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Le relazioni pericolose del costruttore Carlo Borella

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Lui è il geometra Carlo Borella, già presidente dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili di Messina ed ex membro della giunta locale di Confindustria; per due decenni è stato il leader incontrastato del movimento terra e dei lavori di somma urgenza. Con la società di cui era titolare, la Demoter S.p.A., ha ottenuto i lavori di realizzazione dello stadio comunale sul torrente “San Filippo” e i lotti per il completamento sull’autostrada Messina-Palermo degli svincoli di Giostra e Annunziata, nonché importanti appalti pubblici in Sicilia, Calabria, Trentino e Toscana e in Africa (Costa d’Avorio, Kenya e Congo). La Demoter, in particolare, è stata la principale azienda subappaltatrice del consorzio Ferrofir costituito dalle grandi società di costruzioni Astaldi, Di Penta e Impregilo per la realizzazione della lunga galleria ferroviaria dei Peloritani, tra Villafranca e Messina.
Carlo Borella è uno degli imputati eccellenti del processo Beta, in svolgimento presso il tribunale di Messina; per lui l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa per aver posto a “disposizione occulta degli interessi economici della famiglia dei Romeo-Santapaola, le imprese Cubo S.p.A. e Brick S.r.l., ad egli riferibili, ed in cui erano confluiti rami di azienda della Demoter (dichiarata poi fallita), relativi all’esecuzione di opere pubbliche, anche in territorio diverso dalla Sicilia”. Sul ruolo assunto dal costruttore nella gestione delle grandi opere nella provincia di Messina e sulle sue relazioni pericolose con alcuni mafiosi della fascia tirrenica si sono soffermati nel corso dell’ultima udienza del processo Beta due importanti collaboratori di giustizia, l’ex reggente del clan di Mazzarra Sant’Andrea Carmelo Bisognano e Santo Gullo, già a capo della consorteria criminale operante nel contiguo territorio di Furnari-Falcone.
Io, i primi rapporti non direttamente col signor Carlo Borella, li ho avuti a metà anni ‘90 in occasione del passaggio della seconda linea del metanodotto, non mi ricordo se era quello dell’Algeria o della Libia, per dei lotti che lui aveva ottenuto insieme ad un’altra società di Roma, l’MC - Montaggio e Condotte o qualcosa del genere”, ha esordito Carmelo Bisognano. “Mi pare che era il 1993 o il 1994; comunque in quegli anni è passato lì il metanodotto e lui ha subito degli attentati sulla zona di Novara di Sicilia e poi nel fiume che scende verso Terme Vigliatore, sulla zona di Bafia. Nell’arco degli anni, diciamo dal 1994-95 in poi, l’impresa Borella aveva la manutenzione di questo tratto di metanodotto, dei ripristini dei tubi, in provincia di Messina. Perciò, ogni qualvolta lui doveva fare dei lavori, portava dei mezzi e gli venivano sottratti e incendiati, mini-escavatori, escavatori, ruspe. L’ultimo mezzo gli fu incendiato a Furnari esattamente nell’anno 2000, prima che lui iniziasse il lavoro della galleria a San Pier Niceto. Questi attentati venivano commessi dai miei affiliati, dalla buonanima di Antonino Rottino, Carmelo Trifirò e Maurizio Trifirò”.
“Borella – ha spiegato Bisognano - era sottoposto ed estorsione da parte del gruppo dei barcellonesi, esattamente da me, e poi c’è stato un intermediario, un geometra di Montalbano Elicona, un certo Rappazzo, che aveva all’epoca in dotazione una Land Rover Defender, un Defender 90 bianco. Mi sembra che l’importo dell’estorsione era di 140 milioni e corrispondeva alla percentuale dei lotti che loro avevano ma di cui il signor Borella ci mandò sono una parte, 40-70 milioni circa. La rimanente parte non la mandò più, così si verificarono diversi attentati perché questi soldi non arrivavano. Io ebbi però contezza che questi soldi furono presi dal Borella perché un dirigente di quella società che era in Ati con lui, un’associazione di imprese, giustamente ebbe a lamentarsi con dei fornitori, uno dei quali era la buonanima di Michela Rotella. Io ebbi un contatto con questo dirigente e lui mi disse che per quanto concerneva le spese generali che avevano, sia amministrative che per le estorsioni sul territorio, loro avevano versato all’impresa Demoter di Borella il tre per cento. Da lì la Demoter, non più per riacquistare quei soldi ma per una questione di principio, subì nell’arco del tempo diversi attentati che si sono protratti esattamente fino a quando il signor Borella, sempre con la Demoter, doveva fare il lavoro, che poi fece, per la galleria Scianina della ferrovia, a San Pier Niceto. Lì si ebbero dei problemi perché naturalmente veniva da un pregresso il signor Borella, ed io feci un intervento direttamente con la Fe.IRA, che era la ex Ira Costruzioni di Graci, il cavaliere del lavoro con Costanzo, quelli di Catania, vicini al gruppo Santapaola. E non gli feci fare il contratto, cioè lo bloccai”.
“Io appresi che parte di questi soldi erano stati trattenuti da Borella perché, dopo che era arrivata una parte, mi rimandavano sempre per l’altra perché mi dicevano che l’associazione di impresa che c’era, l’altra ditta, questa MC di Roma, non aveva versato i soldi al Borella per farceli avere”, ha aggiunto il collaboratore di giustizia. “Noi aspettavamo, è passato diverso tempo, nel frattempo è ricominciato il ripristino per sistemare lo stato dei luoghi, però gli attentati continuavano perché questi soldi non arrivavano. Non erano grossi attentati perché non potevamo mettere in difficoltà le ditte, però venivano fatti in modo che la mattina quando arrivavano gli operai non potessero iniziare a lavorare. Perciò i lavori venivano ritardati, non potevano fare gli stati di avanzamento e così non si facevano i Sal e non si prendevano i soldi. Uno di questi dirigenti giustamente cercò di capire perché tutte le mattine trovavano dei danneggiamenti nei loro cantieri. Finché arrivò alla mia persona ed io gli spiegai quale era il motivo. E lui mi assicurò che loro avevano versato direttamente la loro parte dei soldi per l’estorsione a Carlo Borella”.
Nel corso della sua deposizione Carmelo Bisognano ha spiegato che della vicenda estorsiva e del mancato pagamento del pizzo fu messo a conoscenza pure il padre del geometra Borella, anch’egli noto costruttore peloritano. “Ebbi dei contatti in un secondo momento con la buonanima del padre di Carlo Borella, cioè Benito Borella; era un signore con i capelli brizzolati, con i baffi”, ha ricordato. “Tramite Sem Di Salvo o Santo Lenzo e poi Antonino NuccioContiguglia di Ucria, verso la fine degli anni ’90 si fece un incontro con Benito Borella a Gliaca di Piraino, vicino Brolo, in un locale vicino al mare sotto la ferrovia. Al signor Borella spiegai la situazione. Io gli ho detto che in occasione dei lavori che loro avevano fatto per i lotti sul metanodotto, noi non avevamo più avuto contezza dei soldi di cui eravamo rimasti, perciò vi era un disavanzo di circa 60-70-80 milioni. Lui rimase un po’ sbalordito perché sapeva che quelle competenze erano state appianate sul territorio, cioè che erano state pagate. Io gli spiegai che non era mai arrivato niente, che avevo saputo tramite questo dirigente della MC che i loro soldi li avevano versati a suo figlio Carlo Borella, e che quest’ultimo non me li aveva mai fatti arrivare. Alla fine dell’incontro il signor Borella aveva detto che lui avrebbe sistemato tutto e che mi avrebbe fatto arrivare ciò che ci spettava. Ma di tutto questo non avvenne mai niente”.
Su esplicita domanda del Pubblico ministero Fabrizio Monaco, Carmelo Bisognano si è poi soffermato sulle modalità con cui il suo gruppo criminale riuscì a bloccare per un certo periodo un contratto tra la Demoter e il consorzio che curava i lavori di realizzazione del raddoppio ferroviario sulla tratta Messina-Patti, come ritorsione per lo sgarbo subito dai Borella. “Quando la Ira Costruzioni viene sequestrata, poi vengono bloccati i lavori, anche quelli di Costanzo. Ad un certo punto, mi pare con un decreto del Governo Prodi nel 1998-’99, queste aziende vengono cedute e il ramo degli appalti vengono scorporati a due signori, gli ingegneri Ferrari e Galeazzi, che sono di Roma o di Genova. Nasce la Fe.IRA e riprendono i lavori sul raddoppio ferroviario Messina–Palermo. Per ciò che concerne noi, su quella tratta c’eravamo sin dagli anni ’90; dopo il conflitto con Giuseppe Chiofalo avevamo il predominio sia sulle forniture che su tutta la gestione dei lavori. A quel punto, siamo nel primo semestre del 2001, a San Pier Niceto bisogna fare la galleria Scianina, quella che poi si franò, per conto delle ferrovie e per conto della Fe.IRA, che aveva l’aggiudicazione del lotto per la costruzione del raddoppio ferroviario in quella tratta, la Monforte San Giorgio, San Pier Niceto, Barcellona, Patti. Lui, il signor Borella, si aggiudicò questo lavoro insieme ad un’impresa di Napoli che era esperta in costruzione di gallerie e aveva pure la qualifica per fare questo. Quando ne ebbi contezza, bloccai il lavoro direttamente negli uffici di Catania. All’ufficio acquisti c’era Giacomo Aranzulla della Fe.IRA Costruzioni e il ragioniere Miceli, il fratello di Francesco Miceli che era capocantiere. E gli bloccammo il contratto e non lo feci andare avanti perché giustamente lui era inadempiente con noi. Riuscii in questa cosa perché la Fe.IRA o l’ex Graci era da sempre sottoposta a estorsione o direttamente gestita dalla famiglia Santapaola di Catania in quel frangente. Devo fare una piccola premessa. Da quando sono subentrato io ad avere contatti con la famiglia Santapaola, delegato dai barcellonesi, esattamente nel 1997-98, si sono succeduti diversi reggenti, da Alessandro Strano, Raimondo Maugeri, Mimmo La Spina, deceduti tutti e due, Umberto Di Fazio, Alfio Mirabile l’ultimo, che poi è deceduto pure lui, ha avuto un attentato il 22 aprile del 2004, fu sparato alla schiena e poi fu deceduto. E poi c’era un’impresa che era sempre sottoposta ad estorsione o faceva capo alla Fe.IRA, erano due fratelli di Catania, Pietro e Antonino Orlando. Tramite loro sono riuscito a bloccare questo contratto a Borella e a non farlo iniziare a lavorare”.
“Accadde naturalmente che il Borella si mise in movimento e incominciò a cercare gente per sistemare questa situazione perché voleva andare a lavorare”, ha proseguito Bisognano. “Era un grosso lavoro, una galleria, ma da parte mia ebbe sempre il diniego ad iniziare perché mi aveva fatto quell’azione. Non era più una questione di soldi, ma di principio. Borella le provò tutte. Andò pure a cercare a Giovanni Rao, che era uno dei nostri reggenti, cioè un personaggio all’apice del gruppo dei barcellonesi, e da quello che ricordo Gianni mi consegnò 25 o 35 mila euro…. Mi disse che Borella era andato lì, gli aveva fatto delle promesse, delle forniture di calcestruzzo, che doveva costruire un complesso edilizio. Comunque gli promise diverse commesse di lavoro e Giovanni Rao gli disse che non lo poteva aiutare, che doveva interloquire con chi aveva avuto i contatti fino adesso. Lì chiuse e se ne andò. Borella, non contento, continuò a cercare persone, personaggi, anche gente comune. Io avevo ed ho adesso molto rispetto di una persona che non ha niente a che fare con la criminalità, è un signore che lavorava all’Agenzia delle entrate di Barcellona, se non ricordo male di Rodì Milici, un certo Giuseppe Italiano. Mi venne a trovare il nipote che faceva il carpentiere per conto di Borella in diversi lavori che aveva il gruppo Demoter. E mi disse che c’era lo zio che voleva parlarmi, non spiegandomi niente. Io acconsentii a questa cosa. Venne questo signore, questo Giuseppe Italiano, e mi spiegò la situazione, che il nipote lavorava con Borella, che avevano problemi di lavoro, che il nipote sarebbe rimasto in mezzo alla strada con tutti gli operai che aveva, se gentilmente potevo fare questa… A quel punto proprio a lui non potevo dire di no e accettai che Borella firmasse questo contratto e iniziasse i lavori. Ci incontrammo poi con Borella direttamente a San Pier Niceto, all’imbocco della galleria. Lui era in compagnia di Enzo Corso, altro imprenditore che poi gli ho fatto fare il contratto sempre con la Fe.IRA e con la Costanzo per la gestione di un impianto di calcestruzzo a Patti, Agecop se non vado errato. Comunque lì si discusse un pochettino, Borella ammise le sue responsabilità, si giustificò in mille modi, che lui non aveva preso i soldi… A quel punto il passato era diventato passato, lui aveva subito tanti di quei danni che quei soldi erano stati pagati più che abbondantemente: materialmente non li avevamo mai presi, però lui aveva subito tanti di quei danni e di quei ritardi sui lavori che penso che ce ne avrà rimessi, non so, forse il triplo e il quadruplo. E chiudiamo per ciò che concerne la sistemazione dell’estorsione della galleria. Non mi ricordo se mi consegnò 25 o 35 mila euro e poi finì lì perché a settembre 2001 vi fu il cedimento, il crollo della galleria con tutto il prospetto della montagna e i lavori si interruppero…. Poi a Enzo Corso io gli feci fare il contratto visto che lui già era stato accreditato presso le ferrovie avendo fatto lavori in passato, perché ci vogliono delle certificazioni per potere fare la produzione e la fornitura di calcestruzzo; gli feci prendere l’impianto della galleria di Patti… Perché su quella zona, su Patti, c’era l’ex Costanzo, sempre… Si divideva in lotti, i lotti di Costanzo e i lotti di Graci, che poi alla fine sia Galeazzi che Ferrari li presero tutti e due. Però io dico Costanzo a Patti e Graci sulla zona di San Pier Niceto e Terme Vigliatore…”.
Sempre secondo l’ex reggente del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, il costruttore peloritano sarebbe intervenuto in prima persona sui vertici del consorzio che gestiva i lavori per il raddoppio ferroviario per impedire l’affidamento della fornitura  di materiali a una ditta esternaagli interessi del proprio gruppo criminale. “Nel contempo che stiamo facendo questi lavori, intorno al 2002, succede che ci sono le forniture per ciò che concerne il rilevato ferroviario, diciamo la ghiaia, il materiale per rialzare i binari dal suolo, e per la fornitura degli impianti di calcestruzzo che direttamente gestisce la Ira Costruzioni”, ha raccontato Bisognano. “Il fornitore è la Cogeca di Terme Vigliatore, di Buemi, dei fratelli Torre, cioè già dei fratelli Torre, perché all’epoca fecero una società e nacque questa Cogeca. Negli anni passati, il Borella assieme ad altro imprenditore, tramite la Ferrofir, quella che gestisce direttamente i lavori delle ferrovie, avevano perforato la galleria che da Messina viene verso Villafranca. Un certo signor Sindoni o Sidoti aveva ammucchiato nella zona di Villafranca tutto il materiale di questa galleria che avevano costruito ed era andato all’Ira Costruzioni ad offrirlo a prezzi stracciati, interrompendo o cercando di interrompere la fornitura che la Cogeca stava facendo per il rilevato e per quanto concerneva la produzione di calcestruzzo. Andai negli uffici della Cogeca e uno dei fratelli Torre chiamò Carlo Borella che era ad una riunione con altri imprenditori sulla zona di Fiumefreddo. Così io con Tindaro Calabrese e la buonanima di Antonino Rottino ci recammo all’uscita dei caselli dell’autostrada di Fiumefreddo dove venne Carlo Borella; gli esposi la situazione, quello che stava succedendo, e lui mi disse di non crearmi nessun problema, che sarebbe intervenuto direttamente su questo signore, cosa che successe. Gli uffici della Fe.IRA di Catania non ebbero più notizie di questo Sindoni o Sidoti e le forniture della Cogeca continuarono tranquillamente senza nessuna interruzione”.
“In seguito non ho più avuto rapporti con Borella perché il 29 novembre 2003 vengo arrestato per l’operazione Icaro e da quel momento in poi non metto più piede in Sicilia; anzi, esco il 22 settembre 2008, ma dopo quattro mesi e mezzo, il 17 febbraio 2009 vengo arrestato e oggi sono qui”, ha concluso Carmelo Bisognano. “Ricordo però che di queste problematiche che avevo avuto con Borella ne parlai con altri soggetti riferibili alla criminalità organizzata, sicuramente con Giovanni Rao, Sem Di Salvo e Filippo Barresi. Erano i personaggi che gestivano la situazione. Ne parlai pure con Pippo Castro, addirittura gli diedi uno degli escavatori di Borella che gli avevamo sottratto. Castro era un referente dei Santapaola sulla zona di Messina; aveva contratti con noi, era socio della Cep, della società di calcestruzzi che era amministrata dal cognato Gaetano Cristaudo”.
Anche il collaboratore Santo Gullo ha riferito ai giudici alcuni particolari inediti sulla figura dell’ex presidente dei costruttori edili di Messina. “Carlo Borrella è uno che lavorava nella nostra zona; non so molto di lui ma ricordo che era in contatto con Salvatore Puglisi, che era poi il prestanome di Carmelo D’Amico, per lavori della nuova linea ferroviaria da Messina fino a Brolo”, ha dichiarato. “L’impianto di calcestruzzo era cioè di Carmelo D’Amico e Puglisi era solo un prestanome. Così formalmente il calcestruzzo a Borella lo forniva Puglisi,  però l’impianto che lo tirava avanti era di D’Amico. Per le forniture di calcestruzzo poi ci furono dei problemi di pagamento. Gli doveva dare dei soldi a Puglisi perché lui in quel periodo era in carcere con me, me l’ha raccontato. Io sono stato detenuto con Salvatore Puglisi tra il 2009 e il 2011, dopo che il Puglisi è stato arrestato nell’operazione Ponente; poi è uscito ed è rientrato, quindi due volte nell’arco di questi due anni e un paio di mesi che ho fatto io. A proposito di questi rapporti con Borella, Salvatore Puglisi mi parlava che non lo voleva pagare. Il Puglisi si lamentava che dopo il suo arresto  e quello di Carmelo D’Amico, con il quale lo stesso Puglisi era in società, il Borella ritardava il pagamento. Sempre durante la comune detenzione, il Puglisi mi disse che dopo vari contatti che la figlia e il genero ebbero con il Borella, lo stesso consegnò loro una somma tra i cinquemila e gli ottomila euro. Questa somma non corrispondeva comunque al valore delle forniture perché queste erano molto più alte, erano di molti più soldi. Parlava di centinaia di migliaia di euro... Non so se poi il Borella abbia onorato i sui debiti con Puglisi. Posso però dire che gli vennero mandate numerose ambasciate affinché pagasse quanto dovuto da varie persone, tra cui certamente Francesco D’Amico, fratello di Carmelo D’Amico. Quando parlavamo in carcere, mi diceva che si rivolgeva a Francesco D’Amico per risolvere i problemi…”.
“Una volta che è mancato Carmelo D’Amico, Puglisi ha cominciato a perdere terreno perché c’era pure la pressione della Cep che era l’altra società dei barcellonesi, di Giovanni Rao e company, e quindi cercavano di fare le forniture loro e mettere contro Puglisi gli altri che prendevano il materiale da loro”, ha aggiunto l’ex reggente del gruppo mafioso di Furnari-Falcone. “In sostanza, quella che prima lavorava di più era la Cep; quando Carmelo D’Amico cominciò col calcestruzzo, fece forzature e cominciò a lavorare lui e la Cep rimase indietro. Dopo il suo arresto con Carmelo D’Amico, quando uscì Puglisi non lavorò più come prima. Dopo la mia scarcerazione, il 25 marzo 2011, ebbi modo di incontrare il genero di Salvatore Puglisi, tale Santino, non mi ricordo il cognome, però viveva con loro a Terme Vigliatore. Era sposato con una delle due figlie di Puglisi, l’altra era fidanzata con Giuseppe Maisano. Questo signore è venuto a trovarmi nella mia officina e nel corso dei colloqui si fece riferimento a Borella. Ricordo in particolare che mi disse che non l’avevano pagato, che non stava pagando più nessuno, che l’azienda era in crisi, che non riuscivano più a lavorare, che non gli davano più nemmeno gli inerti. Riferendosi poi agli arresti domiciliari che erano stati fatti con riferimento ad una estorsione subita dal Borella, era sorpreso che anche questi non fosse stato a sua volta arrestato, per come gli disse l’avvocato Lo Presti che difendeva il suocero. In quella occasione il genero di Salvatore Puglisi mi disse: Io non capisco come mai a Borella non l’hanno arrestato e hanno arrestato solo lui. Lui mi diceva che Borella era coinvolto più di Puglisi in queste vicende…”.


Le cattive frequentazioni elettorali di Emilia Barrile & C.

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Potrebbe complicarsi la posizione processuale dell’ex presidente del Consiglio comunale di Messina Emilia Barrile, tra gli imputati eccellenti del procedimento Terzo livellosul presunto condizionamento della vita politico-amministrativa della città di Messina negli ultimi anni.   
E’ quanto si evincerebbe dalla Richiesta di autorizzazione alle operazioni di intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica nel maggio 2018, intercettazioni poi autorizzate dal Gip del Tribunale di Messina ed effettuate proprio alla vigilia delle elezioni amministrative del 10 e 24 giugno 2018, a cui Emilia Barrile ha partecipato in prima persona candidandosi a sindaco e presentando una lista d’appoggio per il rinnovo del Consiglio comunale.
“L’intercettazione delle conversazioni e comunicazioni appare assolutamente necessaria, al fine di comprendere quale sia il reale tenore dei rapporti che la Barrile intrattiene con vari soggetti, accertare lo scambio di eventuali utilità e, in generale, per la completa ricostruzione dei fatti”, riporta il Pubblico ministero Fabrizio Monaco nella richiesta presentata al Gip del Tribunale peloritano. Al centro delle indagini della Direzione distrettuale antimafia non ci sarebbe però solo la spregiudicata campagna elettorale portata avanti dalla Barrile e da alcuni suoi controversi collaboratori in occasione del rinnovo degli organi amministrativi comunali, ma anche quella dell’autunno precedente per l’elezione dei nuovi componenti dell’Assemblea regionale siciliana (6 novembre 2017). In quella tornata elettorale, Emilia Barrile interpretò infatti il ruolo di supporter del candidato di Forza Italia (poi eletto) Luigi Genovese, figlio dell’ex parlamentare ed ex sindaco di Messina Francantonio Genovese (prima Pd poi Forza Italia). Nello specifico, gli inquirenti ritengono che la Barrile, in concorso con altri soggetti, “si sia mossa per acquisire consenso elettorale a favore di Luigi Genovese, mettendo a frutto la forza di intimidazione che promana dall’azione di matrice mafiosa, dietro promessa di un corrispettivo”; da qui l’esistenza di “sufficienti indizi di reità per il delitto di cui all’art. 416 ter c.p. (scambio elettorale politico-mafioso)” per svolgere ulteriori indagini nei confronti della Barrile e dei suoi collaboratori (per questi fatti, comunque, l’on. Luigi Genovese non risulta indagato).
Dalle attività investigative era emerso, tra l’altro, che la Barrile avrebbe utilizzato l’ufficio di Presidente del Consiglio Comunale non solo per fini istituzionali, ma, “soprattutto, per ricevere soggetti anche collegati direttamente o indirettamente a temibili circuiti della criminalità organizzata che, le chiedono di risolvere problemi, apparentemente attraverso pratiche di dubbia liceità”. Con tali soggetti, Emilia Barrile avrebbe intrattenuto “rapporti con ogni probabilità in cambio di sostegno elettorale, anche in vista delle prossime elezioni amministrative, che si svolgeranno a breve a Messina, nell’ambito delle quali ella è candidata al ruolo di sindaco”. Pur non ottenendo i suffragi sufficienti a concorrere al ballottaggio per la carica di primo cittadino, alle amministrative Emilia Barrile ottenne un ottimo risultato personale, 5.061 voti di preferenza, anche alla luce della insanabile frattura con l’ex leader e mentore Francantonio Genovese, reo di non averla sostenuta nell’ambizione di concorrere a un seggio alla Camera dei deputati alle politiche  del 4 marzo 2018.
Gli inquirenti ritengono che uno dei personaggi chiave dell’entourage elettorale dell’ex Presidente del consiglio comunale sia stato Carmelo Triglia, dipendente del Ministero della Difesa (già nel Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera). “Dalle intercettazioni dei colloqui cui prendeva parte il Triglia, emergeva come costui si muovesse per acquisire consenso elettorale nei confronti di Emilia Barrile e, suo tramite, nell’interesse di Luigi Genovese, candidato alle ultime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana”, annota la DDA peloritana. Nello specifico, durante la raccolta voti, Carmelo Triglia “spendeva il nome di Salvatore Bonaffini, soggetto legato a temibili contesti della criminalità organizzata messinese” e con il quale il Triglia organizzava incontri ai quali prendeva parte “con ogni probabilità” la medesima Barrile. Nel corso di un colloquio telefonico del 18 ottobre 2017 con un conoscente, Carmelo Triglia riferiva di trovarsi con Emilia proprio al cospetto di Salvatore Bonaffini, il presidente dello stadio… della curva sud….“Poi ti porto io i volantini”, dichiarava Triglia. “Lo sai che sto portando a Luigi?”.
I soggetti con i quali il Triglia è entrato in contatto “manifestavano apertamente di attendersi una qualche utilità dal sostegno elettorale fornito alla Barrile ed a Luigi Genovese”. Ad esempio, nel corso di un colloquio telefonico intercettato la mattina del 18 ottobre 2017, il Triglia chiedeva a tale Cambria chi stesse sostenendo lui alle elezioni regionali. “Io non sto portando a nessuno”, rispondeva l’interlocutore. “Tu stai portando il figlio di Genovese? Eh va bene, pero voglio parlare…”. Al che Triglia prometteva che presto gli avrebbe presentato pure Emilia.“A Emilia Barrile… Eh me la presenti così portiamo pure lei, ma voglio mangiare pure io”, rispondeva Cambria. “Oh, la devi finire di parlare così al telefono… disgraziato tu ed io…”, si lamentava Triglia. E Cambria: “Non hai capito… Giovedì c’è una cena di politica e non so chi è, mi volevano invitare. Non so a chi stanno portando…”. “Eh, ma vedi, a me interessa Luigi… Io ora mi sto vedendo con Emilia dove c’è’ il bar Fiumara, là al Comune”, ribatteva Triglia. “Va bene, poi ne parliamo. Facciamo un incontro con Emilia”, concludeva Cambria.
Nel corso dei frequenti incontri tra Emilia Barrile e Carmelo Triglia, oltre ad analizzare l’evoluzione della campagna per le elezioni regionali, l’uomo segnalava all’interlocutrice i “soggetti che avevano ricevuto utilità o promesse di utilità in cambio del voto, o che ancora si erano impegnati a procedere ad assunzioni sponsorizzate dalla Barrile in vista delle elezioni, attendendosi un ritorno”. Come si evince da un dialogo telefonico del 24 ottobre 2017 tra il Triglia e tale Francesco, quest’ultimo assicurava che il giorno successivo avrebbe assunto una persona che mi ha portato Emilia…. “Mi sono sentito per telefono”, spiegava Francesco. “Mi ha mandato una persona e domani l’assumo, vediamo se si sa niente… Era soltanto così per fartelo sapere. Ho assunto un Domenico Minzoni, una cosa del genere. Io la mia parola la sto mantenendo, sai, eh non so se loro se loro si stanno muovendo…”.
Intanto l’allora Presidente del consiglio comunale e il proprio collaboratore si confrontavano in vista del secondo round elettorale previsto da lì a pochi mesi, quello per il rinnovo del Parlamento italiano, a cui la Barrile intendeva partecipare direttamente, convinta di poter contare sul sostegno dei Genovese padre e figlio. “Cosa faccio? Giro, giro e la voce… sta andando bene per Luigi… Ed ora sì, anche le pescherie ora”, le riferiva Carmelo Triglia in un colloquio del 31 ottobre 2017. “Tu dove sei buttata? Ma dice che ora ha due mangiate… Una dove c’è invitato anche qualcuno di Camaro Superiore, oggi Luigi… Camaro lo stanno portando bene. Tu dove sei? In quale harem sei? Per te la campagna elettorale te la dobbiamo fare più forte, che non ne hai bisogno, perché ovunque vada, il tuo nome riecheggia più di lui… Veramente, la verità, perché tutti mi dicono ma Emilia, ma Emilia e ti posso dire che ho avuto voti in più perché io me li scrivo, tutti voti in più, anche di persone che ringraziando il Signore questa estate ho fatto lavorare e non mi hanno detto né AB e né C, perché sono andate altre persone e via dicendo e portano Luigi anche se non lo conoscono…”.
“All’esito delle elezioni - nelle cui operazioni peraltro Carmelo Triglia aveva svolto il ruolo di presidente di seggio - il candidato Luigi Genovese riceveva largo consenso (ottenendo più di diciassettemila preferenze) e veniva eletto all’Assemblea Regionale Siciliana”, annotano gli inquirenti. “Ancora, nel corso di taluni colloqui si faceva riferimento alla circostanza che Luigi Genovese era stato eletto grazie al decisivo sostegno della Barrile ed aveva ricevuto molti voti in quartieri notoriamente controllati dalla criminalità organizzata”. Nelle ore immediatamente successive allo spoglio, Carmelo Triglia manifestava il proprio convincimento che attraverso il neoparlamentare e la sua sostenitrice locale, egli avrebbe ottenuto dei vantaggi personali. Il 6 novembre 2017, l’euforia di Carmelo Triglia era proprio alle stelle. Dopo aver appreso da tale Mimmo che nei seggi da lui monitorati il proprio candidato di Forza Italia aveva ottenuto una valanga di voti, Triglia dichiarava: “Anche a Camaro… Si deve mettere a culo a ponte Genovese…”. Poi, nella stessa giornata, spiegava ad un altro amico che ora Emilia mi deve dare di più!.“Perché i miei voti sono stati di più…”, aggiungeva Triglia. “A Manuela… gli ha detto: la prima cosa che faccio, una bella telefonata a tuo compare principale… (Genovese Nda) La deve mettere com’era prima… a 1.500 euro al mese”. Il giorno successivo Carmelo Triglia era intercettato in un dialogo con tale Debora Paola Amante. Alle domande su cosa Emilia Barrile avrebbe fatto in politicasuccessivamente, Triglia rispondeva che si candiderà alle prossime elezioni nazionali. Poi l’Amante, leggendo dei messaggi scritti sui social che facevano riferimento a Luigi Genovese, esternava il suo malcontento per la sua elezione. “Io per Emilia, la verità perché, mi sento più corrotta di loro che l’ho votato…”, spiegava.“Loro sono saliti per loro, per gli altri. Lui anche per i suoi amici, i ragazzi anche della scuola, che magari non capiscono tante cose, vero Melo? Minchia dei gran voti… Ma io non pensavo tutti questi voti, Carmelo… Tu lo pensavi…”. “C’è stata una spinta, c’è stata…”, rispondeva Triglia. “Io gli ho detto che arrivava a 20 mila e nessuno ci credeva”. E Amante: “E’ vero che è salito per Giostra, per Bordonaro? E’ così?”. Triglia: “E perché secondo te? … L’unico che non chiede mai niente sono io e c’è qualcuno che è scioccato, ma come mai? E come mai, lo so io perché… Arriverà il momento che ti sfondo la porta!”.
Nei giorni seguenti, Carmelo Triglia continuava ad informare i suoi interlocutori sull’intenzione di Emilia Barrile a candidarsi alle prossime elezioni nazionali e che perciò avrebbe presto aperto una segreteria politica per ricevere le persone che in passato avevano seguito le proprie indicazioni di voto. Inoltre l’uomo “si premurava di contattare vari soggetti perché si recassero al cospetto della donna”; nel tentativo di ampliare il bacino elettorale a favore dell’esponente politica, Carmelo Triglia entrava in contatto con “plurimi soggetti appartenenti alla locale criminalità organizzata”. Gli inquirenti citano ad esempio una conversazione del fidato collaboratore della Barrile con un soggetto non identificato (il 19 ottobre 2017) in cui egli si soffermava su una vicenda di interesse del pluripregiudicato Giuseppe Selvaggio, concernente il sequestro di un bazar ed in relazione al quale lasciava intendere che la presidente del Consiglio comunale potesse interessarsi per la sua risoluzione. “Come si è visto, Triglia poneva la Barrile in contatto con Salvatore Bonaffini, il quale, per come rivelato dallo stesso Triglia, lo aveva contattato, dopo il voto, con un mezzo di comunicazione difficilmente intercettabile (il sistema Messenger), per ribadire il sostegno elettorale prestato”, aggiunge la DDA. Nelle fasi finali dello spoglio per le elezioni all’ARS, quando il successo di Luigi Genovese si andava già delineando, Carmelo Triglia raggiungeva telefonicamente, per ringraziarlo del sostegno elettorale fornito, tale Giovanni Mercurio, “cognato di Luigi Tibia, soggetto di elevatissimo spessore criminale, detenuto in regime di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penale, ritenuto il reggente del clan Giostra, operante nell’omonimo quartiere”. Triglia: “Ehi, che fai? Ti volevo dire grazie…”. “Grazie di che cosa? Dimmi una cosa, come è finita? ‘Chianau? Salito? E quanti voti ha preso?”, domandava Mercurio. E Triglia: “Ora non lo so, qua sono alla segreteria di Genovese”. Mercurio: “Eh, ho capito. Fa… auguri per lui e dimmi una cosa, Carmelo: Calderone è salito anche lui?”. “Mi sembra, ancora non si sa”, rispondeva l’interlocutore. Mercurio: “No, perché ho visto che Forza Italia… che ha preso il 13 dei voti…”. “Venti, siamo arrivati a 20, ora…”, correggeva Triglia. “Eh, certo, devo fare le condoglianze a chi so io… A Nino Germanà e Formica gli sputo in faccia…”. Mercurio: “Non sono saliti? Ho piac… io pensavo che Germanà era…”. Triglia: “Le scale di casa sua salgono… A me interessa Camaro: non ha preso neanche un voto… Quarantasei voti ha preso”.“Eh quindi Emilia è contenta?”, domandava Mercurio. Triglia: “Eh certo… Emilia è contenta!”. Sei mesi dopo Carmelo Triglia scenderà direttamente nell’agone elettorale, candidandosi alla Presidenza della 2^ Circoscrizione (zona sud del Comune: Pistunina, Zafferia, Santa Lucia, CEP, Contesse, Minissale e San Filippo) con la lista “Leali Progetto per Messina – Emilia Barrile Sindaco”, ottenendo però appena il 2,54% dei consensi (338 voti).  
Altro soggetto appartenente alla criminalità organizzata messinese che grazie a Carmelo Triglia è entrato in contatto con Emilia Barrile è Massimiliano D’Angelo. Già coinvolto nell’operazione denominata Anaconda, “gravato da precedenti per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, rapina, violenza privata, furto in abitazione, usura, detenzione e porto d’armi”, Massimiliano D’Angelo è stato condannato recentemente con sentenza passato in giudicato a 6 anni e 6 mesi di reclusione in quanto facente parte del gruppo capeggiato da Giovanni Lo Duca, ritenuto il boss del rione Provinciale della città di Messina. Anche per il D’Angelo, la DDA di Messina ha richiesto ed ottenuto l’autorizzazione alle intercettazioni delle proprie comunicazioni telefoniche onde “accertare la natura delle utilità che egli pare abbia chiesto, in cambio del sostegno elettorale fornito, la riconducibilità di esse ad interessi della criminalità organizzata locale, e gli esatti contorni delle pressioni mafiose operate per il procacciamento dei voti”. In uno dei contatti, Carmelo Triglia indicava Massimiliano D’Angelo come un suo fratello, rivelando ad una donna che si trovava in sua compagnia, che egli “aveva più volte garantito per lo stesso nell’ambito della locale malavita, impedendo azioni ritorsive nei confronti di questi”. Nel corso di un colloquio tra lo stesso Triglia e il D’Angelo, il primo prometteva che presto lo avrebbe messo in contatto con la Barrile. Risentendosi, Triglia e D’Angelo programmavano di sollecitare la Barrile, “perché ella tenesse fede a promesse di utilità effettuate in campagna elettorale”. “Giorno sette oggi siamo, mi avevi detto giorno sette che c’era qualche novità”, lamentava il D’Angelo nella telefonata registrata la mattina del 7 novembre 2017. “Eh, ora sono finite le elezioni, ora! Domani ho appuntamento con lei”, lo tranquillizzava Triglia. E D’Angelo: “Tutti contenti e felici per ora. Se non si batte il ferro per ora che è caldo, giusto?”. Due giorni dopo Massimiliano d’Angelo tornava a pressare lo stretto collaboratore della Barrile. “E perdono solo tempo e basta. Novità ne abbiamo?”, domandava il pregiudicato. Triglia: “Tua moglie? No e ora lunedì mi vedo con lei. Lunedì lei riparte daccapo con la segreteria ecc, e tutto quello che si è parlato… Vediamo… così glielo ricordo dell’ultima volta…”. “Importante, dico, se non si ricordano ora queste cose poi diventano fredde… Lei ha detto: metto la mia faccia, metto qua, metto là, quindi…”, concludeva D’Angelo. “Sotto tale profilo non va sottaciuto come, riferendosi a questioni concernenti la campagna elettorale, Triglia ipotizzava di dare mandato a terzi per il compimento di azioni violente nei confronti di altri”, aggiungono gli inquirenti. “Triglia e D’Angelo, anche nel corso di conversazioni molto recenti, alludevano a promesse operate dalla Barrile nei confronti del D’Angelo, il quale meditava di rinfacciarle prepotentemente alla donna, per ottenerne la pronta realizzazione”.
L’allora Presidente del Consiglio comunale sarebbe entrata in contatto anche con Antonino Tindaro Genovese, coinvolto nella nota operazione antimafia Gotha 5 dell’estate 2015, contro le cosiddette nuove leve della criminalità barcellonese. Agli atti c’è una chiamata sull’utenza della Barrile in data 23 febbraio 2018 da parte di Salvatore Genovese, padre di Antonino Tindaro, per fissare un appuntamento al Comune di Messina presso l’ufficio di Presidenza. “L’incontro tra la Barrile e Salvatore Genovese era stato fissato telefonicamente con la predetta dal figlio di quest’ultimo, il giorno prima (22 febbraio), tramite l’utenza mobile del padre”, annota la DDA. “La Barrile si avvale inoltre di una serie di soggetti operanti all’interno del Comune di Messina, tra i quali Piero Bottari (che introduceva presso la Barrile Giovanni Spartà - figlio di Giacomo Spartà, boss del rione Santa Lucia sopra Contesse, detenuto in regime di cui all’art. 41 bis - e la compagna Veronica Busà), e tale Maria Danaro, alla quale la Barrile si rivolgeva, in occasione dell’incontro con Busà e Spartà, con fare criptico, perché i due fossero indirizzati a presentare un certo tipo di domanda, che li avrebbe facilitati nell’assegnazione dell’alloggio”. Per la cronaca, Pietro Bottati era stato tratto in arresto l’8 giugno 1999 dalla Squadra Mobile di Messina in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale nell’ambito della cosiddetta Operazione Sorriso, poiché ritenuto responsabile del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, in concorso con altri soggetti, tra cui proprio il capo del gruppo di Giostra, Giacomo Spartà (al processo, però, con sentenza del 9 maggio 2009, Pietro Bottari è stato assolto, nonostante la richiesta di condanna del Pm a 10 anni di reclusione). Nel 2000 lo stesso Bottari era stato sottoposto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno e nel 2001 alla misura della sorveglianza speciale poi revocata nel 2003. “Ciò dimostra che Emilia Barrile dispone delle assegnazioni di case popolari per intercettare le richieste dei suoi sostenitori elettorali”, aggiungono gli inquirenti. “Occorre inoltre precisare che tra tali sostenitori (talora con apparenti funzioni di capi elettori) sembrano rientrare anche plurimi soggetti censurati per gravi reati o addirittura affiliati alla locale criminalità organizzata, ancorché il loro supporto sia dissimulato attraverso il ricorso a varie cautele, tra le quali la candidatura di parenti poco riconoscibili dall’opinione pubblica, ma ben noti nei rioni ove sono radicati i sostenitori stessi)”. In questo contesto, gli inquirenti segnalano un incontro tra Emilia Barrile, Carmelo Triglia e Diego Celona, figlio del noto pregiudicato Giovanni Celona di Santa Lucia sopra Contesse, tratto in arresto nell’ambito del procedimento penale originato dalla operazione di polizia Matassa, poiché ritenuto responsabile unitamente ad altri, del reato di associazione mafiosa, “procedimento avente ad oggetto tra l’altro plurime fatti di corruzione elettorale” (tra gli imputati al processo Matassa, l’ex parlamentare nazionale Francantonio Genovese e il cognato Franco Rinaldi, già deputato all’Assemblea regionale siciliana). “Io non parlo più con nessuno… Che fai tu? Ti vuoi candidare al Comune? Ti vuoi candidare al quartiere, al Comune? Che vuoi fare? Che ha precedenti?”, domandava nervosa Emilia Barrile. Triglia: “Suo padre…”. E Diego Celona: “Non posso… A quest’ora, al quartiere mi ero candidato…”. “Che hai? Associazione mafiosa?”, incalzava la Barrile. “Ancora sì, mi risulta… Sì.”, rispondeva Celona. “Mio padre all’epoca, quando si è candidato, era con Genovese”. “Non hai qualcuno?”, chiedeva Barrile. Celona: “Ed a chi? Mio fratello non lo può fare”. Triglia: “Tuo cognato?”. Celona: “Lo potrei dire a mio cognato, ma ormai non è tardi?”. Triglia: “No. Lo puoi dire a tuo cognato… Suo cognato ha una bella presenza seria”. “Vediamo cosa vuole fare”, commentava Celona. “Ce la facciamo Emilia! Mio nonno è venuto qua l’altro giorno… Me lo ha detto lui. Mio nonno sempre a te menziona! Lui i voti te li porta… Mio nonno mi ha portato pure là… da Francantonio quando è stato il fatto di suo figlio…Fatti vedere (mimando la voce stridula di Francantonio Genovese). Io mi faccio vedere due, tre volte e mi prendi sempre per il culo… Mi faccio vedere?”.“Forse non hai capito…”, spiegava la Barrile. “Allora se io avessi avuto una ditta… avevo una fabbrica e prendevo tutte le persone e non prendevo a te… tu mi dicevi minchia Emilia, sei una stronza! Ma purtroppo io dipendevo… Poi, posso fare… ma non è che posso fare grandi cose, no! Posso aiutare, figurati… io aiuto… a prescindere da quello… Ora mi ha scritto nel profilo quella (riferendosi verosimilmente ad un messaggio ricevuto) sei una stronza… che voleva il lavoro…”.
Emilia Barrile ha pure incontrato, con modalità particolarmente riservate e per il tramite del solito Piero Bottari, il pluripregiudicato Domenico Trentin, già tratto in arresto l’8 febbraio 2000 nell’ambito dell’operazione Omero,svolta a seguito del tentato omicidio di Massimo Russo e dell’omicidio di Domenico Randazzo, entrambi già noti alle forze dell’ordine. “Le indagini consentirono di accertare che i due fatti di sangue erano scaturiti nell’ambito dell’insorgente guerra di mafia scatenatasi tra le contrapposte consorterie criminali, rispettivamente capeggiate dai noti pregiudicati Ferdinando Vadalà e Antonino De Luca”, annotano gli inquirenti. “Il Trentin, nella fattispecie, risultava essere affiliato al clan del Vadalà e ritenuto responsabile, in concorso con altri, dell’efferata esecuzione del Randazzo”. Il 18 ottobre 2002 Domenico Trentin veniva sottoposto a fermo di P.G. a seguito del tentato omicidio di Letterio Stracuzzi e contestualmente accusato di porto e detenzione illegale di arma da fuoco e relativo munizionamento, unitamente a Salvatore Mangano. Per questi ultimi reati, nel settembre 2004 Trentin veniva condannato alla pena di 5 anni e 10 mesi di reclusione.
Alla vigilia delle amministrative, l’allora candidata a sindaco chiedeva il sostegno elettorale pure al pregiudicato Carmelo Prospero, “impegnandosi nel corso di un incontro per il soddisfacimento di un’esigenza abitativa del Prospero, verosimilmente non accoglibile”. Successivamente il Prospero contattava più volte Carmelo Triglia perché intervenisse in suo favore garantendo il suo impegno elettorale. “Carmelo, e però ora muoviamoci un attimo il culetto…”, invocava Triglia nel corso di una telefonata del 2 maggio 2018. “L’ho detto anche a lui, ci servono le firme qua entro giorno 11 per presentare la lista altrimenti non ci arriviamo. Manda più persone possibili alla segreteria. Carta d’identità però… Carmelo, per favore, muoviamoci…”. Prospero: “Carmelo, va bene… Senti un altra cosa … Ma quell’altro foglio che ti ho portato, come sappiamo, novità?”. Triglia: “Ce l’ha lei nella tasca… Se la sta vedendo lei…”.
Sempre in vista delle amministrative del giugno 2018, Emilia Barrile si avvaleva della collaborazione di Nino Neri, “persona che annovera pregiudizi penali per il reato di danneggiamento, poi arrestato per i reati di furto, estorsione ed associazione a delinquere”. Lo stesso Neri, in ambito lavorativo, ha svolto attività dal 2005 al 2017 all’interno di alcune cooperative sociali per poi passare alle dipendenze di una società che presta lavoro interinale all’interno dell’Atm - Azienda Trasporti di Messina. Poi candidato al Consiglio comunale nella lista di Emilia Barrile “Leali - progetto per Messina” (dove ha ottenuto ben 703 preferenze personali), Nino Neri, unitamente a Carmelo Triglia e su indicazione della Barrile, avrebbe “gestito il flusso di persone che giornalmente si recano presso la segreteria della Presidenza del Consiglio e presso il comitato elettorale sito sul viale San Martino, da un lato per rappresentare istanze e dall’altro per essere istruite a votare per il candidato a sindaco o a firmare per la sottoscrizione della lista”. Secondo gli inquirenti, sempre Nino Neri, anche per il tramite del padre Antonino Neri (anch’egli gravato da pregiudizi penali segnatamente per furto, ricettazione ed associazione a delinquere, lesioni personali e minacce), avrebbe ricercato il consenso elettorale “in certi ambiti sociali come quelli interni alla società Messinambiente (oggi Messina Servizi Bene Comune), nella quale operano diversi dipendenti provenienti dal tessuto criminale della città”. “Gli sta organizzando mio padre con tutto il quartiere generale di Messinambiente”, spiegava Neri al Triglia nel corso di una telefonata del 3 maggio 2018. “E là, compare, non entra nessuno… Là sono blindati!”. Triglia: “Là, tutti i miei cugini sono… Ci sono tutti i miei cugini pure…”. Neri: “Per farti capire, mio padre si sta sfondando il sedere!”. Triglia: “Ti sto chiamando perché tre miei cugini mi hanno detto il fatto su di te, che sono stati invitati… E io gli ho detto: certo che lo potete votare. A Nino Neri a Emilia Barrile…”.

