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La Romeo-Santapaola Holding S.p.A. di Messina, tra farmaci, voti e slot machine

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Un padre-padrino e, per diversificare gli investimenti e moltiplicare gli utili, i figli dediti ognuno ad un’attività economico-lavorativa differente: il primo amministratore di beni e capitali, un secondo gestore di locali commerciali, un terzo a capo delle cyber-ludoscommesse, un altro ancora costruttore e immobiliarista. E finanche due nipoti-cugini a capo di un’affermata società principe nella distribuzione di materiale sanitario e farmaci in Calabria e mezza Sicilia. Viene descritta dagli inquirenti come una vera e propria S.p.A. finanziaria e fornitrice di multiservizi la famiglia Romeo-Santapaola, costola messinese della potente cosca criminale-mafiosa che ha come uomo di vertice don Benedetto “Nitto” Santapaola.
“Il gruppo dei Romeo-Santapaola funzionava come una specie di holding”, ha spiegato ai giudici del processo antimafia Beta il maresciallo Vincenzo Musolino, in servizio presso il ROS dell’Arma dei carabinieri, sezione anticrimine di Messina. “L’attività di indagine svolta nel corso di un anno e dieci mesi ha fatto emergere una serie di interessi economici che i Romeo-Santapaola avevano in vari settori dell’economia locale e non solo. In particolare, si andava dalla distribuzione dei giochi online, le slot machine, alle operazioni di speculazione edilizia, agli appalti pubblici o, per meglio dire, alla vendita al Comune di Messina degli alloggi da adibire a case popolari. E c’erano ancora le corse clandestine di cavalli e gli investimenti internazionali come ad esempio quello che il gruppo fece con il sedicente investitore portoghese Monteiro, senza poi dimenticare anche diversi locali commerciali che i Romeo-Santapaola avevano a Messina e che aprivano e chiudevano anche con molta facilità. In un anno e mezzo abbiamo visto aprire il Ritrovo Montecarlo sul viale Europa e poi rivenderlo o il luogo di scommesse della Lottomatica di via Garibaldi. La ratio di questa motivazione, cioè quella di coprire più settori, viene letta da parte nostra, innanzitutto, con la necessità di evitare di convogliare troppo denaro in un unico settore che poteva destare l’interesse della Polizia Giudiziaria. Ma, al tempo stesso, anche per limitare i rischi di eventuali perdite che potevano avvenire normalmente nel corso dell’attività imprenditoriale. Questo perché siamo di fronte ad una mafia di tipo 2.0, cioè non soltanto dedita ad attività di tipo delinquenziale ma, bensì, anche a quelle attività imprenditoriali che hanno lo scopo di fidelizzare, di assoldare il maggior numero di soggetti. Persone che lavorano anche per loro e vivono con i soldi delle varie imprese…”.
Tu lo vendi, io lo compro e lui se lo intesta
“Francesco Romeo, che era il capo famiglia, era a conoscenza di tutti gli interessi e dei settori diversi nei quali erano impegnati i figli”, ha aggiunto l’investigatore. “In particolare, Benedetto Romeo aveva una ditta di distribuzione di pannolini e oggetti medicali che aveva vinto un appalto per diversi milioni di euro; Vincenzo Romeo era impegnato negli affari immobiliari così come nel gioco, parliamo dell’XP Immobiliare così come della Start S.r.l. o di altre società a lui riferibili. Poi vi era Gianluca Romeo che aveva il settore di alcuni locali, così come lo stesso Maurizio. Vi era poi Daniele che aveva invece il settore della meccanica e che è stato indicato nell’informativa Beta 2 relativamente a possibili situazioni di furti di mezzi. Nonostante tutti quanti i fratelli avessero un settore diverso di gestione nella diversificazione degli affari, tutti avevano conoscenza di ogni cosa. L’interesse dei sodali è comune e diretto. Quando uno dei fratelli Romeo ha dovuto effettuare un acquisto, come poteva essere ad esempio quello di un appartamento, abbiamo avuto modo di notare dall’analisi dei vari conti correnti un passaggio di soldi, soprattutto da Vincenzo Romeo a qualcuno dei fratelli. In una conversazione avvenuta all’interno dell’abitazione di Francesco Romeo, lo stesso Daniele Romeo afferma che proprio Vincenzo Romeo ha aiutato sempre tutti ed ha aiutato anche il padre, perché egli era il soggetto di riferimento nonostante non fosse il più grande dei fratelli. Il primogenito è infatti Pasquale. Ciò lo rileviamo anche il 3 giugno 2014 quando è Vincenzo Romeo che riferisce: Io ho troppo bordello, ho troppa gente sulle spalle. Poco prima c’era stato l’incontro con Francesco Massimiliano Santapaola che era il figlio diretto di Nitto Santapaola e lui riferisce che deve mandargli pure qualcosa di soldi. Egli è molto stressato da questa mancanza di liquidità anche perché c’era stato a Catania l’arresto di Vincenzo Ercolano e quindi alla parte catanese erano mancati quegli introiti economici che potevano derivare dalla aziende della distribuzione di cui lui era titolare”.
Il mutuo soccorso e le strette relazioni economiche tra i componenti della famiglia Romeo sono apparse evidenti agli inquirenti in occasione della compravendita di un appartamento in cui abitava la suocera di Vincenzo Romeo, vicenda in cui ha giocato un ruolo determinante il consigliere-consigliore della famiglia, l’avvocato Andrea Lo Castro. “Il 21 gennaio 2015 Vincenzo Romeo si reca presso lo studio dell’avvocato Lo Castro”, ha raccontato al processo Beta il maresciallo Musolino. “I due parlano di diverse operazioni finanziare, tuttavia l’attenzione si ferma in riferimento ad un’indagine che aveva colpito il noto imprenditore Antonino Giordano. In particolare, il 18 novembre 2014, nell’ambito del provvedimento n. 1809/13, il Tribunale di Messina aveva applicato al Giordano gli arresti domiciliari poiché ritenuto responsabile di turbativa libertà degli incanti per alcuni appalti banditi dal CAS – Consorzio per le Autostrade Siciliane. Antonino Giordano era l’amministratore unico della società Nuova Parnaso S.r.l. che era la proprietaria degli immobili dove abitava la suocera di Romeo. In particolare, alla data dell’incontro di Vincenzo Romeo con l’avvocato Lo Castro, l’appartamento dove abitava la suocera risultava ancora intestato al Giordano, pertanto Romeo ha paura che possa avvenire un sequestro degli immobili e chiede notizie su cosa sia meglio fare per intestarselo. Inizialmente Andrea Lo Casto ipotizza di creare una S.r.l.. Poi lui fa riferimento ad un assegno dell’appartamento stesso e Romeo dice: Che facciamo, chi se lo intesta questo appartamento? Alla fine decidono di non fare in quel momento alcun passaggio anche perché formalmente l’appartamento in questione risultava di proprietà dell’avvocato Lo Castro in quanto vi era un preliminare d’acquisto. Noi siamo riusciti a documentare che c’era stato il passaggio di due appartamenti della Nuova Parnaso, ubicati all’interno dell’omonimo complesso Nuovo Parnaso di Messina. Tutti e due erano intestati a Lo Castro ma successivamente sono stati rivenduti dallo stesso legale, uno a Gianluca Romeo, che è il fratello di Vincenzo Romeo e dunque no a Cristina Di Pietro, moglie di Vincenzo o a Letteria Gemelli che è la suocera, mentre l’altro appartamento compromissato è stato venduto a Luigi Italiano. Anche Italiano è soggetto con alcuni precedenti di Polizia; in particolare si tratta di un imprenditore della zona di Belmonte Mezzagno, Palermo, che nel 2006 era stato iscritto nel registro degli indagati della Procura Distrettuale del capoluogo siciliano per il reato di 416 bis in concorso con i noti imprenditori Massimo Ciancimino, Gianni Lapis ed altri soggetti di interesse. Il 18 maggio 2016 noi troviamo registrato presso lo studio del notaio Maria Flora Puglisi di Messina l’atto con cui la società Nuova Parnaso vende ad Andrea Lo Castro Andrea proprio l’unità immobiliare in riferimento a quella particella, al prezzo di centocinquantatremila e seicento euro, pagato e quietanzato, così è scritto. Lo stesso giorno, sempre presso lo stesso studio notarile, il Lo Castro rivende lo stesso appartamento a Gianluca Romeo per centocinquantamila euro”.
