafiose nella gestione delle discariche di rifiuti di Mazzarrà Sant’Andrea e Tripi e nei lavori di raddoppio della linea ferroviaria Messina-Palermo, a seguito di un malore Michele Rotella è deceduto nel febbraio 2016 nel carcere di Catanzaro dove stava scontando la condanna definitiva a 8 anni di reclusione per quel procedimento.
Ma anche Salvatore Paterna ha fatto ai giudici i nomi dei piccoli imprenditori-auto trasportatori del messinese. “Michele Rotella e Giacomo Lucia, in compagnia di Francesco Librizzi, si presentarono un giorno dal direttore Volante per discutere di questioni commerciali e ad un certo momento Rotella gli consegnò dodicimila euro avvolti in carta di giornale”, ha riferito l’ex dipendente Calcestruzzi. “Si trattava della sovrafatturazione destinata alle famiglie di Cosa Nostra locali. Il Volante ritenne quel gesto un modo per incastrarlo magari al fine di essere scavalcato in carriera da Librizzi; quindi, preoccupato di ciò, denunciò il tutto… Fu Laurino a riferirmi i particolari e a dirmi che Librizzi per tali ragioni venne licenziato”.
A seguito dell’inchiesta su mafia e cemento, Fausto Volante fu sospeso dalla Calcestruzzi. Prima di lasciare l’incarico, Volante concesse senza esserne previamente autorizzato un fido di 258 mila euro ed una comoda dilazione di pagamento ad una società cooperativa a responsabilità limitata denominata “Giostra”, operante a Messina. L’operazione fu duramente commentata nel corso di una conversazione telefonica tra l’allora amministratore delegato Mario Colombini e Ioannis Karidis, la persona chiamata a sostituire Volante in Calcestruzzi. “Ma chi sono i partecipanti alla SCARL?”, chiede Colombini. “Boh!”, risponde Karidis con un’ironica risata. “Ecco, cerchi di appurare chi sono questi, perché sa, queste SCARL sono una consuetudine abbastanza diffusa sul mercato e l’importante è vedere chi c’è dietro... Magari sono azionisti che conosciamo, affidabili, perché mi meraviglia che abbiamo dato 250 mila euro se dietro non ci sono aziende solvibili...”. “È una società consortile tra Demoter e AIA S.p.A.”, precisò alla fine il funzionario siciliano. I lavori oggetto di discussione erano quelli rilevati dalla Demoter del potente costruttore Carlo Borrella (tra gli imputati chiave del processo Beta) per il completamento degli svincoli autostradali di Giostra e Annunziata, progettati la notte dei tempi proprio in vista della connessione dell’A-20 Messina-Palermo con Capo Peloro e il Ponte.
Il 19 settembre 2006, il nuovo responsabile Calcestruzzi Ioannis Karidis veniva intercettato mentre analizzava con un ingegnere le strategie aziendali tra la società madre Italcementi e la controllata Calcestruzzi nei mesi in cui si faceva sempre più probabile l’avvio dei lavori per il Ponte sullo Stretto. Argomento centrale l’apertura di nuovi impianti a Catania (Piano Tavola e Primo Sole) e nella provincia di Messina. In quest’ultima, Calcestruzzi sarebbe stata orientata ad abbandonare il presidio presso la cava di Messina gestita dall’A.G.P. S.r.l., alla luce dei problemi amministrativi riscontrati e delle pretese incalzanti della locatrice, per rilanciare il vecchio opificio in disuso a Villafranca Tirrena, sotto sequestro per violazioni di carattere ambientale. “Ci sono grossi problemi di bonifica, proprio un casino – affermava uno degli interlocutori – ma così abbiamo modo di occupare tutto il mercato dal capoluogo sino a Milazzo”.