Il mercimonio dei voti in cambio di promesse di case popolari a Messina

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Voti, tanti voti, in cambio di alloggi popolari o almeno della promessa a facilitarne l’assegnazione a fan e supporter. Le spregiudicate modalità di conduzione della campagna per le elezioni del sindaco di Messina, lo scorso anno, da parte di Emilia Barrile (al tempo candidata e contestualmente Presidente del Consiglio comunale uscente), sarebbero al centro di un nuovo filone d’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia. Le intercettazioni telefoniche e ambientali autorizzate dal Gip del Tribunale di Messina proprio alla vigilia dell’importante appuntamento elettorale del giugno 2018, avrebbero documentato il via vai di pregiudicati e stretti congiunti di noti criminali messinesi nell’ufficio istituzionale a Palazzo Zanca della Barrile. Alla politica e ai suoi più stretti collaboratori si sarebbe chiesta una mano per sbloccare o accelerare l’iter per un’abitazione presso il competente dipartimento comunale; intanto ci si metteva a disposizione per raccogliere voti e consenso tra amici e parenti.
L’incontro con la capo popolo del Rione Matteotti e non solo…
“L’assegnazione di case popolari a soggetti impegnati nelle elezioni a favore della Barrile era rivendicata, a proprio merito, dalla donna nel corso di qualche colloquio registrato”, annotano gli inquirenti. Il 9 aprile 2018, ad esempio, durante un incontro all’interno dell’ufficio della Presidente del Consiglio comunale, presenti, tra gli altri, il fidato collaboratore Carmelo Triglia (poi candidato alla presidenza della 2^ Circoscrizione-Messina Sud con la lista “Leali Progetto per Messina – Emilia Barrile Sindaco”), il consigliere comunale Carlo Abbate (già Pd poi Gruppo misto e infine capo elettore della Barrile), Emilia Barrile presentava ai propri interlocutori la gradita ospite Maria Bonasera, che era stata capace di portarle numerosissimi consensi nel popolare rione Matteotti, zona dell’Annunziata, in occasione delle elezioni amministrative del 2013. “Questa sai chi è?”, affermava la Barrile. “Una bandita! E’ una capo popolo! Sembra non abbia alcuna colpa con quella faccia là… Mi ha portato tutta la famiglia quanti sono…”. E Maria Bonasera: “Io a tutti li ho portati… parenti… amici…”. Carlo Abbate: “Una nota di merito! E’ un diploma!”. “Tutti i voti che ho preso l’altra volta a Matteotti, tutto grazie a lei…”, aggiungeva la Barrile. “Però lei ha la casa popolare, sua sorella Melina ha la casa popolare, sua sorella Piera ha la casa popolare, lei ha la casa popolare… Dovrebbero dirmi grazie!”. Poi ancora l’aspirante sindaca, rivolgendosi ad Abbate: “Abbiamo più bisogno dei nomi? Perché potremmo scrivere anche lei… Niente, perché dice che c’erano solo i baraccati e le case popolari domenica e noi siamo offesi, no?”. E sempre Emilia Barrile: “E quindi… cercati i voti! Appena ho il simbolo te lo mando e così tu lo metti… Anzi, già dici: Ragazzi, vi voglio avvisare che mi candido al consiglio comunale con Emilia Barrile sindaco… Oppure metti lo stemma nostro… Quello là che tanto avevamo ieri… Lo copi da qualche parte…”.
“E’ così dimostrato che Emilia Barrile dispone delle assegnazioni di case popolari per intercettare le richieste dei suoi sostenitori elettorali”, commentano gli inquirenti della DDA di Messina. “Occorre ora precisare che tra tali sostenitori (talora con apparenti funzioni di capi elettori) sembrano rientrare anche plurimi soggetti censurati per gravi reati o addirittura affiliati alla locale criminalità organizzata, ancorché il loro supporto sia dissimulato attraverso il ricorso a varie cautele, tra le quali la candidatura di parenti poco riconoscibili dall’opinione pubblica, ma ben noti nei rioni ove sono radicati i sostenitori stessi”. A sostegno delle proprie pesanti dichiarazioni, gli inquirenti forniscono la trascrizione di un altro incontro avvenuto nel primo pomeriggio del 10 aprile 2018, ancora all’interno dell’Ufficio di Presidenza di Emilia Barrile. Stavolta al cospetto della donna si presentano tale Giovanni Spartà e la compagna di quest’ultimo, Veronica Busà. “Giovanni Spartà, immune da precedenti penali, è il figlio del noto boss di Santa Lucia Sopra Contesse, Giacomo Spartà, in atto detenuto in regime dell’art. 41 bis dell’ordinamento penale”, annota la DDA. “Giacomo Spartà annovera numerosissimi e gravissimi pregiudizi per associazione per delinquere semplice e di stampo mafioso, omicidio, tentato omicidio, reati concernenti la detenzione, il porto ed il traffico illegale di armi da fuoco, rapina, estorsione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti ed altro. Il rilevante curriculum criminale, le importanti vicende giudiziarie che lo hanno riguardato e per alcune delle quali è ancora in attesa di giudizio, la notevole influenza esercitata nell’ambito della malavita locale, dimostrano che si tratta di uno dei personaggi carismatici dell’attuale criminalità organizzata messinese”. Gli inquirenti evidenziano che ad introdurre alla Barrile Giovanni Spartà e la convivente, era stato l’impiegato comunale presso il Dipartimento Protezione civile e difesa per il suolo Pietro Bottari, già sottoposto ad arresto nel giugno 1999 nell’ambito dell’operazione Sorriso congiuntamente al presunto boss Giacomo Spartà, poi però assolto in sede processuale. “I tre si accomodavano al tavolo di vetro unitamente a Emilia Barrile e Carmelo Triglia”, riporta la nota di servizio del personale incaricato all’intercettazione. “Veronica Busà faceva vedere al Presidente del Consiglio un documento cartaceo ove, evidentemente, erano riportati i dati indicativi della situazione abitativa di un alloggio popolare situato nel villaggio CEP, in cui la donna dovrebbe vivere unitamente a Giovanni Spartà”. Emilia Barrile, dopo avere visionato il documento, telefonava alla dipendente comunale Maria Denaro, alla quale chiedeva se tra le abitazioni passate di proprietà dallo IACP al Comune di Messina, vi fosse anche la palazzina con l’immobile in cui risultava risiedere la Busà a partire del 25 gennaio 2011. “La dipendente comunale, dopo aver effettuato la ricerca, rispondeva che si trattava di un’abitazione assegnata alla signora L.Z.”, aggiungono gli investigatori. “Emilia Barrile spiegava alla dipendente - per averlo evidentemente appreso dai suoi interlocutori - che l’assegnataria era andata via (in circostanze non meglio chiarite) ed ora, il predetto immobile era occupato (evidentemente senza titolo) da una ragazza, in favore della quale chiedeva se vi fossero margini per avanzare la domanda (verosimilmente di voltura). Emilia Barrile precisava che Veronica Busà abitava fin da ragazzina nell’alloggio insieme all’assegnataria formale - ma vi aveva trasferito lì la propria residenza anagrafica solo da circa otto anni. Maria Denaro segnalava che l’interessata poteva fare la domanda… quella lì, con evidente riferimento ad una prassi amministrativa già nota alle interlocutrici. Emilia Barrile, invero, comprendeva immediatamente e concordava con la Denaro che avrebbe provveduto a mandare qualcuno da lei per prendere il modulo della relativa domanda di sanatoria”. La Barrile, sempre secondo gli inquirenti, non si sarebbe limitata però ad individuare lo strumento tecnico per legittimare ex postla presunta occupazione abusiva dell’alloggio comunale. “Occorre segnalare subito il sospetto che la presidente del Consiglio comunale possa avere suggerito di rendere una dichiarazione sulla cui esatta corrispondenza alla realtà residua qualche ragionevole dubbio”, annotano gli investigatori. Emilia Barrile rivolta alla Busà: “Quindi tu stavi là prima del 2001 con la signora, poi la signora se n’è andata perché la signora se n’è voluta andare perché si è trovata la casa in un’altra parte… Se n’è andata per fuori. E sei rimasta tu là sempre, ma tu stai là prima del 2001, non stai dopo! … Me lo hai detto l’altra volta… me lo ha detto tua zia!”. Dopo essersi alzata dal tavolo e aver incaricato tale Antonio a recarsi dalla Denaro a prendere le carte per fare la richiesta di voltura, Emilia Barrile si rivolgeva ai due giovani per informarli che a casa loro si sarebbero recati per un sopralluogo i Vigili urbani.“Noi facciamo la richiesta… tu… che ugualmente stai là prima del 2001… Verranno i Vigili e domanderanno al vicinato se tu stai là da molti… da quant’è! Ed i… vicinato dichiareranno che stai là del 2001! (…) E poi… la casa te la stai sistemando? Ma quando la finisci? Quando finiscono la casa?”. Giovanni Spartà: “Fra qualche mese, penso”. Veronica Busà: “Un mese e mezzo”. Ed ancora Emilia Barrile: “Ora sono qua, tra due mesi non lo so se ci sono perché …. le votazioni! Va be’, ma basta che vengono qualcuno e dicono che voi la state acquistando… Intanto presentiamo la domanda, poi me la vedo io…”.
Sconfitta alle elezioni ma fedele alle promesse
Nonostante l’esito delle consultazioni amministrative del 10 giugno 2018 e l’eliminazione al primo turno, Emilia Barrile continuava a interessarsi alla pratica abitativa del duo Spartà-Busà anche nei giorni successivi all’elezione di Cateno De Luca a primo cittadino di Messina. Il 26 giugno 2018, due giorni dopo il ballottaggio, l’impiegato comunale Pietro Bottari telefonava alla Barrile per chiedere d’incontrarla. “La donna diceva al suo interlocutore di essere ancora al Comune e che se avesse fatto in fretta si sarebbero potuti vedere nell’Ufficio di presidenza”, riportano gli investigatori. “Dopo circa mezz’ora, concluso evidentemente l’incontro con il presidente del Consiglio, Pietro Bottari telefonava a Giovanni Spartà, invitando sia lui che la convivente Veronica Busà ad un appuntamento per l’indomani mattina nei pressi del Comune. Pietro Bottari, nel corso della conversazione, sollecitava i suoi interlocutori a portare al seguito i documenti, riferendosi evidentemente alla pratica per la regolarizzazione della casa popolare”.
Il figlio del riconosciuto boss di Santa Lucia sopra Contesse Giacomo Spartà non è però l’unica persona che Pietro Bottari ha presentato alla Barrile nei convulsi mesi della campagna per le amministrative. “Il Bottari svolge, infatti, anche il ruolo di mediatore con soggetti con i quali la Barrile potrebbe raggiungere degli accordi elettorali potenzialmente illeciti”, annotano gli inquirenti.“Particolarmente interessante ai fini investigativi appare l’incontro organizzato dal Bottari presso un locale giudicato riservato tra la Barrile, l’avvocato Salvatore Silvestro del foro di Messina e Domenico Trentin, persona che annovera numerosi e gravissimi pregiudizi e precedenti penali, anche per reati di criminalità mafiosa”. Già condannato nel settembre 2004 alla pena di 5 anni e 10 mesi di reclusione, nel giugno 2012, con sentenza passato in giudicato, Domenico Trentin ha riportato una seconda condanna a 4 anni; nel dicembre dello stesso anno gli è stata notificata in carcere un’ordinanza di custodia cautelare per i reati di estorsione ed usura aggravata nell’ambito dell’operazione denominata Gran Bazar, mentre nel maggio 2016 è stato accusato di associazione mafiosa ed omicidio doloso tentato, nonché violazione della legge sulle armi, nell’ambito dell’operazione Matassa.
L’incontro riservato, descritto dagli inquirenti peloritani, era stato preceduto da una telefonata di Pietro Bottari alla Barrile, il 28 aprile 2018. I due interlocutori avevano concordato di vedersi la sera del 2 maggio in un luogo idoneo, individuato nel locale di tale Tiberio, ubicato all’interno di un immobile sito sul viale San Martino di fronte la piscina comunale. Stando al verbale degli agenti predisposti al servizio di osservazione, la sera dell’appuntamento giungevano sul luogo fissato, prima Emilia Barrile ed il marito Antonio Triolo con una Mercedes, e qualche minuto dopo, a bordo di uno scooter nero, il pregiudicato Domenico Trentin (alla guida) e l’avvocato Silvestro (dietro). “I due uomini, unitamente a Pietro Bottari che si era loro avvicinato, entravano nello stesso palazzo in cui poco prima avevano fatto accesso la Barrile ed il marito”, annotano gli inquirenti che però non sono stati in grado di fornire alcuna informazione utile a comprendere l’oggetto della strana riunione.
I peculiari rapporti tra Emilia Barrile, Carmelo Triglia e i Celona
L’attività investigativa ha avuto modo di documentare “i peculiari rapporti” tra Emilia Barrile, il proprio collaboratore di fiducia Carmelo Triglia e alcuni soggetti che gravitano in seno alla locale criminalità organizzata. “Tra questi, non possono essere sottaciuti quelli con Diego Celona, il quale, anche se immune da pregiudizi penali, è figlio del noto pregiudicato Giovanni Celona, attualmente detenuto poiché tratto in arresto nell’ambito dell’operazione Matassa poiché ritenuto di aver fatto parte insieme ad altre persone di un’associazione di stampo mafioso operante in particolare nella zona sud di questa città”, aggiungono gli investigatori. “Lo stesso Diego Celona, inoltre, è nipote di Vincenza Celona, moglie del noto Raimondo Saro Messina, pluripregiudicato, esponente di spicco della consorteria criminale radicata nel villaggio Santa Lucia Sopra Contesse. Lo stesso, invero unitamente alla moglie, è stato raggiunto dal provvedimento restrittivo emesso nell’ambito della predetta operazione Matassa”. Diego Celona, in particolare, risultava tra i presenti all’incontro nell’Ufficio di presidenza della Barrile, il pomeriggio del 9 aprile 2018, insieme all’esponente politica, Carmelo Triglia, il consigliere Carlo Abbate e la capo popolo del rione Matteotti, Maria Bonasera. “Nel corso di questa riunione, il presidente del consiglio comunale intendeva coinvolgere la famiglia di Celona nella ricerca di consensi elettorali per la propria candidatura, approfittando della palesata delusione manifestata dai Celona verso il precedente riferimento politico, indicato in Francantonio Genovese, reo, a loro dire, di avere fatto promesse elettorali poi non mantenute”, spiegano gli inquirenti. “L’amico mio si candida al quartiere…, là a Santa Lucia… Lanfranchi”, comunicava Celona ai propri interlocutori. Barrile: “Devi dire a Lanfranchi:… O ti candidi con Emilia, oppure non ti portiamo!”. Celona: “A quest’ora io mi candidavo al quartiere e sfondavo là sopra… Mio padre all’epoca, quando si è candidato, era con Genovese… Ce la facciamo Emilia?”. Barrile: “Speriamo”. Triglia: “Vedi che qua già mi ha insultato per il fatto di Genovese”. Celona: “Hai capito… è salito là sopra… hai capito cosa ha combinato? Cateno è salito là sopra…”. Triglia: “Cateno De Luca!”. Barrile: “E non lo avete mandato a fanculo?”. Celona: “Era al bar, fa le dirette…”. Abbate: “Va bene, fa sceneggiate!”. Celona: “Arrogante un poco”. Abbate: “Però voglio capire una cosa: viene là, giusto? Quanta gente c’è che lo aspetta?”. Celona: “Poca in verità. Per me venti persone sono poche”. Abbate: “Neanche ci sono quelle venti persone perché le ho viste, te lo dico io”. Barrile: “Ma tu sei pronto per portare i voti?”. Celona: “Io sono sempre pronto! Perché io ora…”. Triglia: “Senti… perché tu sei con… con Genovese!”. Celona: “Quando mi ha insultato al bar Freni… al figlio di Genovese io glieli ho trovati i voti… ma vista la… Sono andato pure da Francantonio… glielo ha portato mio nonno… Sono andato pure da Francantonio con mio nonno! Non te l’ho detto? Sì, lo so ma… se mi faccio vedere due volte, tre volte e poi mi prendi per il culo? L’altro giorno io mi faccio vedere… Ma che fa suo figlio? Come si chiama?”. Triglia: “Luigi. Che deve fare?”. Barrile, rivolgendosi a Celona: “Ma secondo te, dipende da me? Tu, secondo te, io perché li ho mandati a fanculo? Tu pensa perché.. Secondo te perché?”. Celona: “Perché ha sbagliato nei tuoi confronti…”. Barrile: “No, oppure? Perché mi fa prendere impegni”. Celona: “Impegni che poi… non li concorda…”. Barrile: “E quindi, io la faccia la metto?” Triglia: “No pure io, perché a me insultano pure (…) Intanto tuo padre come sta?”. Celona: “Mio padre fino ad oggi era preoccupato… Vuole chiudere un’altra volta, si è appellato al Ministero… A lui ed ad altri due… E’ arrivata la Cassazione… va bene, a quelli che gli conviene… mio padre… li buttano nell’immondizia… a quelli che fanno altre cose…”. Dalle conversazioni registrate successivamente sull’utenza di Carmelo Triglia, gli inquirenti ritengono che alla fine Diego Celona abbia accettato la proposta di sostegno elettorale a favore della Barrile e “che la sua famiglia voglia impegnarsi in favore dell’attuale Presidente del consiglio”.
Gli altri contatti pericolosi
Nel corso della campagna per le elezioni a sindaco, l’esponente politica (ex Pd, poi Forza Italia e infine “indipendente” dopo la rottura con i Genovese padre e figlio) è entrata in contatto pure con il noto pluripregiudicato Carmelo Prospero. “Il Prospero annovera numerosi precedenti per i reati di furto aggravato, rapina, detenzione e porto abusivo di armi, associazione finalizzata alla produzione e vendita di sostanza stupefacenti, nonché associazione di tipo mafioso…”, riportano gli inquirenti. “Lo stesso è stato indagato in stato di libertà nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’operazione Arcipelago, che ha coinvolto capi e gregari del clan radicato nel quartiere Giostra. Infine, in data 28 giugno 2006, il Prospero era tratto in arresto in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito dell’operazione San Matteo, poiché ritenuto responsabile, unitamente ad altri numerosi soggetti del rione Giostra, dei reati di associazione a delinquere (…) In atto risulta sottoposto alla misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali”. Ancora una volta, erano sempre Emilia Barrile, Carlo Abbate e Carmelo Triglia a ricevere all’interno dell’ufficio di Presidenza del consiglio comunale, il 10 aprile 2018, Carmelo Prospero e tale Alessandro Ieni. Durante l’incontro, il Prospero comunicava alla Barrile la sua intenzione di lasciare la propria abitazione popolare sita nel villaggio Zafferia per trasferirsi in un’altra situata a Giostra. “Dal tenore e dalle espressioni utilizzate dagli interlocutori, la richiesta di cambio di abitazione avanzata da Prospero non appare del tutto lecita, atteso che lo stesso avrebbe dovuto far risultare di fatto un nucleo familiare più numeroso”, annotano gli inquirenti. “Una volta stabilite le modalità di presentazione dell’istanza di cambio di abitazione, Emilia Barrile concordava con Prospero e Alessandro Ieni di candidare la moglie di uno dei due nella propria lista”. La proposta della Barrile veniva accolta favorevolmente da Carmelo Prospero. Due giorni dopo, infatti, quest’ultimo tornava a Palazzo Zanca per incontrarsi con l’esponente politica e il consigliere Abbate. “Carmelo Prospero, per un verso accettava di candidare la moglie nella lista di Emilia Barrile e dall’altro continuava a chiedere, attraverso Carmelo Triglia, notizie in merito alla vicenda che aveva sollecitato al Presidente del Consiglio”, riportano gli inquirenti. Il 27 aprile 2018, Triglia veniva intercettato a colloquio con il pregiudicato. “Ora sono salito a casa, vedi che quel foglio ce l’ha Emilia”, assicurava Triglia. E alla domanda del Prospero se fosse riuscito a mettersi in contatto con la Barrile, Triglia ribatteva: “Già ho parlato, perché lei è andata a Fondo Fucile (…) ce l’ha lei”. Poi gli interlocutori si soffermavano a discutere sull’imminente appuntamento elettorale. “Carmelo Prospero si lamentava per i pochi volantini che aveva fatto stampare e di averli piazzatisubito e che potrebbe pagarli lui al posto del presidente del consiglio”, scrivono gli investigatori. “Prospero però dichiarava al Triglia che occorreva un incontro chiarificatore con Emilia Barrile atteso il fatto che lui in questa campagna elettorale ci sta mettendo molto impegno”. Affermava il pregiudicato: “Compare, tipo… se è una cosa a gioco questa cosa qua, perché se dobbiamo giocare compa… Noi ci stiamo impegnando veramente… Compare, non è una presa per il culo, perché a me mi passava per minchia dei voti e di tutte le cose, perché io non posso neanche votare…. perciò mi passava per la minchia…”. E Triglia: “Domani abbiamo la riunione alla quattro”. Prospero: “Compare, tu devi prendere un appuntamento che dobbiamo parlare tra di noi, perché così non si può andare avanti… Prendi un appuntamento domani che si libera mezz’ora e la dedica a noi che dobbiamo parlare…”. Il 2 maggio Carmelo Triglia veniva intercettato ancora una volta a dialogo con Carmelo Prospero. I due, inizialmente si soffermavano su un favore che avrebbe ricevuto un amico di Prospero; successivamente, lo stesso si informava sullo stato della sua pratica. “Senti una cosa Carmelo, ma quell’altro foglio che ti ho portato, com’è? Sappiamo novità?”, domandava Prospero. “Ce l’ha lei nella tasca, se la sta vedendo lei!”, lo tranquillizzava Triglia. Due giorni dopo, il Prospero raggiungeva al telefono nuovamente il Triglia per chiedere novità sulla pratica avviata. Triglia gli riportava la risposta rassicurante della Barrile: “Ha detto di stare tranquillo… che niente…. poi te lo dico di persona. Passa dalla segreteria… Ma tua moglia… Stai girando i volantini tu?”. Prospero: “Certo compare! In tutti i posti… In tutti i posti… Compare, vedi che ci tengo a questa cosa… Digli che ha anche un picc… Lei come si è spiegata?”. Triglia: “Mi ha detto di stare tranquillo”.
“Dal complesso dei servizi di intercettazione sono emersi, inoltre, peculiari rapporti tra Emilia Barrile e Giuseppa Settimo, sorella del più noto Arcangelo Settimo che risulta annoverare numerosissimi pregiudizi penali per i reati concernenti violazioni del testo unico sugli stupefacenti, sulle armi, sequestro di persona, lesioni personali, furto, resistenza a Pubblico ufficiale, evasione, ricettazione”, aggiungono gli investigatori. “Lo stesso ha riportato la condanna alla pena di anni 3 di reclusione e 3.000 euro di multa, a seguito dell’operazione Alcatraz. Con sentenza della Corte d’Appello di Messina del 23 aprile 2009, Arcangelo Settimo è stato condannato alla pena di anni 7 di reclusione e 32.000 euro di multa e libertà vigilata per anni 3 (operazione Albachiara). Lo stesso attualmente è sottoposto al regime di semilibertà con scadenza il 29 maggio 2022”. Al vaglio degli inquirenti, ci sarebbero alcune intercettazioni telefoniche sull’utenza di Emilia Barrile. In particolare, il 5 marzo 2018, l’esponente politica veniva contattata da Serafina Delia detta “Sara” e da Giuseppa Settimo, rispettivamente madre e sorella del pregiudicato, per risolvere un problema abitativo del congiunto Arcangelo, apparentemente connesso ad una pratica comunale di alloggi popolari. “C’è mio figlio Arcangelo a casa… che ha la semi liberta… capito? Perciò dobbiamo parlare con te…”, spiegava Serafina Delia. “Eh gioia… Io devo partire due giorni. Se facciamo sabato? Ti viene male?”, domandava Barrile. E Delia: “Senti un po’… E quel fatto della casa… niente ancora?”. Barrile: “Non ti preoccupare… Ci stiamo lavorando…”. Delia: “Non è che ci pianti?”. Barrile: “Ti sto dicendo, ricordamelo sabato…”. Il 24 aprile, Emilia Barrile veniva intercettata mentre discuteva con Giuseppa Settimo, sorella di Arcangelo, della situazione che presumibilmente era stata trattata nell’incontro avvenuto con ogni probabilità l’11 marzo precedente. “Invero, Emilia Barrile invitava Giuseppa Settimo a portarle tutti i bollettini dei pagamenti in suo possesso che forse erano stati smarriti da Maria (che non è escluso sia identificabile nella sopra generalizzata Maria Denaro in servizio all’ufficio assegnazioni case popolari del Comune di Messina)”, aggiungono gli inquirenti. “Dal tenore dei colloqui, emergeva inoltre un risalente, costante impegno elettorale a favore della Barrile da parte di Giuseppa Settimo e Serafina Delia. Nella stessa circostanza, Emilia Barrile, che aveva appena assunto la decisione di candidarsi a sindaco di Messina, cercava infatti di convincere l’interlocutrice ad accettare una sua candidatura nella propria lista”. Giuseppa Settimo, impiegata presso il noto locale di ristorazione “L’Ancora” (di cui è titolare l’omonima società a responsabilità limitata avente quale unico socio la Tourist Ferry Boat S.p.A., riconducibile al gruppo imprenditoriale Franza-Genovese), declinava però l’invito “per la ventilata preoccupazione di eventuali ripercussioni negative sul suo rapporto professionale con il datore di lavoro”, anche se si impegnava a garantire l’appoggio elettorale alla Barrile “già sperimentato in passate occasioni e derivante dall’impegno profuso dalla sua intera famiglia. “Io non mi voglio candidare perché io voglio stare in pace con tutti”, spiegava la Settimo. E Barrile: “Lo sa Pina che io e tu siamo andati casa per casa con tua madre?”. Settimo: “Lo so, pure mia madre infatti… Comunque tu stai tranquilla perché qualunque cosa io faccio…. Dico, l’appoggio tu ce l’hai sempre perché io sinceramente a te ti conosco… e lo so infatti”. Barrile: “Porta a Tonino giovedì. Vieni e così stabiliamo tutte le cose. Va bene?”. Settimo: “Okay, ma deve venire pure mio fratello”. Barrile: “Per ora no, magari, perché poi deve scegliere il Notaio e tutte cose…”.
Meno di una settimana dopo, Emilia Barrile riceveva una nuova telefonata da parte di Giuseppa Settimo “nel corso della quale quest’ultima la informava di aver contattato, come da lei suggerito, la dipendente comunale Maria Denaro e di aver appreso che sulla definizione della sua pratica incombeva un problema dovuto all’interdizione del fratello”. “Io ho telefonato all’avvocato per informarmi e mi ha detto che questa cosa la danno a tutti quelli che prendono una condanna superiore a sei anni…”, riferiva Giuseppa Settimo. Poi chiedeva alla Barrile se in queste condizioni era possibile fare la richiesta di sanatoria e se poteva sostituirsi al fratello. “Ora vediamo, ne parliamo con lei… Va bene, fammi parlare con Maria…”, rispondeva l’allora Presidente del consiglio comunale. Poi le due si confrontavano sulle vicende scaturite dalla rottura politica tra l’entourage della Barrile e la famiglia Genovese. “Poi io sono andata là, però lui mi ha fatto capire che sarebbe più contento se mi candido”, diceva Giuseppa Settimo, riferendosi verosimilmente ad un incontro avuto con l’ex parlamentare Francantonio Genovese. “Emilia Barrile incalzava l’amica chiedendole se avesse espressamente riferito all’interlocutore che non poteva candidarsi per i problemi del fratello e che comunque non si sarebbe candidata in quello schieramento”, riportano gli investigatori. “Giuseppa Settimo ribatteva dicendo di avere rappresentato che non si sarebbe candidata per motivi legati al proprio lavoro, aggiungendo: In questa guerra mi state mettendo a me… Se resto senza lavoro mi sto a casa, alludendo evidentemente al fatto che una mancata candidatura nello schieramento di centro destra, supportato da Genovese, avrebbe potuto mettere a repentaglio chiaramente per ritorsione politica il posto di lavoro presso l’Ancora”.“Va be’, non c’è problema… Non ti lascia senza lavoro, non ti preoccupare”, rassicurava la Barrile. “Nooo e poi, Pina, ti doveva mettere a tempo indeterminato, comunque…”.
Il noto esercizio commerciale “L’Ancora”, sito sulla Rada San Francesco, di cui è titolare il gruppo imprenditoriale Franza-Genovese, era divenuto una vera e propria spina nel fianco della candidata a sindaco del Comune di Messina. In un passaggio della nota informativa inviata dalla Questura di Messina alla Direzione Distrettuale Antimafia il 14 agosto 2018 (agli atti del processo Terzo livello attualmente in svolgimento, coimputata Emilia Barrile), riservato ai “rapporti” con l’ingegnere Francesco Clemente (altro imputato eccellente di Terzo livello), si legge che tra il Clemente e la Barrile “si registrano 265 contatti telefonici, comprensivi di sms e tentativi di chiamata; da una prima non esaustiva disamina, le conversazioni hanno ad oggetto l’attività politica, elezioni politiche del 4 marzo 2018 e elezioni comunali del 10 giugno 2018”. “In una conversazione registrata il 14 febbraio 2018 – prosegue la nota - Barrile e Clemente conversano dell’ex on. Francantonio Genovese (con il quale la Barrile era in disaccordo politico per la mancata candidatura alle elezioni politiche). Emilia Barrile, con tono alterato, racconta a Clemente che Genovese (appellato quel cesso), le avrebbe tolto il lavoro all’Ancora”. “E questo è solo l’inizio..”, concludeva preoccupata la donna.

U.S. spreads war threat, expands military base in Sicily

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The Sicilian military base has been transformed into one of the largest centers on the planet for the command and control of unmanned aerial vehicles (UAVs). From spy to killer drones, what does Sigonella represent today?
Trump and Putin — they can’t be serious, can they? Are we really back in the years of the U.S.-USSR Cold War? It’s hard to answer, but the “game” between the two sides in effect relaunched the arms race, especially the nuclear one, cancelling with a swipe of an eraser the hard-won treaties prohibiting the presence of atomic missiles in the heart of Europe. Now no day passes without U.S. spy aircraft making provocations on the western borders of Russia, in the Crimea and Black Sea or with the very secret sorties of drones in the skies of Ukraine and the Donbass.
In words, the Italian government calls for détente and it certainly does not intend to undermine relations with the Russia-based gas and oil transnationals; however, Italy plays a key role in supporting the dangerous war operations of its close ally, the U.S. It does so by offering a launch platform for the new large patrol aircraft — the U.S. Navy P-8A “Poseidon” or the “Global Hawk,” UAVs which, with their sophisticated equipment, monitor every square millimeter of the Russian homeland.
For the Pentagon, the “platform” has a code name: The Hub of the Med, i.e., the large Sigonella air and sea station located just a stone’s throw (5 miles) from the city of Catania, where, according to the Rome-Washington agreements, a large portion of the base is reserved for the exclusive use of U.S. armed forces.
For some time now, Sigonella has been the permanent home of an air force to track the movement of Russian ships and submarines in the Mediterranean and of air and land units located in Syria. In recent weeks, the Hub of the Med has seen very intense activity of drones, fighters, helicopters and the “P8A-Poseidon” surveillance aircraft. In the waters of the lower Tyrrhenian Sea, the Ionian Sea and the central Mediterranean, an extensive NATO exercise is currently underway, simulating the hunting of “enemy” nuclear submarines. (Dynamic Manta 2019, Feb. 26-March 7)
A cancer in metastasis
These war games turn Sicily into a giant death camp, confirming what has long been claimed by the peace activists of the island: Sigonella in reality is a cancer in metastasis that spreads bases and garrisons everywhere and militarizes society.
The U.S. and NATO exercises from the naval station spread to its affiliate centers in Sicily: the U.S. operations center in Pachino; Niscemi (satellite telecommunications facilities and MUOS [Mobile User Objective System] terminal); Augusta (port of supply of weapons and diesel fuel for war units and nuclear submarines); the airports of Catania-Fontanarossa, Trapani-Birgi, Pantelleria and Lampedusa; the polygons of Piazza Armerina and Punta Bianca (Agrigento), etc.
Sigonella is all this and more. The base now houses 34 strategic commands with more than 5,000 U.S. troops; as for importance, “NAS Sigonella hosts the U.S. Navy’s second largest security command after the one based at naval support activity Bahrain,” the Pentagon explains. (tinyurl.com/yy3kz97n) The geographical area of operation is considerable — from the Atlantic Ocean to the Mediterranean, from the African continent to Eastern Europe, the Middle East and South-East Asia.
Since the bloody conflict in Vietnam [ended in 1975], there has been no war scenario in which the Sigonella hub has not played a central role: against Gadhafi’s Libya in the 1980s; in Lebanon in 1982; the first and second Gulf wars; the Allied bombings on Kosovo and Serbia in 1999 and those on Afghanistan, Iraq and Syria in the 21st century; the U.S. campaigns in the sub-Saharan regions and in the Horn of Africa; the final liquidation of the Libyan regime in 2011; and today’s repeated raids in Cyrenaica and Tripolitania, with the use of the notorious killer drones.
In the period between August and December 2016 alone, during the offensive against the pro-ISIS [Islamic State group (IS)] militias present in the city of Sirte, the U.S. carried out as many as 495 missile attacks, 60 percent of them thanks to the Reaper drones — that for the most part took off from Sicily.
In recent years the Sicilian base has been transformed into one of the largest centers on the planet for the command and control of UAVs that have relentlessly changed the very concept of war, automating and dehumanizing it more and more. The spy and killer drones of the U.S. Navy and Air Force operate in Sigonella, as well as the UAS SATCOM [unmanned aircraft system satellite communications] Relay Pads and Facility for satellite telecommunications and the operations of all the pilotless CIA and Pentagon aircraft in every corner of the world.
The facility allows the transmission of data necessary for the flight and attack plans of the new war systems, operating as a “twin station” for the German site of Ramstein and the large airfield of Creech in Nevada.
By the summer of 2019, the sophisticated NATO command, control and intelligence system AGS (Alliance Ground Surveillance), the most expensive program in the history of the Atlantic Alliance, will also be operational in Sigonella. The AGS will consist of fixed, mobile and transportable ground stations for planning and operational support of missions, plus an aerial component with five latest-generation Global Hawk surveillance aircraft.
The role assumed in the nuclear supremacy programs of the U.S. is also decisive. Secretly, without the Italian government ever having considered it necessary to inform Parliament and public opinion, in 2018 the Joint Tactical Ground Station (JTAGS), the satellite reception and transmission station of the “early warning” system for identifying the launch of ballistic theater missiles with nuclear, chemical, biological or conventional warheads, came into operation in Sigonella.
Anything but defensive
It is a kind of protective shield that is anything but defensive. Thanks to the “preventive” control of any possible “enemy” missile operation, it becomes possible to unleash the first nuclear strike, avoiding or limiting the retaliation of the enemy and therefore the dangers of the so-called “mutual assured destruction” that up to now has prevented a worldwide nuclear holocaust.
Moreover, in May 2001, one of the 15 ground stations of the Global HF System, the high-frequency communications system created by the U.S. Air Force to integrate the network of the Strategic Air Command and ensure control over all aircraft and warships, was transferred to the Sicilian base. One of the most important aspects of the GHF system is the transmission of military orders that have absolute priority, first of all SkyKing messages that include nuclear attack codes.
The European Union and the border control agencies have also focused on Sigonella to strengthen their activities to control and combat migration in the Mediterranean. In fact, the units and aircraft with and without pilots used within the Eunavfor Med [European Union Naval Force Mediterranean] air and sea force (Operation Sophia) were located at the Sicilian base. Since September 2013, the Sicilian airport also provided technical and operational support to the various Frontex assets coming from some EU countries (Operation Triton).
The Italian Air Force has also actively contributed to the transformation of Sigonella into a strategic base for the new total war on migrants and migrations. In particular, the 61st Flying Group, equipped with MQ-1C “Predator” drones, was set up here with the aim of “consolidating and strengthening the national security system for surveillance activities in the Mediterranean area.” For a year now, the 41st Antisubmarine Warfare Wing of Sigonella has also had its own new ultra-technological weapon system — the all-weather maritime patrol aircraft P-72A, which the strategists hope to use soon to support the all-round projections of the Italian armed forces.
Finally, in the Sicilian station, the Carabinieri Helicopter Squadron “Cacciatori di Sicilia” was set up with a wide range of functions: “anti-terrorism, the search for Cosa Nostra absconders, the prevention and repression of crimes, aid in the rescue of public disasters, etc.”
All these interventions reproduce that new condition of hot peace, that is, the “transfer of responsibilities from the civil sector to the military institutions,” widely described by the German researcher Jacqueline Andres Carlo in a recent essay on “The Hub of The Med. A reading of the U.S. military geography in Sicily” (Sicilia Punto L publisher).
“Operations other than war, but which in fact are real new forms and actions of war under the command of the Italian, EU, U.S. and NATO armed forces,” explains Andres Carlo. “Just as the advancement of the war against irregular immigration up to the measures taken against maritime terrorism has had as a further consequence the subjection of the entire Mediterranean to the policies of security and almost absolute surveillance of public spaces.”
Sigonella stands as an emblem of modern doctrines on conflicts: global, all-encompassing, all-inclusive, where the “enemy” is everywhere and can be anyone. Where the spaces of expression, freedom and political practicability of the citizens themselves are reduced to zero and the planet accelerates its crazy race toward the abyss and the annihilation of all forms of life.

The author is an Italian peace researcher and award-winning journalist. The original article was first published under the title “Da Sigonella in poi” in Mosaico di Pace, nr. April 4. Workers World Managing Editor John Catalinotto translated the article, which exposes the aggressive intent of the U.S. military in Europe and the world.

Incendi, minacce e trasferimenti per condizionare le assegnazioni di case popolari a Messina