Verso l’hub farmaceutico della zona industriale di Milazzo
Nel corso della sua deposizione, il maresciallo dei ROS si è poi soffermato sulle figure di due imprenditori attivi nel settore farmaceutico, i fratelli Antonino e Salvatore Lipari, meno di due settimane fa condannati entrambi al processo Beta duea dieci anni e otto mesi di reclusione. “Nel campo dei farmaci oltre ai fratelli Romeo c’erano soprattutto Antonio Lipari e Salvatore Lipari che erano imparentati con i Romeo”, ha dichiarato Musolino. “La parentela nasce dal fatto che la mamma dei fratelli Lipari, Carmela Pasqualina Romeo – la proprietaria dell’Hospital Bar – era la diretta nipote di Francesco Romeo. Si chiamavano cugini, ma in realtà erano cugini di secondo grado. Dalle conversazioni è emerso che Francesco Romeo era a conoscenza perfettamente del tipo di servizio svolto, anzi partecipava alle discussioni anche in presenza dei Lipari o di Giuseppe La Scala. Quest’ultimo è il capo area di una grossa società di distribuzione di farmaci, la Farvima di Napoli, che poi in parte acquista un’altra società e che faceva le consegne in particolar modo in Calabria e poche anche in Sicilia. Lipari e La Scala operavano poi per conto della Sofad S.r.l. di Misterbianco, la quale era inizialmente un consorzio di farmacie che si erano unite nella distribuzione dei farmaci e che quindi trovavano sicuramente il loro utile nel risparmio di distribuire ed al tempo stesso di acquistare congiuntamente. Poi la Sofad è stata acquistata dalla Farvima, o meglio, la Farvima partecipa e ne acquista una parte del capitale sociale. Quindi, Giuseppe La Scala, chiamato da loro Lola nel corso di diverse conversazioni, era il capo aerea di questa grossa azienda. Sia Antonio Lipari che Salvatore Lipari eseguivano la distribuzione dei farmaci per conto della Farvima. Questa attività, però, ha due diversi periodi. Nella parte iniziale – parliamo di prima del luglio 2017 - tale distribuzione era effettuata a Messina o anche nell’area catanese direttamente da Antonio e Salvatore Lipari, attraverso una società loro o riferibile anche alla moglie dell’ultimo. Successivamente agli arresti eseguiti con Beta, le situazioni mutano. Poiché era stato colpito dall’ordinanza, Antonio Lipari decide infatti di trasferire la Farvima in Calabria, dove inizia la sua attività di distribuzione, mentre Salvatore Lipari, che noi poniamo ancora sotto intercettazione, continua la sua attività organizzando dei viaggi per la distribuzione nella zona di Catania, nonostante egli svolgesse saltuariamente la sua professione presso l’ASP di Messina con un contratto a tempo determinato. Questo lo faceva anche insieme a Giuseppe La Scala che era il punto di contatto sul quale tutti quei soggetti che ruotavano attorno al Lipari e allo stesso La Scala cercavano di contrattualizzare le farmacie. Avvicinavano cioè le farmacie e chiedevano loro di poter acquistare i farmaci non soltanto da quelle aziende grosse che erano la So.Farma.Morra o altre del settore. Chiedevano insomma che una parte della distribuzione venisse fatta anche nei confronti della Sofad o Farvima. Il collegamento tra Francesco il Romeo e Giuseppe La Scala noi lo troviamo nel corso di una conversazione registrata all’esterno dell’Hospital Bar, ritenuto dal gruppo un luogo sicuro dove poter parlare. Il 6 ottobre 2014 la microspia riprende un incontro a cui partecipano Antonio Lipari, Giuseppe La Scala e Francesco Romeo. Nel corso del colloquio, La Scala riferisce di avere dei problemi con qualcuno, in particolare si fa anche riferimento a tale Franco Migliore, che all’epoca faceva lo stesso mestiere di La Scala, quindi anche lui da punto di contatto tra le varie farmacie. Sempre nel corso di questo incontro, il Romeo esortava La Scala a non pagare più nessuno, con delle frasi anche abbastanza forti perché faceva riferimento all’intenzione che ci volesse un fucile a pompa e che doveva rompergli le corna e di farlo veramente mandando qualcuno al pronto soccorso. Quello che ci colpì fu una frase che disse Francesco Romeo e che riprese due volte: Metti la guerra con la pace mia, nel senso di fare quel danno e colpire qualcuno ma che, comunque, non sarebbe successo nulla perché lui avrebbe garantito in merito alla pace”.
Sono diverse le conversazioni che ci confermano l’esistenza di un interesse diretto di Francesco Romeo nell’attività di distribuzione dei farmaci da parte dei nipoti, cioè dei fratelli Lipari”, ha riferito ancora il maresciallo Musolino. “Una di queste viene registrata il 21 aprile 2014 tra il Romeo stesso e la sorella. Nel corso della conversazione, Francesco Romeo fa riferimento ai Liparoti, come chiamava lui i fratelli Lipari, spiegando che Enzo Romeo gli aveva dato un giro di medicinali ed erano arrivati a venderli in qualsiasi posto grazie a lui, cioè gli aveva dato lavoro e li aveva aiutati. Oltre a ciò, il padre aggiungeva che i propri figli, tutti e sette, li portavano cosìda tutte le parti, facendo un riferimento anche alla città di Catania e poi, che comunque loro i calli non se li facevano pestare da nessuno, cioè nessuno poteva dirgli nulla perché avrebbero reagito, in quanto volevano essere rispettati da tutti. C’è un’altra conversazione in cui si fa riferimento all’interesse economico di Francesco Romeo rispetto ai profitti dei Lipari con la distribuzione dei farmaci. Nello specifico Vincenzo Romeo contesta che i Lipari non avevano dato nemmeno mille euro al padre, nonostante era stato pattuito da loro di dare una parte di quei soldi a Francesco Romeo. Utile ricordare poi l’argomento in discussione la sera del 28 maggio 2014 tra Vincenzo Romeo e il costruttore Biagio Grasso e a cui, inizialmente, partecipava anche Agostino De Marzo, un medico calabrese che svolgeva il proprio servizio a Messina e che doveva essere inserito nell’affare dei farmaci. L’interesse da parte del gruppo era quello di costituire un hub su Messina, direttamente su un terreno fornito da Grasso. Qui la Farvima avrebbe appoggiato i farmaci per poi poterli distribuire direttamente alle varie farmacie; questo perché la società non aveva un centro di distribuzione ed essa poteva avvenire, inizialmente, soltanto dalla Calabria. Agostino De Marzo si era impegnato ad incontrare anche un’altra società oltre la Farvima…”. Come ha poi rivelato ai giudici Biagio Grasso, sarebbe stato lui a farsi promotore del progetto di realizzare un grande centro di distribuzione farmaci nell’area industriale di Milazzo, più specificatamente nel comprensorio di Manforte Marina, dove il Grasso stesso era proprietario di alcuni terreni attraverso la B&P Partecipazioni S.r.l.. A tal fine, nel 2014 il costruttore avrebbe incontrato a Messina, grazie all’intermediazione di Giuseppe La Scala, il figlio del titolare della Farvima S.r.l. di Napoli, Mirko De Falco. Al processo Beta dueanche il La Scala è stato condannato a dieci anni e otto mesi di reclusione.