Soffermandosi sull’impianto di Messina, i due dirigenti rilevavano come la sua gestione registrasse perdite finanziarie stimate nell’ordine di 120 mila euro l’anno. Ciò, però, non sembrava preoccuparli, anche perché la cessione del cemento tra Italcementi e Calcestruzzi rendeva assai remunerativo lo stabilimento. Scrivono in merito gli inquirenti nisseni: “I calcoli effettuati evidenziano che l’impianto di Messina attesterà nel 2006 una produzione di calcestruzzo pari a 16.000 metri cubi. Data la percentuale di stima di utilizzo delle polveri di cemento di circa il 30% per ogni metro cubo di calcestruzzo prodotto, gli interlocutori concordano su un quantitativo di cemento impiegato nella produzione pari a 4.800 tonnellate. La vendita di tale legante al prezzo di 80 euro la tonnellata permetterà di incamerare alla Italcementi una somma complessiva di 384.000 euro. Applicando la percentuale di margine operativo lordo determinata dalla citata società nel 30%, gli interlocutori ottengono un ricavo stimato a circa 115.000 euro”. La perdita derivante dalla cessione di calcestruzzo veniva pertanto compensata con i relativi ricavi ottenuti con la cessione delle polveri di cemento. Considerato poi che per i lavori del Ponte era stata prevista la fornitura di oltre un milione e centomila tonnellate di cemento e 860 mila metri cubi di calcestruzzo, si può comprendere come mai l’impianto di Messina dovesse essere comunque mantenuto in vita.
La presenza di Michele Rotella e Giacomo Lucia all’interno dell’A.G.P. Aziende Generali Puglisi S.r.l., la società con oggetto la produzione, lavorazione e vendita di inerti e manufatti in cemento che secondo Carmelo Bisognano sarebbe stata attenzionata dai fratelli Santapaola per i lavori del Ponte, è stata accertata dagli inquirenti della Direzione Investigativa Antimafia nel corso dell’inchiesta Vivaio e riportata dal Gip del Tribunale nella relativa ordinanza di custodia cautelare dell’8 aprile 2008. Anche il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria a pag. 830 dell’ordinanza di applicazione di misure cautelari della cosiddetta operazione Gioco d’azzardo (6 maggio 2005) si sofferma sulla stessa società. “Sempre riconducibile al Puglisi Antonino Giovanni è poi l’A.G.P. - Aziende Generali Puglisi S.r.l., ditta che gestisce in questa contrada Fosse Minaia una cava di sabbia con capitale ripartito fra Bonanzinga Elisabetta, Lucia Giacomo, Rotella Angelo, Puglisi Adele figlia di Antonino Giovanni, Di Pietro Maria, Scalisi Vincenzo”, annota il Gip di Reggio. “A partire dal 10 febbraio 2003, rappresentante legale della società è Madaudo Dino, marito della Bonanzinga Elisabetta, esponente di rilievo del P.S.D.I., deputato nazionale, già Sottosegretario alle Finanze e alla Difesa”. Il Rotella Angelo  non è altro invece che il figlio di Michele Rotella ‘u baruni.
Ancora una prova documentale dunque della veridicità delle dichiarazioni rese dal collaboratore Bisognano al processo Beta.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 17 aprile 2019, 

Le Grandi Opere della famiglia Romeo-Santapaola da Messina

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L’ammodernamento dei padiglioni del centro ospedaliero “Piemonte” e della Cittadella sportiva dell’Università degli Studi; la pavimentazione delle autostrade Messina-Catania e Messina-Palermo; il ripascimento delle spiagge di Rodia e San Saba nella fascia tirrenica della città dello Stretto; la realizzazione della megadiscarica di immondizia nel territorio di Tripi; la costruzione della circonvallazione di Patti e dell’approdo di Tremestieri nella zona sud di Messina; finanche la fornitura di calcestruzzo al general contractor a cui era affidata la realizzazione del Ponte tra Scilla e Cariddi. Sono alcune della Grandi Opere su cui avrebbero messo gli occhi e le mani i capi-referenti della famiglia Romeo-Santapaola, imputati chiave accanto ad alcuni noti imprenditori e professionisti nel cosiddetto processo Beta, attualmente in corso nell’aula bunker del Tribunale di Messina.