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Le intercettazioni effettuate tra l’autunno 2017 e la primavera 2018 nei confronti dell’allora Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile, hanno fatto emergere, in particolare, “una sua interferenza nella gestione amministrativa delle pratiche attinenti all’assegnazione delle case popolari da parte del Comune di Messina”. E’ quanto afferma la Direzione Distrettuale Antimafia presso il Tribunale peloritano nella richiesta di proroga delle operazioni di ascolto delle comunicazioni dell’esponente politica e di alcuni tra i suoi più stretti collaboratori durate la campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione e del consiglio municipale (richiesta poi autorizzata dal Gip, dottore Salvatore Mastroeni, per altri 40 giorni a partire del 17 maggio 2018).
Una prima sommaria disamina dei tabulati telefonici e delle riprese audio e video effettuate dagli inquirenti a Palazzo Zanca è riportata nella nota informativa inviata il 14 agosto 2018 dalla Questura alla DDA e successivamente depositata dal Pubblico ministero agli atti del processo Terzo livello, attualmente in svolgimento nel Tribunale di Messina (tra gli imputati, l’ex presidente Emilia Barrile). “E’ ragionevole ritenere che la Barrile (direttamente o per il tramite dei funzionari assegnati all’ufficio) stia monitorando le assegnazioni delle case popolari di Messina - o forse addirittura ingerendosi in essa - per intercettare le aspettative o le richieste di ben precisi bacini elettorali di cui acquisire il consenso in vista delle prossime consultazioni che la vedono candidata a Sindaco della città”, annota la Squadra mobile.
Il misterioso incendio alle casette di paglia e legno di Fondo Saccà
Il report si sofferma in particolare sui contatti dell’esponente politica con alcuni noti pregiudicati e/o loro stretti congiunti; la Barrile avrebbe chiesto il loro sostegno elettorale, con la promessa, in cambio, di “favorire” l’iter di assegnazione degli alloggi popolari.Nella nota, però, sono indicati altri rilevanti spunti d’indagine sul più articolato e complesso sistema politico-clientelareche avrebbe condizionato, ben aldilà dei principi di trasparenza e legalità, le modalità di attribuzione ai numerosissimi richiedenti delle pochissime unità abitative di proprietà comunale. Un episodio dello scorso anno, in particolare, assumerebbe contorni inquietanti: l’incendio doloso appiccato da sconosciuti contro uno deiprogetti-alloggio fiore all’occhiello dell’amministrazione comunale uscente (assai criticato però da una parte dei consiglieri comunali d’opposizione e dalle associazioni di base degli inquilini e dei senza casa).Nel pomeriggio del 13 aprile 2018 si sviluppava un incendio in via San Cosimo - Fondo Saccà, precisamente nei pressi delle casette rurali ivi esistenti”, si legge nella nota degli inquirenti. “Gli accertamenti avviati consentivano di constatare che ignoti avevano creato appositamente un percorso costituito da legname, paglia e cartoni - dato alle fiamme - sino a giungere a ridosso di una delle abitazioni ancora in fase di costruzione, nell’ambito di un più ampio progetto urbanistico di riqualificazione, denominato Capacity, che interessa il rione di Fondo Fucile e appunto il Fondo Saccà”. Il programma, denominato La dimensione comunitaria e sostenibile dell’housing sociale, consiste nella realizzazione in via Maregrosso - tramite processi di autocostruzione assistita, di alcune unità abitative “ecosostenibili in paglia e legno”.
In merito ai fatti veniva escusso a sommarie informazioni Gaetano Giunta, segretario generale e rappresentante legale della Fondazione “Comunità Messina”, l’ente che con la compartecipazione di altri organismi privati (le cooperative sociali “Ecos-Med” e “Consorzio Sol.E.”) e il cofinanziamento delle fondazioni “Cariplo” e “Con il Sud” stava realizzando le abitazioni. “Gaetano Giunta, dapprima al personale intervenuto e successivamente in Questura, riferiva di non aver ricevuto, né personalmente né attraverso le imprese impegnatenell’esecuzione dell’opera (capofila la Amato Costruzioni Soc. Coop. di Mazara del Vallo, Trapani, Nda), richieste estorsive o qualsivoglia pretesa in relazione alcompimento dei lavori in corso di realizzazione”, aggiungono gli investigatori.“Tuttavia, lo stesso asseriva di essere stato avvicinato dai componenti di due nucleifamiliari residenti nella zona di cui si tratta, i quali lamentavano che le loro abitazioni eranoinvase da pulci e zecche, a causa dei cumuli di sterpaglie e detriti presenti nel cantiere.Gaetano Giunta sosteneva inoltre di essersi immediatamente prodigato perla risoluzione del problema, contattando l’assessore comunale alle Politiche per la casa,Sebastiano Pino, affinché disponesse la disinfestazione dell’abitazione interessatadall’emergenza igienico-sanitaria e, contemporaneamente, sistemasse il nucleo familiareanzidetto, del quale facevano parte anche dei minori in un bed & breakfast cittadino per il temponecessario ad effettuare la disinfestazione, a spese della fondazione da lui rappresentata”.Giunta riferiva pure alle forze dell’ordine di aver appreso dall’assessore Pino, che - il giorno precedente - alcune famiglie, a causa dell’emergenza igienico-sanitaria in atto a Fondo Saccà, avevano inscenato a Palazzo Zanca una protesta, “manifestando l’intenzione di porre in essere gesti eclatanti, nel caso in cui non fossero stati presi provvedimenti amministrativi adeguati”.
Nelle ore successive gli inquirenti interrogavano l’assessore Sebastiano Pino, che si soffermava inizialmente sul progetto di riqualificazione Capacity. Il programma di Maregrosso aveva preso il via a seguito di due incontri - il 17 gennaio e il 10 febbraio 2014 - tra la Fondazione di Comunità, il Consorzio Sol.E., il Comune di Messina, il CNR ITAE e lo IACP titolare dell’area poi ceduta a titolo gratuito per l’insediamento abitativo; il 26 giugno 2014 era stato approvato in Giunta il protocollo d’intesa per il progetto di housing sociale, su proposta del sindaco Renato Accorinti, con il mandato all’assessore Sergio De Cola, al tempo con delega al Risanamento, di rappresentare l’amministrazione nella cabina di regia prevista per la sua attuazione. Due anni dopo l’amministrazione, su proposta dell’assessore De Cola, dava il proprio ok alla partecipazione del Comune al bando di gara per la Riqualificazione urbana e la sicurezza della periferie delle città metropolitane, previsto dal Governo nazionale con legge n. 208 del 2015. Ottenuto un finanziamento di poco meno di 18 milioni di euro, l’ente aveva poi approvato alcuni dei progetti presentati per l’implementazione del Capacity, tra cui quello di “autocostruzione assistita” a Fondo Saccà.
Quel giro di valzer tra ufficio di Presidenza e dipartimenti 
“Nel corso dell’interrogatorio, l’assessore Pino riferiva inoltre che il precedente12 aprile 2018, mentre si trovava nel Salone delle Bandiere del Comune di Messina, venivacontattato telefonicamente per ben due volte dall’allora Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile, la quale lo invitava a raggiungerla poiché era in compagnia di unafamiglia abitante nel fondo Saccà che lamentava carenze igienico-sanitarie presso lapropria abitazione”, riportano gli inquirenti. “Sebastiano Pino aggiungeva di aver presto raggiunto la Barrile, la quale effettivamente era in compagnia di due donne e un uomo. L’assessore Pino dichiarava di aver raccolto le doglianze dei presenti assicurando loro che si sarebbe interessato per far esperire una disinfestazione dei locali e che avrebbe interessato i Servizi sociali del Comune per la necessaria assistenza alla famiglia. Tuttavia, sempre a dire dell’assessore, i presenti chiedevano l’immediata assegnazione di un’abitazione, invocando il fatto che essi figurassero al secondo posto della graduatoria stilata per l’assegnazione di case agli occupanti le baracche da demolire al rione Fondo Saccà-Cannamele”. Quando Sebastiano Pino avrebbe spiegato che le abitazioni sarebbero state consegnate seguendo l’iter stabilito dalla legge, “uno dei membri della famiglia avrebbe pronunciato in dialetto messinese frasi minatorie testualmente indicate nei termini seguenti: che vi sembra, che ho paura di bruciare tutto”. Sempre secondo il pubblico amministrare, le minacce erano state pronunciate alla presenza, oltre che della Presidente Emilia Barrile, anche del Commissario della Polizia Municipale Carmelo La Rosa. La mattina successiva, il 13 aprile 2018, alcuni componenti del nucleo familiare si presentavano nuovamente in Comune per incontrare l’assessore Pino, e anche in quell’occasione uno di essi avrebbe minacciato di bruciare le case in costruzione a Fondo Saccà. “Le circostanza narrate da Sebastiano Pino sono riscontrate dal complesso dei servizi di intercettazione in corso nel procedimento in oggetto, in particolare dal sistema di video-ripresa, effettuato all’interno dell’Ufficio di presidenza, allorquando, il 12 aprile 2018 alle ore 15.34, si rilevava Emilia Barrile in compagnia di due membri del gruppo familiare indicato dall’assessore”, aggiunge la Questura di Messina. “Ma vi è di più. Nello stesso contesto procedurale in cui era sentito per l’incendio testé ricordato, l’assessore Pino rivelava ulteriori circostanze di rilievo. Egli, in particolare, riferiva di aver appreso dal dirigente del Dipartimento Politiche per la Casa del Comune di Messina, Domenico Signorelli, di ingerenze indebite esercitate nel settore di propria competenza da taluni consiglieri comunali, e segnatamente dal Presidente del Consiglio Emilia Barrile e dal consigliere Zuccarello, i quali insistevano nel segnalare situazioni che dovevano essere trattate con più cura rispetto ad altre nell’ambito della gestione amministrativa dell’assegnazione delle case popolari”.
Sebastiano Pino riportava agli inquirenti pure il trasferimento, avvenuto circa un mese e mezzo addietro, di un dipendente comunale - il dottore Sebastiano Cardile - dalla Segreteria della Presidenza del Consiglio comunale all’ufficio “Assegnazioni” del Dipartimento politiche della casa. “Il trasferimento di tale soggetto dallo staff della Barrile all’ufficio amministrativo che - guarda caso - gestisce direttamente le assegnazioni delle case popolari, non sarebbe nemmeno giustificato da ragioni d’ufficio, atteso che Cardile  sarebbe qualificato da mansioni amministrative anziché tecniche, delle quali ultime soltanto il dirigente del dipartimento avrebbe fatto richiesta”, commentano gli inquirenti. “Sebastiano Pino aggiungeva peraltro che il dott. Eugenio Bruno, responsabile dell’ufficio cui è stato assegnato Sebastiano Cardile, avesse richiesto ed ottenuto di essere trasferito ad altro incarico, nonostante nel frattempo avesse maturato dei considerevoli benefici economici connessi alla posizione professionale lasciata. Difatti sempre a dire dello stesso assessore, il dott. Bruno è stato trasferito al Dipartimento Cimiteri, perdendo gli emolumenti che la carriera lavorativa gli aveva consentito di maturare (stimati nell’ordine di 9 -12 mila euro annui). Sebastiano Pino sosteneva, infine, di aver avuto modo di parlare con il dott. Bruno, evidentemente con l’intenzione di fargli revocare il trasferimento (siccome considerato una memoria storica dell’ufficio); tuttavia lo stesso Bruno si mostrava determinato nella scelta, ricollegandone il motivo alle continue pressioni subite a causa delle mansioni svolte che gli avevano reso impossibile lavorare”. L’assessore specificava agli inquirenti che il funzionario comunale non aveva voluto esplicitare né il tipo né le modalità di pressioni ricevute, “tuttavia, gli appariva palesemente turbato” (il dottore Eugenio Bruno risulta essere ancora in forza all’ufficio amministrativo del Dipartimento Cimiteri del Comune Nda).
“Le dichiarazioni dell’assessore Sebastiano Pino trovano riscontro nel complesso dei servizi di intercettazione in corso effettuati a carico del presidente del Consiglio Comunale Emilia Barrile”, prosegue la nota della Questura di Messina. “Difatti, si documentano numerose conversazioni telefoniche tra il Presidente del Consiglio e il citato Sebastiano Cardile, che hanno ad oggetto il disbrigo di pratiche inerenti l’assegnazione delle case popolari, il numero degli alloggi e delle domande presentate. Dalle informazioni rese dall’assessore Pino e dal tenore delle conversazioni registrate tra Emilia Barrile e Cardile è ragionevole ritenere che quest’ultimo sia stato assegnato dalla segreteria della Presidenza del Consiglio al Dipartimento Politiche per la Casa per le esigenze politichedel presidente del consiglio. A ciò si aggiunga, che anche un altro dipendente della Segreteria del Presidente del Consiglio a nome Antonio, in corso di identificazione, sempre su input di Emilia Barrile, abbia presentato la domanda di trasferimento per essere assegnato, a breve, all’ufficio Assegnazioni del Dipartimento Politiche della Casa”. Gli inquirenti rilevano infine come Emilia Barrile abbia intrattenuto frequenti contatti pure con la dipendente comunale Maria Denaro, responsabile dell’ufficio fitti attivi dello stesso dipartimento. “Tra i 104 contatti telefonici registrati tra la Barrile e la Denaro – scrive il dirigente della Squadra mobile - la gran parte sono inerenti le richieste della Barrile in ordine a informazioni per le pratiche amministrative riguardanti le politiche abitative”.
Quelle pressioni indebitedegli anonimi politici sponsor
Il cosiddetto risanamentoè da sempre uno dei temi di scontro più avvelenati tra le forze politiche e sociali e tra i consiglieri comunali degli opposti schieramenti. Negli anni non si contano le denunce sulle presunte compravendite di voti, le pressioni indebite, i comportamenti perlomeno ambigui o contraddittori di taluni amministratori, consiglieri e dirigenti comunali sviluppatisi attorno alla realizzazione e all’assegnazione delle abitazioni popolari. In tempi più recenti, hanno fatto particolare scalpore le dichiarazioni rese il 14 aprile 2015 dall’architetta Maria Canale (dirigente del Dipartimento al Risanamento del Comune), nel corso di una seduta congiunta della IV e VICommissione consiliare, presenti in aula gli assessori Sebastiano Pino e Antonino Mantineo (al tempo con delega ai Servizi sociali) e il tenente della Polizia municipale Biagio Santagati. Dopo avere espresso il proprio disagio per un ufficio del tutto “sottodimensionato”, nel corso della sua audizione l’architetta Canale lamentò il comportamento di vari soggetti a cui si sarebbero rivolti singoli e nuclei familiari per ottenere l’assegnazione illegittima di unità immobiliari comunali. “Veniamo non solo aggrediti dalle persone, dagli avvocati e, scusate se ve lo dico, anche dai politici perché naturalmente ognuno trova poi la sua sponsorizzazione e viene a polemizzare contro le nostre decisioni e i nostri controlli, che a fatica immane però, cerchiamo di fare…”, dichiarava la dirigente. La stessa descriveva poi un aneddoto a riprova del malcostume che regnerebbe nel sistema della gestione degli alloggi popolari. “La signora era assegnataria di una casa insieme al suo nucleo familiare; è stata assegnataria di casa facendo parte del nucleo familiare dei propri genitori, di una casa per dipendenti a Minissale alto”, raccontava Maria Canale. “Dopodiché, ha deciso di restare nella baracca e sono andati i genitori a stare nella casa: io questo lo devo dire perché è una sua decisione, all’epoca, è chiaro, mi dispiace, perché questo è il solito sistema con cui con una baracca noi diamo quattro case, tre case, cinque case,perché uno se ne va e lascia gli altri! Anche questo è uno dei guai per cui noi ci troviamo nella situazione in cui siamo, ed è il caso che lo dica… Ci sono tante persone… Allora bisogna dire che restituiscano la casa di 90 mq., come previsto per legge e gli si dà una casa più piccola: se sono due sole persone… Perché un altro dei controlli che in linea teorica la legge prevedrebbe è che l’IACP o il Comune facesse questo controllo sull’utilizzo delle case, cioè sull’aggiornamento delle tipologie dei nuclei familiari!”.
Le esternazioni della Canale suscitarono una dura reazione della consigliera comunale Donatella Sindoni, Presidente della VI Commissione.“Non era la prima volta che la dirigente lo diceva e così la stoppai subito dicendole: Architetto, mi scusi, ma le sue sono gravi affermazioni; e siccome anch’io, nel mio piccolo, appartengo alla classe dei cosiddetti politici, ma al pari di tanti colleghi non sono venuta mai a chiederle nulla, le chiedo gentilmente di fare nomi e cognomi”, ricorda Sindoni. “Le dissi ancora che senza l’identificazione puntuale dei cosiddetti politici, le accuse, così tanto generiche, costituivano contumelia nei confronti di coloro che non sono responsabili di un simile comportamento. La dirigente, a quel punto, si alzò e urlando prese a dire: Contumelie a me? Non lo posso tollerare! Mi ritengo offesa! Vado via e non verrò più in una Commissione dove ci sarà lei a presiedere! E andò via sbattendo la porta sotto lo sguardo dei due assessori che restarono ammutoliti. Io continuai imperterrita i lavori della Commissione… Alla fine, uscendo, incontrai la dirigente Canale che si lamentava per il mio comportamento con la collega Amata (Elvira Amata, oggi parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana con il gruppo “Fratelli d’Italia”, NdA) e avvicinatami, le dissi: Architetta, non era mia intenzione offenderla! E lei mi rispose: Io con lei non ci parlo perché anche l’altra volta si è permessa di dirmi che dovevo fare i nomi!Bene -le dissi - vorrà dire che ci parleremo in altre sedi…”.
Il 24 aprile 2015, Donatella Sindoni inviò i verbali di quella commissione al sindaco Renato Accorinti, al segretario-direttore generale Antonio Le Donne e alla presidente del Consiglio comunale Emilia Barrile, chiedendo che venisse accertato quanto dichiarato dalla Canale in una nota sottoscritta anche dal collega-consigliere Santi Daniele Zuccarello (lo stesso citato de relatodall’ex assessore Pino per presunte “ingerenze indebite” sugli uffici comunali insieme alla Barrile, anche se ad onor del vero, nel marzo 2014, lo stesso Zuccarello aveva denunciato pubblicamente un anomalo affidamento diretto da parte del Comune ad una cooperativa nella titolarità della Presidente del consiglio). Non essendo giunta dall’amministrazione comunale alcuna risposta, il 20 maggio 2015, i due consiglieri presentavano un dettagliato esposto al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Messina. “Riteniamo che invettive non seguite da censura e/o denunzia di fatti descritti con puntualità (…) lascino solo tracce fumose e ombre senza modificare prassi e/o costumi e/o stili che noi invece censuriamo e combattiamo”, scrivevano Sindoni e Zuccarello. Esempio di come l’emergenza abitativa sia un mare magnum senza governo tra degrado, sfratti e privilegi, da cui, altresì, emerge l’inerzia e la totale mancanza di controlli da parte del Comune è l’episodio, da considerarsi a dir poco sconcertante, di cui gli scriventi sono venuti a conoscenza relativamente ad un alloggio sito in Messina, rione Aldisio, via 28/c, che era stato regolarmente assegnato in locazione. Deceduto il legittimo assegnatario l’abitazione veniva regolarmente concessa al di lui figlio convivente che vi risiedeva con la propria famiglia. Una volta deceduto anche costui e la di lui moglie, nel mese di settembre 2013 il Comune di Messina notificò alla nipote che risultava residente nell’appartamento, ordinanza di sfratto esecutivo con intimazione a lasciare sgombro l’immobile da persone entro giorni 5 dalla ricezione. Ebbene (e qui sta lo sconcerto!) non solo, a tutt’oggi, non si è dato seguito a questa ordinanza, ma l’immobile risulta essere stato arbitrariamente affittato e/o venduto a terze persone, che col tacito consenso da parte della signora (che sembrerebbe vivere fuori Messina) ivi avrebbero trasferito la loro residenza. Tali fatti sarebbero stati tutti resi prima noti alla Dirigente arch. Canale, mediante lettera raccomandata a firma dell’avv. Pirrone, e in seguito, di fronte al perpetrarsi dell’inerzia da parte del dirigente, denunciati alla Procura della Repubblica”.
A conclusione del loro esposto, i due consiglieri stigmatizzavano che “tutta l’Amministrazione, da un lato, non effettua i controlli necessari per prevenire episodi di occupazione abusiva e/o impedire che inquilini che perdono i requisiti continuino a risiedere e addirittura si auto legittimino a ritenersi proprietari e procedano ad affittare e/o vendere il bene a terzi, e dall’altro, non si adopera al fine di ristabilire la legalità assegnando l’alloggio a chi ne possiede i requisiti come per legge, autorizzando situazioni di occupanti abusivi che resistono per anni grazie a confusione e malgoverno”.
La denuncia dei due consiglieri non produsse effetti in sede giudiziaria o amministrativa. Un anno dopo, però, l’architetta Maria Canale tornò in audizione in IV Commissione consiliare (10 maggio 2016) per riferire sui programmi di risanamento in atto da parte del Comune. Per la cronaca, la commissione aveva luogo a Palazzo Zanca qualche ora dopo l’ennesima manifestazione di protesta degli abitanti di Fondo Saccà per una nuova invasione di zecche all’interno delle abitazioni. Sotto accusa da parte della dirigente del Dipartimento Politiche della casa c’era stavolta, in parte, anche l’assessore Sebastiano Pino (assente in aula anche se formalmente invitato). “In questi anni si è forse più pensato a particolari progetti o interventi, ma in ogni caso è stata assolutamente dimenticata la programmazione globale, il risanamento globale!”, esordiva la Canale. “Non esiste più il risanamento! Non vi è stata una disamina effettiva di tutta la situazione e qui rientra il discorso relativo al crono-programma, agli ambiti; quel poco che si è fatto e che si fa in realtà attiene a vecchi progetti in itinere, rimasti bloccati per problemi legali, per ditte che falliscono, contenziosi, ma di nuovo, di programmato, non c’è stato nulla! Dalla stessa commissione consiliare non è nata l’esigenza di chiedere all’Amministrazione una valutazione della situazione soprattutto in riferimento al risanamento; ricordo che in passato vi era un rapporto continuo, spesso anche conflittuale, con Palermo! Posso sollecitare solo fino ad un certo punto l’assessore Pino, che in un anno e mezzo non è mai andato a Palermo! Telefono e, comunque, finché si tratta di problemi di gestione, agisco interloquendo con Palermo in qualità di dirigente, ma oltre non posso andare! Mi dispiace tutto questo, ma il mio è stato trasformato in un dipartimento amministrativo essendo stata totalmente messa da parte l’area tecnica, sebbene io stessa abbia evidenziato al momento della riorganizzazione della struttura, la necessità di un accorpamento con la gestione economica e finanziaria dell’ex dipartimento patrimonio (…) Per ciò che riguarda Fondo Saccà, non so più quante volte è stata ripulita l’area e nonostante gli abitanti della zona sostengano di non avere alcuna responsabilità, il solo fatto che abbiano orde di cani, lascia supporre che siano loro a portare le zecche. Il Comune non ha colpe, ad eccezione dell’ultima demolizione per cui occorre togliere le macerie”. Infine un’ammissione sui ritardi e il disordine esistenti nelle procedure di controllo sugli alloggi di proprietà comunale. “Alcuni dati in nostro possesso non sono del tutto corretti e stiamo facendo le opportune verifiche”, dichiarava l’architetta Canale. “Vi sono alcune perplessità sui nomi degli affittuari perché spesso ci si trova di fronte a situazioni incancrenite e l’IACP, in realtà, non ha idea di chi siano alcuni suoi inquilini. Se poi i consiglieri vogliono venire in ufficio ad aiutare nelle operazioni di verifica dei titoli in possesso degli affittuari, ben vengano. Per quanto riguarda i canoni anche qui si sta lavorando, ma per gli aggiornamenti si deve attendere che gli inquilini vengano a portare i dati reddituali. Ribadisco, comunque, che non vi è alcun problema a fornire ai consiglieri comunali questi dati, ma si deve stare attenti  a che non si verifichi quanto accaduto in passato, ovvero che vadano a finire a chi non ha diritto di averli”. Sul significato di quest’ultimo assunto, nessuno tra i consiglieri e gli amministratori ha sentito il dovere di chiedere lumi…

Processo antimafia Beta. “I Santapaola-Romeo di Messina rispettati da tutti…”

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A Messina e provincia era riverita proprio da tutti, anche dagli irriducibili boss della cosca mafiosa barcellonese, storica alleata dell’ala stragista di Cosa nostra. Era la famigliaSantapaola-Romeo residente ed operante nella città capoluogo dello Stretto, strettamente imparentata e partner d’affari del dominus delle organizzazioni criminali di mezza Sicilia, don Benedetto “Nitto” Santapaola. Stando a quanto riferito all’ultima udienza del processo Betadall’ex rappresentante dei barcellonesi Carmelo D’Amico (già spietato killer ed odierno collaboratore di giustizia), il nome dei Santapaola-Romeo incuteva il massimo rispetto tra i colonnelli e i gregari dei gruppi di fuoco attivi nel territorio compreso tra Villafranca Tirrena, Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Portorosa. Con i Santapaola-Romeo da Messina si pianificano e si autorizzavano le rapine e le estorsioni alle imprese locali e nazionali interessate alle grandi opere, si mediavano i conflitti insorti e si festeggiavano accordi e pacificazioni nelle sale da matrimonio e nelle discoteche più gettonate dell’area mamertina.
“Io ero un soggetto che si interessava di estorsioni e di quant’altro”, ha esordito Carmelo D’Amico all’udienza del processo Beta in corso di svolgimento al Tribunale di Messina. “Ero un personaggio di spicco della mafia barcellonese in quanto avevo commesso decine e decine di omicidi. Poi divento ambasciatore a Cosa Nostra per conto della famigliadi Barcellona. Avevo rapporti con tutti, con la famiglia Gullotti, con Sem Di Salvo, ecc.. Io però non sono stato fatto uomo d’onore perché nel 1990-91 sia Nitto Santapaola che Totò Riina avevano stabilito che in Sicilia non si dovevano fare più uomini d’onore. Alcune delle famiglie siciliane questa regola non l’hanno rispettata, però noi, Pippo Gullotti, Sem Di Salvo, Giovanni Rao, l’abbiamo sempre rispettata”.
Gente di assoluto rispetto
“Enzo e Piero Santapaola erano i referenti su Messina della famiglia Santapaola”, ha aggiunto D’Amico. “I Santapaola erano rispettati da tutte le famiglie messinesi, da tutti. Nessuno si permetteva di fare un torto alla famiglia Santapaola o alla famiglia Romeo di Messina, non esisteva…. A Pietro ed Enzo Santapaola li ho conosciuti nel 1994-95 al carcere di Messina Gazzi perché sono stati arrestati per l’operazione Orsa Maggiore ed io ero al reparto Camerotti alla cella numero 32; li abbiamo ospitati lì e sono stati con me diversi mesi. Quando arrivava un detenuto, se noi lo volevamo in cella lo prendevamo, se non volevamo che uno restasse se ne doveva andare. Siccome all’epoca io ero il responsabile di quella cella, della cella numero 20, della numero 21, l’ho ospitato sapendo che erano i nipoti di Nitto Santapaola che abbiamo tenuto latitante noi a Barcellona, a Terme Vigliatore. Quindi sono saliti e loro sono venuti diretti nella cella dei barcellonesi. Mi ricordo una cosa di quel periodo. È arrivato un ragazzo di Capo d’Orlando, l’abbiamo preso noi perché era un bravo ragazzo, era alla terza branda, perché era un letto a castello a tre. Una volta gli disse a Enzo Santapaola: Mi sembri il comandante del carcere. Quella era una grossa offesa, come si ci avissa dittu sbirru. Io a questo soggetto lo tirai giù dalla branda, lo buttai a terra e gli feci male… E Enzo mi prese col braccio e mi disse: Carmelo, no, non ti preoccupare, lascialo stare, non…. L’abbiamo capito che era un ragazzo semplice…”.
Il collaboratore di giustizia ha spiegato come la sua relazione con i Santapaola proseguì dopo le rispettive scarcerazioni. “Quando siamo usciti dal carcere abbiamo avuto diversi incontri. Mi ricordo che Vincenzo Santapaola mi ha contattato tramite Nino Treccarichi, perché loro hanno una vecchia amicizia con Nino che è stato sempre legato allo zio Ciccio Romeo, alla famiglia Romeo. A Enzo e a Piero Santapaola li conosce da ragazzini. Già in quel periodo Treccarichi era inserito nel clan dei barcellonesi. Io avevo avuto incontri con Nino, nel 1991, 1992. Lo conosco dall’epoca, che frequentavamo insieme a Mirabile, andavo a casa sua, a Spatafora. Ci incontravamo, ma addirittura portava alcuni calabresi di spessore. Abbiamo avuto diversi incontri con Pippo Gullotti e con l’avvocato di Reggio Calabria che poi l’hanno arrestato, che gli ha tagliato la testa e gliel’ha buttata là, gli ha sparato. Mi ricordo che pure Sem Di Salvo ha voluto che gli presentassi sia Enzo che Piero Santapaola, e così ho fissato un appuntamento a casa mia a Barcellona Pozzo di Gotto. Ci siamo incontrati io, Piero Santapaola e Sem Di Salvo, per discutere di estorsioni”.
“Dopo di ciò, divenuto nel 1997-98 l’ambasciatore a Cosa Nostra da parte dei barcellonesi, con Piero Santapaola abbiamo avuto diversi appuntamenti”, ha aggiunto D’Amico. “Ci incontravamo al casello di Catania e gli appuntamenti li concordavamo tramite Nino Treccarichi, Santo La Causa, Alessandro Strano. Poi c’erano i contatti anche con Alfio Castro che era molto amico sia di Enzo e di Piero Santapaola. A Catania con Santo La Causa e Pietro Santapaola abbiamo discusso sempre di estorsioni e abbiamo avuto incontri anche con lo zio Nino, Nino Santapaola, il fratello di Nitto. C’eravamo io, Piero Santapaola, Nino Santapaola, Santo La Causa e Franco La Rocca di Caltagirone che è il responsabile della famiglia La Rocca, e là si è discusso sempre di estorsioni. E poi stava nascendo una guerra fra i La Rocca e i Santapaola e praticamente abbiamo fatto questo incontro per placare gli animi, per arrivare ad un accordo fra di loro, perché i La Rocca si lamentavano che i Santapaola non si comportavano bene per le estorsioni e poi per altri furti di mezzi, che i catanesi andavano praticamente a rubare nelle zone di Caltagirone dove era responsabile la famiglia La Rocca. Questi fatti avvennero dal 1996 fino al 2000”.
Nel corso della sua testimonianza, l’ex associato al clan dei barcellonesi ha riferito pure di importanti incontri con Piero Santapaola e alcuni affiliati dei clan etnei in un esercizio commerciale della zona di Monte Po a Catania. “Il panificio era a sinistra sulla strada e c’era là dentro Nino Santapaola e Santo La Causa. Poi ci hanno fatto spostare, abbiamo attraversato la strada dall’altro lato, in una piccola stanza in una vecchia casa, e abbiamo discusso là io, Piero Santapaola, Nino Santapaola, Santo La Causa e Franco La Rocca”, ha raccontato Carmelo D’Amico. “Negli incontri a Monte Po con Santo La Causa e Piero Santapaola abbiamo sistemato delle estorsioni, per esempio quella di Cappellano. Mi ricordo che questa estorsione ricadeva in una zona a Catania che era dei Cappello e praticamente là è intervenuto Santo La Causa e l’imprenditore Cappellano poi si è rivolto direttamente… Li ho fatti andare io sul cantiere perché il Cappellano già era a posto con noi perché ci pagava l’estorsione. Pagava a Filippo Milone e la cosa si è sistemata. Ma abbiamo sistemato tantissime estorsioni. Mi ricordo prima che arrestassero Santo La Causa c’era stata la ditta Santangelo, questo è il compare di Mariano Foti di Barcellona che avevano fatto una presentazione. C’era un autotrasportatore, un camion carico di televisioni, arie condizionate, un autotreno e hanno dichiarato che questo mezzo aveva subito una rapina e se l’erano preso. E gliel’ho fatta avere tramite sempre io e Piero Santapaola. Siamo andati a Catania e questo mezzo è stato portato da Santangelo a Catania dove loro hanno piazzato la merce e dovevano corrispondere per essa decine e decine di migliaia di euro che poi non sono stati corrisposti. È stato il figlioccio di Santo La Causa, Alessandro Strano, perché Santo La Causa l’avevano arrestato latitante e gli hanno trovato, mi ricordo benissimo quando l’hanno arrestato, un pizzino dove aveva riportato il numero di telefono dei Santangelo. Poi è subentrato il figlioccio di Santo La Causa, me l’ha presentato sempre Piero Santapaola. Questo Alessandro Strano non mi piaceva perché non era come Santo La Causa che era un personaggio di spessore e molto serio. Mi dava appuntamenti, ci incontravamo in un bar insieme a Piero Santapaola e non mi piaceva. E siccome avevo il processo per il triplice omicidio e non c’era ancora stata la sentenza, ho parlato con Sem Di Salvo e abbiamo mandato avanti a Bisognano Carmelo. E i rapporti poi successivamente a me ce li aveva avuti il Bisognano Carmelo con Piero Santapaola. Però poi il fratello Piero si è ritirato. Ricordo che lui mi chiamò e mi disse: Vedi che io mi metto un po’ di lato perché il mio nome sta girando troppo su Messina e anche su Catania e quindi ora te la vedi con mio fratello Enzo. E così dopo, 2000-2001 è subentrato il fratello Enzo Santapaola ed ho avuto rapporti continuamente con lui, sempre per quanto riguarda le estorsioni che abbiamo sistemato fino al 2007, 2008”.
Alle imprese ci pensa Trischitta…
Il collaboratore di giustizia ha poi citato altri episodi in cui i fratelli Santapaola avrebbero assunto un ruolo chiave nella gestione delle estorsioni a danno di noti costruttori. “Un’altra volta ho mandato un biglietto dell’estorsione della ditta Presti a Catania, un’altra estorsione che l’ha sistemata Enzo Santapaola e Pippo Castro”, ha aggiunto D’Amico. “Il Castro gli portava un sacco di soldi di estorsione direttamente prima a Piero Santapaola, poi a Enzo e anche allo zio Ciccio Romeo, praticamente, con cui lui aveva i contatti (…) Abbiamo sistemato l’estorsione io con Piero Santapaola o con Enzo Santapaola agli imprenditori che andavano a lavorare a Messina. I messinesi sono soliti, quando c’è un cantiere, che ci và chiunque. Così se andava qualcuno in un cantiere per sottoporli ad estorsione, l’imprenditore doveva riferire a quello che era a posto con Pietro Trischitta, perché Vincenzo e Piero Santapaola avevano fatto questo accordo con il Trischitta e una minima parte di questi soldi andava pure a lui. Dovevano fare il nome di Trischitta anche perché non volevano, sia Enzo e sia Piero, che circolasse il loro nome a Messina. Voglio specificare che i Santapaola avevano questo accordo con Pietro Trischitta perché loro erano i responsabili della famiglia Santapaola su Messina e quindi erano molto vicini ai Trischitta, e anche perché loro non si volevano sputtanare e non avevano tanta fiducia nei messinesi perché c’erano troppi collaboratori di giustizia. Piero Santapaola si fidava solo di Piero Trischitta e di Franco u funnaru cioè Franco Giacobbe. Di quest’ultimo mi diceva che era una persona a posto; degli altri aveva un po’ di diffidenza… Sia il Piero e sia Enzo erano diffidenti. Ricordo che all’epoca Trischitta era in carcere, all’ergastolo. Lo hanno arrestato a lui latitante all’epoca nelle zone di Terme Vigliatore, a fine anni ‘80, mi pare, inizio ‘90”.
“Tra le estorsioni che abbiamo sistemato c’è quella dei fratelli Capizzi, quelli che stavano facendo il lavoro all’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto, il Cutroni Zodda, l’hanno ristrutturato”, ha proseguito il collaboratore. “Eravamo a fine 2008, inizio 2009. Questi Capizzi, fratelli, nipoti, hanno un sacco di società, mi sembra ad Agrigento. E hanno preso un lavoro a Messina a questi qua li ho sistemati io. Mi ricordo che il lavoro era in un torrente, località Annunziata, dei lavori di ripristino… un bastione dovevano fare, una cosa del genere. Era circa 800 milioni di euro e gliel’ho fatta sistemare a otto mila euro, perché ai fratelli Capizzi io gli prendevo l’uno per cento del lavoro. I soldi glieli mandavo in diverse tranche con mio compare Nino Treccarichi a cui sia Enzo Santapaola che Piero Santapaola e lo zio Ciccio Romeo erano legatissimi. Mi ricordo che già mi avevano dato quattro o seimila euro e li ho mandati con Treccarichi direttamente a Enzo Santapaola. Poi incontravo a Enzo e gli chiesi: Ti puttau i soddi me cumpari? E lui mi disse: Mi puttò. Questa vicenda è avvenuta negli anni 2007, 2008 più o meno, perché ricordo che i Capizzi stavano facendo in contemporanea il lavoro a Barcellona Pozzo di Gotto e fino a quando non mi hanno arrestato per l’operazione Pozzo a gennaio del 2009, questa estorsione era in corso. Io ai fratelli Capizzi gli dissi: Se viene qualcuno sul cantiere gli dovete dire… perché è facile che vengano, è facile che qualcuno viene, perché c’erunu na massa i drogati a Messina che andavano su ai cantieri e ci ciccavunu i soddi a tutti, quindi non vedevano se la ditta era a posto o no. E allora gli dite che praticamente siete a posto con Pietro Trischitta. Qualunque estorsione che io ho sistemato con i fratelli Santapaola, mi hanno detto di fare sempre questo nome…”.
“Poi c’è stata un’altra estorsione che gliel’ho sistemata io, quella di Salvatore Puglisi dell’impresa di calcestruzzo MAP S.r.l., che doveva fare una cooperativa a Santa Lucia Sopra Contesse”, ha ricordato D’Amico. “Abbiamo avuto appuntamento a Messina con Piero Santapaola e mi ricordo che c’è stato anche Pippo Maniaci detto u ragiuneri, che faceva parte sempre della famiglia di Trischitta. Nello studio-ufficio che Salvatore Puglisi aveva a Messina, c’eravamo io, Piero Santapaola, Pippo Maniaci e il Puglisi. E abbiamo discusso di questo, anche perché c’era un terreno che aveva una signora dove si doveva costruire una cooperativa. E questo terreno lo stava curando il Pippo Maniaci. Quindi c’era l’interesse di Piero Santapaola e avevano discusso che se questo lavoro lo faceva Puglisi, per loro non sarebbe stata solo un’estorsione perché là venivano un centinaio di appartamenti. Praticamente avrebbero ricevuto in cambio centinaia di migliaia di euro. Questo fatto che riguardò Pippo Maniaci avvenne nel 1998-99; lui si incontrava con Pippo Gullotti ed era amico di Sem Di Salvo. Con Pippo Maniaci ci siamo incontrati più volte a Barcellona e a Messina, anche insieme a Sem Di Salvo e Pippo Gullotti. Prima del 1995 il Maniaci era più o meno il nostro referente su Messina”.
“Salvatore Puglisi mi ha fatto praticamente il prestanome”, ha aggiunto il collaboratore. “Era vicino a me, però in quegli anni il Puglisi pagava l’estorsione sia ai barcellonesi e sia ai messinesi. Decine di collaboratori di giustizia di Messina di quegli anni hanno raccontato che pagava l’estorsione a tutti, fra cui i Leo… Li ho conosciuti, ci sono andato io e gli ho sistemato le estorsioni. Mi ricordo in particolare che Giovanni Leo ca pari a scimmia, chiddu ca si ittò pentito nel 1992-93, accusò estorsioni quando facevamo i lavori noi a Messina, che faceva Puglisi a Messina della cooperativa, sempre nella zona all’Annunziata... All’epoca ero un semplice assunto da Puglisi. Praticamente era una forma di estorsione perché lui mi pagava anche se non andavo a lavorare. Poiché lo chiamavano al processo a testimoniare,  Salvatore Puglisi si rivolgeva a me dicendomi: Che devo fare? Ed io ci diceva, tanto per dire, che si doveva negare tutto. Gli ho sistemato le estorsioni a Gela con Carmelo Barbieri detto u prufissuri, della famiglia Madonia, che si incontrava con me. Dove lavorava lavorava, Puglisi pagava l’estorsione… Poi vinni uno dei fratelli Catanzaro e gli ha chiesto l’estorsione e c’ero io, andavo sul cantiere anche armato all’epoca. Così mi sono recato insieme a Salvatore Puglisi a casa di Giovanni Leo per dirgli: Vadda, chistu vi sta dannu i soddi a vuautriCome mai vi sta pagannu l’estorsione a vuautri e sta vinennu chistu, stu drogatu, stu Catanzaru?”.
Carmelo d’Amico ha riferito che sotto estorsione da parte dei clan barcellonesi c’era pure l’impresa Demoter del noto costruttore Carlo Borella, uno degli imputati eccellenti del processo Beta. “Praticamente la Demoter ci pagava l’estorsione e ci ha agevolato per quanto riguarda i soldi che doveva dare la società Bonatti e che ce li faceva avere proprio tramite la Demoter”, ha chiarito. “Ma in gran parte delle volte il Borella non si comportava bene con questi soldi perché ne tratteneva sempre una parte per sé… La Demoter faceva le fatture alla Bonatti e la Bonatti mandava questi soldi, che era una sola fatturazione, perché i soldi delle estorsioni che noi avevamo concordato con la Bonatti dovevano uscire tutti tramite fatture di tutte le ditte che avevano subappaltato il lavoro. E la Demoter era una di queste. Ci doveva fare avere i soldi di queste sovrafatturazioni tramite Carlo Borella e tramite il geometra… Però ci faceva tirare il collo… La Bonatti era puntuale, tutte le altre ditte subappaltatrici come Sottile, Arcobaleno, Aquilia e Scirocco, comunque tutti quanti praticamente erano puntuali, ci davano i soldi, tranne la Demoter che si tratteneva sempre qualcosa per sé...”.
“Quando lavoravo, io non ne subivo estorsioni”, ha spiegato D’Amico. “Io contribuivo perché lavoravamo con gli impianti e davo qualcosa ad Antonino Calderone per la bacinella, come contribuivano tutti, sia Sem Di Salvo quando faceva lavori pubblici, sia Mario Aquilia. Dovevano contribuire praticamente alla bacinella, perché se tutti i lavori li facevamo noi che eravamo quelli associati, gli altri che facevano, non pigliavano una lira? Siccome incassavamo con i lavori, che posso dire, cinquecentomila euro, pigliavamo ventimila euro, diecimila euro e li mettevamo nella bacinella. Questo che facevo non era comunque un’estorsione, era un contributo. Era un accordo che avevamo fra di noi, io con Di Salvo, con Rao e con gli altri…”.
Carmelo D’Amico si è poi soffermato su alcuni dei suoi innumerevoli incontri d’affari con Enzo e Piero Santapaola. “Con loro due ci incontravamo dappertutto. Anche con Ciccio Romeo. Abbiamo sistemato anche con lui alcune estorsioni tramite mio compare Nino Treccarichi. Una volta ci siamo visti in un bar, mi sembra all’uscita di Boccetta. Poi ci siamo incontrati all’Università e dove i fratelli Enzo e Piero Santapaola hanno un coso della carne, uno spiazzale dove praticamente ci sono tutte le celle frigorifere, sotto il campo sportivo di Messina, il Celeste… Avevano questa ditta insieme a una persona che conosco ma che non mi ricordo il nome. Comunque mi sono incontrato con loro dappertutto per sistemare tutto. Mi sono interessato anche per lo zio Nino Santapaola quando è stato al manicomio di Barcellona e l’Enzo Santapaola mi raccomandò di farglielo rispettare dentro. Anche questo ho fatto”.
“A u zu CicciuRomeo l’avevo conosciuto perché me ne parlavano sia Enzo e sia Piero”, ha aggiunto D’Amico. “Poi ne parlammo anche con Santo La Causa negli appuntamenti a Catania. U zu Cicciu… Salutami u zu Cicciu! Salutimi o zu Cicciu! Poi mi è stato presentato negli anni 2001-2002, proprio da Nino Treccarichi, con cui si incontravano periodicamente. Abbiamo avuto un appuntamento a quel bar che ho detto io a Messina, a Boccetta, sempre riguardo all’estorsione. Ciccio Romeo era un altro appartenente della famiglia Santapaola, era la persona più anziana. Insieme ai nipoti erano quelli che comandavano per quanto riguarda la famiglia Santapaola a Messina”.
“Piero e Enzo Santapaola, oltre a Trischitta, avevano rapporti con altri soggetti della criminalità organizzata messinese”, ha riferito l’ex boss barcellonese. “Loro li conoscevano tutti. Mi ricordo che quando sono stati nel carcere, nel 1993, li rispettavano tutti. Li rispettavano i Trovato, i Piccoletto, gli Spartà. Tutti quanti li rispettavano… Con tutti avevano rapporti loro. Non mi ricordo se abbiamo avuto pure qualche incontro all’epoca con Enzo Santapaola e con Nicola Pellegrino, uno dei fratelli Pellegrino, anche loro facenti parte della famiglia Trischitta e che erano legatissimi ad Enzo e Piero Santapaola. Io sono stato in carcere con i fratelli Pellegrino, poi ho sistemato anche qualche estorsione insieme a loro. Mi ricordo benissimo che gli mandavo i soldi a Nicola Pellegrino per quanto riguarda l’estorsione della Bonatti, perché questa impresa ci pagava, avevamo aggiustato per qualche due milioni… centomila euro. Gli avevano fatto mettere degli escavatori su Messina e questi soldi che gli davano dell’estorsione dovevano andare sia ai Pellegrino e sia a Pietro Trischitta. I soldi venivano dati a noi e io li mandavo sempre con Nino Treccarichi ai fratelli Pellegrino…”
“Ricordo inoltre che a Piero Santapaola gli regalai una pistola colore grigio scuro, calibro 9 per 21. Gliela portai a Messina e forse c’era mio fratello Francesco con me sulla macchina, e la consegnai praticamente ad un bar alberato sul viale S. Martino dove c’è questa piazzetta a destra e poi accanto c’è pure una banca. Questa pistola era di un metallo leggerissimo che passava anche sotto i metal detector e non la segnava. Gli ho regalato questa pistola perché era bella, nuova. Ce ne avevamo tante armi; queste pistole arrivavano sempre tramite Sem Di Salvo e Carmelo Bisognano (…) Mi ha portato lui, il Santapaola, dall’avvocato Traclò per farmi togliere la detenzione. Abbiamo avuto l’appuntamento dall’avvocato perché nel 2006 avevo avuto la proposta di sorveglianza speciale e lui mi disse: C’è l’avvocato Traclò che si interessa e può anche darsi che non te la fa dare. Infatti mi sono incontrato nell’ufficio dell’avvocato Traclò, il padre però, mi ricordo all’epoca persona cinquantacinque, sessant’anni”.
Gli allegri brindisi nelle discoteche di Milazzo
Carmelo D’amico ha riferito inoltre di alcuni incontri con i fratelli Santapaola anche nella città del Longano e a Milazzo. “Con Vincenzo Santapaola ci vedevamo pure a Barcellona; insieme ad altri messinesi si recava al manicomio perché era in semilibertà. Tramite Santino della pizzeria al Togo, lui mi fissava gli appuntamenti, glielo diceva a Santino e quest’ultimo mi contattava: Vedi che stasera Enzo arriva alle dieci e ti vuole parlare. E mi facevo trovare là in pizzeria. Enzo Santapaola in quel periodo veniva in macchina insieme ad altri tre messinesi. Si fermavano tutte le sere al Togo; arrivavano verso le nove e venti, nove e mezza... Se io non andavo, mi mandava chiamando con Santino...”.
“Poi ci siamo incontrati con Enzo Santapaola in discoteca a Milazzo per discutere una situazione… Lui è venuto insieme o funnaru, sarebbe Franco Giacobbe, insieme a Filippo Messina. L’incontro è avvenuto all’Inside nel 2001, 2002… In questa discoteca c’erano oltre a me, Santino Napoli, Pietro Mazzagatti, Franco Giacobbe, Filippo Messina, Enzo Santapaola e anche Aurelio Micale. Poi mi ricordo che c’erano pure due dei cugini di Santapaola, uno di questi mi sembra che si chiama Maurizio, uno dei Romeo, dei figli di Ciccio. C’era pure mio fratello Francesco, perché sapevamo che stava arrivando Daniele Santovito e gli volevamo dare una lezione. Mi ricordo che arrivò con una jeep chi gommi tutti lagghi, tutta a strisci bianca, alta. Mi paria onestamente un viddanu, perché mi ha fatto antipatia per come è venuto, per come è sceso, praticamente gli volevo dare una lezione perché non mi piaceva l’atteggiamento che aveva. Avevano fatto un po’ di casino all’interno della discoteca. Lui era da Giustra, apparteneva sempre alla famiglia più o meno Trischitta. E Enzo poi mi ha detto: Lascialo stare e così non gli abbiamo fatto niente. La discussione avvenne sempre all’interno di quella discoteca che era aperta al pubblico e c’erano molte persone. Noi eravamo in una saletta sopra, un reparto più riservato però che affaccia sopra l’Inside. Vincenzo Santapaola si è interposto perché c’era un parente suo in questa discussione, qualcuno, un ragazzino, una cosa del genere… Insomma, l’abbiamo sistemata, l’abbiamo chiusa là, con l’intermediazione di Enzo Santapaola, e abbiamo brindato… Ci siamo fatti portare un po’ di bottiglie di champagne, ci siamo seduti al tavolo là e siamo stati un bel po’ a bere… Di questo incontro ho già testimoniato nel processo Gotha 7qualche settimana fa. Dopo che abbiamo chiarito questa cosa, a Enzo Santapaola gli ho presentato Santino Napoli e quest’ultimo si è messo a disposizione per quanto riguarda in tutto e per tutto; se aveva di qualsiasi cosa, lui era a disposizione...”. Netto il giudizio di Carmelo D’Amico sul paramedico dell’ospedale di Milazzo, ex sindacalista e consigliere comunale per diverse legislature. “Santino Napoli è un altro nostro associato”, ha dichiarato il collaboratore. “Napoli faceva parte della nostra associazione ed era il nostro referente su Milazzo. Praticamente gestiva l’Inside, The Loft, Le Terrazze, comunque tutte le discoteche che c’erano a Milazzo. Lido Azzurro…” (va però rilevato che i titolari di questi locali hanno smentito qualsivoglia relazione con l’ex politico mamertino NdA).
“Con Enzo Santapaola ci siamo incontrati tantissime volte sia in discoteca, sia con mio compare Pietro Mazzagatti”, ha concluso D’Amico. “E mi ricordo che prima che arrestassero Mazzagatti nel 2006, Enzo è venuto da lui, in casa, sopra Santa Lucia del Mela dove c’è una villetta che è di Pietro, dove ora ha fatto la sala per matrimoni. Già lui lo conosceva, glielo avevo presentato io ad Enzo Santapaola. E’ venuto che doveva far fare una rapina a una Posta di Gualtieri Sicaminò, la dovevano fare questi messinesi, e con lui c’era Franco u furnaru. Riguardo alla villetta c’è stata una discussione, me lo dicevano, io quel giorno non ci sono stato, ero ad altri appuntamenti. Hanno discusso di questa rapina Enzo Santapaola con mio compare Piero Mazzagatti, Franco u furnaru e Filippo Messina che era quello che gli portava la macchina. Io e Pietro Mazzagatti abbiamo visto pure il percorso che dovevano fare i rapinatori e poi dovevano essere ospitati in questa sua villa di Santa Lucia. Dove si è discusso nella veranda c’era una microspia. Dopo pochi giorni, mio compare aveva avuto un guasto elettrico e l’ha trovata l’elettricista smontando la presa. Poiché questa microspia li aveva intercettati, mio compare si preoccupava e così questa rapina non venne fatta. O i carabinieri o la polizia, con la microspia nella villa di mio compare Pietro Mazzagatti, avranno riconosciuto al novantanove per certo la voce di Enzo Santapaola. Questa rapina non la dovevamo fare né io, né Mazzagatti, non Enzo Santapaola e neanche Franco u funnaru, mapersone che avevano cercato il nostro appoggio… Questo l’abbiamo fatto fare a tanti catanesi a Barcellona…”.
D’Amico ha ricordato infine i convivi amicali con Enzo Santapaola, Pietro Mazzagatti e le rispettive consorti. “A Villa Jasmine di Toluian siamo stati a mangiare insieme più volte. Era il 2005, 2006. Mio compare Pietro faceva i matrimoni a Villa Jasmine, lui faceva la ristorazione là e in tanti altri ristoranti. Una volta durante un matrimonio noi tutti eravamo in un tavolo a parte perché non eravamo invitati. Nelle cene non discutevamo, davanti alle mogli non dicevamo niente, per rispetto…. Poi ci alzavamo io, Pietro Nicola Mazzagatti, Enzo Santapaola, ci distaccavamo sotto gli alberi, perché a Villa Jasmine ci sono gli alberi, e parlavamo di quello che dovevamo parlare, delle estorsioni, della rapina o di quant’altro…”.