Santapaoliani al bar per lucrare con le medicine
Nella distribuzione farmaci, il gruppo Romeo avrebbe operato pure in contatto con alcuni soggetti appartenenti alla criminalità organizzata catanese. “Il 17 marzo 2015, nei pressi dell’Hospital Bar, noi notiamo arrivare un soggetto a bordo di un’autovettura Fiat Panda che successivamente identifichiamo in Carmelo Percolla”, ha riferito il maresciallo Musolino. “Quest’ultima saluta due persone che lo stavano attendendo: Francesco Romeo e Vincenzo Romeo. Subito dopo, Vincenzo Romeo dà il cellulare al Percolla per poi allontanarsi con lo stesso nella zona più a nord del bar, appena dietro alla fermata dell’autobus. Qui il Percolla dà a Romeo una busta di colore bianco. Vincenzo Romeo la strappa davanti al Percolla, legge il bigliettino contenuto all’interno e successivamente lo conserva. Come avveniva solitamente quando venivano delle persone dall’esterno e si voleva tenere una conversazione più riservata, i due si dirigono verso la zona del Pronto Soccorso dell’Ospedale Piemonte. Dopo che escono dal Pronto Soccorso, il Percolla consegna il cellulare al Romeo e poi si allontana. Il Percolla, dal controllo fatto in rete Inps per comprendere la sua attività lavorativa, non era dipendente di nessuno. Notavamo, però, che Carmelo Percolla era in contatto con i fratelli Lipari per motivi attinenti la consegna di farmaci nella zona di Catania. Per comprendere chi, magari, possa aver dato il bigliettino e, quindi, se il Percolla era soltanto un mezzo per veicolare questa informazione, analizziamo i tabulati telefonici del giorno precedente e rileviamo che il pomeriggio del 16 marzo c’era stato un contatto con Roberto Vacante, soggetto intraneo al circuito criminale della famiglia Santapaola e legato ad essa da vincoli di parentela. Egli, infatti, è genero del defunto Salvatore Santapaola, che altro non è che il fratello di Benedetto Santapaola. Vacante era già stato attenzionato nell’ambito di altre indagini, Vega ed Orione, ed era stato condannato nel 2011 per associazione mafiosa. Quindi si trattava di un soggetto di interesse. Si è proceduto a comprendere allora se quella modalità di comunicazione fosse avvenuta altre volte. Ebbene, abbiamo accertato che il 17 febbraio 2015, Percolla aveva accompagnato un altro soggetto all’esterno dell’Hospital Bar. Anche in quel caso, i presenti non erano i fratelli Lipari ma Vincenzo Romeo e Marco Daidone. Anche stavolta la persona che era insieme a Percolla scende dalla macchina, si saluta con Vincenzo Romeo, consegna un cellulare a Marco Daidone e, quindi, si allontana con Romeo per parlare. Nel prosieguo delle indagini abbiamo accertato che la persona che Percolla aveva accompagnato all’Hospital Bar era proprio Roberto Vacante. Prima dell’incontro non era avvenuto alcun contatto con Romeo Vincenzo ma, era stata la madre dei fratelli Lipari, Carmela Pasqualina Romeo, a chiamare Vincenzo Romeo per dirgli di recarsi presso il bar. Qui arrivano, in contemporanea, il Romeo e Salvatore Lipari. Mentre il primo e Roberto Vacante fanno accesso all’Hospital Bar, rimangono fuori in attesa Salvatore Lipari e Carmelo Percolla. All’incontro del 17 marzo 2015 abbiamo pure registrato la presenza di Francesco Romeo all’esterno del bar”.
Un sogno nel cassetto: fare il consigliere comunale a Messina…
“Abbiamo verificato in fine che uno dei due fratelli Lipari aveva svolto in passato attività politica”, ha concluso il teste all’ultima udienza del processo Beta. “Salvatore Lipari si era presentato alle elezioni comunali del 2013 con una lista, Democratici e Riformisti per la Sicilia. In quel caso, sul volantino - così come le persone potevano scrivere per la votazione - lui era indicato come Lipari Salvatore detto Romeo. Alle elezioni il Lipari prese 622 preferenze senza essere, tuttavia, eletto”. per la cronaca, la formazione Democratici e Riformisti per la Sicilia era stata fondata nel marzo 2013 dagli ex ministri Salvatore Cardinale e Salvo Andò e dall’allora deputato all’Ars Giuseppe Picciolo, medico messinese. E alle elezioni comunali dello stesso anno, quelle con Salvatore Lipari candidato, la lista di riferimento ha ottenuto inaspettatamente l’11,56% dei consensi (oltre 14.500 voti), eleggendo a Palazzo Zanca ben sei consiglieri comunali.
“Dalla attività d’indagine svolta è emerso un sostegno elettorale da parte della famiglia Romeo nei confronti del Lipari”, ha concluso Musolino. “Nel corso di un colloquio registrato l’11 luglio 2015 a bordo dell’autovettura di Vincenzo Romeo - una di quelle rare conversazioni dove riusciamo a registrare padre e figlio - si fa riferimento proprio ai Lipari, anche perché viene detto Lipari dove doveva arrivare? In quel caso, Francesco Romeo dice: Se non era per noi altri, i voti dove li prendeva, nella funcia?, questa è proprio l’espressione utilizzata. Nel colloquio si fa inoltre esplicito riferimento ai voti dati alle casette. Noi intendiamo con questa espressione, i voti che sono stati raccolti nelle cosiddette casette basse, quelle che stanno, salendo, sulla destra del quartiere di Camaro. Francesco Romeo vive nel tessuto di Camaro ed è una persona abbastanza nota nel quartiere. Grazie al servizio di osservazione successivo alla cattura, noi abbiamo verificato che nonostante Francesco Romeo fosse sottoposto agli arresti domiciliari, le persone continuavano a passare da lui a casa. Uno di coloro che si recava nell’abitazione del Romeo è Antonino Romeo, alias Nino Pecora, così come viene chiamato sia dal gruppo che dagli altri. Antonino Romeo era persona con alcuni precedenti per armi: in particolare, nel 2011 avevano trovato nella sua abitazione una pistola o un fucile, adesso non ricordo bene. Oltretutto, egli era uno dei soggetti indicati proprio da un collaboratore di giustizia come colui che deteneva armi per conto di Romeo…”.