A ricostruire in dibattimento alcuni degli affari di cemento più lucrosi dei Romeo-Santapaola è stato il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, già ai vertici della consorteria criminale dei mazzarroti. “Sono nato a Mazzarrà Sant’Andrea e sono domiciliato presso il Servizio centrale di protezione, in atto detenuto per espiazione pena definitiva dal 13 luglio 2018 per l’operazione antimafia Gotha”, ha esordito Bisognano . “Io facevo parte della organizzazione dei barcellonesi dal 1989. Ho deciso di collaborare con la giustizia nel 2010, esattamente iniziai la collaborazione il 25 novembre 2010. Ho conosciuto Piero Santapaola e anche il fratello Enzo: sono i referenti della famiglia Santapaola su Messina. All’epoca mi ricordo che avevano una ditta di forniture di carni o gestione di macellerie a Messina, insieme ad un’altra persona. Gestivano un deposito di carni all’ingrosso all’uscita di Messina Gazzi nei pressi dello stadio Celeste, comunque nella zona verso il mare. In un primo momento ho conosciuto Piero Santapaola, se non vado errato, dopo la metà degli anni ‘90, tra il 1997 e il 1999. Con lui ho avuto un paio di rapporti per dei lavori. Gli presentai Concetto Bucceri e poi avemmo dei contratti perché all’uscita di Messina Centro ci dovevano essere dei lavori all’ospedale Piemonte. Non mi ricordo quale era la ditta che se li aggiudicò all’epoca, però il subappalto lo doveva fare, cioè lo fece, iniziò i lavori che poi non continuò, la buonanima di Michele Rotella. Così mi ero rivolto a Piero Santapaola quale referente per non avere problemi. I barcellonesi da sempre hanno avuto dei contatti con la famiglia Santapaola, sono stati sempre in ottimi rapporti, e in più Piero Santapaola, a mio sapere, era il referente di Pietro Trischitta su Messina. Io non lo conosco direttamente a Trischitta ma è un personaggio della criminalità locale. In ogni caso il principale interlocutore con cui noi barcellonesi eravamo in contatto sempre per i lavori da eseguirsi a Messina era Piero Santapaola, appartenente al gruppo Santapaola. Ora non mi ricordo se a questa impresa di Rotella gli fu messo qualche bidoncino di benzina, qualche cosa. Ebbero però qualche segnale e giustamente Rotella mi chiamò ed io mi mossi subito e parlai con Piero e gli dissi che non c’erano problemi perché Rotella pagava già a noi come impresa, perciò non avrebbe avuto nessun problema a pagare su Messina”.
I pizzi autostradali dei fratelli Santapaola
“Con Piero Santapaola mi dovevo incontrare per un’altra vicenda, ma quella mattina non venne”, ha aggiunto Carmelo Bisognano nel corso della sua deposizione come teste al processo Beta. “Eravamo io e la buonanima di Sebastiano Rampulla che allora aveva l’autorizzazione per potersi muovere e andare a Messina per fare una visita; non mi ricordo se in quel periodo egli era sottoposto alla sorveglianza o all’obbligo di dimora. In quell’occasione ci dovevamo incontrare con Piero, difatti abbiamo aspettato all’entrata lato monte del Policlinico, per far sì che si mettesse in contatto con il padre o il figlio degli Scinardo, personaggi legati al Rampulla che sono dei grossi allevatori, per la macellazione e il commercio di carni fra loro”.
"Con Piero Santapaola ho avuto a che fare per altre questioni. C’era un lavoro che la Tecnis di Catania aveva preso in associata con una ditta di Palermo per la pavimentazione dell’autostrada Messina-Catania e della Messina-Palermo. Non mi ricordo adesso quanto era l’importo dei lavori. Ne parlai direttamente io con Piero Santapaola visto che i lavori ricadevano sia su Barcellona, sulla zona di influenza nostra, che su Messina. Onde evitare che diversi personaggi interferissero, andassero a disturbare o creassero problemi sui cantieri, me la vedevo direttamente io. Così prima mi incontrai col geometra Bonanno tramite Pietro Orlando che me lo presentò alla sede Anas sulla circonvallazione di Catania, e poi direttamente col geometra Ranno nella sede della Siciliana Carbonio che a Fontanarossa, di fronte al Comando Radiomobile dei Carabinieri, loro hanno un deposito di gasolio all’ingrosso. Quando mi sono incontrato col geometra Ranno, lui mi diede una parte dei soldi che poi fu inviata a Piero Santapaola o a Enzo. Questa somma gliela consegnai a Sem Di Salvo e a Piero o Enzo Santapaola gliela diede Sem Di Salvo. Diverse volte erano venuti personaggi a cercare questi soldi, addirittura era venuto un certo Franco che io non conoscevo, Franco ‘u Furnarogli dicevano in dialetto, il fornaio, ed io non gli avevo dato questi soldi perché non era il mio interlocutore. Ho detto: Guarda, fammi parlare, perché poi lì nacquero delle altre discussioni perché nel frattempo vi era la costruzione della vecchia discarica di Tripi che la gestiva Messinambiente. Lì gli bloccammo i camion a Messinambiente e intervenne questo Franco il fornaio, e nel contempo questo mi cercava i soldi dell’autostrada ed io gli dissi: Senti una cosa, ma tu che c’entri con i soldi dell’autostrada?Mo’ stai venendo con questa cosa, io non ti conosco, conosco sia Piero che Enzo. E tempo prima era venuto Enzo Santapaola, ci eravamo incontrati in località Cantone in un villaggio turistico che noi frequentavamo, il gruppo dei barcellonesi. L’ho messo a disposizione da Sem Di Salvo perché l’incontro me lo creò lui, ed io gli avevo detto la stessa cosa perché Messinambiente stava facendo questi lavori, scaricava la spazzatura, perché loro erano gli interlocutori diretti con i dirigenti di questa società e i soldi non arrivavano. Ho detto: Io, se non arrivano questi soldi, non vi mando neanche quelli che vi devo mandare per quanto concerne l’autostrada…”.