E l’isola di Lampedusa diventa sempre più avamposto NATO…

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Per anni è stata rappresentata come l’ultima frontiera dell’Unione europea e principale porto di sbarco per le imbarcazioni dei migranti in fuga dal continente africano, ma intanto segretamente Lampedusa è stata trasformata in una vera e propria piattaforma avanzata nel Mediterraneo delle forze armate nazionali, Ue e NATO. Antenne radar, centri di telecomunicazioni e per la guerra elettronica sono stati dislocati in ogni angolo dell’isola; continuo ed esasperante è il via vai di mezzi navali, elicotteri, caccia e aerei da trasporto; finanche Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere Ue, ha dislocato nello scalo lampedusano un grande drone per le operazioni d’intelligence anti-migranti.
L’ultimo regalo militare è entrato in funzione la settimana scorsa a Capo Ponente presso la stazione della 134a Squadriglia Radar Remota dell’Aeronautica militare: si tratta di un nuovo radar FADR (Fixed Air Defence Radar, modello RAT–31DL). “L’inaugurazione del Sistema FADR a Lampedusa segna la conclusione di un più ampio programma decennale che, insieme alla sinergia del mondo industriale nazionale, ha portato al rinnovamento tecnologico di 12 radar fissi a copertura dell’intero spazio aereo nazionale”, scrive l’ufficio stampa dell’Aeronautica italiana. “La nuova struttura di sorveglianza dello spazio aereo, basata su sensori radar terrestri, rappresenta un elemento fondamentale del sistema di difesa aerea nazionale e della NATO, di cui sono parte integrante i caccia intercettori, altri assetti aerei con sensori radar a bordo ed i centri di comando e controllo”.
Il RAT-31DLè un radar di sorveglianza a lungo raggio (oltre 470 chilometri), operantein banda D. Con un contratto del valore di 260 milioni di euro sottoscritto con Selex Es (Leonardo-Finmeccanica), sono stati ordinati e installati impianti radar fissi FADR in dodici siti: oltre a Lampedusa, le stazioni siciliane di Noto-Mezzogregorio e Perino-Marsala; Mortara, Pavia; Borgo Sabotino, Latina; Capo Mele, Savona; Crotone, Jacotenente, Foggia; Lame di Concordia, Venezia; Otranto; Poggio Renatico, Ferrara; Potenza Picena, Massa Carrara. “Il RAT-31DL è stato sviluppato per rispondere ai futuri bisogni della difesa, dove la superiorità delle informazioni e dei comandi giocherà un ruolo sempre maggiore”, spiegano i manager di Leonardo. “Il sistema ha eccellenti capacità di scoprire e tracciare i segnali radio a bassa frequenza di aerei e missili e di controllare anche la presenza di missili balistici, comunicando con gli altri punti di controllo nazionali e della NATO”. Grazie alla nuova rete radar, l’Aeronautica militare ha pure avviato la sostituzione dei propri sistemi di sorveglianza aerea per rendere disponibili le frequenze necessarie all’introduzione della nuova tecnologia Wi-MAX (Worldwide Interoperability for Microwave Access) di accesso internet ad alta velocità in modalità wireless.
La 134a Squadriglia Radar Remota di Lampedusa dipende amministrativamente dalla 4^ Brigata Telecomunicazioni e sistemi per la difesa aerea e l’assistenza al volo  (Borgo Piave, Latina) e operativamente dall’AOC - Air Operation Center di Poggio Renatico (Ravenna). I dati raccolti dalla 134a Squadriglia saranno distribuiti ed elaborati dall’11° Gruppo D.A.M.I. (Difesa Aerea Missilistica Integrata) di Poggio Renatico e dal 22° Gruppo Radar di Licola (Napoli), che hanno il compito di guidare gli assetti dell’Aeronautica militare (i velivoli Eurofighter del 4° Stormo di Grosseto, del 36° Stormo di Gioia del Colle, del 37° Stormo di Trapani e del 51° Stormo di Istrana e i cacciabombardieri F-35 del 32° Stormo di Amendola-Foggia). “La catena di allertamento per le violazioni dello spazio aereo prevede che l’ordine di intervento immediato dei caccia venga impartito dal CAOC (Combined Air Operation Center) di Torrejon (Spagna), l’ente della NATO responsabile del servizio di sorveglianza aerea, il cui interlocutore nazionale è l’Air Operation Center di Poggio Renatico”, precisa l’Aeronautica “Qualora si presenti una minaccia non militare allo spazio aereo italiano, l’IT-AOC riprende il comando dei velivoli intercettori affidati alla NATO, per la successiva azione di contrasto”.
Alla cerimonia di inaugurazione del FADR di Lampedusa, il 2 maggio scorso, sono intervenuti, tra gli altri, il sottosegretario alla difesa on. Angelo Tofalo (M5S), il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica generale Alberto Rosso e alcuni manager delle società Leonardo-Finmeccanica e Vitrociset coinvolte nei lavori d’installazione del sistema radar.“Lampedusa è una postazione strategica nel cuore del Mediterraneo, area da sempre di prioritaria importanza per l’Italia e l’Europa”, ha dichiarato il sottosegretario pentastellato. “Grazie a questo nuovo sistema di elevata tecnologia, frutto di eccellenze italiane, la nostra Arma Azzurra potrà condividere in modo ancora più efficace importanti informazioni per la sicurezza globale. Per il generale Rosso il nuovo radar FADR rappresenta invece “un successo tutto italiano, dal momento che è il risultato di una piena collaborazione tra la Difesa, l’industria nazionale e le comunità locali, portata a termine con la massima attenzione al rispetto del territorio, del paesaggio e dell’ambiente”.
Ma proprio sulla presunta sostenibilità ambientale del sistema FADR sono stati espressi forti perplessità da esponenti della comunità scientifica e da alcune associazioni di cittadini residenti in prossimità dei siti radar. Il professore Massimo Coraddu, fisico sardo co-autore dello studio del Politecnico di Torino che ha documentato i gravi rischi per la salute umana e il traffico aereo delle emissioni del sistema satellitare MUOS di Niscemi, ha lamentato in particolare la secretazione di buona parte delle informazioni tecniche sugli impianti e sulle loro emissioni elettomagnetiche. “Il RAT 31-DL ha una potenza media di 2,5 KW e forma brevi impulsi in cui la potenza concentrata è di 84 KW, mentre l’antenna opererà in una frequenza compresa tra 1,2 e 1,4 GHz (L-band), all’interno dello spettro delle cosiddette microonde”, ha rilevato Coraddu. “Sono però del tutto scarne le informazioni sulle caratteristiche tecniche e di funzionamento del sistema FADR, mentre purtroppo non sono pubblici altri dati radiotecnici indispensabili per un’accurata analisi delle emissioni e né i militari e né la società realizzatrice hanno fornito leprevisioni sui livelli di irraggiamentonel territorio circostante”.
Con l’entrata in funzione del nuovo sistema radar in altre stazioni dell’Aeronautica sono state documentate preoccupanti anomalie. A Borgo Sabotino (Latina), ad esempio, i residenti hanno denunciato l’insorgenza di “interferenze che impediscono il buon funzionamento degli strumenti elettronici d’utilizzo quotidiano”. Nella passata legislatura alcuni senatori del Movimento 5 Stelle avevano espresso in un’interrogazione ai ministri della Difesa e della Salute dubbi sul “grado di affidabilità dell’impianto per la salute dei cittadini residenti”. I governi hanno omesso ogni risposta.
“Quello che sta accadendo da ormai tanti anni è davvero grave da ogni punto di vista”, commenta Giacomo Sferlazzo, attivista del Collettivo Askavusa di Lampedusa, in prima linea contro il processo di militarizzazione dell’isola. “La proliferazione di antenne che emettono onde elettromagnetiche ha avuto pericolosi effetti sullo stato di salute delle popolazione e abbiamo prontezza dell’inspiegabile aumento di alcune patologie tumorali. Sono inoltre sotto gli occhi di tutti a Lampedusa, gli effetti dell’inquinamento elettromagnetico sull’aviofauna e la realizzazione di nuove installazione radar e telecomunicazioni ha irrimediabilmente deturpato il territorio e il paesaggio. A ciò si aggiunge l’inaccettabile e insostenibile ruolo bellico che è stato fatto assumere al nostro territorio dall’Unione europea e dalla NATO, parallelamente alle criminali scelte fatte sul fronte migrazione, sempre più spesso per accrescere i profitti economici del complesso militare-industiale. Purtroppo nel processo di militarizzazione di Lampedusa non sono esenti da responsabilità le varie amministrazioni succedutesi in questi anni e anche una parte degli abitanti che non hanno fatto molto per opporvisi. Come Askavusa continueremo a promuovere campagne di controinformazione e mobilitazione contro le nuove antenne inquinanti e per affermare con forza che Lampedusa è stata e deve tornare ad essere un ponte di pace e dialogo nel Mediterraneo”.

Parla il capitano Bagnato. "Ecco come è nata l'inchiesta Terzo livello"

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Terzo livello, l’inchiesta che con Matassa e Beta ha contribuito a svelare le contiguità con le organizzazioni criminali mafiose di tanti volti noti della politica e dell’imprenditoria di Messina e provincia. Approdata da qualche mese nelle aule del tribunale peloritano, essa vede tra gli imputati eccellenti l’ex Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile, candidata a sindaco alle ultime elezioni amministrative; il suo amico-consigliore Marco Ardizzone, commercialista residente in Lazio; l’ingegnere Francesco Clemente, ex segretario ed ex consigliere provinciale Ccd – Udc. Sui loro strettissimi rapporti politico-elettorali e d’affari ha parlato nel corso dell’ultima udienza il capitano Antonio Bagnato del Nucleo informativo dell’Arma dei Carabinieri di Messina, in servizio alla Direzione investigativa antimafia dal 15 settembre 2015 fino al 18 settembre dello scorso anno. Una deposizione che ha fatto luce sulla genesi e le modalità delle indagini ma che soprattutto ha svelato alcuni particolari inediti sulle trame ordite dal Terzo livello per portare a termine alcune operazioni economiche e immobiliari e, contestualmente, condizionare l’esito delle più recenti tornate elettorali.
“Ho partecipato in prima persona alla fase delle indagini e alla redazione dell’informativa riepilogativa”, ha esordito Antonio Bagnato. “Terzo livello origina da un procedimento che era stato avviato a seguito dell’operazione Tekno svolta dalla DIA, nella quale erano emersi degli indizi in ordine al coinvolgimento di Francesco Clemente, sulla base delle dichiarazioni di Francesco Duca, nell’ambito di possibili reati legati alle gare di appalto presso il Cas, Consorzio per le autostrade siciliane. Sulla base di questa notizia di reato erano state attivate delle intercettazioni telefoniche sul conto del Clemente dalle quali emergeva la sua relazione con il costruttore Vincenzo Pergolizzi, all’epoca sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Successivamente, sempre dall’utenza intercettata di Francesco Clemente, emergono i suoi rapporti con la signora Emilia Barrile, legati in particolare ad una serie di sollecitazioni per l’approvazione di una delibera di sdemanializzazione di un terreno di proprietà comunale in via Felice Bisazza a Messina in favore del Pergolizzi. Francesco Clemente in quel momento è il titolare della società Mercuri S.r.l.. Ha un passato da politico, è stato anche direttore generale del Comune di Milazzo, ha una serie di appalti anche pubblici. Vincenzo Pergolizzi, come dicevo, in quel momento è sorvegliato speciale con provvedimento del Tribunale con obbligo di soggiorno nel Comune di Milazzo. E Clemente, pressato da Pergolizzi, interviene sulla signora Barrile affinché sia esitata la delibera per la sdemanializzazione. In realtà l’ingegnere è in contatto anche con gli imprenditori Mollica di Gioiosa Marea, in particolare Antonino Mollica. In quel periodo, 2015, i tre fratelli Mollica erano stati destinatari di una proposta di misura di prevenzione patrimoniale della DIA, poi adottata solo per Pietro Tindaro Mollica”.
“Vengono così attivate nell’ottobre 2015 le intercettazioni dell’utenza in uso alla Barrile, da cui emergeranno relazioni della donna con Marco Ardizzone, persona che le funge da consigliere in tutta una serie di aspetti della sua vita, da quella privata fino a quella pubblica e che diventa di fatto il suo punto di riferimento”, aggiunge il capitano dei Carabinieri. “Riusciamo poi ad accertare che Ardizzone è un commercialista che vive a Subiaco, ma originario di Messina, del quartiere Gravitelli; nella metà degli anni ’90 è stato coinvolto in alcune vicende giudiziarie, in particolare era stato raggiunto da tre custodie cautelari in carcere per reati di estorsione, incendio e lesioni aggravate. Inoltre erano risultate relazioni col gruppo di Giorgio Mancuso che all’epoca era egemone a Gravitelli. Quando vengono attivate anche le intercettazioni sull’utenza di Marco Ardizzone emerge che lo stesso continua a mantenere relazioni con Carmelo Pullia, un soggetto condannato nell’ambito dell’operazione Peloritana per gravi reati e scarcerato nel 2013 dopo diversi anni di detenzione. Ardizzone intrattiene con Pullia un rapporto di amicizia particolarmente intenso al punto che lo chiama mio fratello. Le sue conversazioni lasciano comunque intravedere la sua vicinanza e l’interpretazione delinquenziale della sua figura. Mi spiego. Proprio nei primissimi giorni di intercettazione, intorno all’11 novembre 2015, in un colloquio Pullia gli chiede: Ma tu perché mi hai mandato un messaggio ieri sera? E nel seguito si comprende che Ardizzone la sera precedente aveva partecipato ad un incontro e temendo per la sua incolumità aveva voluto far sapere a Pullia dove fosse stato e con chi. Questo messaggio non viene intercettato perché, probabilmente, inviato con whatsapp o con una linea di comunicazione diversa da quella che noi abbiamo sotto controllo. Comunque il tenore di questa conversazione fa capire che l’incontro era legato a questioni che lui chiama di lavoroe ad una chiarificazione da fare con persone che erano intervenute perché lui aveva subito uno sgarbo da altri ragazzi. Dice Ardizzone: Si aspettavano il solito ragioniere e invece io sono venuto e quindi li ho fronteggiati. In un altro passaggio dice: Carmelo, tu lo hai capito bene com’è qua, sono i figghioli che creano bordello e questo perché non hanno nessun modo di fare, non hanno nessun rispetto, nessuna cosa. Si vedono i film. Iu nu su statu mai nuddhu, non sugnu nuddhu, però…. Tutta la conversazione avviene in dialetto messinese… Poi Ardizzone aggiunge di aver chiesto a quelli che hanno fatto da intermediari di portare lì le persone in modo che prendessero atto di aver sbagliato con lui. Il tenore è questo: li convoca, fa questo incontro e pretende che vengano convocati perché gli devono dare soddisfazione…”.
Il teste si sofferma poi su un’altra rilevante conversazione tra l’Ardizzone e il Pullia, il 30 novembre del 2015. “I due commentano in particolare l’atteggiamento di alcuni dipendenti della cooperativa Universo Ambiente che hanno fatto lo sciopero. Ardizzone, nel raccontare questo atteggiamento avuto dai dipendenti della cooperativa, dice a Pullia che questi andranno cacciati sicuramenteperché non sono affidabili, perché ti lasciano in piedi e aggiunge che queste sono le persone che se vengono messe sotto pressione in un interrogatorio dalla polizia, si squagliano. Questi se gli metti un faro in faccia la Questura, prendono e parlano, dice lui. E poi: Noi non possiamo andare avanti con questo tipo di persone perché se così fanno, gli dobbiamo dare un colpo di benna e metterli sotto terra. Di fatto le indagini dimostreranno che la cooperativa Universo e Ambiente, così come anche un’altra cooperativa, la Peloritana Servizi, sono di fatto gestite dalla signora Barrile con l’ausilio di Ardizzone. Il Pullia lavora con la Universo e Ambiente già dal 2013, da quando viene ammesso alla semidetenzione e il suo ruolo nella cooperativa è quello di gestire i dipendenti. Tra Ardizzone e Pullia ad un certo punto si prospetta la possibilità di far lavorare per la Universo Ambiente o per la cooperativa Peloritana Servizi anche Paolo Samperi, un altro soggetto condannato per fatti di mafia, all’epoca appartenente al gruppo di Pippo Leo. Samperi viene dimesso dall’istituto carcerario di San Gimignano il 6 gennaio del 2016 e proprio in quei giorni ci sono delle conversazioni tra il Pullia e Ardizzone in cui si accenna alla possibilità di farlo lavorare. Lui non viene mai nominato, ma noi comprendiamo di chi si sta parlando per la coincidenza temporale delle chiamate e per alcuni riferimenti che fa Ardizzone il 9 gennaio 2016 con Emilia Barrile, le fa il calcolo di quanti anni abbia passato in carcere questo amico Paolo. Sempre alla Barrile racconta che l’amicoè stato liberato e lei comprende di chi si stia parlando”.
L’atteggiamento e la mentalità di Ardizzone vengono fuori anche in una conversazione del 10 gennaio 2016 sulla possibilità che qualora la palazzina che dovrà essere costruita nella via Felice Bisazza venga edificata, la signora Barrile potrà segnalare al costruttore Pergolizzi una ditta di suo interesse per fare questi lavori. Giusto che ti fanno lavorare una ditta delle tue, così stanno anche tranquilli lì perché sono a casa nostra, dice espressamente il commercialista. Via Felice Bisazza dista poche centinaia di metri dal quartiere Gravitelli, quindi il concetto di casa nostra viene messo in relazione a questa situazione qui. Ardizzone era stato interessato dalla Barrile per questa speculazione edilizia vicinissima al quartiere di sua origine e della Barrile e anche delle associazioni a cui loro erano collegati. Sia Carmelo Pullia, sia Ardizzone, infatti, vengono indagati e arrestati negli anni ’90, il primo per per la sua appartenenza e il secondo comunque per contiguità con il gruppo di Giorgio Mancuso di Gravitelli”.
A tutto ci pensiamo io e mio fratello Carmelo…
“Riferimenti a questa caratura criminale di Marco Ardizzone vengono fuori anche in altre conversazioni”, aggiunge Antonio Bagnato. “Ad esempio, commentando l’atteggiamento negativo di Pietro Gugliotta, vice presidente dell’Acr Messina, nei confronti della cooperativa Peloritana Servizi, il dipendente Giovanni Luciano dice ad Emilia Barrile che Ardizzone è molto arrabbiato e che quando verrà a Messina gliela farà vedere lui a Gugliotta; allora la Barrile commenta con l’interlocutore che Ardizzone è pazzo e che un giorno o l’altro gli racconterà qual è la vera storia di Ardizzone. Poi aggiunge: Guarda che è molto, molto, molto amico di quella persona che tu hai aiutato là sopra. La persona in riferimento è Carmelo Pullia, il quale in quel periodo lavora per la cooperativa Universo Ambiente presso l’Amam, l’Azienda Meridionale Acque di Messina. E quando fanno riferimento a là sopra parlano della sede dell’Amam in viale Giostra alto, poco prima di San Michele. Quando invece si parla di là sotto si fa riferimento per lo più ai lavori che vengono fatti al self service l’Ancora che è invece a mare, sostanzialmente dove si prendono i traghetti, rada San Francesco”.
“Un’altra conversazione da evidenziare è quella del 7 dicembre del 2015; sostanzialmente quando la signora Barrile sta valutando se rimanere nel gruppo del Pd o se transitare, insieme all’onorevole Francantonio Genovese, in Forza Italia”, spiega ancora l’investigatore. “In quei giorni Ardizzone verrà giù a Messina per partecipare anche ad alcuni incontri legati a questo momento di transizione politica e alla vigilia del viaggio lui suggerisce alla Barrile di presentare la sua persona all’onorevole Genovese, dicendogli sostanzialmente che potrebbe essere funzionale per l’organizzazione dell’uomo politico. Sebbene infatti abbia bravi avvocati e bravi commercialisti non ha una persona come me e lui dice poi che la Barrile dovrebbe riferire a Genovese che è una persona molto particolare, con diverse entrature anche in Vaticano e in contesti importanti. E aggiunge: Ricordati che io non mi sono mai messo a riposo, non sono in pensione e nessuno mi ha mai cacciato! Come a dire che può riprendere dei collegamenti su Messina in qualunque momento. Spiega ancora che quella è stata una sua scelta per le cose che sono successe, che non gli andava di accettare determinate imposizioni. Quando Ardizzone viene in città partecipa, il 9 dicembre 2015, anche all’incontro con l’allora commissario del Pd a Messina, l’onorevole Aiello, presso il centrale bar Prestige. Noi lo documentiamo con un servizio di osservazione ed è questa una delle poche volte che vediamo Ardizzone. Poi ritornerà a Messina nell’agosto del 2016”.
“In un colloquio particolarmente lungo del 14 aprile 2016, Ardizzone spiega alla Barrile che bisogna dare più soldi a suo fratello, cioè sempre a Carmelo Pullia, perché si sta cominciando a dar da fare di più nel suo ruolo di gestore della cooperativa. La donna è un po’ perplessa da questa possibilità perché lui non è che faccia tanto là sopra e ancora là sotto, cioè all’Ancora; non va abbastanza spesso come vorrebbe, infatti. Emilia Barrile si lamenta pure che Pullia faccia in qualche maniera anche un po’ di favoritismi tra i vari dipendenti e lui le dice che in realtà questa cosa dipende dal fatto che lei nel tempo si è messa dentro troppa rugna. Ardizzone lascia pensare cioè a persone che danno problemi, con reati o altro. Emilia Barrile gli risponde: Io questa rogna me la sono messa dentro perché me l’hanno imposta negli anni! E Ardizzone: Ma queste cose qua a te chi le ha imposte? Avresti potuto fare anche in maniera diversa…. Barrile: Ma io all’epoca ero sola, se avessi dovuto denunciare avrei dovuto cambiare completamente tante cose. Marco Ardizzone: Sì, però tu lo devi affrontare così questo problema: innanzitutto rogna non te ne devi prendere più, mai più, perché adesso non ha più necessità di prenderti persone problematiche a lavorare. Ma soprattutto devi fare in modo che le persone che tu hai aiutato, a loro volta ti risolvano i problemi (…) Conseguentemente devi utilizzare questa rete di favori che tu hai fatto anche per risolvere il problema che viene portato a te. Devi entrare in questa mentalità. Tutto nasce dal fatto che in quei giorni la signora Barrile era stata contattata da una parente di Pippo Leo che lei nella conversazione definisce la figlia di Pippo Leo. Sostanzialmente spiega che questa le aveva chiesto di intervenire presso gli uffici comunali perché aveva avuto un guasto nella sua casa popolare. Avevano fatto l’intervento, ma questa persona non si accontentava della riparazione che gli veniva prospettata e pretendeva che venissero fatti ulteriori lavori. La questione gli era stata rappresentata telefonicamente, esponendola anche alla possibilità di intercettazioni. Partendo da questo spunto viene fuori il fatto che il problema va risolto da altri… Infine Ardizzone ritorna sull’argomento dicendo: Quando tu hai questi problemi glieli devi rappresentare a mio fratello che lui va e parla, lui va e li risolve perché tu così non spendi… I soldi che gli dai non sono sprecati”.
Nel corso della stessa conversazione, i due interlocutori fanno esplicito riferimento a delle autovetture che sarebbero state bruciate. “Lo dice la signora Barrile quando parla sempre del fatto che le avevano imposto la rogna”, spiega Bagnato. “Ardizzone in quella parte afferma: Ma tu avresti potuto fare denuncia… Però poi: Non è così, tu mandi mio fratello a parlarci. Il dialogo finisce con Ardizzone che dice che lui e suo fratello non hanno paura degli anziani ma solo dei giovani perché chi si è fatto tanti anni di galera prima di prendere un’iniziativa ci penserà diverso tempo; i giovani invece possono anche fare delle azioni sconsiderate. Dopo aver finito di parlare con la donna, Ardizzone chiama Pullia e gli rappresenta questa situazione. Pullia si mostra un po’ stizzito per il fatto che non sia stato direttamente avvisato dalla signora Barrile, tant’è che Ardizzone gli dice che è appena successo e gli chiede anche di identificare questa persona”.
In un’altra conversazione, il 2 luglio 2016, Carmelo Pullia chiede un appuntamento ad Emilia Barrile. “Non viene esplicitato dai dialoghi tra i due il motivo di questo appuntamento, però poi Barrile chiama Ardizzone e gli racconta quello che è successo: un parente del pregiudicato Giuseppe Cucinotta avrebbe contattato Pullia al fine di far ottenere forse un lavoro, alla figlia di Maria Cucinotta, sua sorella”, spiega l’inquirente. “La Barrile dice che la cosa già le era stata rappresentata tempo prima e lei aveva dato la sua disponibilità però per un’attività di volontariato, non avendo possibilità in quel momento di lavoro, e di averlo già raccontato al Pullia e prima ancora a questa nipote. Credo che attualmente Giuseppe Cucinotta sia ancora detenuto all’ergastolo; è stato condannato per l’appartenenza, anche lui, al gruppo di Giorgio Mancuso e per alcuni omicidi commessi negli anni ’90”.
Cimici e talpe per comunicazioni top secret
“Già dai primissimi giorni delle intercettazioni emerge che Barrile ed Ardizzone abbiano a disposizione un’utenza dedicata per i loro contatti specifici”, riferisce il capitano Antonio Bagnato. “Lo comprendiamo da una conversazione in cui la politica riferisce ad Ardizzone dell’avviamento delle attività della Peloritana Servizi e della gestione dei parcheggi allo stadio San Filippo. E lui le dice: Guarda, sto preparando quella scrittura privata per i parcheggi, però mi avresti dovuto chiamare con l’altra utenza e non con questa. Esiste dunque un’altra utenza. Fortunatamente qualche tempo dopo la Barrile con utenza diversa da quella che noi avevamo sotto controllo contatta il telefono di Marco Ardizzone che noi avevamo appena iniziato ad intercettare. Questa utenza non è intestata alla Barrile ma a tale Massimo Ristori, residente anagraficamente a Milazzo ma che viene spesso controllato nella provincia di Roma. In realtà acquisiamo da subito anche il tabulato di questa utenza e verifichiamo che essa parla con una sola altra scheda che è in uso a Marco Ardizzone, anch’essa intestata a Massimo Ristori. Le intercettazioni ci dimostreranno che Ristori è un conoscente di Ardizzone e che da lui è contattato in diverse occasioni. Ci sono quindi due schede intestate a Massimo Ristori, una utilizzata da Ardizzone e l’altra da Barrile”.
“Per tutta la durata delle indagini c’è la spasmodica attenzione alla possibilità di essere sottoposti ad intercettazioni. In una conversazione tra Marco Ardizzone e suo fratello Fabio, quest’ultimo dice: Ho mandato quelle fatture sulle mail di Emilia. E l’altro risponde: Hai fatto malissimo, non va bene perché lei è sempre sottocontrollo, è sempre sotto attenzione, è sempre intercettata. Talché Fabio dice: Allora che faccio? Le mando a mia sorella Elisa e poi lei avvisa Emilia che ho mandato queste fatture. Quando noi attiviamo le intercettazioni siamo proprio nei giorni in cui viene data esecuzione alla misura cautelare di Gettonopoli in cui la signora Barrile non viene assolutamente coinvolta però i due commentano dal primo momento il fatto che lei possa essere, come tutti al Comune, sottoposta ad intercettazione. Nella conversazione del 12 novembre 2015, parlando appunto di Gettonopoli, Ardizzone le dice: Devi fare attenzione che non ci sia la telecamera pure nella tua stanza! E la Barrile: Sicuramente ci saranno. Allora Ardizzone dice: Smettila di fare incontri là…. Che la Barrile tema di essere intercettata viene fuori da tante altre conversazioni per esempio il 30 dicembre 2015, quando sempre con Marco Ardizzone si lamenta del fatto che la sorella di Ardizzone, Elisa, l’abbia chiamata per parlare di alcune fatture che le erano state pagate e dice: Oggi ho saputo che la mia stanza è ben vista e ben sentita da un paio di giorni! Dice quindi di essere intercettata nel suo ufficio. E il 2 gennaio, in occasione di un incontro che ci dovrà essere il giorno dopo presso l’Ancorain cui dovrà essere presentato Carmelo Pullia quale referente della cooperativa Peloritana Servizi, Ardizzone si lamenta con la Barrile perché nel parlare criptamente di questo incontro, lei non comprende da subito a cosa lui faccia riferimento. Allora lui si arrabbia e dice: Però queste cose non c’è bisogno di fare nomi, di fare orari, di fare cose, come a dire: Se tu non capisci, mi costringi a fare nomi e cose…. Tant’è che poi lui dice: Va be’, all’Ancora allora, fammelo dire anche se io lo volevo evitare, ma visto che non mi capisci…. Dopo quell’incontro la Barrile dice di aver detto a Carmelo Pullia di cambiare i numeri. Poi, il 21 gennaio 2016, la Barrile racconta ad Ardizzone che le hanno segnalato la possibilità che sua sorella Elisa possa partecipare ad un concorso all’ATM. Poco dopo la Barrile chiama Elisa Ardizzone e le dice: Ci sono diverse opportunità di lavoro per te e mi hanno segnalato in particolare una qua locale, però magari è meglio che ci vediamo anche perché il mio telefono ultimamente non funziona molto bene. Questo noi lo abbiamo interpretato come una preoccupazione di non affrontare la conversazione per telefono. Nel febbraio del 2016 i contatti sulla linea dedicata diminuiscono di frequenza, iniziano dei viaggi, la signor Barrile va a Roma e quindi i due hanno modo di incontrarsi anche di persona e questo fa calare un po’ anche il numero di conversazioni su questa utenza. Sempre sulla loro preoccupazione delle intercettazioni, il 3 aprile del 2016 Ardizzone la rimprovera perché lei comincia a parlare degli incassi della Peloritana. Le dice: Ho capito Emilia, ricordati quale telefono hai in mano perché questa volta non siamo sull’utenza dedicata, siamo su quella conosciuta da tutti. E quindi ribadisce che se lei dice queste cose, chi ci deve sentire, ci sente. Ardizzone è sempre molto, molto preoccupato, la rimprovera diverse volte. Il 12 marzo, Emilia Barrile dice che per lei il telefono è un nemico e quindi deve stare attenta ad usarlo. E Ardizzone le ribadisce: Stai attenta anche a come parli nella tua stanza (..) Quando qualcuno per telefono o nella tua stanza ti dice qualcosa che non va bene, tu ti alzi e te ne vai…”.
“A maggio del 2016 viene eseguita la custodia cautelare dell’operazione Matassa in cui vengono arrestati Angelo Pernicone e Giuseppe Pernicone e viene raggiunto da custodia cautelare pure Paolo David, che è un consigliere anche lui di area genovesiana, proprio per fatti accaduti nella campagna elettorale del 2013”, prosegue la deposizione dell’inquirente. “Questa cosa ingenera un particolare stato d’ansia nella signora Barrile, la quale ragiona anche sull’ipotesi di dimettersi, ma Ardizzone su questo la tranquillizza dicendo che ormai quello che è fatto è fatto, ma che deve stare sempre attenta ad usare bene il telefono. L’intercettazione sulla linea dedicata di fatto verrà conclusa il 14 settembre del 2016 perché Ardizzone, dopo che la Barrile gli dice: Oggi è venuto il fratello di tuo fratello a chiedermi una cosa, lui le risponde: Di queste cose non mi dire più niente, anzi sai che fai? Prendi quella scheda e la bruci! Dopodiché l’utenza non farà più traffico. Giusto come nota, proprio la mattina del 14 settembre si è verificato che Angela Costa, la presidente della società Peloriana Servizi, era stata convocata dalla Squadra mobile per dei problemi legati alla vendita delle birre allo stadio (…) E’ emerso altresì il ricorso ad altre forme di comunicazione per esempio con dei pizzini. Abbiamo una conversazione del 31 agosto 2016 in cui il fratello Fabio che era venuto a Messina, ritornando a Subiaco chiama Marco Ardizzone e dice: Emilia mi ha dato un foglietto per te! Comprendiamo che esiste anche un canale basato sulla trasmissione dati, whatsapp, o eventualmente anche altre applicazioni di comunicazione che non sono intercettate dall’attività ordinaria”.
Candidature, voti e tintinnanti salvadanai
Nel corso della sua deposizione, il capitano dei Carabinieri è poi tornato a parlare della figura dell’ingegnere Francesco Clemente e in particolare dei rapporti di tipo politico-elettorale con l’allora presidente del consiglio comunale. “Prima ancora di avviare le attività di intercettazione sulla Barrile, il Clemente, parlando con una sua amica, dice sostanzialmente sulla signora Barrile che avrà una buona carriera politica perché si vuole candidare alle prossime regionali e che aveva chiesto a Clemente di appoggiarla non tanto sotto il profilo dei voti ma sotto quello di diventare un suo consigliere per aiutarla sul come muoversi”, racconta Bagnato. “Di fronte alla perplessità che l’interlocutrice gli manifesta sulle possibilità di venir eletta alle regionali, Francesco Clemente insisteva sul fatto che la Barrile avrebbe avuto sicuramente degli ottimi risultati perché era una che a Messina aveva preso oltre 2.500 voti staccando di gran lunga qualunque altro candidato e in più aveva a disposizione quella che lui stesso definisce una holding di patronatiche le permetteva di fidelizzare gli eventuali elettori. Inoltre, aggiungeva Clemente, era intenzione della Barrile ampliare questa rete di patronati per prenderne di nuovi in provincia anche in funzione del ritorno elettorale. Per altro lui quantifica in duecentomila euro i guadagni che avrebbe avuto la Barrile da questi patronati, probabilmente esagerando. In una conversazione successiva, parlando con la moglie, Clemente racconta che la signora Barrile in origine era una consigliere di quartiere collegata all’Udc, quando lui era candidato alle provinciali, e che faceva la campagna elettorale per conto di Clemente, portando quindi questa conoscenza abbastanza indietro negli anni e collegandola alla comune militanza politica. Il Clemente, laddove viene interessato da suoi amici per varie vicende, si rivolge poi spesso alla Barrile. Abbiamo per esempio quella dell’amico Salvatore Laganà, la cui mamma è sorella di Lorenzino Ingemi, un altro pregiudicato per reati anche di criminalità mafiosa degli anni ’70 e ’80. Il Laganà ha dei problemi collegati all’apertura di un lido in zona Faro a Messina e si rivolge a Clemente dapprima per un problema con l’Amam. Poi per il problema dell’autorizzazione per l’apertura del lido e infine anche per un intervento per evitare che venisse deliberata all’epoca l’isola pedonale nel villaggio di Torre Faro. Sostanzialmente la società riconducibile a Salvatore Laganà, perché lui non ne fa parte direttamente, è la Punta Peloro S.a.s. di Filippo Alessi & C., composta dai soci Filippo Alessi, Concetta Cutugno, che è la moglie di Salvatore Laganà, Antonino Alessi e Claudio Laganà, il fratello di Salvatore. Poi a marzo del 2015 la società Punta Peloro S.r.l. affitta il ramo di azienda… Quando il 28 aprile Laganà interpella Clemente perché ha bisogno di essere messo in contatto con l’Amam, Clemente gli dà un numero di telefono in uso ad Antonino Cardile che è un dipendente di Amam, dicendogli di contattarlo a nome del presidente del consiglio comunale Emilia Barrile. Più avanti Laganà chiede a Clemente un intervento perché ha dei problemi con l’architetto De Pasquale del dipartimento urbanistica del Comune di Messina, perché lui non sta firmando le autorizzazioni per l’apertura del lido. Quindi Laganà chiede a Clemente se lui conosce questo funzionario e se abbia modo di intercedere. Clemente come sempre dice sì ma non contatta lui direttamente il De Pasquale e si rivolge ancora una volta ad Emilia Barrile. Laganà farà numerosissime conversazioni con Clemente lamentandosi dell’atteggiamento dell’architetto De Pasquale… Dopo l’intervento della Barrile inizierà un rapporto di conoscenza e di amicizia tra lei e il Laganà, il quale dopo si spenderà organizzando incontri politici e partecipando anche ad incontri presso l’abitazione dell’onorevole Genovese. Inviterà spessissimo la signora Barrile presso il suo lido e per altro la cooperativa Universo e Ambiente svolgerà un servizio di pulizia al suo interno attraverso l’intermediazione del presidente Barrile. Ci risulta pure che Emilia Barrile si sia interessata a dei pagamenti per questi lavori, tant’è che interviene su Antonio Tortorella, il dipendente di Universo Ambiente che si occupa della gestione amministrativa della cooperativa e anche della Peloritana Servizi, dicendo che prima di chiedere il pagamento delle fatture deve comunque parlare con lei”.
“I rapporti di collaborazione tra l’ingegnere Clemente e la signora Barrile si evidenziano ad esempio nel momento in cui c’è il passaggio della signora Barrile dal Pd a Forza Italia”, aggiunge l’inquirente. “L’esponente politica si confronta con Clemente in relazione a questa sua scelta e in particolare dal complesso dei dialoghi emergerà che proprio Clemente la coadiuva nella redazione del comunicato stampa con cui lei, il 13 dicembre 2015, annuncerà il passaggio al gruppo di Forza Italia. Clemente ha un ruolo assolutamente attivo sia in questo momento decisionale e poi più avanti perché Barrile lo coinvolgerà o lo vuole coinvolgere anche nel rapporto con l’onorevole Genovese ed eventualmente per un suo futuro incarico come dirigente della Siremar che proprio in quei giorni era stata acquisita dal gruppo Franza. Nelle settimane lo porta a degli incontri, gli propone di entrare a far parte della segreteria politica dell’onorevole Genovese il quale ha bisogno di una persona in grado di scrivere i discorsi, di svolgere tutte quelle attività di segreteria che servono. Con l’idea che comunque avere una persona di sua fiducia all’interno del gruppo e della segreteria sia di interesse per la sua carriera, perché quel momento di transizione è un momento molto complesso (…) Lo stesso Ardizzone è informato di questo ruolo che ha Clemente e ne è contento perché condivide l’idea che ci sia una persona amica all’interno della segreteria, perché lui teme comunque che la concorrenza all’interno del gruppo possa portare ad un’esclusione della signora Barrile dalle future candidature. Avere quindi una persona all’interno di questa segreteria politica è una cosa che lui ritiene assolutamente positiva”.
“Marco Ardizzone consiglia più volte a Barrile di condizionare questa sua scelta politica con l’on. Genovese in funzione delle opportunità di guadagno, questo dice, per lui o per lei e per gli sviluppi futuri di carriera, nel senso che ha bisogno di supporto economico per mantenere il gruppo di persone che la dovranno sostenere”, ha concluso Bagnato. “Per Clemente c’era questa ipotesi di essere nominato in un ruolo dirigenziale all’interno di Siremar che sarebbe stato retribuito in maniera congrua e sarebbe anche in parte servito a creare quello che viene chiamato un salvadanaioin cui raccogliere dei soldi per finanziare le future campagne elettorali di Barrile. Il concetto del salvadanaioemerge dalle conversazioni sia con Ardizzone che con Clemente. Si discute cioè della necessità di avere un’autonomia economica che può essere garantita attraverso l’indicazione dell’assegnazione a dei professionisti indicati da Barrile, in particolare Marco Ardizzone, ma anche il fratello Fabio perché in una conversazione fra i due, Marco gli dice: Ho segnalato eventualmente il tuo nome perché io non mi posso esporre in prima battuta.E con una retribuzione attraverso incarichi di consulenza piuttosto che incarichi lavorativi da dare ai fratelli Ardizzone, che incassando questi soldi possono costituire quello che loro chiamano il salvadanaio con cui poi finanziare le campagne elettorali di Barrile”.


Processo Terzo livello. Gli interessi delle coop per la gestione di bar e parcheggi dello stadio di Messina