Leonardo vara il drone da guerra Falco Xplorer. I voli sperimentali da Trapani-Birgi

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Leonardo (ex Finmeccanica), holding italiana produttrice ed esportatrice di sistemi d’arma, si conferma protagonista nel lucroso mercato internazionale dei droni di guerra. Pochi giorni fa al Paris Air Show, il salone aerospaziale tenutosi a Le Bourget - presente il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte - i massimi vertici di Leonardo hanno presentato il prototipo del nuovo velivolo a pilotaggio remoto denominato Falco Xplorer, interamente progettato e realizzato in Italia. Il nuovo drone potrà volare ininterrottamente per 24 ore a una quota operativa di 24.000 piedi, in ogni condizione meteorologica, per svolgere un “ampio ventaglio di missioni, sia di tipo militare che civile-governamentale”. Il prototipo del Falco Xlorer è stato realizzato presso lo stabilimento Leonardo di Ronchi dei Legionari (Gorizia) ed effettuerà i primi test di volo nelle prossime settimane dall’aeroporto di Trapani-Birgi, sede del 37° Stormo dell’Aeronautica militare, già utilizzato come poligono sperimentale del drone da guerra P1HH Hammerhead di Piaggio Aero e Leonardo, con conseguenze a dir poco nefaste per la sicurezza del traffico aereo civile (Birgi è uno dei principali scali italiani per le compagnie low cost).Il nuovo drone dovrebbe raggiungere la piena capacità operativa entro la fine del 2020.
Il sistema Falco Xplorer disporrà di un collegamento dati satellitare per operazioni terrestri e marittime di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR). La configurazione della piattaforma include un radar di sorveglianza Gabbiano T-80 con una copertura sino a 200 miglia, una torretta elettro-ottica LEOSS, un sistema ELINT (ELectronic INTelligence) di protezione elettronica SAGE e un sistema di identificazione automatico per applicazioni marittime. La stazione di controllo a terra consentirà agli operatori di monitorare l’aeromobile e i suoi sensori e di trasmettere le informazioni ai sistemi C5I (Command, Control, Communications, Computer, Collaboration and Intelligence) della rete militare nazionale e di quella dei paesi alleati. Il Falco Xplorer sarà certificato infatti in conformità allo standard NATO di idoneità al volo per sistemi a pilotaggio remoto dell’Alleanza.
Stando agli scarni dati tecnici forniti dalla società produttrice, la nuova piattaforma si posizionerà tra i droni MALE (Medium Altitude Long Range), con dimensioni e prestazioni molto simili all’MQ-9A “Predator” della statunitense General Atomics, in dotazione all’US Air Force e, nella versione migliorata “Reaper” al 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di stanza ad Amendola (Foggia). Secondo quanto rivelato dal sito specializzato Analisidifesa.it, il Falco Xplorer sarà lungo 9 metri, avrà un’altezza da terra di 3,8 metri e un’apertura alare di 18,8. Presenterà inoltre una fusoliera ingrandita ed allungata rispetto al predecessore Falco Evo “per poter accogliere sistemi per le comunicazioni satellitari e sensori con prestazioni migliorate e una struttura alare potenziata per poter portare carichi esterni”. La capacità di carico accreditata è di circa 350 kg, a riprova che il drone potrà essere convertito in ogni momento per lo svolgimento di operazioni killer, cioè l’esecuzione di lanci di missili aria-terra. “Falco Xplorer sarà offerto sia come piattaforma integrata sia nell’ambito di contratti di servizio per missioni unmanned”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo. “In questo secondo caso, la nostra società manterrà la proprietà e la responsabilità delle operazioni svolte con i propri velivoli e fornirà al cliente le informazioni e i dati raccolti. Falco Xplorer è concepito per essere estremamente competitivo (…) Contiamo di aumentare la nostra quota di mercato nel settore dei droni proprio grazie alla capacità di comprendere a pieno le esigenze dei clienti. Attualmente è in corso la certificazione per il volo in spazi aerei non segregati, condizione preliminare per offrire il prodotto a clienti civili, come la guardia costiera e la protezione civile, e militari”.
L’ipocrita formula dual-use ha già riscosso in passato un certo successo nell’export di droni. Il modello originario dei Falco di Leonardo è stato scelto infatti dalle forze armate di cinque paesi mentre la versione più evoluta Evoè stata acquistata dalle Nazioni Unite per la missione “militar-umanitaria” MONUSCO nella Repubblica Democratica del Congo. Un Falco Evo viene utilizzato dall’agenzia Frontex che sovrintende al controllo delle frontiere esterne dell’Unione Europea per missioni d’intelligence e sorveglianza anti-migranti nel Mediterraneo centrale; il velivolo opera dallo scalo aereo di Lampedusa sotto il coordinamento della locale stazione della Guardia di Finanza.
A conferma del ruolo di primo attore di Leonardo-Finmecannica nel mercato internazionale degli aerei senza pilota c’è infine il programma avviato in consorzio con le holding Airbus e Dassault Aviation per la progettazione e realizzazione del drone europeo“EuroMale” (European Medium Altitude Long Endurance), progetto finanziato dall’Organizzazione europea per la cooperazione in materia di armamenti OCCAR (Joint Organization for Cooperation in Armament). Il progetto “EuroMale” ha preso il via nel 2016 con un memorandum sottoscritto da Italia, Francia, Germania e Spazia; per il biennio 2019-2020 ha già ottenuto un finanziamento di 100 milioni di euro provenienti dal Fondo europeo di difesa.

Il nuovo Plan Condor tra fascismi, stupri, torture, massonerie e…

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Le sue colpe? Essere intelligente, sensibile, politicizzata, bellissima e credere in un mondo migliore nel posto e nel momento sbagliato. Marie Anne Erize aveva 24 anni in quel maledetto 1976 segnato dal sanguinoso golpe fascista in Argentina che aveva insediato ai vertici del paese la Junta del generale Jorge Rafael Videla ed un manipolo di militari con tanto di tessera della loggia massonica P2 del venerabile Licio Gelli. Adolescente aveva intrapreso con successo a Buenos Aires la professione di modella. Poi si era iscritta alla facoltà di antropologia e come tante sue coetanee di allora, chitarra in spalla, aveva percorso l’Europa in autostop e conosciuto e frequentato artisti, intellettuali, musicisti. Marie Anne fece pure un tour negli USA in compagnia del grande chitarrista andaluso Paco de Lucia. Come per tanti coetanei fu determinante il lungo viaggio in Sudamerica e l’impatto con le contraddizioni e le ingiustizie sociali ed economiche del Brasile e dei paesi andini. Rientrata a Buenos Aires Marie Anne Erize decise di lasciare l’attività di modella per dedicarsi anima e corpo al volontariato nelle megavillas miserias della capitale argentina a fianco di Carlos Mugica, uno dei fondatori del gruppo Sacerdoti per il Terzo Mondo che sarà assassinato dal regime golpista. Nel 1973, l’anno dell’ascesa del generale Pinochet in Cile, la ragazza s’innamora di Daniel Rabanal, un giovane studente aderente al movimento peronista Montoneros. E’ la scoperta della militanza politica attiva e la condivisione di un’utopia di cambiamento e trasformazione della iniqua società argentina che sarà inesorabilmente spezzata dalla sadica repressione dei militari al soldo di transnazionali, CIA e neoliberismo. Dopo il golpe fu arrestato il fidanzato Daniel; la mattina del 15 ottobre 1976 a San Juan dove si era trasferita, Marie Anne fu sequestrata per strada da un gruppo di uomini per sparire per sempre nel nulla. Sono trascorsi 42 anni e nessuno ha voluto restituire ai genitori il corpo della ragazza. L’autorità giudiziaria ha accertato che dopo il sequestro fu condotta in un centro di detenzione clandestino per prigionieri politici all’interno di un complesso sportivo di San Juan (La Marquesita), gestito dal Reggimento di Fanteria di Montagna (22 RIM) dell’esercito. Lì la giovane sarebbe stata torturata, stuprata e assassinata. Sei giorni dopo la sua scomparsa, la polizia fece irruzione nell’abitazione dei genitori a Buenos Aires. Dopo aver sequestrato libri ed effetti personali della giovane, gli agenti si dileguavano “invitando” i genitori ad abbandonare il paese. “Inutile che la cercate, tanto vostra figlia è morta”, specificavano i poliziotti. Da allora Marie Anne continua ad essere desaparecidacome tante altre innumerevoli vittime innocenti della furia criminale di una classe politico-militare dirigente che ha goduto e gode ancora dell’assoluta impunità.