Il collaboratore di giustizia ha ricordato come la Tecnis di Catania fosse interessata ad altri lavori nel messinese oltre a quello della pavimentazione delle due autostrade siciliane. “La Tecnis costruì il porto di Tremestieri, quello dove imbarcano i camion”, ha dichiarato. “In un mio verbale del 28 marzo 2011 raccontai già al Pubblico Ministero che una volta il geometra Ranno mi disse che loro avevano come interlocutori per il pagamento delle messe a posto anche in territori diversi da Catania il gruppo di Picanello in quel momento retto da Carmelo Salemi. Avvenne che Piero Santapaola, il fratello di Enzo, mi disse che intendeva incontrare gli imprenditori della Tecnis che stavano per aggiudicarsi i lavori per l’approdo di Tremestieri di Messina e che voleva sfruttare i miei contatti con quell’impresa. Io parlai con Salemi e si stabilì la percentuale dell’uno per cento, come peraltro si era operato in passato. Io su Picanello conoscevo il reggente che poi fu arrestato, Giovanni Comis. Conoscevo Carmelo Salemi perché me l’aveva presentato Giovanni Comis e lui acconsentì a questa situazione. Poi mi incontrai con Carmelo Salemi e da lì nacque tutto il discorso della costruzione del porto e degli importi”.
“Quando per l’operazione Sistemache fece fare il nostro affiliato Maurizio Marchetta, fui arrestato con Pietro Nicola Mazzagatti, Carmelo D’Amico, Giuseppe Castro, Vincenzo Licata e l’imprenditore Mortellaro, il Mazzagatti, un associato deibarcellonesi di Santa Lucia del Mela, mi raccontò qualche cosa in riferimento a questi lavori del porto di Tremestieri”, ha ricordato Bisognano. “Con il Mazzagatti eravamo detenuti nella stessa cella, la numero 36, secondo piano, insieme a Nunziato Siracusa. In quella occasione il Mazzagatti mi accennò ad un qualche suo ruolo che aveva svolto nell’ambito dei lavori per l’approdo di Tremestieri, su intervento direttivo di Enzo Santapaola fratello di Piero. A tale riguardo egli affermò che Enzo lo stava facendo impazzire per Tremestieri. Io non ho voluto chiedere di cosa si trattasse anche se rimasi piuttosto sorpreso di quest’affermazione dal momento che conoscevo il Mazzagatti come un soggetto che svolgeva l’attività di ristoratore e che non era interessato in alcun modo all’approdo. Lì ci fu un problema, perché da Catania dovevano fare le forniture certi imprenditori, i fratelli Fonte o qualcosa del genere, che erano vicini a Santo Battaglia, al Villaggio Sant’Agata, mentre su Messina c’erano i fratelli Pellegrino che proprio su Tremestieri avevano mezzi e impianti di calcestruzzo. Erano loro che dovevano fare quel lavoro perché era più pratico per Piero riuscire a gestire quella situazione tramite i fratelli Pellegrino”.
Le forniture per il mostro-fantasma di Capo Peloro
C’è un altro inedito passaggio del racconto di Carmelo Bisognano sugli affari dei fratelli Santapaola, relativo alla fornitura di materiali per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. “Piero o Enzo, ma direttamente Piero, sono stati i garanti per ciò che concerneva il montaggio da parte della Calcestruzzi S.p.A. di Bergamo, all’epoca retta per la Sicilia da Franco Librizzi, di un impianto di calcestruzzo che facemmo montare sulla Panoramica in una cava che all’epoca o tutt’oggi, ancora non so, era di proprietà o è di proprietà di un certo Puglisi che era socio con la buonanima di Michele Rotella”, ha riferito il collaboratore. “Loro furono i garanti affinché questo impianto fosse montato e si desse la tangente a Piero direttamente. Però non lo so se poi avvenne perché fui arrestato. E questo impianto fu montato dalla Calcestruzzi S.p.A. nel contempo che c’era stato il progetto preliminare per la costruzione del Ponte affinché la Calcestruzzi subentrasse di nuovo su Messina per le forniture di calcestruzzo. Difatti mi ricordo che all’epoca fece un contratto di circa centomila metri cubi di materiale col questa cava dove aveva montato l’impianto”.