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L’ex presidente del consiglio comunale Emilia Barrile, due cooperative multiservizi di riferimento e una ex blasonata squadra calcistica peloritana. Poco, anzi pochissimo sport, ma tanta voglia di moltiplicare i profitti economici, fidelizzare clientele e accaparrare un bel po’ di voti. Quello dei rapporti tra l’esponente politica già Udc, poi Pd e infine Forza Italia, le cooperative Universo e Ambiente e Peloritana Servizi e l’Acr Messina è stato uno dei filoni d’indagine sul cosiddetto Terzo livello, il presunto comitato elettorale-imprenditoriale-criminale che avrebbe condizionato una parte della recente storia amministrativa, economica ed urbanistica della città capoluogo dello Stretto. Nei piani di Emilia Barrile, del fidato consigliere-commercialista Marco Ardizzone e dei loro più stretti collaboratori, c’era la penetrazione delle due cooperative nella gestione di bar, servizi di ristorazione e parcheggi dello stadio comunale “Franco Scoglio” a San Filippo in vista di importanti eventi sportivi e musicali, primo fra tutti il concerto dei Pooh di inizio estate 2016.
Sulla tormentata vicenda Barrile-coop-Messinacalcio si è soffermato all’ultima udienza del processo Terzo livello il capitano dell’Arma dei carabinieri Antonio Bagnato, già in servizio alla Direzione investigativa antimafia. Una deposizione che ha pure delineato le tante zone d’ombra del fallimentare calcio semiprofessionistico peloritano e certe sue presunte contiguità con il sottobosco criminale. E che ha infine documentato le indiscutibili capacità di pressing di Emilia Barrile sulla macchina burocratico-amministrativa del Comune di Messina.
Coop fantasma in gradinata
“La cooperativa Peloritana Servizi irrompe nelle indagini sin dal primo giorno dell’attivazione delle nostre intercettazioni sull’utenza telefonica della signora Barrile, il 6 ottobre 2015, in quanto emergono i riferimenti ad un contratto che viene fatto dal notaio”, ha riferito ai giudici il capitano Bagnato. “Si apprenderà dagli accertamenti che si tratta del contratto tra la cooperativa e l’Acr Messina per la cessione di un ramo di azienda per la gestione dei bar all’interno dello stadio San Filippo. La Peloritana Servizi è una cooperativa sociale che era stata costituita pochissimi giorni prima, l’11 settembre 2015, da tre soci, Marco Ardizzone, Angela Costa e Michele Malluzzo (quest’ultimo – va precisato che non è indagato – è il marito di Dafne Musolino, assessora comunale alle Attività produttive, ai Rifiuti e all’Ambiente della Giunta De Luca, nonché candidata alle elezioni europee con la lista di Forza Italia NdA). Angela Costa (è bene ricordare che a gennaio, dopo aver chiesto il rito abbreviato, è stata assolta dall’accusa di associazione a delinquere con formula piena per non aver commesso il fatto NdA) è anche l’amministratore unico e rappresentante della società ed è la moglie di Giuseppe Chiarella, altra persona molto vicino a Barrile ed ex consigliere comunale anche lui di passata legislatura che, dal complesso delle attività investigative, si comprende gestire un patronato che è proprio quello di via Boccetta dove ha sede la cooperativa Universo e Ambiente e presso la quale lo stesso Michele Malluzzo svolge la sua attività. In tutto questo la signora Angela Costa presta solo il nome; noi non l’abbiamo mai incrociata nell’ambito delle attività. Viene solo convocata in Questura il 14 settembre del 2016 per delle irregolarità riscontrate durante la somministrazione di alcune bevande forse nella prima partita della stagione successiva. La cooperativa Peloritana Servizi in realtà come dipendenti censiti ne ha uno solo, tale Angela Ridolfo, che viene assunta allo scopo, come dicono loro, di scaricare delle cifre per usufruire del job act. Sostanzialmente dalle conversazioni emerge che bisogna assumere questa persona; inizialmente si pensa di assumere Malluzzo, in realtà poi la Barrile propone di assumere un soggetto che possa usufruire della maternità. Nella conversazione del 27 novembre 2015 è la Barrile che prende l’argomento e dice a Marco Ardizzone: Ma dobbiamo fare quell’assunzione come l’ha fatta tuo fratello. Lui inizialmente non comprende di cosa parla. E quindi lei deve entrare in argomento e gli dice: Ma allora tu mi hai detto che dobbiamo far lavorare qualcuno a tempo indeterminato per avere un po’ di cifre. Se è una donna anziché un uomo va bene? Il 28 dicembre si decide appunto di assumere questa donna che la Barrile garantisce essere sicura ed affidabile. Dalle banche dati Inps risulta l’assunzione della Ridolfo il 29 dicembre ma nell’anno 2016 la donna lavorerà solo ventitré settimane e nelle restanti trenta è in maternità. Dalle intercettazioni però non è mai emerso che la Ridolfo abbia effettivamente lavorato per conto della Peloritana Servizi. Non abbiamo nessun ritorno telefonico della sua presenza”.
“Di fatto a gestire questa cooperativa erano Emilia Barrile e il commercialista Marco Ardizzone, con l’intermediazione per le questioni pratiche di Giovanni Luciano e, per quelle amministrative, di Antonio Tortorella”, ha specificato l’investigatore. “Luciano e Tortorella risultavano all’epoca dipendenti della Universo e Ambiente. La Peloritana Servizi ha svolto principalmente l’attività di gestione dei punti ristoro all’interno dello stadio San Filippo in virtù di un contratto stipulato con l’Acr Messina nell’ottobre del 2015. L’8 ottobre il Comune aveva deliberato la concessione alla società calcistica dello stadio San Filippo; il successivo 22 ottobre viene pubblicata all’albo pretorio questa delibera e si può fare il contratto di affitto del ramo di azienda tra l’Acr Messina e la Peloritana Servizi. Così l’Acr che gestisce in concessione dal Comune gli spazi dello stadio comunale, cede alla cooperativa la gestione dei bar e il servizio di ristorazione per i tifosi che partecipano alle partite”.
“Già dal giorno della stipula del contratto abbiamo intercettato la Barrile a discutere della questione. Ad esempio, il 21 ottobre lei dice a Luciano: Guarda, questa cosa qua è stata rinviata a domani perché quella convenzione tra il Comune e l’Acr se la sono fatta firmare loro e ancora non è pronta.Domani Giuseppe– facendo riferimento a Chiarella – l’avrebbe portata all’ufficio comunale, al dirigente. Il giorno dopo viene pubblicata la delibera della Giunta comunale che affida lo stadio San Filippo all’Acr e quello stesso giorno viene stipulato il contratto con la Peloritana Servizi. Il 22 ottobre, la Barrile chiama Ardizzone e quest’ultimo le dice che sta già preparando anche la scrittura dei parcheggi perché, come vedremo, l’altro ambito di interesse della Peloritana è la gestione dei parcheggi allo stadio, che però non verrà fatta direttamente da essa, ma dalla cooperativa di Angelo e Giuseppe Pernicone, attraverso l’attività di Marco Ardizzone e per la quale verranno segnalate due persone da Emilia Barrile e dallo stesso Ardizzone. Il 23 ottobre intercetteremo Emilia Barrile a colloquio direttamente con Natale Stracuzzi, all’epoca presidente dell’Acr Messina”.
Bar, scontrini e soldini   
“La signora Barrile è informata degli incassi, partita per partita, direttamente da Luciano e rendiconta poi l’esito di questi incassi ad Ardizzone”, aggiunge Antonio Bagnato nel corso della sua deposizione al processo Terzo livello. “Non solo, ma quando per motivi di salute Luciano non sarà presente ad alcune partite, lei contatterà il sostituto di Luciano allo stadio, Francesco Prisa, e anche in questo caso si informerà sugli incassi e poi rapporterà tutto quanto ad Ardizzone. In più, si occupa anche di organizzare eventualmente il servizio, tant’è che in un’occasione riferisce di aver trovato qualcuno che possa vendere il tè piuttosto che la cioccolata che di inverno sono particolarmente vendibili a costo zero e con comodità. Quindi Emilia Barrile entra nel dettaglio delle più minute attività del ristoro. Sull’organizzazione dei servizi abbiamo una conversazione, il 14 novembre 2015, in cui lei rappresenta ad Ardizzone che c’è stata una lite sulla ripartizione delle attività allo stadio tra Giovanni Luciano e Michele Malluzzo perché il primo aveva disposto di impiegarlo in tribuna e questa cosa per lei non era giusta perché essendo Malluzzo un socio ed una persona anziana, non andava trattato come i ragazzini che vanno a portare il cestino in giro per le gradinate. Quella del 15 novembre è di fatto la partita più importante dell’anno perché il Messina gioca il derby col Catania e in quell’occasione ci sarà il record di presenze allo stadio, si parla di oltre quindicimila spettatori e sarà effettivamente l’unico momento in cui si incassa molto e bisogna impiegare moltissimo personale. Il giorno successivo all’incontro, la Barrile parla con Ardizzone dell’incasso. Lui gli chiede se c’è il battuto, se avevano fatto tutti gli scontrini, se non li avevano fatti, e quindi si rivolge a lei per tutte queste questioni e per la mancanza degli scontrini. E lei aggiunge che anche la figlia aveva dovuto dare una mano quel giorno alla cassa per aiutare nella vendita e a gestire il bar, perché c’era talmente tanto afflusso. Sempre il 16 novembre, ancora Ardizzone e Barrile si sentono e lei gli dice di aver fatto i conti, di averglieli messi in una carpetta e che poi sarebbe andata a casa perché queste cose che aveva in tasca le pesavano. Probabilmente erano le monete queste cose che le pesavano, tant’è che Ardizzone le dice di metterle in cassaforte”.
A passeggio sul mare con gli zoccoli
“Sin dai primi giorni di intercettazioni emergono anche i problemi legati alla stipula dell’accordo per la gestione dei parcheggi con Pietro Gugliotta, il vice presidente dell’Acr Messina in quel momento. In diverse conversazioni Giovanni Luciano informa sul fatto che Gugliotta si è messo di traverso. In particolare il 24 ottobre 2015, Luciano dice sostanzialmente a Barrile di aver incontrato allo stadio San Filippo il Gugliotta e Piero Oliveri e che quest’ultimo si è lamentato che gli accordi che avevano preso non erano quelli. Anche Pietro Gugliotta aveva sostenuto che gli accordi presi con Emilia Barrile non erano stati rispettati. Su questo concetto ci sarà un altro dialogo più avanti proprio tra Gugliotta ed Ardizzone, in cui ancora il dirigente dell’Acr si lamenterà del mancato rispetto degli accordi presi nel suo studio con Emilia Barrile. Nel frattempo si sono altre numerose conversazioni tra la Barrile e Luciano, in cui questo l’aggiorna sui rapporti interni al Messina calcio e sui problemi legati alla questione del parcheggio. La mattina del 4 novembre Ardizzone manda un sms a Gugliotta presentandosi: Sono Marco Ardizzone, vorrei parlare con lei. Poco dopo sarà Gugliotta a richiamarlo; sostanzialmente questa è la conversazione in cui Gugliotta afferma che lui non avrebbe voluto sapere più niente del rapporto con la cooperativa della Barrile. L’ex vicepresidente della squadra si lamenta anche che i contratti non erano stati fatti a regola d’arte ma Ardizzone gli fa presente che li aveva fatti il notaio.Subito dopo questo colloquio telefonico, Marco Ardizzone chiama Luciano e gli racconta di aver parlato con Gugliotta. Più avanti è Luciano a parlarne con la Barrile; le dice appunto che Gugliotta si è lamentato del fatto che lei non aveva rispettato gli accordi, ma la Barrile a sua volta dice che lei non aveva fatto nessun accordo, che lei accordi con i delinquenti non ne fa, insomma parla molto male di Gugliotta. Luciano le dice che Gugliotta si sente un po’ protetto, come a fare intendere che dietro a Pietro Gugliotta ci possa essere qualcuno che lo protegga. La Barrile dice che se Gugliotta continua a far così lei gli farà revocare la cosa, cioè la concessione del Comune, e che lo ostacolerà. Lei usa un’espressione colorita: Gli faccio passare il mare con gli zoccoli. Facendo riferimento alle protezioni di cui potrebbe beneficiare Gugliotta, Luciano inserisce il discorso che Marco si sta molto arrabbiando e che quindi appena verrà giù farà qualcosa contro Gugliotta e lei afferma che Marco è pazzo. Tu non sai di chi è amico lui, ti racconterò la sua storia un giorno o l’altro, conclude Barrile. Luciano ride e dice poi che quello si deve spaventare, anche lui con un’espressione molto colorita: S’avi a cacari na pitticeddha”.
L’accordo, il disaccordo e la pacificazione in casa genovese
Con Pietro Gugliotta ci sarà un ulteriore momento di attrito alla fine della stagione calcistica 2015/2016, nel momento in cui si dovrà rinnovare il rapporto tra la Peloritana Servizi e l’Acr Messina. “Il 4 maggio 2016 Pietro Gugliotta manda di sua iniziativa una Pec di disdetta dell’accordo con la cooperativa”, spiega Bagnato. “Questa cosa Ardizzone l’apprende da Luciano e inizia un’altra fase di questo rapporto in cui Barrile si rivolge direttamente a Natale Stracuzzi, il presidente dell’Acr. L’esponente politica gli chiede di revocare questo provvedimento perché il Presidente è lui. Stracuzzi le spiega che effettivamente questa è stata un’iniziativa di Gugliotta di cui non sapeva niente e che l’aveva appreso successivamente, ma il presidente era lui e avrebbe messo a posto la cosa”.
“Emilia Barrile arriva a dire a Natale Stracuzzi: Bisogna eliminare l’interferenza di Gugliotta. Il rapporto ce lo abbiamo noi. Si tratta di un rapporto finalizzato non solo all’aspetto calcistico. C’è una conversazione in cui Ardizzone parlando con il pregiudicato Carmelo Pullia sulla situazione dei lavori della Peloritana con l’Acr dice: Questi lavori a noi non servono tanto per guadagnare– perché alla fine, come dicevo, la stagione calcistica è andata molto male, la gente allo stadio non va più e non è particolarmente remunerativa l’attività – A noi serve per far lavorare questi dieci, dodici ragazzi e poi ci serve avere il rapporto con Stracuzzi in relazione alle assunzioni che costui ci dovrebbe fare nella cantieristica. Natale Stracuzzi si occupa infatti anche di cantieristica; in particolare emerge dalle intercettazioni che è interessato a mantenere delle relazioni di lavoro con la Siremar, per la quale in passato avrebbe lavorato e quindi voleva mantenere questo rapporto con la società di navigazione anche alla luce della nuova gestione. Dalle conversazioni emerge pure che tra gli interessi di Stracuzzi rappresentati a Barrile vi è quello di incontrare anche l’onorevole Francantonio Genovese in funzione di possibili accordi di lavoro con la sua azienda della cantieristica (…) L’iniziativa della Barrile di intervenire su Stracuzzi è condivisa da Ardizzone, anzi è lui che la esorta e dice: E’ logico che si tratta… i nostri ragionamenti sono subordinati prima al disbrigo di questa situazione. Più volte Ardizzone le dice, quando Stracuzzi vuole andare ad incontrare l’onorevole Genovese, che prima di accompagnarlo, deve farlo stare un po’ in attesa ed eventualmente di sottoporgli specifiche richieste. Come a dire: Se lui vuole incontrare l’onorevole per tuo tramite, in cambio dobbiamo sottoporgli un’assunzione o gli devi sottoporre un contratto di procacciatore di affari nei miei confronti. Il 18 agosto 2016, nella fase in cui l’Acr attraverso Gugliotta intende disdire il rapporto con la Peloritana Servizi, noi documentiamo un incontro tra la signora Barrile, il Presidente Stracuzzi e Oliveri. I tre si incontrano dapprima nei pressi del ristorante Anselmo a Torre Faro e poi tornano indietro verso Ganzirri e vanno nell’abitazione dell’onorevole Genovese. Lei racconterà di questo incontro ad Ardizzone in un’altra conversazione. In effetti, il contratto corrente viene rinnovato per la stagione successiva e la Peloritana Servizi continuerà a lavorare per l’Acr, ma nel frattempo, Pietro Gugliotta verrà raggiunto a giugno del 2016 dall’ordinanza cautelare dell’indagine Totem con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, quella del gruppo di Giostra. In particolare per i rapporti con Luigi Tibia. Quindi di fatto verrà estromesso dalla società, credo che si sia anche dimesso ad un certo punto”.
Non spendiamo niente, ma guadagniamo la nostra parte
Nel corso della sua deposizione, il capitano Antonio Bagnato ha poi ripreso il tema della concessione della gestione dei parcheggi dello stadio San Filippo, fornendo ulteriori particolari. “Dicevo della conversazione del 22 ottobre 2015 tra Ardizzone e Barrile in cui lui le dice che sta preparando la scrittura per i parcheggida mandare a Raffaele Manfredi, che è un altro dirigente del Messina… Lui la stoppa dicendo che si sarebbero dovuti sentire con l’altro telefono. Poi, la Barrile contatta Stracuzzi, ma il presidente dell’Acr le dice che per la vicenda dei parcheggi aveva fatto delle modifiche a questa scrittura e avrebbe preso l’appuntamento con Pernicone. Quindi si comprende che per la gestione dei parcheggi c’è un accordo con la società di Pernicone. Proprio perché il 15 novembre ci sarà l’incontro col Catania, c’è l’urgenza di partire e di organizzare tutto in tempo per questo evento. Il 3 novembre Luciano spiega ad Ardizzone che il giorno dopo ci sarebbe stata una riunione per gestire i parcheggi ma che c’era un problema legato al fatto che la convenzione non consente il subappalto. Ardizzone spiega che questo non è un problema perché in realtà siamo noi insieme a loro. E Luciano dice: Allora noi glielo facciamo fare direttamente a Pernicone, tanto quello che viene a noi è a costo zero. Noi in realtà non ci mettiamo niente. Non spendiamo niente, non abbiamo costi, non abbiamo niente, non impegniamo personale, non impegniamo gente. A noi ci danno la nostra parte, quello che è, va bene… Dalle conversazioni successive si comprenderà, e lo dice anche Luciano ad Ardizzone, che la parteè sempre la questione delle assunzioni. Mi devi dare quei due nominativi che me li ha chiesti Pernicone, aggiunge Luciano. Cioè tra le persone che dovranno lavorare per la gestione dei parcheggi ci devono essere due persone che vanno segnalate da Barrile e da Ardizzone. In parallelo una persona che si chiama Francesco Cicceri e si presenta come collaboratore di Giuseppe Pernicone, inizia a contattare Ardizzone proprio per gestire le pratiche burocratiche al fine di organizzare l’assunzione del personale in vista della partita che ci sarà di lì a breve. L’11 novembre Cicceri chiama Ardizzone e gli dice di avergli girato la mail di Pernicone. Di fatto accerteremo che Ardizzone provvederà, nel suo ruolo di consulente del lavoro, a fare tutti le iscrizioni Inps ed Inail dei lavoratori della società e dai dialoghi con Antonio Tortorella intercettati nel dicembre 2015, allorquando si fa la rendicontazione per la società, emergeranno i nomi delle due persone segnalate. E questo stesso argomento Ardizzone lo tratterà più avanti con Carmelo Pullia in un’altra conversazione, il 9 gennaio 2016. Lui gli spiega qual era l’obiettivo di questa attività che loro avevano messo in campo, cioè quella di far lavorare più ragazzi possibili. Anche se c’è il calo loro riescono a far lavorare sempre…, spiega a Pullia. Ardizzone in realtà ne parla sempre in prima persona: Io sempre dieci ne sto mantenendo là e quando c’è stato bisogno ne abbiamo fatto venire anche di più, undici o dodici. E poi: Due gliele ho fatte mettere al parcheggio, perché due glieli ho imposti a quello là. Sopra dieci del parcheggio – gli ho detto – due te li indichiamo noi. Il quello làè Pernicone, un’altra persona arrestata nell’ambito dell’operazione Matassa, Angelo Pernicone e il figlio Giuseppe Pernicone. I due vengono arrestati il 12 maggio del 2016 e hanno tre capi di imputazione nell’ordinanza cautelare. Gli viene contestata la partecipazione all’associazione mafiosa in particolare al clan di Santa Lucia Sopra Contesse. Poi per aver messo, tra le altre cose, a disposizione anche l’abitazione di Angelo Pernicone per tenerci dei summit mafiosi. E poi per l’intestazione fittizia di una cooperativa sociale che si chiama Angel, di fatto gestita dal pregiudicato Gaetano Nostro. Il terzo capo di imputazione invece riguarda l’ipotesi di un’associazione per delinquere finalizzata alla turbativa del voto elettorale. Corruzione elettorale…”.
Al concerto dei Pooh con il superdirigente comunale
Prima di concludere la sua deposizione, il capitano Antonio Bagnato ha descritto le modalità con cui Emilia Barrile e i suoi collaboratori tentarono di aggiudicarsi la gestione dei parcheggi e della ristorazione in occasione del grande spettacolo dei Poohallo stadio San Filippo, il 18 giugno 2016. “In realtà gli eventi del calcio erano poco remunerativi però era previsto un concerto di un gruppo molto importante che in quell’occasione avrebbe attirato la partecipazione di molta gente”, ha raccontato l’investigatore. “Quello è l’affare e quindi iniziano una serie di dialoghi volti a comprendere se c’è la possibilità che la Peloritana Servizi partecipi a questo evento gestendo uno o più punti di ristoro all’interno del bar. Dall’altra parte in quello stesso periodo emerge la questione che il Comune non ha affidato la gestione dei parcheggi in vista di quell’evento. E i Pernicone, dapprima Giuseppe e successivamente anche Angelo, contattano la signora Barrile al fine di farla intervenire sugli uffici che devono affidare questo servizio. Siamo all’inizio di maggio del 2016, ma già c’era stato un precedente contatto tra la Barrile e Giuseppe Pernicone nel dicembre del 2015. Lui le organizza un incontro per una persona che è un amico suo, gli manda dapprima un sms e successivamente la chiama. Si capisce dal tenore della conversazione che c’è un rapporto di conoscenza e anche di familiarità, quanto meno di confidenza, tant’è che lui la chiama bella… Dopodiché rapporti diretti non ce ne sono fino al maggio del 2016. Nel frattempo, a novembre, Francesco Cicceri, l’intermediario di Pernicone, gestisce con Ardizzone l’inquadramento dei dipendenti e d’altro canto Luciano che frequenta quotidianamente lo stadio San Filippo e la società dell’Acr più volte rapporta dei problemi con Pernicone. Poi il 3 maggio 2016 Giuseppe Pernicone chiama Barrile e le chiede un incontro. I due come spesso fa la Barrile, concordano di vedersi in un bar. Dopo l’incontro, come di abitudine, Barrile aggiorna Ardizzone e gli spiega sostanzialmente il problema dello stadio, cioè che non gli hanno dato la convenzione per i parcheggi. Emergerà inoltre che Pernicone è in contatto con l’organizzatore del concerto, una società catanese, che è a conoscenza di tutta la vicenda. In questa conversazione la Barrile dice ad Ardizzone: Gli hanno dato lo stadio ma non la gestione dei parcheggi, il Comune quella ancora non l’ha data e quindi sono venuti a cercarmi. Poi dice che l’organizzazione non è quella dell’anno scorso, dei concerti precedenti, questo qui è un altro con cui si può ragionare meglio. E quindi gli dice anche che lei conosce da tempo Pernicone perché in passato erano in un consorzio dove c’era anche Universo, poi hanno litigato e se n’erano andati… Gli spiega inoltre che l’anno prima, nel precedente concerto, il ristoro era stato fatto da una ditta di Franza, mentre quest’anno lo daranno a questa società la quale lo può subappaltare a vari soggetti e quindi loro devono valutare se prendere o no la gestione di qualche punto vendita, se è economicamente conveniente e logisticamente gestibile. Perché per gestire più punti vendita bisogna avere frigoriferi, banchi, oltre il personale, quindi per potersi far carico di tutta la ristorazione bisogna avere una struttura logistica molto ampia che non è nella disponibilità della Peloritana Servizi, mentre invece uno, due punti vendita, eventualmente in tribuna, si possono gestire. Quindi devono valutare questo aspetto qui. Nella conversazione Barrile aggiunge a Marco Ardizzone: A loro per i parcheggi il Comune non glieli ha dati, quindi come facciamo? Si possono avere direttamente? Gli ho detto: Va be’, fammi parlare un attimo e capire che cosa vuole fare il Comune. In caso o glieli danno direttamente a loro o glieli danno tramite una società e loro poi pagano la società, vediamo. Hanno intenzione pure di darti tutta la consulenza a te… Poi ti spiego meglio nei dettagli”.
Dopo aver incontrato Pernicone, il 4 maggio 2016 Emilia Barrile contatta Salvatore De Francesco, il dirigente del Comune di Messina coordinatore dell’Area amministrativa e responsabile ad interim del Dipartimento sport, turismo, cultura e tempo libero, una delle figure guida di palazzo Zanca, il cui ruolo è ulteriormente cresciuto con il nuovo sindaco Cateno De Luca (attualmente De Francesco è alla guida dei Dipartimenti Politiche culturali ed educative e Politiche della casa, nonché vicesegretario generale del Comune, mentre per un breve periodo, sempre su nomina di De Luca, ha ricoperto il ruolo di responsabile della Polizia municipale). “Sono i Pernicone che hanno chiesto alla Barrile di intervenire perché ci sono problemi e quindi dicono che lei può agevolare in qualche modo questa pratica”, spiega Bagnato. “Con il dirigente del Comune Salvatore De Francesco, Emilia Barrile ha ottimi rapporti… Nelle intercettazioni si vede che hanno un rapporto molto confidenziale e molto amicale tant’è che Barrile lo chiama Salvo. Quando lo contatta gli chiede di incontrarsi con urgenza e gli dice che è una cosa importante e si devono incontrare fuori. Questo appuntamento viene concordato in piazza Antonello. Dopo che lei ha incontrato il dirigente, Pernicone la chiama per sapere se ci sono novità. E le dice appunto che il lunedì seguente dovrebbe arrivare da Catania l’organizzatore del concerto e che sentirà suo padre. Quindi si organizza un incontro fra la società di Catania, i Pernicone e la stessa Barrile. Il 5 maggio ancora Giuseppe Pernicone chiama Emilia Barrile per sapere se si possono incontrare, ma quel giorno la donna è a Roma. Il 6 maggio è Angelo Pernicone a chiamare Barrile e lei gli risponde che sarebbe rientrata l’indomani a Messina e quindi concordano l’appuntamento con l’organizzatore del concerto, per il martedì successivo. La mattina del 7 maggio Giuseppe Pernicone le chiede in un altro sms se si devono vedere al Comune, ma lei gli conferma l’appuntamento davanti al cinema Apollo. C’è poi una conversazione, il 10 maggio, ancora una volta fra Pernicone e Barrile, poco prima che i Pernicone, con l’organizzatore di Catania, incontrino Salvatore De Francesco. A questo incontro doveva presenziare anche la Barrile che però è in ritardo. La Barrile dice a Pernicone che sta per chiamare il dirigente comunale e aggiunge: Tanto, tu già ci puoi parlare con Salvatore– De Francesco ovviamente – quanto io finisco che sono all’urbanistica e vi raggiungo. E allora Pernicone dice: Ma facciamo noi da soli. Poi parliamo io e tu, capisci? Quando vieni tu parliamo noi. Non avere problemi, non spaventarti di niente... A questo punto, come aveva promesso, Barrile chiama direttamente De Francesco, per dirgli che ci sono quelli di Catania e De Francesco le dice che sono già da lui, quindi già lo hanno incontrato. E passa il telefono ad una persona che noi identifichiamo dalla voce in Angelo Pernicone. Questi scambia due battute con Barrile e poi concordano di incontrarsi dopo una ventina di minuti. Quando finisce l’incontro con i Pernicone e quello di Catania, Salvatore De Francesco chiama Barrile rapportandogli quello che è successo e le dice sostanzialmente: Non c’è bisogno che tu ci raggiungi, stanno venendo loro da te, gli ho spiegato la situazione e quello che devono fare. Loro già lo sanno, hanno bisogno di te, ma più lì che qui… Quello che comprendo io, più lì che quiè all’urbanistica”.
“Poi c’è il rapporto che Barrile fa ad Ardizzone di questo incontro con i Pernicone. E gli dice: Guarda, sono con l’organizzatore di Catania… Siccome Luciano diceva che tu saresti venuto a Messina e qua c’era pure Pernicone, sarebbe bene che tu venissi qui e capissi come gestire questa situazione. E gli spiega appunto che possono affidare la gestione del servizio di venti punti bar ad un’unica società e poi questa società li può ripartire… Qui siamo al 10 di maggio, il 12 maggio i Pernicone vengono però arrestati nell’operazione Matassa, prima di poter definire in concreto questi accordi per il concerto che era programmato per il 18 giugno. Ovviamente l’arresto dei Pernicone è oggetto di commento da parte di Barrile ed Ardizzone, insieme a tutta l’esecuzione di Matassa, perché c’era anche coinvolto un altro consigliere comunale molto vicino all’area della signora Barrile, Paolo David. Ciò trascina la Barrile in un momento di assoluto sgomento, la misura cautelare viene eseguita proprio quando sta andando con la squadra di pallamano della figlia a Pescara per le finali del campionato… Il fatto è commentato da subito. Già la mattina del 12, la Barrile con Ardizzone leggono i nomi: c’è Pernicone padre e figlio, poi c’è un certo Guarnera, c’era Pippo Capurro, ex consigliere che era di Forza Italia e adesso è con l’on. Germanà, poi c’è anche Paolo David… Emilia Barrile fa un’analisi dei reati contestati al consigliere comunale e sostanzialmente dice che con queste contestazioni chiunque può essere coinvolto… Lei fa un esempio: Se tu fai del patronato nei confronti di una persona, gli fai avere un qualche cosa e poi a distanza di anni magari lo chiami, stai influendo sulla sua libertà di autodeterminazione e allora così pure io… La Barrile aggiunge che David è entrato nelle intercettazioni perché aveva i rapporti con Pernicone e poi afferma: Io ora mi dimetto, le indagini le fanno sul passato, due o tre anni prima, nel 2012 (…)Ma tu non sai che persone sonoMica gli fai il camerale o il coso. E Ardizzone: Stai calma e sangue freddo. Emilia Barrile: Io non ce l’ho il sangue freddo (…) Io sono morta, veramente con questo carattere. E Ardizzone: Oramai quello che è fatto è fatto. Se ti dovevano arrestare ti avrebbero già arrestato…. Ma anche il coinvolgimento di Lorenzo Guarnera preoccupa la Barrile. Egli è uno dei primi dei soggetti centrali dell’indagine Matassa ed è, tra l’altro, un dipendente della cooperativa Angel. Dalla lettura dell’ordinanza, Guarnera risulta essere in rapporti con un certo Cosimo Santapaola, un dipendente di Universo Ambiente, cioè una persona anche lui molto vicino alla Barrile e per cui l’esponente politica si spenderà per farla assumere da una società cantieristica…”.

Quei rapporti tra i Santapaola e i Rampulla e l’acquapark delle “famiglie” di Messina

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I Santapaola-Romeo di Messina in stretto contatto con i mafiosi Rampulla attivi tra i Nebrodi, la costa ionica del messinese e il comprensorio di Caltagirone, proprio quelli che annoverano tra loro Pietro Rampulla, l’artificiere nero della strage di Capaci del 23 maggio 1992. A dichiararlo è stato il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico nel corso dell’ultima udienza del processo Beta che vede tra gli imputati proprio alcuni dei membri della famiglia peloritana imparentata  e presunta partner dei clan più potenti della mafia siciliana, a partire da quelli capitanati da don Benedetto “Nitto” Santapaola.
“I Santapaola hanno avuto rapporti pure con Sebastiano Rampulla; all’epoca u zu Bastianu Rampulla era il referente di Cosa Nostra in tutta la provincia di Messina”, ha esordito il Carmelo D’Amico, già ai vertici della cosca dei barcellonesi. “Praticamente sono stati fissati degli incontri, mi ricordo un incontro io, Sam Di Salvo e Piero Santapaola, dove il Piero chiedeva notizie du zu Bastianu Rampulla di Mistretta. E ci si incontrava spesso anche con Sebastiano Rampulla… Ciò accadde dal 1998, 1999, 2000. Non mi ricordo se in qualche occasione si è incontrato anche Vincenzo con Sebastiano Rampulla, non ne sono sicuro perché quest’ultimo nel 2003 è stato arrestato nell’operazione Omega. In un’occasione Sam Di Salvo disse a Piero Santapaola di rivolgersi a Messina alla sorella di Pietro Rampulla che si chiama Maria. Sam la chiamava a zia e pure Piero Santapaola la chiamava a zia Maria. Lei aveva un locale a Messina, io non ci sono andato mai e neanche lo conosco però ne sentivo parlare spesso sia da Sam Di Salvo, sia da Piero Santapaola e da altri”.
“Il Rampulla aveva rapporti con Carmelo Bisognano e se non ricordo male anche Piero Santapaola ha avuto a che fare con il Bisognano”, ha aggiunto il collaboratore di giustizia. “All’epoca, quando mi sono ritirato per andare a Catania, sia il Piero Santapaola che anche Vincenzo Santapaola sono venuti da me per dirmi se era tutto a posto se avevano a che fare anche con Carmelo Bisognano e gliel’ho dato io lo sta bene e anche, mi sembra, Sam Di Salvo. Praticamente potevano avere a che fare anche con Carmelo Bisognano per sistemare un sacco di estorsioni”. Sempre secondo Carmrlo D’Amico, i fratelli Santapaola si sarebbero interfacciati anche con un importante grossista di carni della fascia tirrenica. “Piero ed Enzo avevano rapporti anche con Masino Calì di Olivarella. Ma esistevano rapporti tra il Calì e lo zio Francesco Ciccio Romeo e con Aldo Ercolano di Catania. Non ne sono sicuro al 100% ma Masino Calì sapeva dell’esistenza, addirittura prima del ’93, della presenza di Nitto Santapaola che avevamo noi a Barcellona. Inoltre egli aveva legami con Salvatore Gullotti, con la famiglia La Rocca di Caltagirone e in Francia con un altro personaggio di spicco della nostra associazione, un personaggio… Io Masino Calì lo conosco dagli anni ’90; mi è stato presentato da Sam Di Salvo. Prima del mio arresto lo vedevo che passeggiava, aveva una Jaguar. Ha i baffi, gli mancano i capelli. Comunque lo conosco benissimo perché ha assunto, ha fatto lavorare anche il fratello di Antonino Calderone. Masino Calì si occupa di portare la carne nei vari supermercati, è un grosso distributore nella provincia di Messina. E’ uno dei colletti bianchi della nostra organizzazione, un esponente di spicco, di spessore, un personaggio stimatissimo da tutti. Nel suo ufficio ad Olivarella abbiamo avuto diversi incontri…”.
I padrini peloritani del pizzo
Nel corso della sua deposizione, Carmelo D’Amico si è poi soffermato su alcune estorsioni perpetrate ai danni di alcuni noti imprenditori edili della provincia di Messina. “Mi ricordo in particolare un’estorsione che ha coinvolto nel 2005-2006 l’impresa Presti, sono padre e figlio”, ha raccontato il collaboratore. “Questa impresa Presti era di Terme Vigliatore ed è stata sempre sottoposta a estorsione dalla nostra organizzazione. Io non ci sono stato mai nel loro ufficio, comunque l’impresa Presti ha avuto rapporti con me, con Sam Di Salvo, con Tindaro Calabrese e mi sembra con Nunziato Siracusa. La ditta si occupava di fare lavori pubblici, appalti, costruire una strada, fare una fognatura… Ha preso il lavoro della fognatura a Barcellona, per esempio, e l’abbiamo sottoposta ad estorsione, gli abbiamo fatto passare il lavoro a Pippo Molino. Un giorno fui chiamato da Presti il figlio. Stavano facendo un lavoro su Catania e i Presti sono venuti a cercarmi perché avevano avuto qualche problema sul cantiere. Mi dissero se potevo intervenire e così io feci. I Presti mi diedero allora un bigliettino, un pizzino scritto a mano, con il nome della ditta e dov’era il lavoro e l’ammontare. Poi gli dissi di vedersela loro stessi sul cantiere, che sarebbero andate delle persone, perché io diedi il biglietto a Vincenzo Santapaola per sistemare questa estorsione. In pratica dissi a Santapaola che questo Presti era un soggetto a posto con noi, che pagava l’estorsione, di fargli avere questo biglietto a Catania e di sistemare l’estorsione e di vedersela direttamente loro con i soldi. So che l’estorsione fu sistemata perché poi mi sono visto di nuovo sia con Presti e sia con Enzo e loro mi dissero che era tutto a posto, che i soldi erano stati pagati. Mi rivolsi ad Enzo Santapaola perché era pure un nostro referente sulla zona di Catania. Ma anche con Piero Santapaola era sempre uno scambio di pizzinie ci vedevamo a Catania…”.
D’Amico ha riferito che in quest’ultima vicenda fu pure coinvolto il catanese Alfio Giuseppe Castro. “E’ stato condannato con sentenza passata in giudicato perché ha sparato ad una gamba ad un imprenditore, tale Manganaro. Castro inizialmente faceva parte della famiglia di u Malpassotu, ma era legatissimo ai fratelli Enzo e Piero Santapaola. Egli poi aveva a che fare con tutti noi, ci conosceva dal primo fino all’ultimo, tutti gli esponenti di spicco della criminalità barcellonese. A partire da Gullotti, Di Salvo, Rao, Eugenio Barresi, Filippo Barresi, Carmelo Bisognano, Tindaro Calabrese, Nino Merlino, tutti. Castro era sempre a Barcellona dagli anni ’90 in poi; si occupava di estorsioni, aggiustava estorsioni in provincia di Messina e a Catania, anche lui faceva lavori pubblici. Castro lavorava ad Acireale, aveva un’impresa di movimento terra. Sto dicendo che qualsiasi lavoro si facesse in provincia di Messina, se era a Barcellona veniva da noi, se era a Messina andava dai fratelli Enzo e Piero Santapaola. C’erano catanesiche venivano a rubare mezzi a Barcellona e lui si è interessato più volte a far ritrovare questi mezzi. C’era poi una ditta di Acireale che andava a Messina e lui si rivolgeva ai fratelli Vincenzo e Piero Santapaola per sistemare le estorsioni. Pippo Castro gli ha portato un sacco di soldi ai fratelli Santapaola. E anche quando faceva lavori nelle nostre zone, con tutto ciò che era un nostro associato, praticamente ci faceva sempre un regalo… Quando ha fatto un lavoro su Milazzo, ad esempio, ci ha corrisposto dei soldi, ma non a livello di estorsioni, praticamente ci dava qualcosa come eravamo soliti fare anche noi quando facevamo lavori fuori”.
Mister G, l’affaire eolico e il centro commerciale di Milazzo
L’ex boss dei barcellonesiha pure raccontato delle ambigue relazioni del costruttore mamertino Biagio Grasso (oggi anch’egli collaboratore di giustizia) con alcuni dei più noti personaggi criminali del Longano. “Al signor Biagio Grasso lo conosco dal 2004-2005”, ha riferito D’Amico. “L’ho conosciuto perché era sottoposto ad estorsione da parte della nostra associazione, in particolare da Antonino Merlino, e poi da me dopo il suo arresto definitivo per l’omicidio del giornalista Alfano. Successivamente Grasso ha avuto rapporti anche con il cognato di Nino Merlino, Salvatore Gatto. Gatto era fidanzato con la sorella di Antonino Merlino e Grasso si rapportava con lui e anche gli dava i soldi. Fino al 2008 Grasso era un estorto della nostra associazione, però successivamente voleva fare dei lavori pubblici insieme a noi e così, praticamente, è nato un rapporto diverso, ma non posso dire che all’epoca era un associato. Anche Nino Merlino voleva usare i mezzi di Grasso per fare dei lavori pubblici. Al tempo Biagio Grasso lavorava, stava facendo il Carrefour. Il cemento glielo stavamo portando noi al Carrefour. Era sottoposto ad estorsione, ci dava i soldi, poi è subentrata un’amicizia. Anche Antonino Merlino mi parlava bene di lui, mi diceva che era un amico. Poi è subentrata un’altra amicizia con Antonino Treccarichi, un altro che fa parte della nostra associazione. Praticamente gli ha fatto prendere qualche mezzo; Antonino Treccarichi ha lavorato al Carrefour e a Biagio Grasso me lo portava in campagna più volte. Lui veniva da me dove avevo le case, dove tenevo i cani e avevo anche un’altra casa, una casa normale, in contrada Femmina Morta”.
“Con Biagio Grasso mi vedevo spesso, quasi tutte le settimane perché lui, mi ricordo, abitava a Portorosa”, ha aggiunto Carmelo D’Amico. “Io ci andavo sempre, una volta a settimana, tre volte a settimana. Mi ricordo che qualche giorno prima del mio arresto, Biagio Grasso mi chiedeva sulle imprese e sugli imprenditori che erano addentrati nei lavori pubblici. Così mi ha chiesto cose anche su Maurizio Marchetta, che parte aveva per quanto riguarda i lavori pubblici. Grasso sapeva che Marchetta aveva subito qualche danneggiamento e io gli dissi: No, tutto a posto. Maurizio Marchetta non è mai stato sottoposto ad estorsione. Praticamente è un amico nostro che si occupa dei lavori pubblici anche lui (…) Biagio Grasso voleva lavorare, c’era il lavoro delle pale eoliche che si doveva fare e voleva farlo insieme a me. Praticamente voleva diventare socio e fare la società con me al cinquanta per cento e spartire il guadagno dei lavori che prendevamo. Mi ricordo che nel 2008 voleva fare con me un impianto di calcestruzzo a Montalbano Elicona; lui si voleva inserire praticamente nei lavori pubblici anche insieme a Nino Merlino che me lo raccomandò tantissimo. Per quella questione delle pale eoliche, Grasso ha avuto rapporti, mi sembra, anche con Ignazio Artino, un nostro esponente responsabile della zona di Mazzarrà Sant’Andrea. Poi Grasso è andato a contattare la ditta Maltauro di Vicenza interessata alla pale eoliche, che poi venne sottoposta ad estorsione da parte nostra e dei catanesi, cioè si mise in regola prima di iniziare i lavori. C’è andato a parlare, non per questioni di associazione, ma perché me lo aveva proposto lui, io ho accettato e gli ho detto: Vai avanti e vedi tu, vai a parlare con queste ditte, se puoi prendere il lavoro lo prendi. Stop. Grasso però non ha partecipato a questa estorsione. Lui voleva prendere questo lavoro e ci è andato a parlare come un normale imprenditore”.
“Prima del mio arresto Biagio Grasso mi disse che dei calabresi dovevano scaricare a Portorosa un carico di cocaina, circa cinquecento chili, e mi chiese se potevo mandare qualcuno perché dovevano portare questa cocaina a bordo di un veliero”, ha rivelato il collaboratore i giustizia. “Voleva mandato qualcuno del mio gruppo a controllare che quando entrava questo veliero, non ci fossero problemi con carabinieri e poliziotti. Biagio Grasso doveva fare una cortesia e quelli in cambio gli avrebbero dato dei soldi. Per questo mio appoggio logistico mi promise dei soldi. Disse che praticamente ci davano un qualche cinquecentomila euro, se non ricordo male. Io gli dissi questo: Guarda, per quanto riguarda questo argomento, noi non trattiamo la droga, però fai tu. Io ho dato lo sta bene, però poi mi hanno arrestato e non so com’è andata a finire. Grasso mi ha pure chiesto un intervento per risolvergli dei problemi con i debitori. Ad esempio con Antonino Giordano, il proprietario della Carrefour che gli doveva dare dei soldi. Gli ho fatto la cortesia perché c’era Giordano che non lo pagava. Ho dato anche dei soldi a Biagio Grasso, gli ho cambiato qualche assegno di trenta, trentacinquemila euro, in contanti. Glieli ho portati direttamente io a Portorosa. Mi ricordo che Grasso per questo fatto dei soldi interessò più volte l’imprenditore Salvatore Puglisi di pressare Giordano che conosceva anche Puglisi. Praticamente il proprietario della Carrefour, Giordano, ha ritardato dei pagamenti a Grasso e quest’ultimo non poteva pagare alla Map Srl, la fornitura del calcestruzzo. Così è intervenuto Puglisi ed è andato più volte da Giordano, mi sembra che hanno avuto pure qualche bella discussione... Questo lo so perché me lo diceva sia Biagio Grasso e sia Puglisi. Mi ricordo che forse qualche assegno è stato fatto direttamente da Giordano a Salvatore Puglisi. Giordano, a sua volta, era sottoposto ad estorsione da parte nostra. Gli abbiamo fatto pure collocare delle bottiglie incendiarie e poi l’estorsione l’ha sistemata Carmelo Giambò”.
Sempre secondo quanto ha raccontato Carmelo D’Amico ai giudici del Tribunale di Messina, anche l’imprenditore Salvatore Puglisi era sottoposto ad estorsione da parte della criminalità organizzata. “Io risultavo come suo dipendente ma il signor Puglisi mi pagava senza che lavorassi”, ha spiegato il collaboratore. “Successivamente, nel 2005-2006, abbiamo fatto una ditta insieme, la Map, che era un impianto di calcestruzzo, dove praticamente Salvatore Puglisi era un mio prestanome. La Map era al 50% intestata alla figlia, Antonella Puglisi e a me. In quegli anni Puglisi era un estorto perché stava facendo un’altra cooperativa a Messina, a Santa Lucia Sopra Contesse, e di questo lavoro gli ho fatto dare dei soldi a Piero Santapaola. Questi lavori sono durati tantissimo, si sono fermati perché si sono bloccati i finanziamenti. Poi la cooperativa è ripartita di nuovo, si è fermata, eccetera. Ci sono stati un sacco di problemi e a Puglisi gli rubavano pure tutte le cose. A partire dagli anni 1999-2000, Salvatore Puglisi ha dato più volte dei soldi sia a Vincenzo Santapaola e sia a Piero Santapaola. Un’altra cosa ricordo. Prima del mio arresto, Vincenzo Santapaola venne da me e mi disse che si stava occupando insieme ad una ditta di Catania di fargli piazzare in tutti i bar questi giochi, praticamente le macchinette, poker, ecc.. E che si guadagnavano un sacco di soldi…”.
Cemento a gogò ed acquapark ad Orto Liuzzo
Carmelo D’Amico ha concluso la sua lunga deposizione soffermandosi su un grosso affare turistico-immobiliare nella fascia tirrenica del Comune di Messina a cui sarebbe stata interessata la famiglia Santapaola insieme a due imprenditori dell’hinterland di Milazzo, i fratelli Cosimo e Pippo Messina. “Megauto è una concessionaria d’auto situata ad Olivarella; anche questa dava qualcosa a noi di soldi e ha subito più volte estorsioni”, ha dichiarato il collaboratore. “Io ho fatto acquistare da loro autovetture a tanti personaggi che erano intranei all’associazione mafiosa anche fuori zona come Tindaro Calabrese, Vincenzo Galati Giordano, Nino Barresi e altri, tanti altri. Mi risulta che il barcellonese Vito Foti prese un’autovettura a gratis da Magauto. Con lui abbiamo avuto dei problemi che poi abbiamo sistemato in un incontro fatto tra me, Cosimo Messina, Fommagginu(uno del nostro gruppo  che non mi sta venendo il nome) e Vito Foti che ho maltrattato molto per questo gesto che aveva fatto. Alla Megauto ho fatto prendere delle macchine ed ho acquistato sempre delle macchine a prezzo stracciato, dove loro neanche le spese prendevano. Comunque con i fratelli Messina avevo un buonissimo rapporto. Loro erano interessati a una speculazione edilizia a Messina. Eravamo nel 2007-2008, prima del mio arresto. Praticamente loro avevano un terreno a Orto Liuzzo di circa trecentomila metri che prima era agricolo e poi era passato nel piano regolatore edificabile e ha preso un certo valore. Questo terreno lo hanno ereditato dal padre; poi il padre è fallito e loro, a pezzettini - a pezzettini, se lo sono acquistato tutto. Con il nuovo piano regolatore dovevano venire non so quanti appartamenti, trecento villette, quattrocento appartamenti, poi dovevano venire dentro negozi, ecc.; si doveva costruire e mi avevano passato il lavoro per farlo tutto. Di fronte a questo terreno doveva venire un porto; praticamente dall’autostrada veniva fatto uno svincolo diciamo, un autogrill. Poi avevamo intenzione di fare un acquapark che ce lo saremmo tenuto noi. Già era stato fatto un piccolo progetto che io ho visto negli uffici dei fratelli Messina. Avevano fatto lo stampato e i fratelli Messina avevano mandato un geometra o un ingegnere direttamente in Spagna a vedere un acquapark perché volevano fare qualcosa di eccezionale, molto grande, bello. Un acquapark internazionale”.
“All’interno di questo terreno dovevamo fare un impianto di calcestruzzo e fare questo lavoro”, ha concluso D’Amico. “Addirittura, ho offerto di fare qualche lotto a Nino Perrone, se non ricordo male. Nino Perrone era un’impresa di Barcellona, praticamente gli avrei fatto fare qualcosa. Comunque per questo lavoro solo a me, solo per il mio interessamento, solo per passargli il lavoro mi davano dieci, venti, trenta milioni di euro. E all’epoca non li ho voluti. Mi ricordo che per questo fatto ho interessato il Vincenzo Santapaola, anche con il mio compare Nino Treccarichi, perché c’era un pezzo di terreno al centro di qualche duemila metri che era in mano ad un avvocato. Questo terreno, tramite l’interessamento di Treccarichi e mi sembra pure di Enzo Santapaola, è stato acquistato dai fratelli Messina per il valore di sessanta-settantamila euro. Per quanto riguarda Enzo Santapaola, sarebbe subentrato anche lui nell’operazione che era di centinaia e centinaia di milioni. Per quanto riguarda il lavoro a Orto Liuzzo, mi ricordo che io ne avevo parlato con Cosimo Messina e gli avevo detto che poi davamo qualcosa a Enzo Santapaola. Informai Enzo Santapaola che era il nostro riferimento su Messina, perché doveva garantire la tranquillità, per non avere problemi e perché non volevamo avere a che fare con i messinesi. Dopo il mio arresto però non so come esso è andato a finire…”.
Del megacomplesso con annesso porticciolo e acquapark a Orto Liuzzo si è tornato a parlare nei mesi scorsi nella città capoluogo dello Stretto. Nell’area della frazione in prossimità dello svincolo autostradale al confine con il Comune di Villafranca Tirrena, la Variante al PRG approvata con decreto regionale del 2 settembre 2002, prevede “insediamenti turistico-ricettivi, turistico-alberghieri e ad attività balneari”; nello specifico, ad Orto Liuzzo dovrebbero sorgere proprio un “approdo per la nautica da diporto” e “un acquafun o acquapark correlato ad attrezzature per la balneazione, il tempo libero e lo sport ed a strutture ricettive, un centro congressi e un centro vacanze”. L’ennesima cementificazione selvaggia che cancellerà definitivamente la fragile spiaggia scampata al sacco del territorio costiero peloritano.

La Sicilia capitale mondiale delle telecomunicazioni militari USA

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Dopo il MUOS di Niscemi, verrà realizzato in Sicilia un altro megacentro di telecomunicazioni satellitari delle forze armate USA. Il Dipartimento della Difesa ha infatti chiesto al Congresso degli Stati Uniti d’America l’autorizzazione alla spesa di 77 milioni e 400 mila dollari per costruire all’interno della stazione aeronavale di Sigonella una “infrastruttura di telecomunicazione a più piani che comprenda pure una facility per le informazioni sensibili e riservate (Sensitive Compartmented Information Facility - SCIF)”.
“La nuova stazione di telecomunicazioni nella NAS - Naval Air Station di Sigonella consentirà di effettuare più sicure e affidabili telecomunicazioni vocali e dati, classificate e non classificate, alle unità navali, sottomarine, aeree e terrestri della Marina militare USA, in supporto delle sue operazioni reali e delle esercitazioni in tutto il mondo, nonché a quelle della coalizione alleata che intervengono nei teatri operativi”, spiega il Pentagono nella richiesta di stanziamento fondi per l’anno fiscale 2019-2020. “La nuova facility fornirà anche un’area per le telecomunicazioni satellitari, un’area per le attrezzature di sicurezza criptografica e per i sistemi meccanici e di generazione di energia elettrica. Questo progetto è finalizzato a rafforzare significativamente le capacità funzionali e il supporto operativo della base a favore dei sistemi strategici della Flotta USA. L’installazione di terminali multibanda della Marina militare all’interno del nuovo edificio miglioreranno l’efficienza del sistema”.
Secondo la scheda progettuale presentata dal Dipartimento della Difesa, la nuova infrastruttura di Sigonella includerà oltre al centro di telecomunicazioni, alcune aree per la manutenzione e l’addestramento, spazi amministrativi, caveu di sicurezza e per la protezione del cablaggio, magazzini, un piano per le aree operative, una multimedia room con capacità di video-teleconferenza e un’area protetta interna. “L’edificio verrà protetto contro tutte le interferenze elettromagnetiche e Tempest (in gergo militare le modalità di protezione e sicurezza dei materiali e delle apparecchiature di telecomunicazioni  che emettono radiazioni elettromagnetiche – EMR, NdA)”, riporta il Dipartimento. “I sistemi di controllo dell’infrastruttura includeranno quelli per la cybersecurity in accordo con i criteri odierni previsti dalla Difesa. I sistemi informativi comprenderanno le apparecchiature per le telefonate di sicurezza e non, per la trasmissione dei dati classificati e non, per le comunicazioni televisive via cable. Si prevedono inoltre apparecchiature per la radiofrequenza, le video-teleconferenze e la diffusione radio. Questo progetto risponderà alle caratteristiche di protezione anti-terrorismo, antisisma e antincendio, fornitura elettrica no stop, conversione delle frequenze, ecc.”. Accanto al nuovo centro di telecomunicazioni sorgerà pure un parcheggio per 200 veicoli circa. Complessivamente le infrastrutture occuperanno una superficie di 6.607 metri quadri, contro i 2.685 metri quadri attualmente occupati dall’odierno centro di telecomunicazioni. “Quando il nuovo progetto sarà completato, verranno demoliti alcuni edifici esistenti all’interno della base (si tratta di quelli identificati con i numeri 581, 585, 580, 579, 750, 580TR4, 580TR3 e 580TR2) e le funzioni che adesso vi sono ospitate saranno ricollocate nella nuova facility”, aggiunge il Dipartimento della Difesa. L’assegnazione del contratto lavori è prevista entro l’agosto 2020, mentre la realizzazione dovrebbe concludersi entro l’aprile 2024. “Le apparecchiature C4I ed elettroniche associate a questo progetto saranno fornite da altri capitoli finanziari”, spiegano i militari USA. Nello specifico si prevede uno stanziamento aggiuntivo di 57 milioni di dollari entro il 2023.
“La stazione di telecomunicazione esistente a NAS Sigonella è stata costruita nel 1966”, spiegano ancora i vertici militari USA. “L’edificio è di dimensioni assai ridotte e non soddisfa i bisogni delle odierne tecnologie. Sono stati effettuati adeguamenti negli anni nel tentativo di accrescere le capacità di telecomunicazione e ridurre i gap dei sistemi elettrici e meccanici. Per i frequenti ammodernamenti delle attrezzature di comunicazione e delle tecnologie informatiche, sono stati richiesti diversi lavori nei locali nella facility che hanno comportato alti costi e lo spreco di tempo utile. Con i costanti progressi nella tecnologia, ulteriori adeguamenti e nuovi spazi operativi saranno ancora richiesti. L’eventuale riconfigurazione dell’edificio esistente avrà come conseguenza la distribuzione inadeguata del personale e ulteriori costi aggiuntivi. Verrà inoltre limitato lo svolgimento delle attività operative della base e si comprometterà la rapidità delle sue missioni”. Da qui, secondo il Pentagono, l’esigenza di provvedere immediatamente alla costruzione di un novo di centro di telecomunicazioni a Sigonella.
Davvero singolari poi le altre motivazioni addotte per giustificare il finanziamento del progetto. “L’inadeguatezza degli edifici esistenti causa carenza nella sicurezza dei locali”, spiega il Dipartimento USA. “Nel corso dei mesi invernali, gatti selvatici e ratti trovano ingresso nell’edificio attraverso le condotte e le tubature. Questi roditori strappano a morsi i cavi delle fibre ottiche, rompono gli isolanti dall’esterno e poi divorano le fibre, interrompendo così le comunicazioni. Inoltre essi diffondono germi e malattie in tutto l’edifico rendendolo insalubre. L’edificio è connesso inoltre al sistema fognario dell’Aeronautica militare italiana e spesso subisce gli effetti delle eventuali perdite e le acque nere traboccano al suo interno. L’area delle telecomunicazioni è connessa alla rete di distribuzione idrica dell’Aeronautica italiana. L’acqua non è potabile e non è utilizzabile neanche per lavarsi le mani, mentre la fornitura non è costante. E’ necessario acquistare così acqua imbottigliata per poter bere e lavarsi le mani”. Come dire, cioè, che i piccoli roditori e le fogne di Sigonella mettono costantemente sotto scacco la potenza militare e nucleare più potente della Terra….
Dalla scheda progettuale si evince un altro dato a testimonianza che quello previsto a Sigonella non è un mero ammodernamento del centro di telecomunicazione esistente ma un suo rilevante potenziamento. Entro la fine del 2023, infatti, con la nuova facility il personale statunitense di stanza nella grande stazione aeronavale siciliana raggiungerà le 3.322 unità contro le 3.021 unità censite il 30 settembre 2018 (l’aumento previsto è dunque del +10%). Inoltre, il valore degli immobili di proprietà USA a Sigonella, stimato lo scorso anno in 925.329.000 dollari, grazie ai progetti previsti nei prossimi quattro si attesterà a 1.260.087.000 dollari. Rilevante anche la descrizione fatta dal Pentagono sulle principali funzioni svolte dalla grande base siciliana. “Sigonella è la maggiore installazione della US Navy nel Mediterraneo centrale ed è utilizzata per il supporto logistico della Ses
ta Flotta e come base per lo schieramento degli aerei per la guerra ai sottomarini (ASW). A Sigonella è assegnato anche uno squadrone per il trasporto aereo della Marina nel teatro mediterraneo, per missioni di trasporto carichi a bordo delle unità navali in transito. La base opera in supporto ai velivoli tattici di stanza nelle portaerei, ai voli cargo dell’Air Mobility Command (AMC) e ai voli passeggeri del Military Airlift Command (MAC) dagli Stati Uniti d’America. Assicura inoltre l’interfaccia logistica con la vicina baia di Augusta, utilizzata quale pontile e deposito carburante e munizioni della NATO. Supporta infine gli squadroni elicotteri da combattimento e sorveglianza”. I vertici militari di Washington omettono tuttavia di ricordare come NAS Sigonella sia da tempo pure una delle principali basi mondiali per le operazioni dei droni killer e d’intelligence delle forze armate USA…

Processo Terzo Livello. Le contiguità criminali di certi costruttori di Messina e provincia