Il 7 novembre 2011 i militari responsabili della morte di Marie Anne Erize sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte federale di San Juan ma alcuni di essi sono scampati al carcere grazie alla provvidenziale fuga all’estero. L’estate precedente, dopo l’emissione di un mandato di cattura, aveva lasciato l’Argentina pure l’ex tenente colonnello Carlos Luis Malatto, uno degli ufficiali responsabili della presadel Palazzo del governo nel golpe del marzo 1976 nonché responsabile del personale del 22 RIM al tempo della scomparsa della giovane montonera. Alla fine della dittatura, Malatto si era dimesso dalle forze armate e aveva avviato alcune attività commerciali a Mendoza. Grazie al possesso di un passaporto italiano (era figlio di genitori liguri), l’ex militare era fuggito in Cile e successivamente in Italia, evitando il processo in cui saranno condannati i suoi commilitoni a San Juan. Dopo essere stato ospite a L’Aquila della Confraternita della Misericordia e successivamente a Genova della Parrocchia di San Giacomo Apostolo, Carlos Juan Malatto aveva fatto perdere le proprie tracce. Nell’estate 2017 era in Sicilia: l’ex militare aveva trovato domicilio in un appartamento di via santa Chiara a Calascibetta (Enna). Individuato da un periodico spagnolo, Malatto lasciava il piccolo comune per trasferirsi in un residence di Portorosa-Furnari, proprio come avevano fatto negli anni passati alcuni dei maggiori boss Cosa nostra. I primi di giugno i giornalisti di Repubblica.it Emanuele Lauria e Giorgio Ruta lo hanno ripreso in un video al balcone di un villino in via S 1 a Portorosa. “Riposo, lettura, mare, qualche puntata fuori porta a bordo della sua Mercedes azzurra, Malatto medita di sposarsi con una donna argentina ed è andato in municipio per chiedere come avviare le pratiche”, riportano i giornalisti. La dolce vita di un latitante di lusso contro cui sono stati emessi – inutilmente - diversi ordini di cattura per omicidio plurimo aggravato, sequestro di persona a scopo di estorsione, violenza sessuale e associazione per delinquere. In particolare, secondo la denuncia presentata dalla ONG 24 marzo ai magistrati che si occupano del processo Condor a Roma, oltre all’eccidio della ex modella, Juan Carlos Malatto è accusato della sparizione forzata di Jorge Alberto Bonil, un giovane militare di leva del 22 RIM che secondo alcuni testimoni avrebbe raccontato in una festa che Maria Anne Ezeze era “contesa” a carte tra gli ufficiali a capo del Reggimento di San Juan (Bonil risulta scomparso dal 28 febbraio 1977); dell’omicidio di Juan Carlos Cámpora, fratello dell’ex presidente della Repubblica Héctor José Cámpora e rettore dell’Universidad Nacional de San Juan (sequestrato il 25 febbraio 1977); della morte di José Alberto Carbajal, militante della gioventù peronista, sequestrato il 29 luglio 1977 e trovato morto in cella il 18 agosto successivo (il decesso fu fatto passare per suicidio grazie a una falsa perizia medica e l’istruttoria per “accertare” le cause fu avviata proprio da Malatto). L’ex tenente colonnello deve rispondere inoltre di “illegittima privazione della libertà, pressioni illegali, vessazioni, ecc.” a danno di numerosi prigionieri politici, come ad esempio l’ex governatore di San Juan, José Luis Gioja; l’ex senatore nazionale Cesar Gioja; il giornalista Daniel Illanes; il magistrato José Abel Soria Vega.
Nel settembre 2011 le autorità argentine presentarono all’Italia una richiesta di estradizione di Carlos Luis Maletto che fu respinta perché “non rispondente ai requisiti minimi prescritti dalla Convenzione vigente tra gli Stati, sottoscritta a Roma il 9 dicembre 1987”.Una seconda istanza fu presentata l’anno dopo e finalmente il 4 aprile 2013 la Corte di Appello de L’Aquila dichiarò “sussistenti” le condizioni per la concessione dell’estradizione qualificando come “crimini contro l’umanità, pertanto imprescrittibili”, i reati a lui ascritti. Inaspettatamente, con sentenza del 17 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la decisione del Tribunale abruzzese, negando così nei fatti l’avvio del processo in Argentina contro Malatto. Solo grazie alla mobilitazione internazionale, nel novembre 2016 l’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, in base all’articolo 8 del codice penale, ha firmato l’autorizzazione a processare l’ex militare in Italia, ma sino ad oggi il procedimento penale non ha preso il via. A difendere Carlos Luis Maletto sono i legali Augusto Sinatra e Franco Sabatini, soci senior del noto studio Sinatra di Roma. Augusto Sinatra, originario di Catania ed ex ufficiale dell’Aeronautica militare, dopo aver ricoperto il ruolo di magistrato è stato nominato nel 1980 Consigliere giuridico presso il Ministero degli Affari Esteri. Successivamente è diventato docente di materie giuridiche nelle Università di Roma, Trieste, Genova, Chieti e Palermo. Il suo nome è finito nelle liste della loggia massonica P2 (tessera n. 946) e del venerabile Licio Gelli, lo stesso Sinatra è stato l’avvocato difensore. Più recentemente il legale ha ricoperto l’incarico di “rappresentante permanente in Italia della Repubblica Turca di Cipro del Nord” (il territorio cipriota illegalmente occupato dalla Turchia), ed ha rappresentato il governo di Ankara nella richiesta di estradizione dall’Italia del leader del Pkk Abdullah Ocalan. Alle recenti elezioni politiche nazionali ed europee, l’avv. Augusto Sinatra è stato pure candidato per l’organizzazione neofascista CasaPound, caratterizzando la sua campagna elettorale soprattutto con interventi contro l’accoglienza di rifugiati e migranti in Italia. Secondo l’ex magistrato Carlo Palermo, già in forza alle Procure di Trento e Trapani per complesse inchieste su traffici di armi internazionali e la connection servizi segreti-mafia, l’avv. Augusto Sinagra avrebbe frequentato “in rappresentanza di Licio Gelli” il sedicente Centro studi Salvatore Scontrino di Trapani al cui interno si nascondevano numerose logge massoniche a cui sarebbero stati affiliati anche personaggi legati alla criminalità organizzata, ai servizi segreti e alla struttura paramilitare Gladio. Al processo sulle attività del Centro studi, il responsabile Giovanni Grimaudo (ex prete, poi docente di filosofia) ha ammesso i suoi incontri con Sinagra. Quest’ultimo è noto pure per le sue campagne di revisionismo storico sulla resistenza antifascista jugoslava e le “foibe”. Sinagra rivendica di aver dato il via all’inchiesta romana sulle foibe del Pm Giuseppe Pititto, conclusasi con l’archiviazione. “Consulente” del legale che nell’occasione rappresentava i parenti di alcuni infoibati era il sedicente storico Marco Pirina (deceduto nel 2011), già presidente del FUAN di Roma e poi del Fronte Delta (un gruppo di estrema destra coinvolto nel tentato golpe di Julio Valerio Borghese), poi fondatore a Pordenone del Centro Studi Silentes Loquimur di palese matrice neofascista.