“Mi ricordo anche della vicenda dell’impresa Palilla Costruzioni, di Agrigento o Cammarata, che doveva svolgere lavori marittimi a Messina. Però poi non la gestii io questa situazione, la gestì Pippo Castro. Io avevo dato questa disposizione, poi fui arrestato, però la gestì lui. Il Castro era una sorta di raccordo tra la nostra organizzazione e quelle catanesi, e quando vi era la necessità faceva la messa a posto con le imprese che dovevano pagare il pizzo. Ad esempio, tra il febbraio ed il maggio del 2004, mentre trascorsi un periodo di detenzione al carcere di Messina, venni a sapere dal mio codetenuto Salvatore Centorrino che in relazione ad alcuni lavori di ripascimento a Santo Saba o Rodia eseguiti dall’impresa Palilla, il Castro aveva da questi ottenuto la somma di euro 20 mila a titolo di estorsione che aveva eseguito per conto di Piero Santapaola di Messina. Ricordo pure un’impresa Russello di Gela che ha eseguito dei lavori nella Cittadella Universitaria a Messina. Anche in questa situazione era  interessato il Castro, che poi fu arrestato, e sempre ci fu un coinvolgimento di Piero Santapaola. Castro era il garante che i lavori che l’impresa Russello stava eseguendo nella Cittadella proseguissero e che nessuno andasse a disturbare. E Piero Santapaola da questa cosa ci guadagnava i soldi che venivano versati dall’estorsione”.
Bisognano si è soffermato infine sulla figura dell’anziano patriarca dei Romeo-Santapaola di Messina, il pregiudicato Francesco Romeo. “Di Francesco Romeo ne ho sentito parlare, sarebbe Ciccio, ma non lo conosco personalmente; sarebbe lo zio, se non vado errato, di Piero e Enzo Santapaola”, ha dichiarato. “Ne risento parlare in un’occasione… Nasce un lavoro a Patti che viene aggiudicato, è la circonvallazione di Patti, sul lato che va verso Brolo, della strada che sale verso Montagnareale vicino al cimitero, e se lo aggiudica, se non vado errato, l’impresa Coop La Sicilia di Bagheria. In questo frangente assieme a questa ditta c’è associato un certo Costanza di Santa Domenica Vittoria. Quasi tutti i mezzi che c’erano sul cantiere sono stati incendiati e sono strati distrutti. Noi, parlo del gruppo dei barcellonesi, eravamo sempre in stretti contatti con i referenti del gruppo Santapaola sulla zona di Maniace, Bronte, Adrano, il gruppo di Turi Catania, gestito all’epoca da Gianfranco Conti Taguali, Marco Conti Taguali e dallo zio Francesco Franco Conti. Assieme a Tindaro Calabrese, sapendo che questa impresa era di Santa Domenica di Vittoria, mi recai a Maniace a parlare con Franco Conti, che faceva l’imprenditore, per sapere se la conosceva. Mi dice di sì e gli espongo il problema. Gli ho detto: Guarda, questa ditta si è aggiudicata questo lavoro. Era un lavoro che dovevamo fare noi, ma purtroppo per degli eventi che sono successi in sede di gara non ce la siamo potuti aggiudicare, se l’è aggiudicata questa impresa… Sappiamo che c’è questo Costanzo, digli che ci cede il lavoro o almeno tutto il movimento terra. E gli avremmo dato noi a lui direttamente una percentuale di guadagno se lui ci avrebbe ceduto tutte le forniture e il movimento terra, le forniture di cemento, tutto quello che c’era da fornire, e loro avrebbero fatto il lavoro assieme a noi. Mi viene detto di sì e che non c’è nessun problema. A questo punto ce ne ritorniamo. Dopo qualche paio di mesi vediamo arrivare Rottino con i due Trifirò, sia Maurizio che Carmelo, che giravano sempre sul territorio. Io all’epoca abitavo a Furnari e Rottino mi dice:  Senti, vedi che a Patti hanno portato i mezzi per iniziare il lavoro della circonvallazione. Ho detto: Come hanno portato i mezzi? e lui dice: Sì, hanno portato i mezzi. Mi attivo subito per capire come era il discorso ed effettivamente c’erano questi mezzi a Patti. Mi ricordo che ritornai