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Approda al processo sul Terzo livello Biagio Grasso, il noto costruttore originario di Milazzo che dopo l’arresto con l’operazione antimafia Betaha avviato una collaborazione che ha permesso agli inquirenti di delineare le trame affaristiche del gruppo dei Romeo-Santapaola e di alcuni insospettabili colletti bianchi della provincia peloritana. Deponendo in qualità di teste all’udienza del 15 maggio scorso, l’imprenditore ha fornito inediti particolari sul ruolo di alcuni potentissimi imprenditori in alcune spericolate vicende urbanistiche della recente storia della città dello Stretto e sulle presunte contiguità relazionali con la criminalità organizzata locale e regionale.
“Sono nato nella zona tirrenica, a Milazzo; ho iniziato gli studi, ho frequentato il liceo sempre zona Milazzo e per un periodo ho frequentato l’Università di Messina, facoltà di Ingegneria”, ha esordito Biagio Grasso in udienza. “Per un tempo mi sono trasferito in Venezuela per esercitare lavori in merito a costruzioni civili e nel 2000 rientro nuovamente in Italia. Inizio ad avere i primi contatti con la criminalità organizzata di Barcellona Pozzo di Gotto attraverso personaggi come Nino Merlino, Carmelo D’Amico, Carmelo Bisognano, Tindaro Calabrese e altri soggetti, fino al 2009. Nel 2009-2010 mi trasferisco a Messina ed entro a far parte del clan Santapaola-Romeo, avendo rapporti di collaborazione in società, principalmente con Enzo Romeo. Dal 2010 sino al 2017, 6 luglio 2017, esattamente il giorno che mi hanno arrestato, ho avuto rapporti continuativi con il gruppo dove mi sono dedicato alle attività di costruzioni civili, appalti pubblici, riciclaggio e altre attività illecite e per cui sono stato condannato nell’ottobre del 2018, 416-bis più altri reati come concussione, corruzione, detenzione illecita di armi, ecc.. Nel dicembre del 2017 maturo la decisione di collaborare con la giustizia, considerato che provengo da una famiglia che non ha avuto mai nessun tipo di contatto con la criminalità. Quindi decido di staccarmi completamente da questo circuito illegale, diciamo, per le mie bambine, e da questo momento in poi collaboro in maniera fattiva con la giustizia”.
“L’associazione mafiosa per cui ho riportato la condanna faceva riferimento alla famiglia principale di Santapaola di Catania, quindi al Nitto Santapaola che è lo zio di Enzo Romeo, la persona che insieme al padre Ciccio Romeo gestiva il clan nella zona tirrenica e a Messina città”, ha aggiunto il costruttore Grasso. “I settori d’attività che gestivo io erano principalmente tutti collegati con l’edilizia e ad attività commerciali come negoziazioni di metalli preziosi, nell’ultimo periodo. Altri soggetti che erano associati con noi gestivano altre attività illecite come gioco d’azzardo, scommesse sui cavalli, scommesse clandestine, ecc.. Nella sentenza per la quale ho riportato condanna anche per associazione mafiosa, mi è stato riconosciuto l’art. 8, i benefici dell’attenuante speciale per i collaboratori di giustizia”.
Su specifica domanda del Pubblico ministero Fabrizio Monaco, Biagio Grasso si è poi soffermato sulla figura di Giovanni Doddis, stretto collaboratore dell’ex Presidente del Consiglio comunale di Messina Emilia Barrile, imputata eccellente al processo sul Terzo livello. “Io ho conosciuto Gianni Doddis che era intanto il cognato di Daniele Mancuso che è il fratello di Giorgio Mancuso, soggetto che ha fatto parte o fa parte ancora, non lo so, della criminalità organizzata, ed era una persona vicina ad Enzo Romeo e quindi vicina a noi. Infatti era uno dei nostri subappaltatori all’interno delle nostre opere su Messina, si occupava di movimento terra”, ha dichiarato il collaboratore. “Già il Doddis era in contatto con Enzo Romeo per questo motivo, ma anche per un’amicizia personale che li legava da moltissimo tempo. Quindi il Doddis era un soggetto attiguo al clan Santapaola e ad Ercolano e nella zona di Gravitelli. Ci fu presentato dopo che abbiamo avuto una serie di vicissitudini con le interdittive antimafia ed altre problematiche riferite alle indagini che avevamo in corso, sia per quanto riguarda l’operazione Beta che poi ci ha portato all’arresto, sia per altre operazioni che sono poi scattate su Milano, perché avevamo deciso di vendere delle attività che avevamo su Messina. Il Doddis era in contatto con uno dei più grossi imprenditori di Messina nel campo dell’edilizia e quindi Romeo lo contattò per farci da tramite per la vendita di queste operazioni. In particolare i 64 alloggi di Fondo Fucile ed i 124 alloggi di Torrente Trapani. Questa vendita avrebbe dovuto realizzarsi con la cessione dei rami di azienda, con lo spin off delle società. Una era la Procoim che era titolare dell’operazione di Fondo Fucile, e l’altra era la Carmel S.r.l. che era titolare dell’operazione di Torrente Trapani”.
“Con Gianni Doddis ci incontrammo diverse volte; dapprima facemmo degli incontri, diciamo tra di noi, quindi io, Enzo Romeo, Gianni Doddis, per quanto riguarda l’organizzare l’incontro con la persona con cui ci dovevamo vedere e poi ci sono stati incontri direttamente con il costruttore a cui dovevamo vendere”, ha aggiunto Biagio Grasso. “Diciamo che principalmente c’erano delle problematiche amministrative su Torrente Trapani in quanto il costruttore era interessato più che ai terreni alla cubatura che c’era in essere presso queste aree e per lo spostamento della cubatura necessitavano alcune autorizzazione degli organi competenti, quindi del Comune di Messina, che esulavano già dai contatti con pubblichi ufficiali che noi avevamo all’interno del Comune, persone che sono anche state indagate con noi, credo ancora non condannate. Faccio riferimento all’ingegnere Raffaele Cucinotta. C’era dunque un problema di autorizzazione perché c’era lo spostamento della cubatura, per l’inserimento della cubatura in una nuova area. Considerato che era una cosa che andava fuori dalla normativa del piano regolatore vigente, bisognava avere un’autorizzazione da parte del Consiglio comunale. Quindi, visto il rapporto di massima trasparenza che il Romeo Vincenzo aveva con Gianni Doddis, immediatamente segnalò questa problematica e Doddis ci disse che, per quanto riguarda il Consiglio comunale, poteva intervenire lui ad agevolare l’eventuale approvazione attraverso il Presidente del Consiglio comunale, Emilia Barrile. Gianni Doddis si definì uno dei capo elettori nell’area di Gravitelli di Emilia Barrile, quindi chi gli procurava il bacino di voti in quella zona. Inoltre fece riferimento a rapporti personali e d’amicizia con la signora Barrile. Questa circostanza Enzo Romeo la antepose perché non voleva assolutamente creare nessun tipo di incrinazione dei rapporti tra lui e Doddis. E quindi gli disse: L’operazione è buona, diciamo eccellente, il prezzo lo possiamo fare buono, però tieni presente che c’è questa problematica che bisogna superare. Al che, il Doddis, immediatamente, ci rispose in quella maniera, dicendo che attraverso la Barrile poteva attivare le necessarie amicizie per avere le autorizzazioni e, quindi, i voti favorevoli da parte del Consiglio comunale. Alla signora Barrile io però non l’ho mai incontrata personalmente…”.
Per approntare le opportune strategie per l’affaire, Biagio Grasso ha riferito di essersi ripetutamente incontrato con Gianni Doddis nel periodo intercorso tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016. “Con Doddis ci incontrammo diverse volte in casa sua, lui abita nelle colline lì, nei pressi di Gravitelli, sotto l’autostrada. Ci incontrammo anche diverse volte in un circolo che c’è di fronte alle Poste, se non erro, di Gravitelli. Ci siamo incontrati presso il cantiere dove lui era capocantiere nell’azienda di Mangraviti, in quel momento esso era vicino una clinica. Doddis gli gestiva tutta la parte di alcune assunzioni e la parte dei fornitori, ma Mangraviti è persona che comunque non ho mai conosciuto e nello specifico non ebbe nessun ruolo nella vicenda. Una volta ci siamo visti con il costruttore a cui avevamo fatto l’offerta. Questo soggetto era il dottore Vinciullo, Vincenzo Vinciullo. I rapporti fra Doddis e questo imprenditore erano ottimi e l’appuntamento fu fissato immediatamente. Si tenga presente che anche il cognato Daniele Mancuso gestisce tutti i movimenti terra per conto dell’azienda Vinciullo su tutto il territorio messinese, quindi hanno rapporti collaborativi e fattivi da diversi anni”.
Sempre secondo Biagio Grasso, l’imprenditore Mangraviti sarebbe stato in passato socio di Vincenzo Vinciullo, ma nel periodo in cui sarebbe maturata l’operazione con quest’ultimo costruttore, i due avrebbero gestito le rispettive aziende in modo separato. “Tra Daniele Mancuso e Gianni Doddis c’erano invece rapporti anche di parentela in quanto, se non sbaglio, una delle sorelle o la sorella di Daniele Mancuso è la moglie di Gianni Doddis”, ha specificato Grasso. “Questo Daniele Mancuso è un soggetto che è molto vicino al clan Romeo-Santapaola, quindi era molto vicino a noi. Lavorava con noi anche nella parte di movimento terra ed in più si è prestato per intestarsi fittiziamente una società, in particolare la Edil Raciti S.r.l., che era titolare di 14 appartamenti in costruzione a Santa Margherita in Messina, ed è appunto il fratello di Giorgio Mancuso che ha ricoperto un ruolo importante dal punto di vista criminale operante nell’area Camaro-San Paolo. Loro avevano i depositi a Messina Due, sempre in quella zona lì, Camaro San Paolo. A Messina Due Daniele Mancuso aveva, credo, anche una casa dove abitava”.
“Relativamente alla vicenda della Edil Raciti, nel momento in cui avevamo già la sicurezza che da un momento all’altro potevamo avere dei sequestri patrimoniali o degli arresti, come poi realmente è successo, abbiamo cercato di svincolare tutta una serie di attività dai nostri nomi”, ha aggiunto il collaboratore. “E quindi tra questi passaggi fittizi, Daniele Mancuso si prestò ad intestarsi questa impresa, che era a sua volta intestata fittiziamente a Franco Lo Presti, che è stato uno dei nostri prestanome storici. Per l’intestazione fu creata una posta di debiti inesistenti presso il Torrente Trapani con la Se.Gi. S.r.l. e, dopo di che fu fatta una transazione dove, sempre per questa posta fittizia, la Se.Gi. - che era a sua volta detenuta da Franco Lo Presti in maniera fittizia - cedeva come compensazione questa operazione a Santa Margherita. Fu fatto un atto di transazione stragiudiziale presso un ente che si occupa di queste cose, e poi non so se l’atto definitivo Mancuso l’ha fatto o meno perché Lo Presti, su nostra indicazione, aveva già firmato tutto presso quest’organo di mediazione e quindi in qualsiasi momento lui poteva farsi l’atto. All’epoca la legge lo permetteva; invece di andare in contenzioso si poteva fare questa richiesta di mediazione, diciamo bonaria. Questo ente dovrebbe avere sede in via Tommaso Cannizzaro alta, zona dove c’è il bar Glamour, vicino queste parti qua. Quindi si adottò questa strategia in modo da dare una parvenza abbastanza legale a questa operazione. La posta era fittizia, le fatture erano fittizie e quindi era tutto fasullo… In questa mediazione ricordo fu interessato un avvocato, anche lui di nome Mangraviti, il legale di Daniele Mancuso. In epoca antecedente a quando l’ho conosciuto io, questo avvocato era stato sospeso dall’ordine, avendo avuto delle problematiche con la giustizia”.
Biagio Grasso ha poi risposto alla domanda del Pm Fabrizio Monaco su una sua possibile conoscenza con un altro importante e chiacchierato costruttore di Milazzo, Vincenzo Pergolizzi. “Sì, lo conosco in quanto opera nella zona tirrenica, quindi lo conosco da quando ero ragazzino. Ha fatto anche un’operazione molto grossa nell’area dove abitano i miei genitori, a Giammoro. Ricordo che tra le imprese riferibili a Vincenzo Pergolizzi c’erano la Edil Perg e la Per.Edil, erano quelle più storiche. Pergolizzi è un soggetto che è stato sempre contiguo alla criminalità sia tirrenica, sia messinese, sia catanese, anche ad un clan importante di Catania, che sono i Cappello, che era contrapposto a quello dei Santapaola. Vincenzo Pergolizzi era anche vicino al clan di Barcellona Pozzo di Gotto, a personaggi di Barcellona… Nella parte tirrenica ne parlai di lui sia con Nino Merlino e con altri soggetti sempre del clan barcellonese. Per quanto riguarda Messina e Catania, sono informazioni che mi diede Enzo Romeo, anche in virtù del fatto che il cugino – credo Antonio Lipari - acquistò un appartamento presso un complesso che aveva edificato Pergolizzi in viale Europa alto, uscita dall’autostrada, dove Pergolizzi fece un prezzo di favore a Lipari in virtù che era intervenuto Ciccio Romeo, che è il papà di Enzo Romeo, e quindi personaggio di calibro criminale pesante su Messina. E lì Enzo Romeo mi raccontò tutta una serie di vicende e che Pergolizzi aveva coperto la latitanza di alcuni criminali della zona si Catania, soggetti che facevano parte al clan Cappello e così via. Quindi molte informazioni me le diede Romeo, in virtù di questa circostanza. Relativamente ai soggetti appartenenti all’associazione mafiosa barcellonese, Pergolizzi aveva rapporti sia con Sam Di Salvo che con Pietro Mazzagatti ed altri. Mi risulta inoltre che il Pergolizzi disponesse di entrature nella pubblica amministrazione. Su Messina, diciamo, con il Genio Civile aveva dei rapporti preferenziali. Ne parlammo all’epoca con Enzo Romeo e anche aveva rapporti con la Barrile e con un architetto del Genio Civile, tale Montalto. A Milazzo Vincenzo Pergolizzi aveva rapporti preferenziali con Santino Napoli, una persona vicina, non so se è associata, al clan di Barcellona Pozzo di Gotto e copriva l’area di Milazzo. Napoli si occupava della segnalazione degli appalti, della gestione di eventuali estorsioni sul territorio e soprattutto della gestione dei locali da ballo della zona di tutto Milazzo. Satino Napoli era impegnato in politica; credo che diverse volte è stato consigliere del Comune di Milazzo”.

L’asse criminale Messina-Milazzo-Barcellona P.G. e la passione per le discoteche

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Sono ancora una volta i collaboratori di giustizia i protagonisti al processo antimafia Betain corso di svolgimento al Tribunale di Messina. Due deposizioni, quelle degli ex appartenenti alla consorteria criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, Aurelio Arturo Micale e Francesco D’Amico, che fanno luce su alcuni affari più o meno leciti della “famiglia” dei Romeo-Santapaola e sui legami di essa con alcuni noti imprenditori della provincia di Messina.
Buttafuori e disco-pacieri
“Facevo parte dell’associazione dei barcellonesi, del gruppo di fuoco, estorsioni e quant’altro ed ho iniziato a collaborare nel luglio 2018”, ha esordito Aurelio Micale. “Mentre facevo parte dell’associazione ho avuto modo di entrare indirettamente in contatto con gruppi criminali che operavano su Messina. Siccome io facevo parte del gruppo D’Amico, noi avevamo contatti con dei messinesi, con la famiglia Romeo in particolare, quella di Francesco CiccinoRomeo. Lui era cognato di Santapaola, Nitto Santapaola. I rapporti li aveva Carmelo D’Amico che era il promotore dell’associazione, del gruppo, e loro interloquivano sugli affari illeciti, le estorsioni e tutte le altre cose. Quello che ho saputo su Francesco Romeo l’ho saputo da Carmelo D’Amico e anche da Antonino Calderone perché io con lui avevo uno stretto rapporto. Fatti specifici con riferimento ai rapporti tra Francesco Romeo e Carmelo D’Amico non ne ho saputi, ma quando noi parlavamo, D’Amico diceva: Se c’è bisogno di qualcosa ci dobbiamo rivolgere a Ciccino Romeo di Messina che è un nostro stretto collaboratore. Perché era lui che parlava per il gruppo”.
Il neocollaboratore di giustizia ha però riferito di aver conosciuto personalmente i due figli di don Ciccino Romeo, Vincenzo e Maurizio Romeo. “A Enzo l’ho incontrato in carcere a Messina nel settembre 2017”, ha dichiarato. “Allora io ero alla cella 22 ed Enzo Romeo alla 23 insieme al fratello, un cugino e un’altra persona che non ricordo il nome. Lui si è trattenuto molto con me perché sapeva che c’era la collaborazione di Carmelo D’Amico. Diceva che era in buonissimi rapporti con noi che io già sapevo e mi dice: Mi dispiace perché adesso crea dei problemi anche a voi. Praticamente Romeo diceva che era dispiaciuto per me perché Carmelo D’Amico mi aveva accusato su tutti i reati di omicidi. E che era in buoni rapporti anche lui precedentemente”.
“Poi c’era l’altro figlio che si chiamava Maurizio Romeo. In quel periodo, 2007-2008 all’incirca, lui veniva spesso in discoteca, infatti quando ho visto il fratello più piccolo al carcere l’ho riconosciuto subito e gli ho detto: Il fratello di Maurizio sei? e lui ha detto: . Se c’erano delle discussioni con i messinesi Maurizio Romeo si metteva in mezzo per sistemare tutte queste discussioni, diverbi… Praticamente lui veniva nelle discoteche non pagando e magari dandogli anche delle consumazioni, ma essendo conosciuto a Messina, se c’era qualche messinese che dava fastidio all’interno della discoteca interveniva lui per riappacificare gli animi. Del servizio d’ordine di queste discoteche ce ne occupavamo come gruppo barcellonese, in particolare la famiglia D’Amico. Alcuni figli di Ciccio Romeo venivano di più in discoteca al Paradiso nel periodo estivo e anche al Babylon e in altre discoteche che gestiva sempre la famiglia D’Amico. Eravamo ancora nel 2007-2008 all’incirca. Di risse ed altri episodi ce ne sono stati tanti perché nelle discoteche a fine serata sono tutti ubriachi e ci sono sempre delle discussioni però con il loro intervento, con l’intervento della famiglia D’Amico si riappacificavano gli animi e si spegnavano le discussioni,  così la discoteca poteva lavorare tranquillamente”.
Rispondendo alle domande del Pubblico ministero Fabrizio Monaco e di uno dei legali degli imputati, l’avvocato Salvatore Silvestro, Aurelio Micale si è soffermato sugli ambigui legami del suo ex gruppo criminale con alcuni imprenditori peloritani.  “Conosco Masino Calì, aveva l’ingrosso di macellazione di carne”, ha dichiarato il collaboratore. “Io lo conoscevo bene perché andavo spesso insieme ad Antonino Calderone che lui aveva prima la macelleria e poi la macellazione della carne. Ricordo che Calì aveva dei problemi, che non gli pagavano la carne che lui forniva, alcuni supermercati però. C’era questa lamentela in giro. Ci sono state delle persone di Messina, so che si sono interessate per far recuperare i soldi. Così c’è stato un intervento della famiglia barcellonese per far recuperare questi soldi a Masino Calì che era molto vicino all’associazione che pagava l’estorsione. Di specifico non mi ricordo onestamente chi doveva questi soldi a Calì, però della cosa ne ho parlato con Calderone perché aveva pure il fratello, Giovanni Calderone, che lo faceva lavorare dentro la sua azienda. Di questa vicenda ne ho parlato in carcere pure con Francesco D’Amico quando nel 2013-2014 eravamo detenuti a Palermo tutti e due. Eravamo stretti con lui, siamo cresciuti insieme e anche fuori commentavamo tante altre volte su questi argomenti. Facevamo dei resoconti anche sul livello economico perché Francesco ha trattenuto la cassa per un periodo, dopo il fratello Carmelo D’Amico”.
E ti porto in regalo una pistola calibro 9
“Ricordo di un episodio che sono andato a Santa Lucia sopra Contesse”, ha aggiunto Micale. “Aveva un cantiere a Tremestieri un certo Salvatore Puglisi e siamo andati a controllare perché i messinesi dovevano mettere un ragazzo per custodire il cantiere e quella sera non l’abbiamo trovato. Salvatore Puglisi era una persona vicina anche all’associazione dei barcellonesi. C’era Carmelo D’Amico che lavorava con lui ed aveva pure una percentuale sull’impianto di cemento che Puglisi aveva a Merì. D’Amico si interessava anche per far prendere commesse all’impresa di Puglisi”.
Al processo antimafia Beta, l’altro ex appartenente al clan barcellonese, Francesco D’Amico, ha invece dichiarato di conoscere personalmente un altro elemento di spicco della presunta “famiglia” dominante della città dello Stretto, Vincenzo Enzo Santapaola, cugino dei fratelli Romeo. “Sono entrato nell’associazione mafiosa nel 1994; mi sono occupato di rapine, omicidi, atti vandalici, bruciavo negozi, macchine, questo genere di reati e ho iniziato a collaborare il 28 ottobre del 2014”, ha riferito D’Amico. “Io ho conosciuto Enzo Santapaola tra il 1996 e il 1998. Enzo Santapaola è il nipote di Nitto Santapaola di Catania. Questo me lo disse mio fratello Carmelo”.
“Non mi ricordo se forse qualche volta in quel periodo pure Enzo Santapaola venne in discoteca dove io lavoravo”, ha dichiarato il collaboratore barcellonese. “Come rapporti criminali lo incontrai un’unica volta a Messina. Io, mio fratello Carmelo insieme a Nino Calderone detto Cajella e Aurelio Micale detto Chiocchioci recammo a Messina. Io ero con un’altra macchina da solo, una Fiat Punto, perché in quella macchina portavo una pistola, avevo una calibro 9 che la tenevo nel cruscotto e loro, se non mi sbaglio, erano con la macchina di mio fratello, una Fiat Bravo. Quando arrivammo lì, scese mio fratello dalla macchina, eravamo in mezzo alla strada e parlò con Enzo Santapaola. Poi venne mio fratello nella mia macchina e mi chiese di dargli la pistola. Io gli diedi la calibro 9 e lui la diede a Enzo Santapaola. Poi mio fratello Carmelo mi disse che Enzo Santapaola aveva cercato un’arma e per questo gli diede una calibro 9 come quelle che hanno in dotazione le forze dell’ordine. Il motivo per cui noi ci recammo a Messina è perché noi dovevamo sostenere Masino Calì, un venditore di carne di Olivarella. Ora non mi ricordo se lui aveva un credito nei confronti di Enzo Santapaola o viceversa; in pratica a questo Masino Calì avevano rubato un furgone e si pensava che fosse stato Enzo Santapaola oppure qualcuno vicino a loro. Noi prendevamo le parti di Masino Calì però mio fratello era in buonissimi rapporti con Enzo Santapaola, anche per questo gli diede la pistola. Enzo Santapaola vendeva carne e Masino Calì aveva la macelleria ad Olivarella e quindi loro due avevano questo tipo di rapporti. Non ricordo come finì la questione, però ne parlai in carcere al Pagliarelli anche con Aurelio Micale tra il settembre del 2013 e il maggio del 2014. Eravamo nella stessa cella, la numero 10 al secondo piano. Io ero detenuto per l’operazione Pozzo 2 e Gotha 1 avvenuta il 24 giugno del 2011 mentre Aurelio Micale era detenuto per Gotha 4 dal luglio 2013. Micale mi disse che quella volta noi eravamo andati là perché c’era stato il furto di un furgone che era di proprietà di Masino Calì e che si pensava fosse stato Enzo Santapaola o qualcuno vicino a lui… Quando eravamo in cella, comunicavamo la maggior parte delle volte con dei bigliettini, ci scrivevamo dei bigliettini e poi io li strappavo e li buttavo nel water. Facevamo in questo modo perché avevamo paura che eravamo intercettati, che ci fosse qualche microspia in cella. Alcune volte parlavamo in cortile con parole spezzate oppure ci mettevamo la mano davanti perché io avevo sempre paura che venivamo ripresi, che ci potevano leggere il labiale e quindi agivamo così”.
Assegni in prestito con le vincite al Superenalotto
Francesco D’Amico si è poi soffermato sul noto costruttore di origini milazzesi Biagio Grasso, anch’egli collaboratore di giustizia oggi e testimone chiave nei principali processi peloritani su mafia-politica-affari. “Biagio Grasso so che lavora a Messina, fa investimenti in questa città, ha realizzato un complesso immobiliare sul Torrente Trapani”, ha raccontato D’Amico junior. “Ho avuto rapporti con Biagio Grasso fino al 2010 sicuro, 2010-2011, fino a quando non hanno arrestato me…. Ricordo che mio fratello Carmelo mi disse in un colloquio nel 2009 nel carcere di Messina, che dietro al quadro a casa sua c’era un assegno nascosto di trentaquattromila euro. Questo era un assegno che Biagio Grasso aveva dato a mio fratello Carmelo perché il Grasso gli doveva dare dei soldi. Non lo so di che cosa erano quei soldi, non so se appartenevano ai lavori del centro commerciale Carrefour di Milazzo o altri lavori, forse erano soldi di estorsione del Carrefour, non lo so questo (…) Io poi mi incontrai con Biagio Grasso, ma intanto ne parlai con Salvatore Puglisi, un imprenditore vicino alla nostra organizzazione. Sapevo che il Puglisi era in buoni rapporti con Grasso perché facevano dei lavori insieme e si dovevano comprare anche un tabacchino a San Biagio che però poi non hanno comprato forse perché non si sono aggiustati con il prezzo. Quando lo incontrai, Puglisi mi disse: Questi sono soldi di tuo fratello. E io gli dissi: Lo sa mio fratello Carmelo. Mi incontrai con Biagio Grasso e gli dissi di questo assegno. Ricordo che lui mi riferì che aveva problemi a pagare. Ci incontrammo diverse volte con lui. Noi dovevamo comprare delle case all’asta, delle case di Milazzo e le dovevamo comprare insieme. Io diedi cinquantasettemila euro a Biagio Grasso in contanti in diverse volte perché dovevamo acquistare queste case, però poi non le abbiamo acquistate più e infatti lui mi diede i soldi indietro e mi diede anche un camion. Ricordo che lui mi diede prima due assegni di cinquantamila euro ciascuno, centomila euro in tutto , e mi disse che nel momento in cui gli assegni scadevano, io glieli ridavo indietro e lui mi dava i soldi. Questi assegni erano della sua ditta. I cinquantamila euro che avevo consegnato a Grasso io li avevo presi e lo dissi anche a Grasso: Lo sai, ho fatto cinque al Superenalotto e questi sono soldi miei, non c’entra niente con l’organizzazione. Perché avevo fatto 5 al Superenalotto e gli ho dato questi soldi”.
“Ci siamo conosciuti personalmente in quella circostanza con lui”, ha precisato Francesco D’Amico. “A Grasso lo conoscevo già tramite mio fratello Carmelo; mi ha fatto una buona impressione e quindi abbiamo… Io lo conoscevo anche tramite dei lavori che stavo facendo a Messina, lavori che mi diede il costruttore Salvatore Pettina e in cui c’entrava anche Biagio Grasso. Si trattava praticamente di appartamenti. Io ho fatto quaranta appartamenti per quanto riguarda l’impianto elettrico e poi ne doveva costruire altri settanta proprio a fianco di Salvatore Pettina, un imprenditore originario di Patti. Poi i lavori furono bloccati, ma non mi ricordo il motivo adesso, forse non poteva costruire là, problemi comunali, una cosa del genere. Questo complesso si trovava sul Torrente Trapani, passando dall’autostrada si vedevano proprio. Non so se abbia realizzato direttamente questo complesso ma comunque Grasso era in affari insieme a Pettina per la sua realizzazione. So che ha preso da Pettina un appartamento e che poi lo ha restituito; a questo proposito ricordo che Pettina mi disse che Grasso gli aveva detto che quello che comandava ora a Barcellona ero io. Io smentii queste cose, perché io a Pettina non facevo sapere niente di quello che facevo. Noi parlavamo soltanto di lavori di impianti elettrici, del resto non mi fidavo di fargli sapere altro. Invece era vero che io avevo preso il posto di mio fratello… Pettina mi diceva pure che quando faceva dei lavori o faceva fare dei lavori a lui, Biagio Grasso era un tipo che non pagava a nessuno. Mi ha detto: Anche a quello che gli ha messo l’asfalto non ha dato i soldi”.
“Per quello che mi diceva mio fratello Carmelo, lui e Biagio Grasso erano in buoni rapporti. Carmelo in pratica ha fatto dei lavori anche al Carrefour, quindi quei lavori li prese anche Salvatore Puglisi. Quando parlai con mio fratello Carmelo mi parlava come se fosse una persona vicina alla nostra organizzazione. Se non ricordo male, Grasso fu comunque vittima di atti intimidatori. In pratica a Grasso gli hanno messo delle cartucce di pistola dove lui aveva l’ufficio a Giammoro. Mi dissero che aveva denunciato questa cosa, cioè non è che me lo dissero, io l’ho letto sul giornale che gli avevano messo dei colpi di pistola. E poi me lo disse anche lui che non sapeva chi lo avesse fatto. Io lo registrai perché ebbi paura che lui mi potesse denunciare, nel senso che poteva dire qualcosa contro di me. In quel colloquio a Grasso ho detto la verità, che quelli non erano soldi dell’organizzazione e che erano quelli che avevo fatto al Superenalotto. Che dovevamo comprare la casa, queste cose qua… Sono ancora in possesso di questa registrazione e anzi ho conservato l’intero registratore nascondendolo a casa mia a Barcellona in una cassetta di derivazione della luce ubicata nel bagno della stanza di mia sorella. Io lo dissi agli inquirenti che si trovava là, non so se loro l’hanno poi recuperata oppure no”.
Nuove leve di estortori crescono
“Dopo questa vicenda, io, Aurelio Micale e Domenico Chiofalo ci portammo a Portorosa dove Biagio Grasso aveva una casa e gli mettemmo una bottiglia incendiaria con delle cartucce”, ha aggiunto Francesco D’Amico. “Fu fatto anche quest’altro atto intimidatorio perché Grasso perdeva tempo, mi doveva ridare i soldi, mi doveva dare trentaquattromila euro perché poi non avevamo fatto più niente e per questo feci questa cosa. Infatti poi lui mi diede un camion, io lo portai da Nino Rizzo e mi diede trentamila euro in contanti e poi mi diede la rimanenza dei soldi, ventisettemila euro. In pratica dopo l’arresto di mio fratello Carmelo avvenuto nel 2009, io presi il suo posto, quindi potevo decidere di prendere iniziative autonomamente. Ne parlavo soltanto con Giovanni Rao quando dovevo prendere qualche iniziativa importante, ma il resto facevo da me stesso. So che per il rinvenimento di queste cartucce Grasso fece una denuncia, io per questo avevo paura. Uscì anche un articolo sul giornale”.
Sottoposti al pizzo dei barcellonesi pure i titolari del centro commerciale Carrefour e gli imprenditori Presti di Terme Vigliatore. “Ho già dichiarato in altri processi che il Carrefour pagava a Carmelo Giambò, un nostro associato, la somma di duemila euro a festa a titolo di estorsione”, ha concluso D’Amico. “Prima del suo arresto me la disse mio fratello Carmelo questa cosa. Poi ne parlai pure con Ottavio Imbesi e lui mi disse: Guarda che sono diventati diecimila euro. Era cioè diventata questa somma (…) Ho poi conosciuto Rosario Presti, quello della ditta Presti di Terme Vigliatore, sono padre e figlio. Sono imprenditori che pagavano l’estorsione ad Ignazio Artino. Allora Artino mi diceva che Rosario Presti pagava duemilacinquecento euro, non mi ricordo se era per tutte e tre le feste o per due feste. Se ne occupava lo stesso Ignazio Artino che è stato ucciso nel 2011…”.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 30 maggio 2019, http://www.stampalibera.it/2019/05/30/beta-in-scena-i-pentiti-micale-e-damico/?fbclid=IwAR2j5vLQKgUElu6c3YlRdCvrZdZN_wj3Nt-Ncb_AyDEzaCoTQ0pXXwmRxc0

Processo Terzo livello. Per cinquemila euro alla tua casa popolare ci penso io…

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La tariffa standard per una spinta per poter cambiare il proprio alloggio popolare nel Comune di Messina? Cinquemila euro secondo quanto ha raccontato ai giudici del processo Terzo livello il collaboratore di giustizia Vincenzo Nunnari. Sempre secondo Nunnari, c’era pure chi poteva intercedere per sbloccare le pratiche per la meritata pensione di reversibilità, in cambio stavolta, del 20% delle somme ottenute. In verità, il racconto del collaboratore non sempre è apparso lucidissimo e non sono mancate le contestazioni del Pubblico ministero e di alcuni degli avvocati difensori. Vincenzo Nunnari, tuttavia, ha ribadito quanto in passato aveva riferito agli inquirenti: negli ambienti criminali si sapeva di poter contare anche sul pregiudicato Marcello Tavilla per incontrare qualche politico di punta della città capoluogo dello Stretto. E quando lo stesso Nunnari avrebbe chiesto a Tavilla un aiuto per un paio di alloggi popolari ed una pensione negata, il pregiudicato, in cambio di denaro, gli avrebbe presentato l’allora consigliere comunale di Forza Italia Giuseppe “Pippo” Capurro (oggi imputato eccellente al processo Matassa sui presunti sostegni elettorali delle cosche peloritane – il Pm ne ha chiesto la condanna a due anni e sei mesi) e l’ex Presidente del consiglio (prima Pd, poi Forza Italia) Emilia Barrile, imputata chiave del Terzo livello.
“Io non credo che facevo parte di un gruppo criminale, ma di un gruppo di rapinatori”, ha esordito Vincenzo Nunnari in udienza. “Io la carcerazione l’ho avuta quando avevo 17 anni, mi hanno arrestato per un tentato omicidio perché ho sparato ad uno. Ho fatto tre mesi e mezzo e sono uscito. Mi hanno arrestato dopo qualche anno per estorsione. Poi per rapina, poi ancora per estorsione. L’ultima carcerazione ce l’ho avuta nel 2003 per tentato omicidio a Giuseppe Leo; ho preso dodici anni e ne ho fatto sette. Sono uscito nel 2009 e poi sono stato arrestato un’ultima volta nel 2017 per rapina. Ho deciso di collaborare con la giustizia per un cambiamento di vita e poi per l’età che avevo, molto avanzata, ed ero stanco. Non è stata una scelta molto facile, ma alla fine ho scelto di dare un senso alla mia vita”.
A domanda del Pm Fabrizio Monaco su una sua eventuale conoscenza di vicende relative all’assegnazione di case popolari a Messina, il teste ha risposto: “Qualcosa di assegnazione sì, conoscevo qualcuno che si interessava di case popolari. Era Giuseppe Capurro, un ex consigliere comunale. Lui era indaffarato all’Istituto Autonomo Case Popolari. Mi è stato presentato da Marcello Tavilla; io l’avevo interessato per mia figlia per farle cambiare casa, essendo che c’ho una figlia disabile e dov’era lei non ci poteva stare. Lei abita in una casa popolare a Zafferia che è nell’acqua, umida, una casa piccolina, non ci si può muovere e voleva un alloggio decente per gli invalidi. Marcello Tavilla me l’ha presentato e Capurro s’è messo a disposizione però ha chiesto cinquemila euro per questo. Marcello Tavilla, rivolgendosi a Capurro, mi disse: Va be’, il cambio te lo faccio fare, gli dobbiamo dare cinquemila euro a Capurro. Io ho detto: Va be’, fai quello che devi fare che poi i cinquemila casomai te li do. Ho domandato a Marcello: Ma come mai mi ha chiesto…?Ma perché glieli dobbiamo dare? E Marcello dice: Lui è un amico nostro e se le cose vanno bene qui all’Istituto Autonomo Case Popolari, non c’abbiamo problema. Gli ho detto io: Ma non c’è più problema per che cosa?A me che mi entra? E lui risponde: No, sono cose nostre. Cioè erano cose di lui, Tavilla, e di Capurro. E delle persone che aveva vicino Capurro”.
“Marcello Tavilla mi ha spiegato che il Capurro aveva grosse conoscenze nell’Istituto Autonomo Case Popolari e che avevano delle cose in programma, cose grosse”, ha aggiunto Nunnari. “Poi io non sono andato nei particolari con Tavilla per sapere quello che faceva o non faceva. Però m’ha detto che era messo, lui, in una situazione che stavano facendo un progetto che avevano tra di loro e se le cose andavano bene, problemi per gli amici non c’erano più. Marcello Tavilla era una persona che prima era affiliato con mio fratello Gioacchino; era anche un amico mio, un amico che conosco da tanti anni. Con Tavilla eravamo nella stessa squadretta io e lui, con mio fratello, in quanto facevamo rapine insieme. Poi quando è uscito dal carcere si è messo con un’altra persona, con un altro clan. S’è messo con il clan di Carmelo Ventura detto Carmileddu, abita a Camaro Superiore, lui è il boss che c’è lì a Camaro. Però Marcello era sempre amico mio e ci vedevamo sempre. Se dovevamo fare qualche lavoro lo facevamo insieme, ogni tanto…”.
Nel corso della sua deposizione, Vincenzo Nunnari ha ammesso di avere incontrato, sempre tramite Marcello Tavilla, pure l’allora Presidente del consiglio Emilia Barrile. “Praticamente c’era la mamma della mia convivente di allora, Nunzia Panarello, che doveva prendere dei soldi arretrati di pensione di suo marito che gli era morto e, poveretta, era disperata”, ha riferito il teste. “Il marito lavorava all’ospedale come infermiere e lei doveva prendere centomila euro di reversibilità perché dopo che il marito era da tanti anni che era morto non gliel’avevano dati. La mia convivente l’ha detto a me. Le ho detto: Guarda, adesso parliamo con Marcello e vediamo quello che si può fare. Ho parlato con Tavilla e lui mi ha dato appuntamento al Municipio. Mi ha presentato la signora Barrile e gli ho esposto il caso e ho detto alla signora: Va be’, gli faccia avere tutti gli ordinatici a Marcello e poi ci sentiamo. L’ho salutata e mi sono allontanato un pochettino e Marcello ha parlato alla signora. Poi Marcello mi ha detto: Vedi, se quella somma di arretrati che deve prendere sono centomila euro, ventimila euro li dobbiamo dare alla Barrile. Gli dissi: Ma te li ha chiesti lei? E Lui: Li dobbiamo dare alla Barrile. Gli ho detto: Va bene. Io poi ho riferito alla mia convivente e lei ha parlato con sua madre. Sua madre disse: No, ventimila euro non glieli do, mi rivolgo all’avvocato e vediamo se posso recuperare i soldi lo stesso. E questo è stato l’unico abboccamento che ho avuto con la Barrile, su questi fatti. Ciò è accaduto prima che mi arrestassero, 2014 o 2015, non mi ricordo veramente le date bene, ma era in questi periodi”.
“Alla conversazione in cui abbiamo parlato per quanto riguardava l’interessamento per recuperare questi soldi di arretrati, di accelerare questa pratica, io ero presente”, ha ribadito Nunnari. “Ma la richiesta di soldi, se la Barrile gli ha detto: Dammi questi ventimila euro su cento, questo a me l’ha detto Marcello, non me l’ha detto la Barrile. Io questo non l’ho sentito, posso giurare davanti a Dio che non l’ho sentita questa cosa. Queste cose Marcello Tavilla me le disse subito dopo che ha lasciato lei. Anzi, addirittura, ricordo che m’ha detto: La Barrile è un’amica degli amici e può arrivare in tutti i posti e ventimila euro glieli dobbiamo dare. Io risposi: Ohi Marcello, riferirò, tutto qua. La signora Barrile disse che lei aveva conoscenze per fare questa situazione, cioè per fargli avere questi arretrati di pensione… Poi come faceva non lo so e non so l’ufficio dov’è che andava lei… Qualche conoscenza, qualche pezzo grosso, qualcuno in alto come ha detto Marcello, ma io non so dove lei si interessava a parlare. Non ho chiesto dettagli, però Marcello voleva i dati della signora per darli alla Barrile. E poi il resto se la vedevano loro”.
Quanto riferito da Vincenzo Nunnari non ha del tutto convinto il Pubblico ministero che ha voluto leggere in aula quanto lo stesso collaboratore aveva verbalizzato agli inquirenti nel corso di un interrogatorio del 27 settembre 2017: Aggiungo che una volta mi recai al Comune in compagnia di Marcello Tavilla per incontrare la Barrile, Presidente del Consiglio Comunale, per chiedere un interessamento di costei per l’assegnazione di una casa popolare alla madre della mia convivente. Mia suocera, tra l’altro, era in attesa di ricevere delle somme di denaro quali arretrati di pensione. Tavilla mi presentò alla Barrile al Municipio, in un corridoio dove c’è il bar, e le chiesi un interessamento per la madre della mia ex convivente. Io poi mi allontanai, li lasciai parlare, perché lo stesso Tavilla mi disse di allontanarmi. Tavilla parlò ancora con la Barrile in disparte e dopo mi disse che ella aveva assicurato il suo interessamento per l’assegnazione della casa popolare, in cambio della somma di cinquemila euro (…) Quanto all’incontro con la Barrile, Tavilla la contattò per telefono davanti a me, per avere l’appuntamento. Questo fatto è accaduto circa due anni fa… “Sì che lo confermo, certo che lo confermo, assolutamente sì”, ha risposto Vincenzo Nunnari dopo la contestazione del dottore Fabrizio Monaco. “Le cose non me le sono inventate… Però abbiamo parlato anche con Capurro di questa cosa, abbiamo parlato con tutte e due persone, signor Giudice. Anche per la casa ci siamo rivolti alla Barrile... Abbiamo parlato perché anche la mamma della mia convivente voleva fare un cambio con un’altra casa popolare vicino, perché lei in quella casa a Zafferia non voleva stare che aveva dei problemi. Voleva cambiarla perché là sopra c’era molta delinquenza, gli scassinavano sempre la casa, gli facevano dispetti e voleva una casa nella parte di Gazzi, quelle case dove c’è il campo sportivo. E poi voleva abitare vicino sua figlia a Gazzi (…) Con la Barrile, in quella circostanza in cui ci siamo visti, abbiamo parlato sia del fattore della casa e sia per la pensione della mamma della mia convivente. Ricordo tra l’altro che quando gliel’ho detto, Marcello Tavilla ha contattato la Barrile per telefono. Tre volte l’ha chiamata. All’indomani o dopo qualche giorno da questo contatto l’abbiamo incontrata al bar al Comune. Quel giorno, non mi scordo mai, la Barrile aveva i capelli biondi ed un giacchettino giallo. Non lo so se ci furono poi dei contatti telefonici tra la signora Barrile e Tavilla, perché quando si sono lasciati gli ha detto ci sentiamo ed ho visto Marcello che gli ha fatto segno con la mano così, ci sentiamo, ma per telefono. Poi non so come si sono sentiti perché io con Marcello per quanto riguardava questo fatto qua, non mi sono interessato più, perché alla signora i soldi non interessavano più. Cioè lei diceva: Io non pago soldi. Poi per la sua casa non ci sono andato più e siamo invece andati la seconda volta per parlare per mia figlia e non abbiamo parlato più della signora, ma non più con la Barrile, ma con Capurro. Però una cosa è certa, che Marcello Tavilla ha detto a me: Se le cose vanno bene qua al Comune, ci sistemiamo tutti. Perché Capurro si faceva forza con Carmelo Ventura, che avevano le mani dentro gli uffici dell’Istituto Autonomo Case Popolari”.
“Poi non se n’è parlato più con la Barrile per il cambio di casa”, ha concluso il collaboratore. “Con la Barrile si è parlato soltanto della pensione e poi non s’è parlato più nemmeno di quella. Per quanto riguarda mia figlia, ne abbiamo parlato sia con la Barrile sia con Capurro, per la casa. Per mia figlia ci volevano questi soldi. Poi, io, siccome convivevo con la signora Panarello, non mi sono interessato più e mia moglie mi ha detto: Hai parlato con Marcello? Ed io: Sì, ho parlato, mi ha detto che ci vogliono cinquemila euro, ed i cinquemila euro glieli dava se faceva cambio. Poi non s’è fatto niente, mi hanno arrestato e di questa cosa non mi sono potuto più interessare. Però, a tutt’oggi, ancora la mia figlia cambio non ne ha fatto. Gli hanno detto no (…)  La richiesta di somme di denaro l’ha fatta Capurro…”.

L’allegra gestione AMAM Messina ai tempi di Leonardo Termini, Emilia Barrile & C.