Dello studio legale Sinatra di Roma risultano “soci associati” pure due docenti dell’Università Kore di Enna, gli avvocati Paolo Bargiacchi e Anna Lucia Valvo. Già Preside della Facoltà di Scienze economiche e giuridiche ed odierna titolare della cattedra di Diritto dell’Unione europeadell’Università Kore, l’avv. Anna Lucia Valvo è pure “docente aggiunto” nei corsi di aggiornamento della Scuola Interforze della Polizia di Stato, nonché “consulente” dell’Ambasciata della Repubblica di Turchia in Italia. Nel suo curriculum accademico compare pure la pubblicazione di una “nota giuridica” a favore delle motivazioni della sentenza della Cassazione del 17 luglio 2014 ha nei fatti ha impedito l’estradizione in Argentina di Carlos Luis Malatto. Anna Lucia Valvo, rappresenta inoltre insieme ad Augusto Sinatra la Fondazione-Fondo Proserpina nel procedimento contro il MIUR sul mancato riconoscimento legale della sedicente “Facoltà di medicina di Enna” istituita dalla Fondazione insieme all’Università Dunarea de Jos di Galati, Romania. Amministratore della fondazione è l’ex senatore Pd Vladimiro Crisafulli che ha confermato di aver visto più volte Malatto ad Enna in compagnia dell’avvocato Sinagra. Proprio a seguito dell’inchiesta giudiziaria sull’università fantasma - secondo Il Fatto quotidiano - Sinagra e Crisafulli sono stati rinviati a giudizio per calunnia ai danni dell’ex procuratore di Enna, Calogero Ferrotti.
Augusto Sinagra ha difeso altri militari golpisti argentini, fra cui il torturatore Jorge Antonio Olivera, anch’egli in forza al famigerato 22 RIM di San Juan (guidava il gruppo d’intelligence),condannato all’ergastolo nel luglio 2013 dal Tribunale criminale federale per più di 50 reati commessi negli anni della dittatura. La condivisione delle strategie criminali tra i due ufficiali era così stretta che i prigionieri politici li identificarono entrambi con lo stesso pseudonimo, Malavera, derivante dalla fusione dei cognomi di Carlos Luis Malatto e Jorge Antonio Olivera. Anche Olivera trovò rifugio in Italia dopo l’emissione del mandato di cattura dei giudici argentini (tra i reati contestati, l’omicidio di Marie Anne Erize: alcuni ex prigionieri del centro La Marquelita hanno testimoniato che Olivera si vantava pubblicamente del sequestro e della tortura della ragazza, definita un “bottino di guerra”). Subito dopo l’arresto a Roma nell’agosto 2000, l’ex ufficiale fu scarcerato dai giudici a seguito della presentazione da parte dei legali di un certificato di morte di Marie Anne Erize rivelatosi poi del tutto falso. Ottenuto il diniego all’estradizione in Argentina, Jorge Antonio Olivera si è dato alla libera professione di avvocato, difendendo processualmente il boia delle Fosse Ardeatine Erich Priebke; dopo la simbolica condanna a 15 anni (poi ridotti a 5), l’ex ufficiale nazista scontò parte della pena proprio in un appartamento romano di proprietà dell’argentino.
Ad affiancare l’avvocato Sinagra nella difesa di Olivera c’era - sino alla sua morte avvenuta nel gennaio 2010 - pure l’avv. Marcantonio Bezicheri, già candidato a sindaco di Trieste e Bologna con l’organizzazione di estrema destra Msi-Fiamma Tricolore e difensore di numerosi imputati neofascisti indagati in processi per stragi: tra essi il più noto è Franco Freda, ma ci sono pure Marco Maria Maggi (assolto per la strage di Piazza Fontana a Milano), Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco (assolti per la strage alla stazione di Bologna).Nei primi anni ‘80 l’avv. Bezicheri finì arrestato (e dopo due anni prosciolto), per l’accusa di concorso morale nell’omicidio di Mario Mannucci, il neofascista pisano che aveva contribuito alla cattura di Mario Tuti, già fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario, pluriomicida e condannato in appello all’ergastolo per la strage dell’Italicus del 3 agosto 1974 (la sentenza è stata poi annullata dalla Cassazione, presidente Corrado Carnevale). 
Tra i clientidi peso difesi dal pluripregiudicato-torturatore Jorge Antonio Olivera spicca un nome che ci riporta al circolo massonico ed eversivo transnazionale patrocinato dal Venerabile Licio Gelli, quello del generale golpista Guillelmo Suarez Mason, denominato il “macellaio dell’Olimpo”, uno dei più infami centri di detenzione e tortura del regime fascista argentino. Anch’egli iscritto alla P2 (tessera P2 n. 609), Mason è deceduto nel giugno 2005 nel carcere penale di Villa Devoto, Buenos Aires. Gli storici lo ricordano come uno dei militari più attivi nella conduzione del cosiddetto Plan Condor, l’operazione di “mutuo soccorso” e repressione globale di ogni forma di opposizione architettata da tutti i regimi dittatoriali latino-americane sotto la direzione degli Stati Uniti d’America. Oggi quel Condor dagli artigli insanguinati sembrerebbe intenzionato a nidificare in Sicilia, grazie alla protezione di neofascisti, massoni deviati, servizi segreti ed apparati vari dello Stato. E se vorrà continuare a restare sereno e impunito nel suo villino con vista sugli splendidi tramonti eoliani, il Condordovrà scendere a patti – se non lo ha già fatto - con i boss della cosca mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, quella che mise a disposizione l’artificiere per la strage di Capaci e, subito dopo, gli interlocutori privilegiati della trattativa con lo Stato e finanche i rifugi per le latitanze istituzionali di Bernardo Provenzano, Benedetto NittoSantapaola & C…

Inchiesta pubblicata in Le Siciliane – Casablanca, n. 59, maggio-giugno 2019

Dagli alloggi popolari di Fondo Fucile all’Annunziata, il pugno duro della famiglia Romeo-Santapaola

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Repentine costituzioni di società ad hoc; sospetti trasferimenti di capitali da una ditta all’altra; piccoli imprenditori disposti a fare da prestanome per pochi soldi; presunte dazioni di denaro a un funzionario comunale per favorire l’iter concorsuale; l’intimidazione come extrema ratio per dirimere controversie varie e convincere qualche titubante costruttore a farsi da parte. Sono alcuni degli elementi riscontrati dagli inquirenti nel corso delle indagini sul tentativo di investimento immobiliare effettuato nel 2014 dal gruppo criminale dei Romeo-Santapaola, costola peloritana del potente clan di Cosa nostra siciliana con a capo don Benedetto “Nitto” Santapaola, e aggiudicarsi il bando del Comune di Messina per l’acquisizione di immobili da destinare alle famiglie residenti nella baraccopoli di Fondo Fucile. All’affaire degli alloggi popolari è stata dedicata un’intera udienza del processo antimafia Beta in corso di svolgimento presso il Tribunale di Messina, con l’esame da parte del Pubblico ministero Antonella Fradà del teste Vincenzo Musolino, maresciallo maggiore dell’Arma dei carabinieri in servizio presso la locale sezione anticrimine.