da Gianfranco Conti Taguali e che si mise in contatto con questo Costanza tramite lo zio e gli disse che lui non voleva sapere niente, che gli accordi non li rispettava perché era stato garantito da un certo Franco Arosta di Randazzo che io non conoscevo. Disse che lui poteva andare in qualsiasi posto che c’era questo Franco Arosta, che lo avrebbe garantito e non aveva nessun problema. Vabbé, ce ne andammo. I problemi nacquero subito perché la sera stessa, quasi tutti i mezzi che c’erano sul cantiere sono stati incendiati e sono strati distrutti dai due Trifirò e da Rottino, naturalmente su mio mandato. Perciò i lavori non li poterono iniziare e incominciarono a cercare rimedi, ecc. ecc. Ad un certo punto mi pare che riportarono di nuovo degli altri mezzi e gli furono incendiati. A quel punto la Coop La Sicilia non capì che cosa stava succedendo, perché questo signor Costanza gli diceva che era tutta posto, che non aveva problemi, che potevano lavorare, ma lì il lavoro non si iniziava e loro avevano dei problemi perché, giustamente, non iniziando i lavori, andavano in corso a penali. Non mi ricordo adesso chi mi contattò esattamente della cooperativa o la contattai direttamente io. Comunque ebbi contatto direttamente con l’ingegnere D’Amico, che era all’epoca o amministratore o un dirigente della cooperativa La Sicilia, e così appianiamo… Per ciò che concerneva le estorsioni non ne volevano sapere, almeno direttamente. Siccome ci siamo messi a parlare di competenze territoriali, di forniture, per loro l’importante è che avevano tutto fatturato, che i lavori procedevano e non si parlasse di estorsioni, cioè di tangente con la parola estorsione o tangente. Per loro andava tutto bene ed effettivamente portarono a termine il lavoro, fecero le forniture di calcestruzzo, gli facemmo fare le forniture di ghiaione perché servivano per coprire gli scarichi delle acque bianche. Naturalmente questa impresa, ma non per colpa nostra, per problemi loro su lavori in altre zone, andò in liquidazione; pagò a tutti tranne che l’impresa Truscello Teresa che forniva i mezzi e che era una delle mie imprese. Ad un certo punto giustamente il Costanza si andò a lamentare con questo Franco Arosta. Questo signore, visto che non poteva più prendere i soldi dell’estorsione dal Costanza per poterlo garantire, andò da Maurizio Zuccaro, altro reggente della famiglia Santapaola, a chiedere che fossi ucciso per questo affronto che gli avevo fatto. Naturalmente Maurizio Zuccaro contattò il signor Romeo, Ciccio Romeo, che sapendo che ero di Barcellona, che lui aveva contatti con i barcellonesi, gli disse di stare fermo, che non era una cosa fattibile... Insomma, Francesco Ciccio Romeo garantì per me. E lì nacque questa mia conoscenza del nome di Ciccio Romeo. Non mi ricordo se fu Francesco Conti a dirmi questo o direttamente Sem Di Salvo o qualcuno dei nostri tramite Tindaro Calabrese…”.

Da Sigonella in poi

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La base siciliana è stata trasformata in uno dei maggiori centri del pianeta per il comando e il controllo dei velivoli senza pilota. A partire dai droni spia a quelli killer, cosa rappresenta oggi Sigonella?

Trump e Putin fanno sul serio? Siamo davvero tornati agli anni della Guerra fredda USA-URSS? Difficile rispondere, ma il “gioco” tra le due parti ha avuto l’effetto di rilanciare la corsa agli armamenti, primi fra tutti quelli nucleari, cancellando con un colpo di spugna i faticosi trattati contro la presenza dei missili atomici nel cuore dell’Europa. Di certo è che non c’è giorno ormai che non si assista alle provocazioni dei velivoli spia statunitensi alle frontiere occidentali della Russia, in Crimea e nel Mar Nero o alle segretissime sortite dei droni sui cieli dell’Ucraina e del Donbass.