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Un’inchiesta sulla presunta malagestione degli affidamenti lavori e servizi dell’Amam - Azienda Meridionale Acque Messina poi confluita nel processo al cosiddetto Terzo livelloche vede imputato anche l’allora presidente del Consiglio di amministrazione Leonardo Termini (un tempo vicino agli ambenti della destra peloritana poi però professionista di fiducia dell’amministrazione guidata dal sindaco Renato Accorinti). Al centro dell’indagine innanzitutto il modus operandi di una piccola “cooperativa” di pulizie controllata da un’altra imputata eccellente del processo, l’ex Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile (già Pd, poi Forza Italia) e i cui soci e dipendenti sono stretti congiunti dell’esponente politica. E poi i continui pressing della Barrile sul presidente Termini per sbloccare i pagamenti Amam a favore di alcune ditte “amiche”, sempre le stesse ad essere beneficiarie di cottimi fiduciari.
Di tutto questo ha parlato all’ultima udienza del processo il vicequestore Fabio Ettaro (attuale dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Taormina), che ha coordinato le attività investigative sull’azienda che sovrintende alla fornitura idrica nella città capoluogo dello Stretto. Un’inchiesta scaturita da due esposti: il primo fu presentato dall’allora sindaco Accorinti insieme al Movimento Cambiamo Messina dal Basso; il secondo, qualche giorno dopo, dall’ingegnere Sergio De Cola, assessore comunale all’Urbanistica. I due esposti erano del tutto simili nei contenuti tranne per un particolare di non poco conto: in quello dell’assessore non c’era infatti alcun riferimento alla cooperativa di Emilia Barrile & family. Al contrario, il dossier del sindaco e del gruppo politico di riferimento riservava alla coop un ampio capitolo. E nel presentarsi in Procura per depositare l’esposto, l’ingegnere Sergio De Cola si era fatto accompagnare da Leonardo Termini, il cui operato da presidente Amam era stato stigmatizzato proprio dal Movimento pro-amministrazione.
Quei bandi fotocopie per le ditte dei soliti amici
“L’attività di indagine svolta dalla sezione di polizia giudiziaria all’epoca in cui io mi trovavo a dirigerla, si colloca temporalmente nel 2016-2017 e prendeva l’avvio da una delega della Procura della Repubblica di Messina a seguito di una denuncia presentata autonomamente nell’estate 2016 dall’allora assessore comunale Sergio De Cola che recepiva un dossier riguardante il sistema di appalti dell’Amam presentato dal Movimento Cambiamo Messina dal Basso”, ha esordito il vicequestore Fabio Ettaro. “A seguito di questa denuncia ci si affidava l’acquisizione di tutta una serie di atti riguardanti affidamenti di appalti e servizi da parte dell’Amam nel periodo dal 2014 al 2016. Essenzialmente per verificare se vi fossero alcune delle anomalie segnalate nel dossier presentato in Procura e che riguardavano la gestione esclusiva di alcuni servizi da parte di alcune ditte… Si procedeva quindi a fare dapprima uno screening di tutta la documentazione sentendo preliminarmente naturalmente il dirigente generale facente funzioni pro tempore che era l’ingegnere Francesco Cardile e il consigliere pro tempore Leonardo Termini”.
“Nella prima fase d’indagine l’attività è stata appunto l’escussione di testi”, ha aggiunto l’inquirente. “E’ stata fatta inoltre un’analisi molto particolareggiata di tutti gli affidamenti nel periodo 2014-2016 sia per quanto riguarda i servizi tradizionali gestiti dall’Amam e quindi mi riferisco soprattutto alla manutenzione dell’acquedotto e della condotta fognaria, e sia per alcuni servizi che nel corso del tempo sono stati gestiti da fornitori aventi peculiari caratteristiche, come per esempio la pulizia, servizi complementari e quello di riscossione dei crediti da parte della Fire Group. Insomma, un’attività ad ampio spettro che riguardava in generale le procedure di scelta del contraente da parte dell’Amam. Sostanzialmente quello che si è riscontrato è stato un aspetto già segnalato nell’esposto, cioè l’eccessiva frammentazione dei servizi, nonché le modalità di affidamento che in genere andavano da quello diretto al cottimo fiduciario e, in misura minore, alla somma urgenza e alla procedura negoziale, mentre raramente si è proceduto a pubblico incanto”.
La coop targata Emilia Barrile
Nel corso della sua deposizione, il vicequestore Ettaro si è poi soffermato sui rapporti tra l’Azienda Meridionale Acque Messina e la cooperativa Universo e Ambiente di Emilia Barrile. “Si è riscontrato che dal 2013 al 2016 sono state affidate ad essa sei servizi dall’azienda”, ha dichiarato. “In particolare nel 2013 la Universo e Ambiente ha avuto affidato il servizio denominato 361 CA, di manutenzione ordinaria e straordinaria delle fontane monumentali di Messina. Sempre nel 2013 c’è l’affidamento 370 AD, lavori di scerbatura e pitturazione degli impianti idrici e fognari del comune di Messina, zona sud. Nell’anno 2014 l’affidamento 416 CA: servizio di pulizia degli immobili dell’Azienda Meridionale Acque Messina S.p.A. (biennio 2014-2015). A partire dal 2014 fino al 2016 è stato svolto in modo ininterrotto il servizio di pulizia; allo scadere di questo, abbiamo l’affidamento 485 CAche riguarda appunto il medesimo servizio relativo agli anni 2016-2017”.
“Per quanto riguarda le procedure di scelta della cooperativa Universo e Ambiente abbiamo riscontrato che si è trattato sempre di affidamenti diretti e di cottimi fiduciari”, ha aggiunto Fabio Ettaro. “In alcune circostanze veniva prorogato un servizio che le era stato già affidato. In altre invece c’erano delle procedure di gara in cui veniva invitato un certo numero di ditte. Per quanto riguarda gli accertamenti fatti sulla cooperativa si è riscontrato altresì che nel periodo di interesse essa aveva sede a Messina in via Francesco Todaro, 11. Questi affidamenti erano stati stigmatizzati anche nel dossier a cui ho fatto riferimento e vi erano state anche notizie di stampa che riguardavano queste vicende. In pratica, le notizie riguardavano la riferibilità della cooperativa in questione all’allora Presidente del Consiglio Comunale Emilia Barrile. In particolare questa notizia era comparsa il 4 agosto 2016 sul quotidiano online Stampalibera.it (l’articolo, dal titolo Messina, il ‘sistema’ Amam. Ecco le ditte degli appalti milionari, riportava in verità quanto pubblicato dalla Gazzetta del Sud sull’esposto presentato in Procura da Cambiamo Messina dal Bassoin cui si documentava il “condizionamento politico” di Emilia Barrile sulla cooperativa NdA). Si faceva appunto riferimento alla composizione societaria della cooperativa e ai rapporti di parentela esistenti tra i suoi componenti ed Emilia Barrile. Abbiamo verificato la veridicità delle notizie contenute in questo articolo, sia sulla composizione societaria e sia effettuando dei riscontri circa i rapporti di parentela tra i componenti della cooperativa e il presidente Barrile. Per quanto riguarda la composizione societaria, amministratore unico all’epoca risultava Giovanni Luciano, responsabile tecnico Adamo Margherita. Emergeva in particolare la sussistenza di rapporti di parentela tra la Barrile e Giacomo Crupi che era stato amministratore unico della Universo e Ambiente dal 18 giugno 2012 all’11 gennaio 2016. Da questi accertamenti emergeva peraltro che Giacomo Crupi è coniugato con Carmela Ciraolo che è cugina della Barrile per parte di madre, infatti le rispettive madri sono sorelle. Inoltre si accertava che per brevi periodi, le due figlie della Barrile, Rosaria Triolo e Stefania Triolo, avevano saltuariamente prestato servizio per la cooperativa. Questa notizia è stata riscontrata tramite accertamenti sulle banche dati dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, per quanto riguarda Rosaria Triolo risulta aver lavorato per quarantadue giorni dal maggio al luglio del 2011 con una retribuzione complessiva di 3.412 euro e cinque giorni nell’agosto del 2010 per 245 euro. Stefania Triolo ha lavorato sei giorni nel marzo del 2010 per euro 73 e ottantacinque giorni da settembre a dicembre 2011 per un totale di euro 3.782. Infine 208 giorni da gennaio ad agosto del 2012 per euro 11.136”.
Una manina per la riscossione crediti
Secondo il vicequestore Ettaro, non sarebbe stata solo la cooperativa Universo e Ambiente a beneficiare di certa sospetta benevolenza da parte della direzione Amam. “Abbiamo accertato che anche tutta una serie di altre ditte nel periodo 2014-2016 avevano ottenuto l’affidamento di numerosi servizi e mi riferisco in particolare alla ditta Celesti, alle ditte riferibili a Barillà, alla ditta Sottile, alla ditta riferibile ai fratelli Micali”, ha riferito Ettaro. “Uno schema si è ripetuto sistematicamente nel tempo cioè la proroga dei servizi alla scadenza del termine previsto per l’affidamento, il che provocava in genere l’effetto di utilizzare completamente le somme a disposizione dell’amministrazione che corrispondevano alle percentuali di detrazione sull’importo di gara che le ditte stesse avevano presentato e che avevano consentito di vincere le rispettive gare e ottenere gli affidamenti. Dalla documentazione esaminata non sono emerse delle motivazioni precise che inducevano di volta in volta l’ente a non bandire per tempo le gare. Anzi talvolta abbiamo riscontrato che dei bandi di gara venivano annullati senza alcuna motivazione esplicita”.
“Per quanto riguarda i rapporti dell’Amam con la società Fire, quest’ultima ha gestito ininterrottamente il servizio di recupero crediti per conto dell’azienda dal 2004 sino al 2015 allorché si è poi deciso di interrompere questo rapporto e internalizzare il servizio stesso”, ha aggiunto il teste. “Il primo contratto venne sottoscritto tra il legale rappresentante della Fire, Sergio Bommarito, e l’ingegnere Luigi La Rosa che era all’epoca direttore generale e lo è stato fino al 2015. In fase di indagine abbiamo riscontrato che a seguito dell’interruzione dei rapporti è stato avviato un contenzioso con reciproche rivendicazioni e in particolare da parte della Fire che vantava un credito di circa un milione e duecentomila euro. Ovviamente effettuava delle pressioni per ottenere il pagamento delle fatture in particolare sul presidente Leonardo Termini. Questa circostanza emerge soprattutto dall’acquisizione di tutta la documentazione contabile e fiscale presso Amam che dimostra l’effettività di questa situazione e inoltre dalle stesse dichiarazioni di Termini. Tra l’altro anche in questo caso sono stati effettuati dei riscontri per verificare alcune propalazioni del Termini riguardanti un’ingerenza del Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile. Questo spunto emerge dalla documentazione consegnataci dal Termini il 16 settembre 2017. In particolare si tratta degli atti inerenti la gara n. 446. Con questa delibera del 5 giugno 2014, l’Amam aveva deciso di avviare le procedure di gara per un nuovo affidamento del servizio di riscossione volontaria, concordata e coattiva dei canoni per consumi idrici nei confronti degli utenti morosi. In relazione a tale gara, il 12 ottobre 2014 l’avvocato Carmelo Pietro Russo, in nome e per conto di Assoservizi S.r.l., società a supporto della pubblica amministrazione che poi si è verificata essere una delle partecipanti alla procedura di gara, trasmetteva alla Amam, all’Urega, al Sindaco e al Presidente del Consiglio Comunale di Messina copia del quesito del precontenzioso depositato all’Anac, richiedendo contestualmente all’azienda di astenersi dalla prosecuzione di una procedura di gara sulla quale si rilevano perspicue questioni di illegittimità. La nota veniva inviata all’amministrazione comunale con la seguente motivazione: Atteso che l’Amam è una società in house del Comune di Messina, la stessa amministrazione è tenuta, nell’esercizio dei poteri di controllo, ad intervenire direttamente per porre rimedio all’illegittimità eventualmente posta in essere dalla controllata Amam. A seguito di tale nota, pervenuta al Comune di Messina il 13 ottobre 2014, il Presidente pro tempore del Consiglio Comunale, appunto Emilia Barrile, con nota n. 237553 dello stesso 13 ottobre 2014, invitava l’Amam - a tutela dell’amministrazione comunale - ad adoperarsi per la sospensione della procedura di gara in attesa del parere dell’autorità competente. Su questo intervento è stato posto uno specifico quesito al Segretario generale del Comune di Messina (al tempo il dottore Antonio Le Donne, Nda) il quale specificava che esso esulava dai poteri del Presidente del Consiglio comunale. Amam acquisiva dei pareri legali, in particolare quello dell’avvocato Mario Caldarera del 13 novembre 2014 e quello dell’avvocato Alessia Giorgianni del 12 dicembre 2014. Entrambi si pronunciavano a favore della prosecuzione della procedura di gara confermando la legittimità e correttezza del bando. Nonostante fossero intervenuti questi pareri, l’Amam decideva di sospendere la procedura con deliberazione del Consiglio di amministrazione n. 26 del 21 agosto 2015 e con la stessa veniva prorogato il servizio alla Fire fino al 31 dicembre 2015. I componenti del CdA del tempo erano Leonardo Termini, Grazia Antonella De Tuzza e Anna Spinelli Francalanci (il nuovo Cda era stato nominato il 15 giugno 2015 con decreto n. 15 del sindaco Renato Accorinti “riconosciute le competenze e le professionalità desunte dai rispettivi curricula vitae” - NdA)”.
Il vicequestore Fabio Ettaro ha poi esposto le modalità con cui sono state svolte le indagini per accertare la veridicità di quanto verbalizzato da Leonardo Termini nel corso degli interrogatori sostenuti nel periodo compreso tra il dicembre 2016 e il luglio 2017. “Al fine di riscontrare tutta una serie di circostanze indicate dal Termini, è stato acquisito lo smartphone dello stesso Termini ed è stata conferita una consulenza informatica all’ingegnere Daniele Muscarella il quale ha realizzato una copia di backup del contenuto dello smartphone, successivamente analizzato dal personale della sezione”, ha riferito il teste. “Dall’audizione di Leonardo Termini emergono alcuni spunti investigativi. Ci concentriamo in particolare su una serie di interventi indebiti che, stando alle dichiarazioni dello stesso Termini, sarebbero stati effettuati dal presidente Barrile. I riscontri riguardavano la serie di ditte che sarebbero state favorite nell’affidamento di alcuni servizi o nel pagamento di crediti vantati nei confronti di Amam. Abbiamo riscontrato l’esistenza di questi crediti e, dall’esame del contenuto del cellulare di Termini, l’esistenza di tutta una serie di rapporti e interventi per favorire alcune ditte. Un riscontro secondo noi di assoluto rilievo riguarda l’affidamento di un servizio di manutenzione del depuratore della zona di Santo Saba alla ditta Gullifa. Per questa gara di appalto ci sono una serie di chat e registrazioni vocali intervenute tra soggetti come Gaetano Celesti detto Tiberio e Barillà, titolari di ditte fornitrici di Amam; di dipendenti di Amam, in particolare Antonino Cardile, e alcune conversazioni in cui interveniva Emilia Barrile e si faceva riferimento ad un interessamento da parte della stessa in favore della ditta Gullifa. Nella cartella di messaggistica Apple, noi troviamo il contatto email di Barrile e una serie di messaggi intercorsi con Leonardo Termini, in particolare quelli dell’1 febbraio 2016 e dell’8 novembre 2016. In quello del primo febbraio, la Barrile scrive a Termini: Sei stato una delusione. In quello dell’8 novembre: Vedo e capisco, ti ringrazio della grande considerazione che hai nei miei confronti, stai sicuro che non ti cerco più e gradirei se cancelli il mio numero. Da adesso in avanti per me ci saranno solo ed esclusivamente rapporti istituzionali se saranno necessari altrimenti neanche più quelli. Ti auguro buona fortuna presidente. Dopodiché intervengono tutta una serie di contatti, per esempio con Cardile e ancora con Celesti che sono evidentemente altrettanti tentativi di ricomposizione della situazione di attrito tra Barrile e Termini. Questa situazione si verifica nel novembre 2016 e si suppone sia riferibile appunto all’affidamento del servizio di manutenzione del depuratore di Santo Saba. Sostanzialmente, come emerge da altre registrazioni che sono state trovate sul telefonino, ci sarebbe stato un intervento della Barrile volto a favorire la ditta Gullifa che doveva ottenere l’affidamento di questo servizio. La procedura di gara doveva prevedere che l’invito fosse inoltrato esclusivamente a nove ditte, ma in realtà esso veniva esteso a ben venti ditte il che, alla fine, comportava sì l’affidamento alla ditta Gullifa ma con un ribasso sull’importo di gara molto superiore, per esempio, rispetto a quello dell’anno precedente, quando sempre la stessa ditta si era aggiudicata il medesimo appalto”.
Ripicche, stoccate e minacce di sfiducia al sindaco
Ettaro ha riferito che in una conversazione registrata da Leonardo Termini come file audio denominato 06cardilecelesti per gara Santo Saba ed altro e dallo stesso consegnato agli inquirenti il 14 luglio 2017, sono stati rilevati dei “passaggi molto espliciti” in cui gli interlocutori evidenziano il disappunto di Emilia Barrile per queste modifiche della procedura di gara. “Si parla di un esplicito accordo che la stessa Barrile aveva raggiunto con Francesco Gullifa”, ha riferito il vicequestore. “Ci sono state inoltre delle indicazioni date dal Termini sui rapporti esistenti tra Emilia Barrile e Gaetano Celesti, così come anche con altri titolari di ditte che forniscono servizi all’Amam. Ma ci sono anche delle tracce trovate sul cellulare di incontri o interventi volti ad una ricomposizione tra Barrile e Termini a seguito della rottura che si era verificata nel mese di novembre 2016 da parte del Celesti. Abbiamo un messaggio del 20 novembre 2016 di Antonio Cardile, un dipendente dell’Amam, che scrive a Termini: Non vuole parlare con te e poi tu sai come incontrarla. Questo mi ha detto. Questo messaggio è di due giorni successivi al messaggio della Barrile con cui la stessa rappresentava di non voler più rapporti con Termini. Poi abbiamo un messaggio del 19 novembre 2016 in cui Celesti scrive a Termini chiedendo se l’indomani potevano prendere un caffè insieme e sempre nella mattina del 19 novembre abbiamo un altro messaggio di Barillà che propone una ricomposizione con la Barrile. Sempre lo stesso giorno il Celesti scrive a Termini, invitandolo a raggiungerlo perché si trova in compagnia di Emilia. I due si scambiano altri messaggi dopodiché Celesti informa Termini di essere sotto la sua abitazione e Termini dice che sarebbe sceso. Successivamente Termini scriveva un messaggio alla compagna Elisa Ardizzone dicendo: Golpe e poco dopo Emilia e Celesti per il fatto che fossero sotto casa. C’è poi il file denominato 12 Celesti e Barrile: si tratta di un’altra conversazione registrata da Leonardo Termini il quale precisa che i suoi interlocutori sarebbero Emilia Barrile e Celesti. Anche in questa conversazione si ha modo di ascoltare questa voce femminile che parla della gara di Santo Saba. Dice espressamente: Come quella di Santo Saba, l’hai bloccata quella di Santo Saba? E Termini risponde: Gli ho detto che ci vogliono le… Che voglio tutte le ditte e cose varie. La donna: Non si può fare, gliela devi annullare di fatto. Uomo – dovrebbe essere il Celesti: Sì, però vedi che là è una patata bollente Santo Saba. La donna rivolgendosi a Termini: Sei consumato. Lui: Perché? Donna: Sei consumato, senti a me. Termini: E perché sarei consumato in tutti i sensi? Dimmi perché. E la donna: Stiamo facendo la sfiducia però tienitelo per te. Termini: Vero? Però io al posto tuo non lo farei. E la donna: Lo sto facendo io, la faccio firmare però a livello oggi lo dico e domani lo faccio. Termini: Io rifletterei. La donna: E su cosa? Che mi arriva un altro avviso di garanzia? Termini: Brava!”.
“In un’altra conversazione con Antonino Cardile, ad un certo punto Termini dice: Non sto dormendo, poi l’ho chiamato e basta, gli ho detto:Ora vedo se c’è Emilia. Dormo. Cardile domanda: Lei che vuole fare? (…) Lei non è d’accordo di farlo. Micali non faccia niente e gli dà una bella batosta, noi domani chiudiamo Santo Saba con il 40%. Lei fa così, gli dimostra…. Dice Termini: Io auguro, io sono sempre Leonardo Termini. Cardile: Allora, quando lei si avvale di queste persone, io sono d’accordo, bisogna favorirle, bisogna. Termini: Quali persone?Emilia. Cardile: Sono d’accordo, perché per me è mia sorella, però lei le sta dando dimostrazione oggi che domani chiude Santo Saba. E Termini: Sì, ma tu lo sai che quello che noi vogliamo fare è in contrasto con quello che vuole Emilia (…) Sempre per quanto riguarda i rapporti tra Leonardo Termini e Gaetano Celesti, in data 2 agosto 2017 c’è una conversazione autoregistrata da Termini, in cui ad un certo punto Celesti dice a Termini: Io dico è una proposta un po’ indecente, lo so, però siccome mi fido di te, te la sto facendo. E Termini: I soldi i tuoi sono, sono soldi tuoi. Celesti: Sì, però… scusa, scusa, io….E Termini: Lo so, ma voi come ve li scambiate, gli fate le fatture…”.
Il vicequestore Fabio Ettaro si è poi soffermato su alcune conversazioni che proverebbero le “cautele” adottate dall’allora Presidente del consiglio comunale per evitare possibili intercettazioni telefoniche. “C’è una registrazione che abbiamo rinvenuto nella casella memo vocali che conteneva sessantasette file audio, la numero 17, in cui si ascolta una registrazione tra Leonardo Termini ed Emilia Barrile. I due in un primo momento parlano di Elisa Ardizzone, successivamente Emilia Barrile dice che deve chiedergli una cosa e di lasciare il telefono. Poi si sentono i due scendere dall’autovettura, parlano all’esterno di essa e vi risalgono dopo cinque minuti. Prima che Emilia Barrile chieda di lasciare il telefono, Termini dice che sta facendo l’invito a tutti…”.
A domanda del Pubblico ministero se nel corso dell’attività investigativa fosse emerso l’eventuale pagamento di somme di denaro per ottenere gli appalti dell’Amam o per accelerare il pagamento delle fatture già presentate dalle ditte fornitrici, il vicequestore Fabio Ettaro ha risposto che questo aspetto, in particolare, è risultato con riferimento alla Fire. “In merito ad una propalazione del Termini è stata effettuata un’attività di indagine che riguarda sempre la Fire Group”, ha aggiunto. “Allora si è riscontrato che la figlia della Barrile, stiamo parlando di Stefania Triolo, è stata assunta per un certo periodo dalla Banca di Credito Peloritano di Messina, in particolare vi ha svolto servizio dal 26 gennaio 2015 al 27 aprile 2015 con un tirocinio formativo in convenzione con l’Università degli Studi di Messina. Dopodiché dal 4 maggio 2015 al 30 ottobre 2015 è stata assunta con contratto di lavoro a tempo determinato a seguito di esigenze collegate con l’assenza dal servizio per maternità di una dipendente della banca. Dalla documentazione consegnataci dalla banca si evince che nel primo periodo, ovvero in occasione del periodo formativo, la Triolo ha percepito 300 euro lordi mensili mentre nel periodo successivo ha percepito 2.196 euro mensili. Giova sottolineare che tra i soci azionisti del Credito Peloritano figura la Fire Group e inoltre in quel periodo nel CdA di questa banca figura come consigliere Sergio Bommarito. Noi abbiamo potuto riscontrare un rapporto di amicizia e di interesse tra la Barrile e Sergio Bommarito…”.
Quella legale di fiducia Amam e Comune di Messina
In conclusione, Fabio Ettaro si è soffermato sulla figura di Elisa Ardizzone, già citata nel corso della deposizione e sorella del commercialista Marco Ardizzone, altro imputato chiave del processo Terzo livello (gli inquirenti lo definiscono il consigliere-consigliore di Emilia Barrile). “Elisa Ardizzone è un avvocato, era la compagna di Leonardo Termini nel periodo 2016-2017 quando ci siamo occupati di questa attività di indagine”, ha spiegato il vicequestore. “L’avvocato Ardizzone era in qualche modo interessata in questo contenzioso esistente tra la Fire e l’Amam. Credo che avesse presentato un parere legale in merito alle rivendicazioni della Fire; si trattava di un incarico conferitole dallo stesso Termini il 21 marzo 2014”.
Di Elisa Ardizzone e dei suoi legami personali con l’allora presidente di Amam aveva parlato la giornalista Rosaria Brancato in un’inchiesta pubblicata il 7 giugno 2016 sul quotidiano online Tempostretto.it. Nello specifico, Brancato documentava come nel periodo compreso tra il gennaio 2015 e il febbraio 2016 la Giunta comunale avesse deliberato “su proposta dell’assessore proponente Nino Mantineo”, l’affidamento di ben sette incarichi legali all’avvocata Ardizzone, per un importo complessivo di circa 20 mila euro, per rappresentare il Comune di Messina in una serie di procedimenti.La prima delibera, la n. 14 dell’8 gennaio 2015, riguardava un ricorso proposto da Higel Towers per la realizzazione di un impianto di comunicazione per la diffusione del servizio di connessione internet a Campo Italia (importo dell’incarico 2.170 euro). C’era stata poi la delibera di Giunta n. 330 del 19 maggio 2015 per il recupero canoni non pagati dall’assegnataria di un alloggio popolare (importo 1.809 euro). Nel mese di giugno 2015 l’Ardizzone riceveva quattro incarichi. “Il primo, delibera n. 381 del 16 giugno, è per la difesa legale di fronte al Tar per un ricorso presentato relativamente alla rimozione di opere realizzate all’ex forte Masotto (importo 2.170 euro)”, scriveva Rosaria Brancato. “Il 19 giugno (delibera n. 400) l’incarico per un ricorso per la demolizione di opere abusive a Faro Superiore è per un importo di 4.860 (inizialmente erano indicati 2.170 euro, poi modificati). Il 23 giugno le delibere sono due, la n. 417 per ricorsi al Tar relativamente ad atti di concessione edilizia (importo iniziale 2.170 euro, poi corretto in 4.860), e la n. 419 per il ricorso al Tar del consorzio stabile Olimpo per l’annullamento del bando di gara per l’appalto di postalizzazione e notifiche degli atti della Polizia Municipale (importo 2.170)”. Nel febbraio 2016, con delibera n. 124, l’amministrazione Accorinti affidava infine all’allora compagna di Leonardo Termini la difesa legale del Comune davanti al Tar relativamente alla demolizione di un’opera abusiva (2.170 euro). Su tanta grazia di dio, però, nessuno ebbe mai nulla da ridire a palazzo Zanca…


I Romeo-Santapaola, “costola peloritana” del mandamento di Cosa Nostra di Catania

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Un gradino più su dei clan che da sempre esercitano il controllo sociale e militare sui rioni di Giostra, Gravitelli e Camaro e della periferia sud della città di Messina. Secondo la ricostruzione degli organi investigativi, la famiglia dei Romeo-Santapaola sarebbe l’organizzazione mafiosa superiore e sovraordinata, solidamente strutturata, del variegato e polverizzato panorama criminale peloritano. Un gruppo che da sempre preferisce tenersi lontano dai conflitti armati inter-cosca, puntando invece alla penetrazione nel tessuto finanziario ed economico locale e nazionale, anche grazie alla fidelizzazione di professionisti, imprenditori, funzionari e pubblici amministratori. Punti di forza dei Romeo-Santapaola il nome e i legami, sufficienti ad incutere il massimo rispetto tra i capimafia dei mandamenti storici di Cosa Nostra siciliana e della ‘Ndrangheta calabrese.
Romeo-Santapaola Uber Alles
Una puntuale analisi sul peso specifico criminale e le molteplici connection della famiglia-guida di Messina e provincia è stata fatta all’ultima udienza del processo Betada Vincenzo Musolino, maresciallo dei Carabinieri in servizio presso la locale Sezione anticrimine dal 2013. “L’attività di indagine Beta trae inizio intorno all’ottobre del 2013; in quel periodo eravamo impegnati nel riscontro di alcuni spunti forniti dalla collaborazione del pentito barcellonese Carmelo D’Amico”, ha esordito l’inquirente. “Storicamente la Sezione anticrimine di Messina aveva svolto la maggior parte delle proprie indagini nel territorio del Longano, quindi nelle varie operazioni che erano Gotha 1, Gotha 2, 3, 4… Non aveva mai toccato, se non in tempi piuttosto anteriori al 2000-2001, il territorio di Messina. Si è cominciato pertanto con uno studio di quelle che erano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Angelo e Sebastiano Mascali, Santo La Causa, Carmelo Bisognano e Carmelo D’Amico. La fase successiva è consistita nei servizi di osservazione e poi in un’attività tecnica che ha riguardato i membri principali della famiglia Romeo, in particolare inizialmente Francesco Romeo, Vincenzo Romeo, Pasquale Romeo, nonché i fratelli Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola. Via via l’attività di indagine è stata estesa a tutta la famiglia Romeo nonché a tutti coloro che erano in contatto con loro, soprattutto alcuni imprenditori o pubblici amministratori. La prima intenzione era scoprire tutti i possibili soggetti che avevano rapporti con loro, sia attraverso l’attività tecnica pura (intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche), che quella diretta di osservazione. Si è proceduto a mettere alcune telecamere in posizioni strategiche, cioè nei luoghi dove si incontrava l’organizzazione. In particolare all’interno dell’ufficio della XP Immobiliare che era la base degli incontri che avvenivano tra Vincenzo Romeo e l’imprenditore Biagio Grasso, l’esterno del Ritrovo Montecarlo che era un’attività commerciale aperta dalla famiglia Romeo, in particolare da Benedetto Romeo, e ancora la militarizzazione esterna dell’Hospital Bar. Un altro punto di incontro ha riguardato anche la New Time, un negozio di orologeria che si trovava sulla via Tommaso Cannizzaro e che era il quotidiano luogo dove si recava Pietro Santapaola. Sono state inserite anche delle microspie al fine di poter captare dei dialoghi di interesse. Bene, proprio un esempio riguarda appunto la New Time. Uno dei collaboratori aveva riferito che Pietro Santapaola aveva lasciato come punto di riferimento questa gioielleria nell’ambito della sua conoscenza con il soggetto messinese. Un parente gioielliere, proprio questa era la frase…. Quello di cui ci si è subito resi conto e che per noi ha rappresentato la parte più importante dell’informativa, è la presenza di un’organizzazione a Messina che non era frammentata, sparsa o polverizzata come nei clan cittadini che noi vedevamo; alcuni elementi ci hanno fornito invece il riscontro di un’organizzazione che si trova superiormente a questi piccoli gruppi, vuoi che sia il clan di Santa Lucia, Mangialupi, Giostra, quindi gerarchicamente sopraelevata. Da cosa era data questa nostra intuizione? Innanzitutto perché l’organizzazione si muoveva e poteva dialogare con gruppi paritetici, ci riferiamo soprattutto alle altre organizzazioni di Cosa Nostra, quindi con altri elementi di Cosa Nostra palermitana e catanese ma anche, e soprattutto, come vedremo per quanto riguarda gli affari che hanno riguardato i rapporti con la ‘Ndrangheta calabrese, anche con i membri della famigliaBarbaro”.
La cosca cerniera Sicilia-Calabria
“A Messina non c’è la presenza di un mandamento di Cosa Nostra, questa è cronaca giudiziaria che ben conosciamo”, ha spiegato il maresciallo Musolino. “Per una ragione di territorialità, storicamente Messina è sempre stata fuori dai ragionamenti del mandamento di Palermo e dei dieci mandamenti di Catania perché in realtà è sempre stata molto legata alla ‘Ndrangheta calabrese. Quello che riuscimmo a riscontrare è proprio la presenza all’interno del tessuto criminale messinese di una costola del mandamento catanese, la famiglia Santapaola-Romeo. Questo perché alcuni membri della famiglia da Catania si erano poi spostati nel comune di Messina, in particolare ci riferiamo a Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola, nipoti diretti di Nitto Santapaola, e al cognato Francesco Romeo. Quest’ultimo aveva sposato Concettina Santapaola, sorella di Nitto Santapaola. A riscontro delle varie dichiarazioni dei collaboratori ci furono anche una serie di intercettazioni, mi riferisco soprattutto a quelle registrate tra Grasso e Romeo, tra Grasso e Lorenzo Mazzullo (già dipendente della Procura della repubblica di Messina, condannato a tre anni e mezzo al processo-stralcio Beta, Nda) e tra Grasso-Romeo e l’imprenditore Carlo Borrella. Altri elementi che ci consentivano di capire che l’associazione messinese era sovraordinata rispetto ai clan cittadini sono tutta una serie di piccoli fatti che presi singolarmente non possono dire nulla ma che si rivelano molto importanti, penso ad esempio al ritrovamento di una macchina avvenuto due ore dopo un furto o a quegli stessi soggetti appartenenti o vicini alla criminalità organizzata messinese che dopo aver rubato un motorino, si spaventano e lo restituiscono immediatamente. Un elemento di interesse è stato rappresentato anche dal comportamento dei membri dell’associazione. Molti di essi avevano un comportamento normale perché non erano mai stati toccati da operazioni di polizia giudiziaria; mi riferisco ai fratelli più giovani della famiglia Romeo, mentre altri, come nel caso di Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola, avevano un atteggiamento completamente diverso. Questi ultimi soggetti erano già stati colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere; la stessa cosa era avvenuta per quanto riguarda Francesco Romeo e in parte Vincenzo Romeo che era stato colpito nel 2000 da un’operazione che, se non erro, dovrebbe essere la Cassiopea; poi era stato scagionato per mancanza di identificazione. Proprio quest’ultima vicenda aveva portato il gruppo ad utilizzare uno stratagemma: nessuno di loro aveva un nome proprio, non si chiamavano mai per nome durante le intercettazioni telefoniche ma utilizzavano invece dei soprannomi. Questo riscontro ci viene dato ad esempio dall’intercettazione delle conversazioni dell’odierno imputato Stefano Barbera all’inaugurazione del Dolce Longe Bar, il locale che Romeo e Grasso avevano aperto sulla via Garibaldi. Dopo l’inaugurazione, Barbera raccontava quali erano i vari soprannomi che avevano i membri. Poi ci fu anche un collaboratore di giustizia che ce li confermò. L’attività di intercettazione aveva consentito di comprendere che Vincenzo Romeo si faceva chiamare solitamente Filippo, Caterpillar, Tempesta, Jerry, Cingolo, Tiger. Lo stesso Biagio Grasso si faceva chiamare Ten Ten, La Gallina perché poi era colui che portava gli affari. L’ingegnere Raffaele Cucinotta spesso veniva identificato con il soprannome di Compasso. Uno dei nomi più citati inizialmente era quello di Baffo. Baffo Grande e Baffo Piccolo. In particolare si faceva riferimento a Nitto Santapaola come Baffo Grande, mentre quando si faceva riferimento a Baffo Piccolosi trattava di Carlo Borrella. L’avvocato Andrea Lo Castro veniva identificato come La Giraffa. La famiglia Ercolano si evitava di citarla nel corso delle varie intercettazioni. Il rapporto con la famiglia Santapaola di Catania è risultato particolarmente stretto. In un certo momento si verificò una rottura all’interno della famiglia, ma soprattutto si  verificarono alcune operazioni di polizia giudiziaria che colpirono in particolare uno dei cugini maggiormente legati a Vincenzo Romeo, mi riferisco in particolare a Vincenzo Ercolano. Lui era chiamato Ago grande ed era stato visto a Messina nel corso di un servizio di osservazione quando si era recato da Vincenzo Romeo per portare l’invito ad un matrimonio. All’incontro doveva esserci anche Pietro Santapaola, ma poi alla fine non si presentò. Una delle intercettazioni che maggiormente ci colpirono fu quella che riguardava Stefano Barbera e l’imprenditore Piermaria Mantelli (noto industriale di Piacenza attivo nella produzione di grandi impianti per la ristorazione, già presidente nazionale di Unionmeccanica, comunque estraneo al procedimento penale Beta, NdA). Mantelli era una sorta di datore di lavoro di Stefano Barbera perché era colui che era proprietario e amministratore della Emmepi Mobili per il quale il Barbera era il rappresentante su Messina. Stefano Barbera era un soggetto che aveva conosciuto Vincenzo Romeo e che aveva portato con sé a Messina un imprenditore straniero che si chiamava Antonio Monteiro. In realtà l’identificazione del Monteiro non fu facile, noi ancora non riusciamo a comprendere se era davvero la persona che diceva di essere perché non lo abbiamo mai visto. Egli portò al gruppo Romeo l’affare per la realizzazione di un centro sportivo nella zona della provincia di Messina. Raccolse diverse quote per effettuare questo possibile affare, alcune di esse vennero versate direttamente anche da Vincenzo Romeo. Successivamente Monteiro ritornò prima in Portogallo, poi in Germania. Ci furono però dei problemi, uscirono delle notizie stampa su questo Monteiro e sull’affare, così il sedicente imprenditore si tirò indietro. Probabilmente questo affare, a nostro parere, non si sarebbe mai realizzato perché doveva essere un polo sportivo molto grande, con la sponsorizzazione di una squadra spagnola che a noi non risultava. Poi Monteiro rispose a Vincenzo Romeo e agli altri soggetti legati a Barbera, che avrebbe restituito il denaro con un tasso di interesse maggiore attraverso vari strumenti finanziari che lui conosceva e che riguardavano la Svizzera. Per circa un anno e mezzo abbiamo intercettato sia l’utenza straniera utilizzata da Monteiro per le chiamate in Italia e sia le varie telefonate che loro effettuavano a Monteiro, ma in realtà l’affare non andò mai in porto e i soldi alla fine non vennero restituiti”.
La famiglia acchiappatutto
“Nel coso di una conversazione che viene fatta l’8 ottobre 2014 all’interno della Suzuki Grand Vitara solitamente utilizzata da Stefano Barbera, quest’ultimo diceva a Piermaria Mantelli di essere interessato a fargli conoscere Vincenzo Romeo. In particolare lui spiega il legame che aveva Romeo con la famiglia Santapaola e la sua parentela con Nitto Santapaola, il suo ruolo all’interno della consorteria e il fatto che a Messina nessuno chiedeva il pizzo se non era autorizzato dal Romeo stesso perché era lui che reggeva gli equilibri. Vincenzo Romeo reggeva cioè gli equilibri tra Messina e Calabria nonostante la sua giovane età. A conferma dell’intercettazione venne effettuato un servizio di osservazione nel quale si rileva che nella stessa giornata Barbera si reca presso il Ritrovo Montecarlo per presentare Mantelli al suo capo Vincenzo Romeo. Quest’incontro fu molto importante perché il Romeo riferiva tutto quello che facevano i fratelli, cioè che ognuno di loro aveva un settore all’interno dell’economia e quindi che avevano i bar, che erano concessionari di Lottomatica, che facevano la distribuzione dei pannolini in tutti gli ospedali (cosa che abbiamo riscontrato poi nello specifico appalto di diversi milioni di euro vinto da una loro azienda)”.
Nel corso della sua lunga deposizione al processo Beta, il maresciallo Vincenzo Musolino si è poi soffermato sui legami diretti tra la famiglia Romeo-Santapaola di Messina e i clan mafiosi leader della provincia di Catania. “I rapporti tra il gruppo Romeo e i gruppi catanesi sono tra gli episodi maggiormente riscontrati nel corso dell’attività di indagine”, ha spiegato l’inquirente. “Era normale che la famiglia Santapaola-Romeo fosse legata da un rapporto di parentela e quindi ci fosse questo quotidiano, periodico rapporto con la famiglia Ercolano. Quello che però venne fuori è che non c’era soltanto il rapporto con la famiglia Ercolano-Santapaola. Uno dei primi rapporti che riusciamo a registrare è stato infatti quello con il clan Laudani. In particolare registriamo un incontro avvenuto il 5 giugno del 2014 tra Vincenzo Romeo, Biagio Grasso ed Antonino Di Mauro inteso Sciarretta. Antonino Di Mauro è considerato uno degli elementi più importanti del clan Laudani di Catania, federato al clan Santapaola. Questo risulta anche per i suoi reati di associazione di tipo mafioso, emissione di assegni a vuoto, favoreggiamento, molti dei quali già passati in giudicato. Di Mauro era inoltre sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata successivamente revocata e alla sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Di Mauro, Grasso e Romeo si incontrano in un bar di Catania. L’argomento della discussione, ed è qui il motivo per cui era presente all’incontro Biagio Grasso, era quello di iniziare una nuova attività commerciale riguardante la vendita di carburante agricolo e che portava importanti guadagni per quanto riguarda il mancato pagamento delle accise. L’affare proposto poi non iniziò perché l’associazione aveva sempre difficoltà a reperire denaro.  Comunque l’associazione si incontrò con Salvatore Boninelli inteso Turi, cheall’epoca ricopriva la carica di presidente dell’associazione Polo Regionale dell’Agricoltura. Quindi era loro intenzione coinvolgere anche il Boninelli. Noi lo riscontriamo sia perché loro ne fanno riferimento nelle diverse conversazioni, ma anche perché successivamente viene effettuato un servizio di osservazione che consente di accertare che Grasso e Romeo si erano recati a Catania presso il Consorzio agrario carburante agricolo ubicato sulla statale 192. Grasso e Romeo poi si allontanano insieme ad Antonino Mario Chiantello per incontrarsi poi con Salvatore Boninelli. Chiantello era stato tratto in arresto dalla Guardia di Finanza di Roma nell’ambito del procedimento penale n. 1337, quindi aveva precedenti relativi a frode consistente nell’importazione in Italia di ingenti quantitativi di gasolio. Qualche altro incontro è avvenuto pure a Palermo. In realtà loro si organizzavano per vedersi anche con altri soggetti, come ad esempio nell’incontro che avviene tra Vincenzo Romeo e Francesco Massimiliano Santapaola, figlio di Nitto Santapaola, in maniera molto più riservata a differenza di quello con Antonio Di Mauro, proprio perché gli argomenti dovevano essere diversi, tant’è che poi riscontriamo nelle telefonate successive, le preoccupazioni da parte dello stesso Vincenzo Romeo a non poter far fronte agli impegni presi nei confronti di Francesco Massimiliano Santapaola”.
Ai parenti catanesi dobbiamo provvedere noi…
“Naturalmente quello che riscontriamo maggiormente è il rapporto che i Santapaola avevano con la famiglia Ercolano”, ha aggiunto il maresciallo Musolino. “In proposito va segnalato che il 18 marzo 2014 la Dia di Catania, grazie agli esiti dell’attività convenzionalmente chiamata Ibis eseguita dal Ros, effettua un provvedimento di sequestro con contestuale confisca di alcune società di trasporto che erano la Geotrans, la Avimec, la Geotrans Logistica Frost che ha un fatturato di cinque milioni di euro e che era l’attività principale legale svolta dalla famiglia Ercolano e in particolare da Vincenzo Ercolano. Dette aziende erano riferibili a Giuseppe Ercolano, cugino di Benedetto Santapaola, ma erano intestate formalmente a Vincenzo Ercolano e Cosima Palma Ercolano. C’è da riferire che gli indagati Grasso e Romeo si erano già recati diverse volte ad incontrare Vincenzo Ercolano. Proprio l’arresto di quest’ultimo, avvenuta successivamente, provoca notevole preoccupazione a Grasso e Romeo che vogliono comprendere se anche loro sono stati intercettati. E’ lo stesso Romeo che lo riferisce. Questi incontri sono stati da noi anche in parte relazionati. Un esempio è quello del 28 aprile 2014 quando Vincenzo Ercolano si reca a Messina presso l’abitazione di Francesco Romeo unitamente a quella che era la compagna e che poi sarebbe diventata la moglie di Ercolano e a Grazia Santapaola (sorella di Benedetto Nitto Santapaola e moglie del boss Giuseppe Pippo Ercolano, scomparso nell’estate del 2012, Nda). Successivamente alla data dell’arresto di Vincenzo Ercolano, Grazia Santapaola si presenta nuovamente presso l’abitazione della famiglia Romeo; in quel caso Concettina Santapaola contatta il figlio al fine di farlo rientrare immediatamente a casa in quanto stava arrivando la sorella. Terminato l’incontro cui prende parte anche Vincenzo Romeo, quest’ultimo si mostra molto preoccupato perché, per come lui riferisce, era arrivata a ‘mbasciata e quindi da quel momento doveva provvedere ad aiutare. Quando si verifica l’arresto di Vincenzo Ercolano, vuoi anche perché si trovavano in carcere altri membri della famiglia Ercolano, tra i quali Aldo Ercolano, nasce una sorta di mutua assistenza tra la famiglia Romeo e la famiglia Ercolano. Questo noi lo registriamo anche telefonicamente con diverse richieste di denaro che arrivavano a Concettina Santapaola, mascherate come richieste di ricariche telefoniche di duecento euro e lo riscontriamo pure nelle intercettazioni che avvengono tra Biagio Grasso e Vincenzo Romeo. Proprio quando si verifica la mancanza di liquidità il Romeo chiedeva a Grasso di poter realizzare il prima possibile denaro liquido da poter inviare a Catania e  poi si arrabbia nei confronti di Grasso perché non riesce a monetizzare nulla. Lo stesso avviene nell’incontro del 7 maggio del 2014 dove noi identifichiamo Francesco Massimiliano Santapaola che come ho detto è il figlio diretto di Nitto Santapaola. Nelle conversazioni successive a questo incontro, lo stesso Romeo dirà che deve mandare qualcosa dall’altra parte, intendendo la parte di Catania”.
“Le chiamate non avvenivano direttamente in quel caso con Francesco Massimiliano Santapaola ma bensì con soggetto che le Sezioni anticrimine di Catania e Messina che in quel momento effettuavano il servizio di osservazione identificano in Luca Scaravilli, originario di Catania. In una conversazione registrata il 27 giugno 2014, Vincenzo Romeo fa riferimento con Biagio Grasso al proprio ruolo assunto all’interno della famiglia. Proprio l’ostentazione della propria famiglia che noi registriamo e che vedremo soprattutto nell’ambito dei rapporti che avvengono con la ‘Ndrangheta calabrese, Vincenzo Romeo la faceva spesso… In particolare egli si vantava del fatto che all’interno della propria famiglia non vi fosse mai stato un pentito. In particolare questo si verifica quando il 14 giugno 2014 Grasso e Romeo guardavano alcuni video in cui si accennava all’ufficializzazione della collaborazione di Santo La Causa, all’arresto di Benedetto Nitto Santapaola e al colloquio registrato in carcere con Giuseppe Mirabile nell’ambito dell’indagine Efesto. Loro guardavano questi video tramite il telefonino. Biagio Grasso si mostrava incuriosito a comprendere se oltre a loro qualcuno avesse tentato di attuare una ramificazione all’interno di Messina… Nella conversazione si faceva riferimento alla presenza dei Santapaola su Messina, quindi Romeo spiegava che non c’era nessun altro oltre a lui e al padre. Uno degli elementi che indica la consapevolezza da parte degli indagati del rischio connesso al parlare di questi soggetti, era che i due cercano di cancellare il prima possibile la cronologia quando vedevano qualche video. Un’altra situazione che registriamo anche in altre occasioni era quella di voler segnare su un foglio di carta parte delle conversazioni e quindi evitare di dire il nome del soggetto catanese o del soggetto criminale messinese, ma facendo riferimento scrivendoli su fogli di carta. Questa modalità di comunicazione l’abbiamo accertata in particolare durante un’intercettazione del novembre 2014 di un colloquio tra Biagio Grasso e Vincenzo Romeo all’interno della XP Immobiliare. All’epoca noi avevamo sia la videocamera all’esterno di viale Boccetta 70 che quella nell’ufficio di Grasso. Il giorno prima era avvenuto l’arresto di Vincenzo Ercolano nell’ambito dell’attività denominata Caronte, quindi loro presero un foglio di carta e iniziarono a segnare alcuni nomi, in particolare Ros, Caruso, Enzo Romeo, trent’anni, scudo. Queste erano le frasi che noi trovammo lì. Poi Santa, Ercolano, Messina 2005/2006e 2008/2010 perché facevano riferimento all’indagine e poi naturalmente il nome Caronte che era proprio l’argomento della discussione. Loro, come solitamente facevano, prendevano il foglietto di carta e lo strappavano. La stessa modalità noi la riscontriamo all’interno dell’ufficio di Andrea Lo Castro ed era il comportamento che aveva solitamente Vincenzo Romeo. In quel primo caso però fu per noi facile riuscire a recuperare quel foglio di carta perché nei giorni successivi il servizio di osservazione interno e esterno consentiva di vedere che esso era rimasto all’interno dell’immondizia. Con uno stratagemma, sabato 9 dicembre 2014, ci recammo proprio nel posto dove buttava l’immondizia il personale che seguiva la pulizia all’interno della XP Immobiliare di Grasso. Chiedemmo di lasciare lì i sacchetti, di non buttarli perché avevamo lasciato all’interno delle chiavi che avevano buttato. Quindi trovammo proprio quel bigliettino con all’interno scritte quelle frasi che ho detto prima…”.
“Sempre a proposito del commento che Grasso e Romeo fanno sull’esito degli arresti in riferimento all’operazione Caronte, vi è la conversazione registrata il 21 novembre 2014, durante la quale Vincenzo Romeo faceva riferimento al fatto che chi contava adesso a Messina era il cognato di Santapaola, cioè Francesco Romeo”, ha riferito ancora Vincenzo Musolino. “Questo Romeo lo ribadisce più volte. Un’altra delle conversazioni che faceva comprendere la paura di Romeo di non poter far fronte agli aiuti economici nei confronti di Ercolano e quindi della famiglia di Catania è quella del 5 gennaio 2015, anch’essa registrata all’interno degli uffici della XP Immobiliare. Vincenzo Romeo si lamenta di aver fatto una cattiva figura nei confronti del figlio di Baffo Grande,cioè del figlio di Nitto Santapaola. Pochi giorni prima Romeo si era visto con Francesco Massimiliano Santapaola e si lamentava del fatto che si parlasse all’interno delle carceri, all’interno delle case e all’interno delle famiglie, quindi che la famiglia Romeo potesse fare cattiva figura nei confronti delle altre associazioni. Comunque il rapporto tra Romeo e Grasso si ferma quando il primo non può parlare dei rapporti che ci sono su Catania… Siamo già su due livelli leggermente diversi, magari ne poteva parlare con il padre Francesco Romeo. In una circostanza che noi registriamo l’8 gennaio 2015, Romeo e Grasso ne parlano però insieme, cioè dopo che Grazia Santapaola, la sorella di Cettina Santapaola, nonché madre di Vincenzo Ercolano, si era recata a Messina per la ‘mbasciata, accompagnata da Emilio Torrisi, figlio di Cosima Ercolano. In questo caso, il Romeo ne parlava tranquillamente con Biagio Grasso, tanto era preoccupato della cosa e gli riferiva il fatto che la zia non si fidava di nessuno e che per quante cose gli aveva detto aveva la necessità di avere un foglio di carta e una penna dove poter segnare quanto detto da lei”.
Lo sfregio del compare 
Il maresciallo Vincenzo Musolino ha poi parlato di un contrasto scoppiato tra i Romeo e i cugini Pietro e Vincenzo Santapaola che avrebbe poi raffreddato le reciproche relazioni personali e di affari. “Per ciò che riguarda invece gli appartenenti alla famiglia Romeo e Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola, nel corso di un anno e dieci mesi di intercettazioni noi evidenziamo un rapporto che cambia nel tempo”, ha spiegato l’inquirente. “Esso cambia in ordine ad un evento che si verifica nel corso delle indagini. Va detto innanzitutto che Pietro e Vincenzo Santapaola sono soggetti che già avevano conosciuto il carcere, quindi sapevano muoversi su Messina e non avevano rapporti, almeno non riuscivamo a registrare dei rapporti con la criminalità organizzata messinese. In realtà non comprendevamo il lavoro svolto da Pietro Santapaola, tranne la sua quotidiana presenza all’esterno del negozio New Time di via Tommaso Cannizzaro e nonostante la moglie stessa riferiva alle amiche che il marito aveva un ufficio e che svolgeva un’attività commerciale. In realtà Pietro Santapaola non svolgeva nessuna attività e trascorreva la maggior parte del suo tempo all’esterno del negozio del suocero. I riscontri telefonici invece evidenziavano un rapporto con l’imprenditore Nicola Giannetto (già titolare di importanti aziende della grande distribuzione alimentare, parte civile al processo Beta, NdA) con cui c’era un rapporto di comparato, in quanto il Giannetto aveva battezzato il figlio di Pietro Santapaola, Pietro Santapaola Junior. Il Santapaola aveva tentato più volte di aprire un’attività commerciale anche con l’aiuto di Giannetto però quest’ultimo si era mostrato abbastanza restio, come ad esempio nel caso dell’attività che doveva essere aperta all’Ard Discount di Milazzo, dove Giannetto faceva riferimento ai soldi che doveva al proprio socio che erano i fratelli Capone. Vincenzo Santapaola invece aveva un’attività commerciale o meglio gestiva un’attività sotto il nome della figlia Ylenia, intestataria della Project Meat nonostante la ragazza, appena diciannovenne-ventenne, facesse soltanto riferimento al padre. Lui questo supermercato lo gestiva nella zona di Mili. Oltretutto all’epoca Vincenzo Santapaola aveva la sorveglianza quindi comunque non voleva destare nuovi sospetti. In ordine all’attività gestita da Vincenzo Santapaola e sull’investimento economico che lui avrebbe dovuto sostenere, c’è una conversazione che avviene tra Pietro Santapaola e la moglie Caterina Sparacino in cui l’uomo faceva riferimento al fatto che il fratello aveva aperto un supermercato senza una lira. Egli faceva esplicito riferimento ad altre due macellerie che aveva aperto il fratello. Ed effettivamente in quel periodo Vincenzo Santapaola, oltre al supermercato del Project Meat di Mili, gestiva altre due macellerie sempre riferibili a Nicola Giannetto: una era quella dove c’è il cinema Lux a Messina e l’altra riguardava quella di Milazzo. Questo noi lo riscontriamo dalle diverse conversazioni che avvenivano tra Vincenzo Santapaola e alcuni suoi dipendenti che contattava telefonicamente per il turno di servizio”.
Tornando un attimo ai rapporti tra Vincenzo Santapaola e Pietro Santapaola con Vincenzo Romeo e Francesco Romeo, noi riscontriamo in verità pochissimi incontri tra loro, nonostante lo stretto rapporto familiare tra i Santapaola e i Romeo”, ha specificato il teste. “Zero contatti telefonici e soltanto incontri di persona. In particolare, il 7 gennaio 2014, intorno alle 19,30, verifichiamo che Vincenzo Romeo, consapevole del fatto che Pietro Santapaola trascorresse la maggior parte del proprio tempo all’esterno della gioielleria New Time, si reca lì per discutere con Antonino Sparacino che era il cognato. Il giorno successivo, intorno alle ore 13,30, la telecamera evidenzia la presenza di Pietro Santapaola all’esterno della New Time. Noi ci rendiamo conto che Pietro e Vincenzo Santapaola fanno qualche passo, si allontanano, arrivano quasi vicino alla gioielleria Aliotta… C’era la presenza anche di un minore che era il figlio di Pietro Santapaola e tutti e due dialogano all’orecchio… Dopo quell’incontro non registriamo più nessun rapporto tra la famiglia Santapaola e la famiglia Romeo. Comprendiamo che vi è stato un problema. In intercettazioni successive, registreremo una serie di conversazioni della famiglia Romeo che si rivolgeva nei confronti di Pietro Santapaola e della moglie in maniera sicuramente non bonaria. In particolare i Romeo si lamentavano del fatto che la signora si presentasse come Santapaola. Mi riferisco alle conversazioni registrate il 10 agosto 2014, il 14 settembre 2014 tra Daniele Romeo e Vincenzo Romeo o, ancora, a quella del 6 dicembre 2014 tra Vincenzo Romeo e Marco Daidone, e infine a quella del 27 dicembre 2014 tra Maurizio Romeo e Daniele Romeo. In quelle conversazioni in cui si faceva riferimento alla famiglia di Pietro Santapaola, i Romeo utilizzavano delle parole dalle quali comprendiamo che vi era stata una rottura. La spiegazione di quanto accaduto noi l’apprendiamo nel corso di un’intercettazione registrata all’interno dell’ufficio dell’avvocato Andrea Lo Castro. In particolare Nicola Giannetto aveva riferito dei fatti che riguardavano un debito che doveva corrispondere ad una cooperativa per la fornitura di alimenti e che aveva portato questi soggetti a venire su Messina. In quel caso, queste persone si erano rivolte, grazie a Vincenzo Santapaola di Catania, a Francesco Romeo, quindi al padre dei Romeo. Successivamente Giannetto era stato prelevato in motorino dallo stesso Vincenzo Romeo e portato all’interno di un garage per una sorta di mediazione, definiamola così. Come dicevo prima, da quel momento in poi avviene questa rottura. Nonostante il rapporto di comparato tra Giannetto e Pietro Santapaola, l’imprenditore aveva travalicato questo rapporto di fiducia presentando denuncia su questi fatti nei confronti di Vincenzo e Francesco Romeo”.