“Tra le attività economiche del gruppo Romeo-Santapaola attenzionate nel periodo compreso tra il 2013 e il maggio-giugno 2015 c’è in particolare l’affare messo in atto dall’organizzazione nell’ambito della costruzione di alcune palazzine nell’area di Fondo Fucile”, ha esordito l’inquirente. “Inizialmente l’operazione doveva servire per l’edilizia residenziale. Quindi gli immobili dovevano essere soltanto venduti. Però poi si verifica una nuova situazione: il Comune di Messina con la delibera n. 151 dell’11 marzo 2014, istituisce un bando che serviva per l’acquisizione di alloggi che dovevano essere destinati ad edilizia popolare e che prevedeva lo sbaraccamento dell’area di Fondo Fucile. Questo bando era regionale, ammontava a sette milioni e quattrocentomila euro e prevedeva una sorta di crono-programma abbastanza particolareggiato e con termini assai stretti. Entro un mese dalla sua pubblicazione, cioè entro il 15 aprile 2014, dovevano essere presentate le offerte; successivamente sarebbe partita una sorta di attività esplorativa sugli immobili per seguire, più che altro, i requisiti che erano stati indicati dalla dottoressa Maria Canale, la dirigente del Dipartimento politiche per la casa del Comune. Allegato alla delibera vi era un avviso ricognitivo finalizzato all’acquisto di alloggi che avessero in seno tutti quei requisiti oggettivi e soggettivi che dovevano fare da criteri preferenziali per l’acquisto da parte del Comune. L’area era quella di Fondo Fucile ma la maggior parte delle palazzine che erano state offerte si trovavano tutte in una zona diversa. Di contro, la proposta presentata dalla società XP Immobiliare, che prima era la R.D. Costruzioni, si trovava proprio a fianco della zona di interessamento allo sbaraccamento. Con la delibera n. 67 del 28 novembre 2014 viene effettuata una graduatoria degli alloggi, ma si registra un cambiamento rispetto alla somma che era stata destinata in precedenza perché non arrivano più i fondi previsti dal Comune. Quindi quei ventiquattro alloggi che dovevano essere venduti in realtà vengono diminuiti e come vedremo successivamente nello sviluppo delle intercettazioni, il gruppo non trova più interesse a vendere le palazzine nell’area di Fondo Fucile. Alcuni immobili all’interno delle stesse palazzine erano già stati venduti liberamente ad altri soggetti a 1.700-1.800 euro a metro quadro e pertanto non era possibile ridurre ancora di più il prezzo di vendita che aveva già toccato la cifra irrisoria di 900-1.000 euro al metro quadro. Dopo l’aggiudicazione del bando e la firma da parte di uno dei soggetti preposti all’accettazione, il gruppo accettava all’inizio a vendere al Comune di Messina ma successivamente questa vendita non avviene perché ci si rende conto che non c’è un utile”.
L’ingegnere col compasso
Uno dei soggetti che entra in contatto con il gruppo è Raffaele Cucinotta, un funzionario comunale inquadrato all’interno dell’Urbanistica”, ha aggiunto il Vincenzo Musolino. “Nel corso di una conversazione intercettata tra Stefano Barbera e la compagna Donatella Raffaele, il Barbera fa proprio riferimento a Cucinotta nello spiegare tutti quei sistemi per evitare di identificare il soggetto stesso. Il Cucinotta veniva chiamato generalmente con il soprannome Compasso o qualche volta Raffaella, con il suo nome volto al femminile. Il 26 marzo 2014, appena undici giorni dopo la comunicazione dell’avviso sul bando di gara del Comune, noi registriamo una conversazione telefonica tra il costruttore Biagio Grasso e Stefano Barbera in cui il primo chiede il numero dell’ingegnere. Il Barbera gli darà il numero però si preoccupa affinché il suo interlocutore gli parli in maniera non chiara al telefono e si raccomanda di usare mezze parole per evitare di contattarlo direttamente e magari essere intercettato. Il numero di telefono dato era proprio l’utenza che corrispondeva a Raffaele Cucinotta. Appena tre ore dopo, Biagio Grasso contatta l’ingegnere Cucinotta. Il giorno successivo avviene una riunione all’interno degli uffici della XP Immobiliare in viale Boccetta n. 70, il luogo di incontro dell’organizzazione dove cioè si parlava di affari e dove qualche volta lo stesso Vincenzo Romeo si metteva alla scrivania anche al posto di Biagio Grasso. All’incontro partecipano Grasso, Vincenzo Romeo, Raffaele Cucinotta e Stefano Barbera che era l’aggancio per l’ingegnere Cucinotta. Al tempo non c’era ancora l’intercettazione ambientale all’interno dell’ufficio, pertanto non siamo riusciti a sapere che cosa si siano detti. A dare una lettura se pur minima dell’incontro ci pensa però una conversazione avvenuta la stessa sera, in cui Barbera fa riferimento al fatto che gli è piaciuta la chiarezza nella discussione. Da quel momento in poi i contatti tra il gruppo e il funzionario del Comune diventano più stretti. Nella conversazione del 3 marzo 2014, Stefano Barbera riferiva agli indagati che Raffaele Cucinotta aveva tante situazioni sottomano all’interno del proprio ufficio. Come confermato dalle indagini, diverse situazioni presentate da Cucinotta erano state inizialmente intraprese dal gruppo. Parliamo della costruzione della Torre Sobrio, di uno stabilimento, dell’area di parcheggio vicino a Viale La Farina, progetti che poi non si sono sviluppati perché c’è stata una crisi finanziaria determinata anche dalla mancata vendita degli alloggi al Comune. Il 3 aprile del 2014 noi registriamo una conversazione all’interno della macchina di Stefano Barbera al termine dell’inaugurazione del Dolce Lounge Bar che si trovava sulla via Garibaldi e che era stato acquisito dal gruppo attraverso un’intestazione fittizia di una società, la Menelao S.r.l.. A questa inaugurazione avevano partecipato Vincenzo Romeo, Biagio Grasso, Stefano Barbera e Raffaele Cucinotta. Alla fine il Barbera e Cucinotta vanno via insieme in auto e il primo racconta alcuni particolari su Vincenzo Romeo e che lo stesso aveva spaccato un muro e aveva recuperato del denaro contante, ecc.. Cucinotta che era particolarmente attento nell’ambito delle intercettazioni e comunque preferiva parlare sempre all’esterno della macchina e mai per telefono, si lamenta e dice qualcosa di incomprensibile. La compagna di Stefano Barbera riferisce che non vi era nulla all’interno della macchina e che probabilmente non erano intercettati, mentre il Barbera risponde che comunque c’era soltanto la turbina della macchina. Cercavano insomma di tranquillizzare Cucinotta….”.