L’Italia a parole si appella alla distensione e di certo non intende incrinare le relazioni con le transnazionali moscovite del gas e del petrolio; tuttavia interpreta un ruolo chiave nel supporto delle pericolosissime operazioni di guerra del fraterno alleato USA. Lo fa offrendo una piattaforma di lancio ai nuovi grandi pattugliatori dell’US Navy P-8A “Poseidon” o ai velivoli senza pilota “Global Hawk” che con le loro sofisticate apparecchiature monitorizzano ogni millimetro quadrato di casa Russia. Per il Pentagono la “piattaforma” ha un nome in codice: The Hub of the Med, il fulcro del Mediterraneo, cioè la grande stazione aeronavale di Sigonella che sorge a due passi dalla città di Catania, dove secondo gli accordi Roma-Washington, un’ampia porzione è riservata all’uso esclusivo delle forze armate USA.
Da tempi remoti Sigonella ospita permanentemente una forza aerea per tracciare il movimento navale e dei sottomarini russi nel Mediterraneo e delle unità aeree e terrestri dislocate in Siria. In queste settimane, nell’Hub of the Med il via vai di droni, caccia, elicotteri e “Poseidon” è intensissimo. Nelle acque del basso Tirreno, dello Ionio e del Mediterraneo centrale è in corso una vasta esercitazione NATO dove si simula la caccia ai sottomarini nucleari “nemici” (Dynamic Manta 2019). Giochi di guerra che trasformano la Sicilia in un grande poligono di morte, confermando quanto sostenuto da tempo dai pacifisti dell’Isola: Sigonella è un vero e proprio cancro in metastasi che diffonde ovunque basi, presidi e militarizzazioni. Le esercitazioni USA e NATO dalla stazione aeronavale si propagano infatti alle sue dependance siciliane: il centro operativo USA di Pachino; Niscemi (impianti di telecomunicazioni satellitare e terminale MUOS); Augusta (porto di rifornimento di armi e gasolio per le unità da guerra e i sottomarini nucleari); gli scali aerei di Catania-Fontanarossa, Trapani-Birgi, Pantelleria e Lampedusa; i poligoni di Piazza Armerina e Punta Bianca (Agrigento), ecc..
Sigonella è tutto questo ed è altro. La base ospita oggi ben 34 comandi strategici con oltre 5.000 militari statunitensi; per importanza è il “secondo più grande comando militare marittimo al mondo dopo quello del Bahrain”, come spiega il Pentagono. L’area geografica d’intervento è imponente: dall’Oceano Atlantico al Mediterraneo, dal continente africano all’Est Europa, al Medio oriente e al Sud est-asiatico. Dal sanguinoso conflitto in Vietnam non c’è stato scenario bellico in cui l’hub di Sigonella non ha esercitato un ruolo centrale: contro la Libia di Gheddafi negli anni ’80; in Libano nell’82; la prima e la seconda guerra del Golfo; i bombardamenti alleati in Kosovo e in Serbia nel 1999 e quelli in Afghanistan, Iraq e Siria nel XXI secolo; le campagne USA nelle regioni sub-sahariane e in Corno d’Africa; la liquidazione finale del regime libico del 2011 e gli odierni ripetuti raid in Cirenaica e Tripolitania con l’utilizzo dei famigerati droni-killer (nel solo periodo compreso tra l’agosto e il dicembre 2016, nel corso dell’offensiva contro le milizie filo-ISIS presenti nella città di Sirte, gli USA hanno effettuato ben 495 attacchi missilistici, il 60% die quali grazie ai droni Reaper – falciatrici decollati in buna parte dalla Sicilia).
Negli ultimi anni la base siciliana è stata trasformata in uno dei maggiori centri del pianeta per il comando e il controllo dei velivoli senza pilota che hanno inesorabilmente modificato il senso stesso della guerra, automatizzandola e disumanizzandola sempre più. A Sigonella operano i droni spia e killer della marina e dell’aeronautica USA e da un anno circa anche l’UAS SATCOM Relay Pads and Facility per le telecomunicazioni via satellite e le operazioni di tutti i velivoli senza pilota della CIA e del Pentagono in ogni angolo della Terra. La facility consente la trasmissione dei dati necessari ai piani di volo e di attacco dei nuovi sistemi di guerra, operando come “stazione gemella” del sito tedesco di Ramstein e del grande scalo aereo di Creech (Nevada). Entro l’estate 2019 a Sigonella diverrà operativo pure il sofisticato sistema di comando, controllo ed intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) della NATO, il programma più costoso della storia dell’Alleanza atlantica. L’AGS si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni, più una componente aerea con cinque Global Hawk di ultima generazione.