Il “filosofo” Dugin e l’Università di Messina. Perché un’istituzione pubblica non deve ospitare esternazioni neofasciste

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Non nascondo il mio apprezzamento per l’atto di revoca dell’Università degli Studi di Messina all’utilizzo dell’Aula magna per la conferenza del sedicente “filosofo” russo Aleksandr Dugin, noto per le sue posizioni filonaziste e antisemite (lui stesso si definisce un seguace di Julius Evola, l’intellettuale che ha “formato” i leader delle maggiori organizzazioni di estrema destra italiane, Ordine Nuovo la più tristemente nota).
L’istruzione pubblica, ad ogni suo livello, libera e democratica, non può essere mai veicolo di idee, uomini e principi in palese violazione dei sacrosanti principi e valori della Costituzione italiana. Non credo pertanto che un’istituzione accademica possa assolutamente legittimare “scientificamente” un pensiero e una pratica politica che oggi vede lo stesso Dugin a capo del cosiddetto partito “social-bolscevico” e di quello denominato Euroasia di pericolosa deriva ultranazionalista (vicino ad ampi settori delle forze armate e della chiesa ortodossa russe). Ammetto di non conoscere Dugin “filosoficamente; invece ho avuto modo di verificare come attorno a lui si stiano organizzando pericolose fazioni di estrema destra nel continente, alcune delle quali in aperta opposizione ai fenomeni migratori e all’ “invasione” di migranti nell’Europasianazione, un terreno fertile su cui cresce la xenofobia in Europa. Mi preoccupa altresì certa capacità di queste organizzazioni d’infiltrarsi anche in alcuni settori della sinistra sedicente “radicale” o “rivoluzionaria” (vedi il pericolosissimo fenomeno del rossobrunismo), facendo leva sulle legittima critiche all’imperialismo USA e NATO e dei crimini che Israele compie quotidianamente in Palestina e Medio oriente, patrimonio politico e culturale della sinistra internazionale e internazionalista. 
Ma aldilà di tutto ciò, credo sia opportuno ricordare come l’evento previsto a Messina rientri all’interno di un tour di 11 tappe del “filosofo” Aleksandr Dugin organizzato per evidenti fini politico-organizzativi da un indigeribile arcipelago di personaggi e sigle dell’estrema destra neofascista italiana. Utilizzo in proposito quanto riportato dal quotidiano La Stampa di Torino, non certo criticabile da terzi per posizioni “estremiste”: “L’organizzazione e la promozione degli incontri (in Italia NdA) sono curate dall’associazione REuropa, sigla utilizzata da un gruppo legato, da almeno quarant’anni, al mondo del neofascismo italiano – riporta il quotidiano -. In prima fila c’è Maurizio Murelli, condannato a 14 anni di reclusione per aver fornito la bomba a mano che uccise a Milano l’agente di Polizia Antonio Marino il 12 aprile 1973. Fondatore e animatore della rivista Orion è uno dei punti di riferimento per la destra radicale italiana fin dagli anni ‘80. La sua carriera di editore era iniziata all’interno della rivista Quex, foglio nato nel 1978 e animato, tra gli altri, dal terrorista nero pluriomicida Mario Tuti.Accanto a lui, nell’organizzazione delle conferenze del pensatore vicino a Putin, c’è Rainaldo Graziani, figlio di Clemente, cofondatore del centro studi Ordine Nuovo, uno dei pezzi chiave della strategia della tensione degli anni 60 e 70. Sigla rinata due anni fa e che è possibile intravedere dietro l’organizzazione delle conferenze di Dugin”.
In verità, scorrendo il programma degli 11 eventi che vedono ospite il “filosofo”, è possibile citare tra gli organizzatori e i corralatori – oltre a quelli citati da La Stampa - il Gruppo di ricerca e studi per la civilizzazione europea (GRECE) che promuove la diffusione del neofascismo in Francia, la rivista Culturaldentità (“per italianizzare l’Europa”), la Fondazione Julius Evola e non casualmente Lega Giovani (cioè l’organizzazione giovanile del partito di Matteo Salvini, notoriamente legato agli ambienti putiniani).
A riprova della pericolosità “infettiva” di questi eventi falso-culturali e falso-accademici, tra essi compare la tappa romana di Aleksandr Dugin presso la sede dell’agenzia Adnkronos con relatori-minestrone: Gian Marco Chiocci (direttore dell’agenzia di stampa), Alessandro Sansoni (direttore di REuropa), Giampaolo Rossi (consigliere di amministrazione Rai), Gennaro Sangiuliano (direttore Tg2). Ancora più “arcobaleno” l’ultima tappa, quella di Udine prevista per il 15 giugno. Qui, accanto al “filosofo”tuttologo Diego Fusaro, al giornalista Massimo Fini e al fondatore della Società Tolkiana italiana Paolo Paron, compare purtroppo l’intellettuale certamente più innovativo e radicale degli Stati Uniti d’America, il linguista Noam Chomsky, noto per le sue campagne No War e le denunce sui crimini USA nelle mille guerre scatenate nel pianeta. Un’ultradestra ultranazionalista e razzista capace d’infiltrarsi dunque in una sinistra sempre più allo sbando, in un mondo sempre più pericoloso, intollerante e liquido. Anche per questo, credo, operazioni come queste vadano ostacolate e boicottate ovunque. Ci auguriamo che l’icona Chomsky - con cui noi pacifisti e antimilitaristi abbiamo un debito culturale e formativo enorme – abbia la capacità di smarcarsi dal mortale abbraccio con l’ultradestro Dugin, come oggi hanno fatto decine di docenti dell’Ateneo peloritano.

Dolce casa Sicilia per Carlos Luis Malatto accusato di gravi crimini durante il regime militare golpista in Argentina

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Portorosa si conferma il rifugio dorato di criminali e latitanti di mezzo mondo. E’ di oggi lo scoop dei giornalisti di Repubblica.it Emanuele Lauria e Giorgio Ruta che hanno filmato in un villino della rinomata località turistica l’ex tenente colonnello dell’esercito argentino Carlos Luis Malatto, fuggito dal paese di origine a seguito di diversi ordini di cattura per l’omicidio e la sparizione forzata nei terribili anni della dittatura militare di tre attivisti politici, nonché per i reati di associazione per delinquere, lesioni aggravate, violazione di domicilio e sequestro di persona.
Malatto dopo essersi rifugiato in Cile, nel 2011 ha raggiunto l’Italia, ospite prima a L’Aquila della Confraternita della Misericordia e successivamente a Genova della Parrocchia di San Giacomo Apostolo. Dopo essere stato individuato dai corrispondenti liguri del Corriere della Sera, l’ex militare della Junta golpista argentina ha fatto perdere le proprie tracce per ricomparire nell’estate 2017 in Sicilia: aveva trovato domicilio in un appartamento di via santa Chiara a Calascibetta (Enna). A seguito della rivelazione da parte di un periodico spagnolo del suo trasferimento in Sicilia, Carlos Luis Malatto ha lasciato in fretta e furia il piccolo comune per trascorrere la propria latitanza in un residence di Portorosa, proprio come avevano fatto negli anni passati alcuni dei maggiori boss dell’ala stragista di Cosa nostra, grazie anche alla protezione dei referenti mafiosi locali in odor di servizi segreti, massoneria deviata e neofascismo.
Dopo che nel luglio del 2014 la Corte di Cassazione aveva annullato l’autorizzazione  dei giudici del Tribunale de L’Aquila all’estradizione delle’ex militare in Argentina, nel novembre 2016 l’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, in base all’articolo 8 del codice penale, ha firmato l’autorizzazione a processarlo in Italia. A difendere Carlos Luis Maletto sono i legali Augusto Sinatra e Franco Sabatini, soci seniordel noto studio Sinatra di Roma, fondato nel 1963 dall’avv. Mario Sinagra. Augusto Sinatra, originario di Catania ed ex ufficiale dell’Aeronautica militare, dopo aver ricoperto il ruolo di magistrato è stato nominato nel 1980 Consigliere giuridico presso il Ministero degli Affari Esteri. Successivamente è diventato docente di materie giuridiche nelle Università di Roma, Trieste, Genova, Chieti e Palermo. Il suo nome è finito nelle liste della loggia massonica P2 del maestro venerabile Licio Gelli (tessera n. 946); dello stesso Gelli, Augusto Sinatra è stato pure l’avvocato difensore. Più recentemente il legale di origini etnee ha ricoperto l’incarico di “rappresentante permanente in Italia della Repubblica Turca di Cipro del Nord” (il territorio cipriota illegalmente occupato dalla Turchia), ed ha rappresentato il governo di Ankara nella richiesta di estradizione dall’Italia dello storico leader del Pkk Abdullah Ocalan. Alle scorse elezioni politiche, l’avv. Augusto Sinatra è stato pure candidato per l’organizzazione neofascista Casa Pound nel collegio Roma Tuscolano, caratterizzando il suo impegno cerca-voti principalmente in opposizione alle politiche di accoglienza di rifugiati e migranti in Italia.
Dello studio legale Sinatra di Roma risultano “soci associati” pure due docenti dell’Università Kore di Enna, gli avvocati Paolo Bargiacchi e Anna Lucia Valvo. Quest’ultima, in particolare, rappresenta insieme ad Augusto Sinatra la Fondazione-Fondo Proserpina (amministratore il noto politico Pd Vladimiro Crisafulli) nel procedimento contro il MIUR sul mancato riconoscimento legale della sedicente “Facoltà di medicina di Enna” istituita dalla Fondazione insieme all’Università Dunarea de Jos di Galati (Romania). Già Preside della Facoltà di Scienze economiche e giuridiche ed odierna titolare della cattedra di Diritto dell’Unione europea dell’Università Kore, l’avv. Anna Lucia Valvo è pure “docente aggiunto” nei corsi di aggiornamento della Scuola Interforze della Polizia di Stato, nonché “consulente” dell’Ambasciata della Repubblica di Turchia in Italia. Nel suo curriculum accademico compare pure la pubblicazione di una “nota giuridica” a favore delle motivazioni della sentenza della Cassazione del 17 luglio 2014 ha nei fatti ha impedito l’estradizione in Argentina di Carlos Luis Malatto.
Tra i “collaboratori esterni” dello Studio legale che difende il transfuga (ex) golpista argentino c’è pure un altro noto professionista siciliano, l’avv. prof. Salvatore Lombardo, già deputato del Psi all’Assemblea regionale siciliana.

Il Condor degli ex militari golpisti argentini lascia le Ande per nidificare in Sicilia

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Deve rispondere di gravissimi crimini contro l’umanità l’ex militare italo-argentino Carlos Luis Malatto, immortalato in un video dai cronisti di Repubblica.it nel rifugio dorato di Portorosa-Furnari, la località turistica della fascia tirrenica della provincia di Messina già meta delle latitanze di boss di Cosa Nostra del calibro di Bernardo Provenzano e Benedetto “Nitto” Santapaola. Malatto, in particolare, è accusato di concorso nel sequestro, detenzione illegale, omicidio e sparizione del corpo della studentessa ventiquattrenne Marie Anne Erize, una delle vicende più brutali degli anni della dittatura dei militari golpisti argentini.
La donna, ex modella poi volontaria negli sterminati barrios-miseria di Buenos Aires, fu sequestrata da tre militari la mattina del 15 ottobre 1976  a San Juan, dove la giovane si era stabilita dopo l’arresto del suo fidanzato Daniel Rabanal, un giovane studente aderente al movimento peronista Montoneros. La ragazza fu condotta nel vecchio complesso sportivo La Marquesitas della città di San Juan, appositamente riconvertita in lager dall’esercito. Lì, stando alle prove raccolte dai giudici argentini, Mari Anne Erize è stata assassinata dopo essere stata vittima di inaudite torture e stupri. Al tempo del sequestro della giovane studentessa, il tenente colonnello Carlos Luis Malatto era in forza al Reggimento di Fanteria di Montagna (RIM 22) di San Juan; secondo gli inquirenti sarebbe stata proprio la centrale d’intelligence di questo reparto militare ad organizzare il sequestro, la detenzione e la sparizione di Mari Anne Erize.
Superiore gerarchico a San Juan era al tempo il noto torturatore Jorge Antonio Olivera, il 4 luglio 2013 condannato all’ergastolo dal Tribunale criminale federale argentino per più di 50 reati commessi negli anni della dittatura militare. La condivisione delle strategie criminali tra i due ufficiali era così stretta che i prigionieri politici li identificarono entrambi con lo stesso pseudonimo, Malavera, derivante dalla fusione dei cognomi di Carlos Luis Malatto e Jorge Antonio Olivera. Anche Olivera trovò rifugio in Italia dopo l’emissione del mandato di cattura nei suoi confronti, ma come accaduto con Malatto, le autorità del nostro paese hanno negato l’estradizione. Indossata la toga di avvocato Olivera ha difeso processualmente il boia delle Fosse Ardeatine Erich Priebke; dopo la simbolica condanna a 15 anni (poi ridotti a 5), l’ex ufficiale nazista scontò parte della pena proprio in un appartamento romano di proprietà dell’ex ufficiale argentino.
La contiguità Malatto-Olivera è confermata pure dalla scelta dello stesso legale difensore, il prof. Mario Sinagra, originario di Catania ed ex ufficiale dell’Aeronautica militare, affiliato alla loggia massonica P2 del venerabile Licio Gelli (di quest’ultimo lo stesso Sinagra è stato difensore) e candidato alle ultime elezioni politiche ed europee con la lista neofascista di CasaPound. Secondo l’ex magistrato Carlo Palermo, già in forza alle Procure di Trento e Trapani per complesse inchieste su traffici di armi internazionali e la connection servizi segreti-mafia, l’avv. Augusto Sinagra avrebbe frequentato “in rappresentanza di Licio Gelli” il sedicente Centro studi Salvatore Scontrino di Trapani al cui interno si nascondevano numerose logge massoniche a cui sarebbero stati affiliati anche personaggi legati alla criminalità organizzata, ai servizi segreti e alla struttura paramilitare Gladio. Al processo sulle attività del Centro studi, il maestro responsabile Giovanni Grimaudo (ex prete, poi docente di filosofia) ha ammesso i suoi incontri con Sinagra.
Ad affiancare l’avvocato catanese nella difesa dell’ex ufficiale Jorge Antonio Olivera,  c’era - sino alla sua morte avvenuta nel gennaio 2010 - pure l’avv. Marcantonio Bezicheri, già candidato a sindaco di Trieste e Bologna con l’organizzazione di estrema destra Msi-Fiamma Tricolore e difensore di numerosi imputati neofascisti indagati in processi per stragi: tra essi il più noto è Franco Freda, ma ci sono pure Marco Maria Maggi (assolto per la strage di Piazza Fontana a Milano), Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco (assolti per la strage alla stazione di Bologna).
Era già accaduto in passato, ma l’odierna scoperta del villino di Portorosa affittato per i bagni estivi e le gite in barca alle Eolie dell’ennesimo criminale-impunito latinoamericano, offre tutta l’impressione che il famelico Plan Condor dagli artigli insanguinati abbia lasciato le Ande per nidificare in Sicilia, sotto la protezione della sempreviva rete di neofascisti, massoni deviati, servizi segreti ed apparati vari dello Stato e - per la location - forse pure dei leader storici della criminalità mafiosa barcellonese.

Armi-biciclette e tanto onore per il clan Romeo-Santapaola di Messina

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Un balordo ti ha rubato l’auto sotto casa? Chiama loro e te la riportano in meno di un’ora con tanto di scuse. L’imprenditore amicoha qualche problema con il boss o i gregari delle ‘ndrine calabresi più temute? Tranquillo, ci pensa uno di loro a fare da paciere e smussare i contrasti. Hai bisogno di una bicicletta calibro 21 o 38 special? Chiama loro per una pronta consegna a domicilio con tanto di colpo in canna. Loro sono i componenti del gruppo familiare-criminale dei Romeo-Santapaola, la “costola” peloritana del potente mandamento di Cosa nostra catanese, quello retto da tempi remoti da don Benedetto Nitto Santapaola. Fatti e aneddoti in buona parte inediti sulla “famiglia-ponte” della criminalità della città di Messina sono stati riferiti dal maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Musolino nel corso dell’ultima udienza del processo antimafia Beta che vede imputati i Romeo-Santapaola e alcuni noti professionisti della borghesia locale, avvocati, costruttori e finanche qualche ex dirigente dell’amministrazione pubblica.
Niente sbirri. A ritrovare gli automezzi meglio i Romeo… 
“Per comprendere la forza e la rilevanza dell’organizzazione dei Romeo-Santapaola e i suoi rapporti con i soggetti criminali che operano su Messina è utile riportare piccoli episodi che presi singolarmente hanno poco valore ma che insieme lasciano comprendere come essa fosse una struttura superiore rispetto alla polverizzazione e frammentazione dei clan messinesi”, ha esordito l’inquirente. “Un primo episodio riguarda il furto di un motorino avvenuto nei confronti di Benedetto Romeo e del quale lo stesso non si era nemmeno accorto. Il 15 aprile 2014, durante un’intercettazione tra il costruttore Biagio Grasso e l’odierno imputato Vincenzo Romeo, quest’ultimo spiegava che era avvenuto il furto del mezzo del fratello e che una volta che gli autori si erano resi conto di chi era proprietà il mezzo, si erano spaventati e avevano riportato immediatamente il motorino al legittimo proprietario. Tra i soggetti a cui si faceva riferimento per il furto c’era Antonino Tortorella con precedenti per stupefacenti. Questi era il fratello di Fabio Tortorella e i due sono figli di Giovanni Tortorella, con precedenti per armi, stupefacenti, estorsione, associazione mafiosa, pure coinvolto nell’operazione Case basse di Messina. Giovanni Tortorella è inoltre fratello di Fabio Tortorella, con precedenti per omicidio, stupefacenti, estorsioni, associazione mafiosa. Il nome di Fabio Tortorella è pure uscito nell’indagine denominata Mattanza, in riferimento ai rapporti con altre persone in relazione all’omicidio di Francesco La Boccetta, Sergio Micalizzi e Roberto Idotta (al processo Mattanza, l’imputato Fabio Tortorella è stato tuttavia assolto nonostante il Pm avesse chiesto la condanna all’ergastolo, Nda). Questo per comprendere che si tratta di soggetti che non erano estranei al tessuto criminale e che avevano comunque in famiglia qualcuno che aveva un rapporto con la criminalità organizzata…”.
“Un altro fatto riguarda il furto della microcar che veniva utilizzata dalla figlia di Marco Daidone, il soggetto che all’interno dell’organizzazione criminale dei Romeo gestiva inizialmente il Ritrovo Montecarlo, aperto unitamente a Benedetto Romeo e dove c’era una sorta di sala scommesse gestita da quest’ultimo”, ha aggiunto Musolino. “Abbiamo accertato che Marco Daidone aveva rapporti anche con Vincenzo Romeo e che si era pure recato con lui a Malta quando c’è stato un problema di liquidità; quindi era una persona proprio di famiglia… Riscontriamo ciò anche quando Biagio Grasso e il Romeo si recano presso l’abitazione di Daidone per recuperare dei soldi contanti. Tornando al furto della microcar, il 9 novembre 2014 Marta Giannetto che era la madre di Daidone, contatta il figlio e dice che all’esterno della propria abitazione dov’era parcata, l’auto non c’era più. Daidone, piuttosto che contattare carabinieri o polizia, fa subito una telefonata a Vincenzo Romeo. Nel corso della conversazione Daidone non fa riferimento al furto perché teme di poter essere intercettato e quindi cerca di spiegare che la madre era rimasta a piedi… Una volta che Vincenzo Romeo comprende quanto accaduto, i due decidono di incontrarsi nella zona di Minissale. Successivamente a questa conversazione Marco Daidone tenta di contattare anche il fratello di Vincenzo Romeo, Daniele Romeo, proprietario di un’officina a Minissale, cercando un aiuto diretto anche da lui. Ebbene, se noi pensiamo che la prima registrazione tra Marta Giannetto e Daidone avviene alle ore 22.47 e che l’incontro tra Vincenzo Romeo e Daidone è di appena quarantacinque minuti dopo, in poco meno di un’ora Daidone si preoccupa di contattare la figlia facendole sentire il rumore della macchina che aveva appena ritrovato. Il giorno successivo Daniele Romeo si rende conto della chiamata ricevuta e sempre con le medesime modalità criptiche spiega che oltre a lui poteva rivolgersi anche al fratello Gianluca”.
Nel corso della sua deposizione il maresciallo Vincenzo Musolino si è soffermato pure su un misterioso furto di materiale edile all’interno di un cantiere aperto nel rione Fondo Fucile per la realizzazione di alcune palazzine. “Il 29 settembre del 2014 Biagio Grasso riceveva una telefonata da parte del fratello Massimo perché avevano asportato all’interno del proprio cantiere un cavo elettrico di circa settanta metri e ciò non consentiva il prosieguo dell’attività”, ha spiegato il teste. “La conversazione tra i due non avviene in maniera criptica anche perché i due non pensano di essere intercettati. Pochi minuti dopo il Grasso cercava di recuperare il cavo contattando più ditte e durante una conversazione il costruttore dice che adesso qualcuno si farà male per quanto accaduto. Altrettanto importante è la successiva conversazione tra Biagio Grasso e Orazio Johnny Faralla, soggetto che era inserito anteriormente nel settore del gioco d’azzardo dei Romeo e con precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Faralla era stato pure arrestato nell’operazione Gramigna e all’epoca aveva anche un fine pena definitivo. Vincenzo Romeo aveva battezzato il figlio di Orazio Johnny Faralla e quindi c’era anche questo rapporto di comparato. Durante la conversazione con Biagio Grasso, il Faralla che invece è consapevole della possibilità di essere intercettato, riferisce di aver detto al fratello, quindi a Massimo Grasso, di non parlare per telefono, che quando si trattava di incontrarsi con Vincenzo Romeo lui spegneva il telefono… Biagio Grasso non comprendeva com’era possibile che si fosse verificato questo furto in quanto tutti erano a conoscenza che all’interno del cantiere di Fondo Fucile vi fosse la presenza del comune amico Enzo Romeo. Successivamente Vincenzo Romeo e Biagio Grasso cercano di comprendere chi avesse compiuto il furto. In un colloquio Romeo riferiva che tutti questi rognosi li conosceva. Altre conversazioni ci fanno comprendere invece il ruolo svolto da Vincenzo Romeo, come quelle che avvengono tra Stefano Barbera e la compagna Donatella Raffaele. In quella del 23 settembre 2014, il Barbera dice che il Romeo, quotidianamente, ha bisogno di diverso contante per aiutare i familiari delle persone che si trovano in carcere, gli porta soldi alle persone che si trovano agli arresti domiciliari, cinquanta-cento euro e che ha un quaderno dove segnava tutto questo. In un’altra conversazione lo stesso Romeo riferisce di avere troppa gente sulle spalle. Così noi riusciamo a comprendere che il Romeo era ben inserito all’interno del contesto messinese anche perché lui conosceva tutti…”.
E a calmare catanesi e calabresi ci pensa mister Tempesta
Il maresciallo Musolino ha riferito pure di un “interessamento” dei Romeo-Santapaola in un contenzioso tra un imprenditore catanese e alcuni creditori. “Per questo riguarda la relazione della famiglia messinese con gli esponenti della zona di Catania, un episodio rilevante è quanto accaduto a Michele Spina, un imprenditore nipote di Sebastiano Scuto, soggetto con precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso ed altro, indagato per l’impiego e il riciclaggio di capitali illeciti del clan Laudani, federato al gruppo dei Santapaola”, ha raccontato l’inquirente. “Il 29 aprile del 2014 viene registrata una conversazione a bordo dell’autovettura Audi A6 tra Biagio Grasso e Michele Spina, durante la quale quest’ultimo lamentava che una persona era arrivata da lui richiedendo dei soldi. Qual era il motivo? Michele Spina era stato in passato in rapporto con Vincenzo Romeo per quanto riguardava l’ambito dei giochi e in particolare le concessioni per diversi milioni di euro che era riuscita ad ottenere la Primal S.r.l. gestita da Spina. Lo stesso Vincenzo Romeo racconta di essersi recato presso lo studio dell’avvocato Sbordoni a Roma unitamente a soggetti di altre organizzazioni criminali che avevano ottenuto le concessioni per i giochi, i quali conoscevano come soggetto referente Michele Spina e non lui. In quel caso Michele Spina chiederà a Vincenzo Romeo di accompagnarlo presso l’avvocato perché era avvenuto il blocco delle concessioni anche perché si faceva riferimento ad un mancato pagamento di diversi milioni di euro. Allora Michele Spina disse che il suo socio di riferimento era il Romeo. Come raccontato da Spina a Biagio Grasso, una persona si era recata da lui per richiedere la restituzione di ventimila euro relativi all’apertura di un centro scommesse, quindi per una concessione che poi non si era più realizzata. Grasso allora gli domanda perché nonsi faceva riferimento a Tempesta. Noi riusciamo ad identificare Tempesta in Vincenzo Romeo anche con l’aiuto di Stefano Barbera. Sempre in quel contesto Michele Spina dice che si tratta di un clan avverso, infatti non si trattava del clan Laudani o Santapaola bensì del clan Pillera. Il 29 aprile 2014 Spina e Grasso continuano a parlare di quanto accaduto e fanno riferimento al soggetto chiamandolo per nome e cognome, ovvero Francesco Grasso, persona originaria di Catania e nipote di Salvatore Pillera, alias Turicachidi, ritenuto a capo dell’omonima famiglia mafiosa etnea. Un altro episodio ha riguardato invece l’incendio verificatosi il 19 luglio 2014 ad un negozio di scarpe che si trova nella zona di Pistunina, di proprietà dell’impresa Salice Angelo e figli e il cui amministratore unico è Angelo Salice. Alcuni giorni dopo, all’interno dell’ufficio della XP Immobiliare, nel commentare con Grasso l’incendio, Romeo riferiva che erano andati dal medico successivamente, cioè si erano rivolti al padre dopo che la cosa era accaduta. Evidentemente c’era stato un problema, probabilmente una richiesta estorsiva e piuttosto di rivolgersi prima alla famiglia Romeo, si erano recati solo dopo l’incendio”.
“Abbiamo registrato anche delle relazioni d’affari con gruppi criminali che operano in Calabria, intanto una serie di rapporti tra Vincenzo Romeo e l’imprenditore Carlo Borrella”, ha aggiunto il maresciallo Musolino nel corso della sua deposizione al processo Beta. “In particolare, in diverse conversazioni intercettate sempre presso la XP Immobiliare e all’interno dello studio dell’avvocato Andrea Lo Castro, si evidenziava l’investimento di soldi da parte di Romeo all’interno dei cantieri della società Demoter di Borrella. I cantieri erano quelli relativi alla strada provinciale che si stava costruendo in Calabria tra Bovalino e Bagnara, che collegava cioè i comuni che storicamente sono legati ad alcune famiglie mafiose tra i quali i Barbaro di Platì. L’appalto della Bovalino-Platì se l’era aggiudicato all’inizio la Demoter poi trasformata in Cubo S.p.A.. Nel corso delle indagini registriamo tale Saverio Barbaro che contattava Biagio Grasso al fine di avere il pagamento di alcune spettanze stipendiali. Saverio Barbaro era dipendente della Demoter e dall’aprile del 2012 lo diventa della Cubo; quindi era un dipendente diretto di Carlo Borrella e delle sua aziende. Per comprendere chi fosse Saverio Barbaro, noto tra i personaggi messinesi come il Geometra, possiamo riferire che è gravato da pregiudizi per favoreggiamento personale, falsità materiale ed altro. In particolare egli è appartenente, grazie agli stretti legami di sangue, alla ‘ndrina Barbaro-Pillaro in quanto il nonno paterno, Giuseppe, alias Peppe Pillaru,è ritenuto il capo dell’omonima cosca dei Barbaro. Saverio Barbaro era legato con rapporti di parentela anche con i Perre Maistru e in particolare con la ‘ndrina Trimboli. Sono state segnalate frequentazioni tra Saverio Barbaro, Francesco Barbaro, Francesco Perre, Pasqualino Barbaro e Francesco Barbaro”.
“Abbiamo avuto modo di registrare dei contatti tra Saverio Barbaro direttamente con appartenenti alla famiglia Romeo; in particolare nel corso di un colloquio con Biagio Grasso lo stesso Vincenzo Romeo fa esplicito riferimento alla famiglia Barbaro e poi chiede all’interlocutore di spegnere l’apparecchio cellulare”, aggiunge il teste. “In questo caso il riferimento è a tutte quelle aziende che ruotavano attorno all’appalto della Cubo S.p.A., quindi ad Antonio Barbaro con la Planet Costruzioni. Antonio Barbaro era legato da vincoli familiari a Saverio Barbaro ma era anche il figlio di Giuseppe Barbaro e nipote di Pasquale Barbaro ‘u Nigru che era a capo della cosca. Abbiamo verificato l’esistenza di rapporti tra quest’ultimo e Vincenzo Romeo. Ad esempio il 12 settembre 2004, durante un incontro registrato all’interno dell’ufficio della XP Immobiliare, Romeo e Grasso chiedevano a Borrella con chi è che aveva parlato, se aveva parlato con quello che era latitanteche all’epoca era appunto Pasquale Barbaro… In questo caso era lo stesso Romeo a chiedere: Barbaro, Barbaro chi?Perché lui voleva capire con chi è che doveva parlare per cercare di sistemare la situazione. Nel corso di questa conversazione si fa riferimento anche ai soldi dati da Vincenzo Romeo per far ripartire quello che era il cantiere di Platì ma soprattutto per cercare di fermare le richieste da parte del gruppo della ‘Ndrangheta calabrese che aveva investito diverse somme di denaro e che aspettava il pagamento, per esempio, di alcune spettanze da Borrella. Un’altra conversazione di interesse era quella dove Vincenzo Romeo spiegava che doveva andare in Calabria a cercare di sistemare il bordello che si era creato…. La relazione della Prefettura di Reggio Calabria del 25 marzo 2011 effettuata dopo l’accesso del Gruppo interforze presso il cantiere sulla Bagnara-Bovalino aveva accertato l’esistenza di una serie di aziende che attraverso il nolo a caldo o il nolo a freddo avevano fornito il materiale o comunque mezzi in riferimento all’appalto della strada provinciale, pertanto il loro interesse era quello di recuperare e riprendere l’appalto con la Provincia di Reggio Calabria (…) Nel corso di diverse conversazioni all’interno dello studio dell’avvocato Andrea Lo Castro, noi registriamo l’interesse da parte di Carlo Borrella, Vincenzo Romeo e Biagio Grasso fondamentalmente per almeno tre ipotesi: 1) recuperare il denaro che Vincenzo Romeo aveva investito nell’affare; 2) evitare che il nome di Vincenzo Romeo, che era stato speso nei confronti della famiglia Barbaro, potesse ricavare una cattiva figura perché il Romeo si era comunque presentato nei confronti della famiglia Barbaro facendo riferimento alla propria appartenenza ai Santapaola; 3) la necessità da parte del gruppo di recuperare alcuni mezzi che la Cubo e Demoter avevano disseminato nel territorio nazionale ed estero. Le indagini della Procura di Milano erano del 2011-2012 e riguardavano il fallimento della Else poi trasformata in Fondazione Else, dove era stato indagato lo stesso Biagio Grasso e tutta una serie di soggetti, come ad esempio Susanna Allievi che era una delle collaboratrici di Grasso, un’imprenditrice che si muoveva tra Milano e Messina. Anche in questa vicenda c’era un collegamento con i calabresi per rintracciare quali erano questi mezzi per poi rivenderli. I mezzi erano infatti quelli della Fondazione Else e di Else: caterpillar, macchine motrici o altro…”.
Alla ricerca di attrezzature edili e teste di legno
“L’individuazione e il recupero dei mezzi avveniva grazie anche alla compiacenza di due soggetti stranieri, uno dei quali, Atta El Sayed, lavorava nella zona di Milano e comunque aveva avuto dei precedenti penali per furto e altro; il secondo soggetto era Abdullah Nagha, un cittadino egiziano non meglio identificato”, ha spiegato l’inquirente. “Biagio Grasso, Carlo Borrella e Vincenzo Romeo si incontrano spesso per tentare di recuperare i mezzi che erano stati sequestrati per poterli poi rivendere e recuperare il denaro. Noi veniamo a sapere di un appuntamento che si doveva verificare presso lo studio dell’avvocato Lo Castro. La mattina del 21 febbraio 2014 il servizio di osservazione esterno riesce a intercettare Carlo Borrella e il veicolo in uso a Vincenzo Romeo. Successivamente arrivano presso lo studio di Lo Castro, sia Biagio Grasso che Romeo. Ciò rappresenta per noi l’inizio per comprendere chi fosse Grasso e quale rapporto lo legasse a Romeo e a Borrella… Condizione necessaria per il recupero delle riserve della società era quella del cambio dell’amministratore della stessa Cubo, come sarà detto testualmente il 3 marzo 2014 all’interno dello studio Lo Castro nel corso di un incontro tra l’avvocato, Biagio Grasso e Vincenzo Romeo. In queste riunioni certe volte non c’è la presenza di Borrella perché al tempo egli non lavorava a Messina ma aveva dei cantieri in Costa d’Avorio. Vi era qualche difficoltà nella comunicazione tra questi personaggi, ma c’erano telefonate in transito da alcune utenze in uso a numeri della Costa d’Avorio. Un altro sistema utilizzato da Grasso e Borrella per comunicare era quello della e-mail condivise; durante alcune delle conversazioni registrate i due facevano riferimento ad un server e ad una password. Te la ricordi la password? Così uno dei due entrava all’interno della e-mail stessa e del file salvato al suo interno e dialogavano in questa maniera. Formalmente Biagio Grasso non ricopriva al tempo alcuna carica all’interno della Cubo S.p.A. o della Demoter. L’amministratore della Cubo era Filippo Spadaro. Il 9 settembre 2014, sempre all’interno della XP Immobiliare, noi registriamo una conversazione tra Grasso e Spadaro in cui il primo parla anche della sua testa di legno, perché uno dei sistemi nelle diverse ditte riferibili al gruppo Santapaola-Romeo era quello della presenza di teste di legno, ovvero di soggetti che non avevano precedenti penali ma che comunque erano legati da un rapporto fiduciario a Vincenzo Romeo e alla famiglia Romeo o che prestavano il proprio nome per far parte delle cariche sociali. Uno di questi era Franco Lo Presti”.
L’esigenza di individuare dei prestanomi di comodo nasceva dall’esigenza di bypassare i provvedimenti amministrativi e giudiziari in corso. “La Demoter era già stata oggetto di interdittiva antimafia; la prima era quella n. 20712 del 2011 relativa all’esecuzione delle opere per l’Expo di Milano a cui è seguita quella dell’1 giugno 2012”, ha raccontato il maresciallo Musolino. “Proprio quest’ultima informativa la vedremo più volte citata dallo stesso Biagio Grasso nel corso di alcuni colloqui con il padre perché erroneamente il costruttore non aveva letto che nel provvedimento fatto dal Comando provinciale di Messina, in alto a destra, il 12 era scritto male e pertanto lui pensava trattarsi di una nuova informativa antimafia connessa ai suoi rapporti con l’imprenditore Salvatore Puglisi e con i barcellonesi Carmelo D’Amico e Antonino Merlino. Biagio Grasso aveva paura che tale nuovo atto potesse colpirlo ancora una volta inficiando quello che doveva essere l’aggiudicazione dell’appalto per gli alloggi popolari con il Comune di Messina”.
Una, due, tre, quattro, cinque biciclette con colpo in canna
Su specifica domanda del Pubblico ministero Liliana Todaro, il teste ha spiegato le modalità con cui il gruppo Romeo-Santapaola entrava in possesso di armi e munizioni. “Armi non ne sono state ritrovate nel corso delle diverse fasi d’indagine e noi non abbiamo effettuato delle perquisizioni, nonostante nel periodo delle intercettazioni c’erano specifici riferimenti ad esse”, ha dichiarato Musolino. “In particolare c’erano state delle conversazioni tra gli indagati che riguardavano proprio la detenzione di armi da parte del gruppo. Il gruppo faceva molta attenzione a parlare, non ha mai utilizzato proprio la parola armi ma bensì si parlava di biciclette, oppure si faceva riferimento al calibro… Voglio raccontare in proposito un episodio accaduto il 4 luglio 2014 e che ha riguardato l’abbattimento di un cane che aveva morso un bambino e che ha avuto come protagonista Antonio Lipari. Questi è noto come cugino di Vincenzo Romeo ma in realtà il Lipari è figlio di Carmela Pasqualina Romeo che era nipote di Francesco Romeo, padre di Vincenzo e che gestiva il bar Hospitalche si trova all’ospedale Piemonte. Antonio Lipari e il fratello Salvatore Lipari erano molto vicini al gruppo criminale, erano proprio intranei ai Romeo-Santapaola. In particolare Francesco Romeo faceva spesso riferimento ai nipoti per svolgere qualsiasi tipo di attività. Essi si occupavano di settori diversi, come è stato il caso della distribuzione dei farmaci in Calabria e in Sicilia con una ditta di riferimento. Ebbene, per l’episodio del 4 luglio 2014, Antonio Lipari contattava Vincenzo Romeo facendo riferimento ad ironovvero ferro, come comunemente e generalmente viene indicata la pistola all’interno del gruppo e chiede al cugino di andare da lui. Nella conversazione registrata qualche minuto dopo, noi comprendiamo che assieme ad Antonio Lipari vi era anche il fratello Salvatore. Nel preciso istante in cui arrivano queste due conversazioni telefoniche, Biagio Grasso si trovava all’interno di un’autovettura con Vincenzo Romeo. Il motivo per cui era stato contattato Romeo era che Antonio e Salvatore Lipari non volevano abbattere il cane perché probabilmente si spaventavano e quindi chiesero l’aiuto di Vincenzo Romeo. Di sera, sempre all’interno dell’autovettura, i due commentano la modalità con cui è stato ammazzato questo cane (…) Il termine convenzionale dell’uso di biciclette noi lo riscontriamo ad esempio in una conversazione tra Francesco Romeo e Vincenzo Romeo a cui era presente anche Concettina Santapaola, madre di Vincenzo Romeo e moglie di Francesco. In questo colloquio si fa riferimento a due biciclette 7 e 21 nuove-nuove e quindi al fatto che i fratelli Lipari avevano provato ad utilizzare queste armi vicino la casa del fratello Benedetto Romeo. Anche il Romeo in un’occasione fa esplicito riferimento a cinque biciclette in suo possesso. Se avesse avuto la necessità, riferiva al suo interlocutore, doveva recuperare cinque biciclette e fargliela pagare. Altra conversazione di interesse è quella del 4 settembre 2014 quando Stefano Barbera propone di prelevare la pistola e il fucile che aveva a casa il padre, Giuseppe Barbera, per poi effettuare la punzonatura sulle armi stesse e quindi rivenderle. Romeo si mostra particolarmente interessato ad avere queste armi. Abbiamo poi accertato presso la stazione Carabinieri di Spadafora che Giuseppe Barbera deteneva effettivamente un Revolver calibro 38 special marca Taurus, cinquanta cartucce e ancora un fucile marca Benetti Andrea, calibro 16. Il 14 luglio del 2015 registriamo invece Vincenzo Romeo che si sfoga e arriva a dire che se avesse ritenuto Biagio Grasso un infame gli avrebbe sparato in testa con una 44 o una 45”.
“In una conversazione registrata il 22 novembre 2014 tra Francesco Romeo e Pasquale Romeo, si faceva riferimento invece ad uno scantinato dal quale bisognava togliere qualcosa; noi comprendiamo che si tratta di una pistola anche perché loro avevano paura di una possibile perquisizione”, ha concluso Musolino. “Altre conversazioni più esplicite sono quelle che avvengono all’interno dell’ufficio della XP Immobiliare perché quello era il luogo in cui Romeo e Grasso si sentivano liberi di poter dialogare. Il 26 novembre 2014 si comprende dal tenore del colloquio come i due fossero in possesso di un’arma. C’è infine una vicenda relativa ad un problema sorto con i soci catanesi o meglio Carmelo Laudani e Salvatore Galvagno, due imprenditori che erano stati inseriti all’interno della XP Immobiliare al fine di portare liquidità (avevano versato cinquantamila euro a Biagio Grasso) e terminare prima dei tempi stabiliti l’appalto per la costruzione delle palazzine da vendere al Comune di Messina. Quando le abitazioni non vengono più vendute, Carmelo Laudani e Galvagno richiedono la restituzione del denaro. Questo fa nascere diversi problemi anche perché in quel momento Grasso e Romeo dovevano versare mensilmente una quota di affitto al precedente socio che era la RD Immobiliare di Rosario Di Stefano. Quando loro si rendono conto che uno dei due imprenditori aveva delle armi addosso, Grasso e Romeo dicono che avevano preso la cautela di avere con sé alcune pistole. Nel corso della conversazione registrata la sera dell’8 gennaio 2015 Biagio Grasso rimproverava il fatto che avesse messo il colpo in canna…”.

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