Determinante pure il ruolo assunto nell’ambito dei programmi di supremazia nucleare degli Stati Uniti d’America. Segretamente, senza che mai il governo italiano abbia ritenuto doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica, nel 2018 è entrato in funzione a Sigonella la Joint Tactical Ground Station (JTAGS), la stazione di ricezione e trasmissione satellitare del sistema di “pronto allarme” per l’identificazione dei lanci di missili balistici da teatro con testate nucleari, chimiche, biologiche o convenzionali. Una specie di scudo protettivo tutt’altro che difensivo: grazie al controllo “preventivo” di ogni eventuale operazione missilistica “nemica” diventa praticabile scatenare il primo colpo nucleare evitando o limitando la ritorsione avversaria e dunque i pericoli della cosiddetta “Mutua distruzione assicurata” che sino ad oggi ha impedito l’olocausto atomico mondiale. Inoltre dal maggio 2001 nella base siciliana è stata trasferita una delle 15 stazioni terrestri del Global HF System, il sistema di comunicazioni in alta frequenza creato dalla US Air Force per integrare la rete del Comando aereo strategico e assicurare il controllo su tutti i velivoli e le navi da guerra. Uno degli aspetti più rilevanti del sistema GHFè quello relativo alla trasmissione degli ordini militari che hanno priorità assoluta, primi fra tutti i messaggi SkyKing che includono i codici di attacco nucleare.
Anche l’Unione europea e le agenzie per il controllo delle frontiere hanno puntato su Sigonella per potenziare le proprie attività di controllo e contrasto armato delle migrazioni nel Mediterraneo. Nella base siciliana sono stati dislocati infatti le unità e i velivoli con e senza pilota impiegati nell’ambito della forza aeronavale EunavforMed (Operazione Sophia); dal settembre 2013, lo scalo siciliano fornisce inoltre il supporto tecnico-operativo ai diversi assetti di Frontex provenienti da alcuni paesi Ue (Operazione Triton).Anche l’Aeronautica italiana ha contribuito attivamente nella trasformazione di Sigonella in base strategica della nuova guerra totale ai migranti e alle migrazioni. Qui è stato costituito in particolare il 61° Gruppo Volo Ami, dotato di droni MQ-1C “Predator”, allo scopo di “consolidare e rafforzare il dispositivo di sicurezza nazionale per l’attività di sorveglianza nell’area del Mediterraneo”. Da un anno anche il 41° Stormo Antisom di Sigonella ha un suo nuovo sistema d’arma ultratecnologico: il  pattugliatore marittimo ognitempo P-72A che gli strateghi sperano di utilizzare presto a supporto delle proiezioni a tutto campo delle forze armate italiane. Dulcis in fundo, nella stazione siciliana è stato istituito lo Squadrone Carabinieri Eliportato Cacciatori Sicilia con un ampio ventaglio di funzioni: “l’antiterrorismo, la ricerca dei grandi latitanti di Cosa Nostra, la prevenzione e la repressione dei reati, il concorso nel soccorso in caso di pubbliche calamità, ecc.”. Interventi che riproducono quella nuova condizione di hot peace, cioè il “trasferimento di competenze dal settore civile alle istituzioni militari” ampiamente descritto dalla ricercatrice tedesca Jacqueline Andres Carlo in un suo recente saggio su The Hub of The Med. Una letterua della geografia militare statunitense in Sicilia (editore Sicilia Punto L). “Operazioni diverse dalla guerra, ma che nei fatti sono vere e proprie nuove forme e azioni di guerra sotto i comandi delle forze armate italiane, Ue, USA e NATO”, spiega Andres Carlo. “Così come l’avanzamento della guerra all’immigrazione irregolare fino alle misure prese nei confronti del terrorismo marittimo ha avuto come ulteriore conseguenza l’assoggettamento dell’intero Mediterraneo alle politiche di securizzazione e sorveglianza quasi assoluta degli spazi pubblici…”.
Sigonella si erge ad emblema delle moderne dottrine sui conflitti: globali, totalizzanti, onnicomprensivi, dove il “nemico” è ovunque e può essere chiunque. Dove gli spazi di espressione, libertà e agibilità politica degli stessi cittadini si riducono a zero e il pianeta accelera la sua folle corsa verso il baratro e l’annientamento di ogni forma di vita.

Articolo pubblicato in Mosaico di Pace, n. 4, aprile 2019.
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