Al gran valzer delle società
Nel corso della sua testimonianza, il maresciallo maggiore del ROS dei Carabinieri ha fornito ulteriori particolari sulle modalità con cui il gruppo criminale operò in vista della realizzazione degli alloggi di Fondo Fucile. “Quest’area di cantiere inizialmente era stata aperta dalla R.D. Costruzioni di Rosario Di Stefano e dalla Sicuro Immobiliare di Giuseppe Sicuro”, ha riferito Musolino. “Quest’ultimo é stato da noi intercettato con Biagio Grasso nel corso di vari incontri all’interno degli uffici della XP. Sicuro era uno dei proprietari dei terreni ove dovevano sorgere le palazzine e pertanto aspettava il loro pagamento anche se in realtà non stava partecipando alla costruzione mentre invece Rosario Di Stefano era il soggetto che inizialmente doveva realizzare le palazzine. Per comprendere chi fosse il Di Stefano, possiamo dire che il suo nome era già emerso in diverse indagini eseguita a Messina, in particolare quelle denominate Case basse e Operazione Arcipelago. Al tempo stesso era stato condannato nel 2012 per favoreggiamento personale. Relativamente alla R.D. Costruzioni, abbiamo documentato che nel 2004 questa società era in parte di Rosario Di Stefano e di un altro soggetto che non abbiamo mai intercettato, Gianfranco Farina. Poi vi era pure tale Francesco Romeo che aveva il 2% del capitale, persona che però nulla aveva a che vedere con il padre di Vincenzo Romeo: si trattava infatti di un semplice operaio. Nel 2005 Rosario Di Stefano acquista la parte di Gianfranco Farina per poi vendere nel 2013 il 98% del capitale sociale corrispondente a 9.800 euro a Giuseppe Amenta. Sempre nel maggio del 2013 viene nominato come amministratore della R.D. proprio Giuseppe Amenta, soggetto che però non è mai comparso nelle decisioni all’interno dell’organizzazione e di quelle prese in ambito aziendale o durante la costruzione e vendita degli alloggi al Comune di Messina nonostante il suo nome compaia quale firmatario dell’offerta. In realtà le decisioni nella società venivano prese da Vincenzo Romeo e da Biagio Grasso. Nell’aprile del 2013 viene creata intanto un’altra società, la Di Stefano Costruzioni S.r.l. che era divisa tra XP Immobiliare e la Di Stefano Rosario. La Di Stefano Costruzioni aveva la sede in Viale Boccetta n. 70, cioè la stessa di XP Immobiliare dove si incontravano Grasso e Romeo. Nel giugno del 2014 questa società aveva un compendio immobiliare ammontante a circa 573 mila euro che riguardava proprio le palazzine in corso di costruzione. Per comprendere meglio, la R.D. aveva versato questo capitale sociale fittizio perché si trattava di beni per la costituzione della società Parco delle Felci S.r.l., avvenuta il 13 giugno del 2014. L’11 luglio dello stesso anno, la XP Immobiliare vende a Rosario Di Stefano la quota della Di Stefano Costruzioni mentre la R.D. trasferisce la propria quota di Parco delle Felci alla XP Immobiliare. A discapito di quello che noi troviamo dal punto di vista documentale presso la Camera di Commercio, questi passaggi avvenivano in maniera non diretta. Oltretutto si registrano degli strascichi di mancati pagamenti da parte del gruppo Grasso-Romeo. Relativamente alla cessione del ramo di azienda tra R.D. e XP Immobiliare, registriamo diverse conversazioni tra Rosario Di Stefano, Vincenzo Romeo e Biagio Grasso dove il Di Stefano continua a chiedere il pagamento di quanto spettante dalla vendita delle quote di Parco delle Felci”.
“L’investimento economico che loro avevano stimato in relazione a questa acquisizione parlava di un compendio di quasi tre milioni di euro, anche in considerazione della vendita che doveva avvenire al Comune”, ha specificato l’inquirente. “Inizialmente l’investimento era stato effettuato da Rosario Di Stefano e Biagio Grasso con l’aiuto di Romeo Vincenzo. Questo noi lo accertiamo dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali mentre il soggetto che loro contattano, l’amministratore Amenta, non partecipava assolutamente all’organizzazione né alla vendita delle quote. Per la stima dei tre milioni di euro noi dobbiamo attendere invece la vendita di parte dell’operazione ai catanesi del gruppo Laudani-Galvagno, con la costituzione della Costruzioni dello Stretto S.r.l., una società ex novocome l’avevano chiamata loro nel corso di un colloquio. In quel caso infatti loro parlavano di circa un milione e 350 mila euro che era la quota che spettava ad entrambi, anche in considerazione che parte dell’investimento era ancora gravato dai debiti nei confronti dei proprietari dei terreni. Noi registriamo spesso la presenza all’interno dell’ufficio della XP di Giuseppe Sicuro il quale era preoccupato dei diversi passaggi societari che stavano avvenendo e della vendita degli alloggi al Comune di Messina, in quanto Sicuro aveva paura che essa potesse naufragare per colpa di un problema che vi era in riferimento ad uno spigolo. Questo perché la costruzione sorgeva su alcune particelle non tutte di proprietà della XP Immobiliare e quindi della R.D. Costruzioni e questo elemento poteva inficiare la vincita del bando e quindi bloccare la vendita. Durante una delle conversazioni tra Biagio Grasso e Giuseppe Sicuro, addirittura il primo fa riferimento alla possibilità di ricedere nuovamente l’operazione a Di Stefano se avesse continuato a chiedere il denaro e, quindi, bloccare poi la vendita facendo venir fuori questa mancata proprietà della particella…”.
Un regalo pasquale al funzionario amico mio…
Vincenzo Musolino ha spiegato al Pm che dopo aver sentito la dirigente Maria Canale, gli inquirenti acquisirono le schede che dovevano essere compilate dal personale comunale che si recava a fare l’ispezione sui luoghi. “Nel caso specifico degli alloggi di Fondo Fucile c’è la firma dall’architetto Salvatore Parlato e all’interno di queste schede c’era riportata anche la proprietà del terreno. Questa anomalia non era stata registrata però da nessuno dei dipendenti comunali. Oltretutto, nel corso delle intercettazioni tra il dottor Sicuro e Grasso, vedi ad esempio il colloquio del 14 aprile 2014, si fa anche riferimento all’entratura che vi è all’interno del Comune: il funzionario è amico mio, facendo proprio riferimento all’ingegnere Cucinotta”. Sempre secondo il militare dell’Arma, i contatti tra il gruppo criminale e il funzionario comunale si sarebbero poi intensificati. “Una volta avvenuta la presentazione di Stefano Barbera ci sono stati altri incontri con Raffaele Cucinotta. Come vedremo soprattutto nell’ambito della cessione della quota da parte della XP Immobiliare a Costruzioni dello Stretto, la presenza del Cucinotta serviva non soltanto ad avere un’entratura all’interno del Comune ma anche per garantire che qualcuno stava seguendo la vicenda. Come dicevo prima, nel crono-programma del bando di gara erano indicate date molto strette per la vendita degli alloggi. Tuttavia si verifica una proroga di cui però il gruppo non era sicuro che sarebbe stata data. Quindi si cerca di contattare Raffaele Cucinotta al fine di comprendere se essa era reale. Nell’ambito della conversazione intercettata il 13 aprile 2014 tra Stefano Barbera e Biagio Grasso si fa espressamente riferimento alla proroga di un mese del bando. Subito dopo, su richiesta di Grasso, Stefano Barbera contatta l’ingegnere Cucinotta al fine di comprendere se ciò è vero. Durante questa conversazione, il Barbera, compreso che il proprio interlocutore non aveva nessuna intenzione di parlare per telefono, fa riferimento alla proroga di un mese per prenotare una vacanza. Il giorno dopo avviene un’altra conversazione tra i due in cui si fa nuovamente riferimento allo spostamento di una gita e ad una vacanza. Nel corso di un colloquio all’interno dell’ufficio dell’XP, il 17 aprile del 2014, Biagio Grasso riferisce a Cucinotta di un incontro avvenuto con l’assessore Sergio De Cola e dell’intenzione di poter vendere non soltanto i ventiquattro alloggi al Comune ma anche tutte le palazzine rimaste. Si era nel periodo delle feste pasquali e quindi Barbera chiede di avere un regalo e fa riferimento che anche il boss Romeo Vincenzo attendeva il regalo di Pasqua. In realtà questo regalo avviene anche per quanto riguarda il Cucinotta perché il 18 aprile noi registriamo un contatto tra Stefano Barbera e Vincenzo Romeo dove si fa riferimento al fatto che il Romeo doveva fare un regalo a lui e a Compasso. Il 12 luglio del 2014, quando era già avvenuta la presentazione delle offerte del bando, noi registriamo pure il momento in cui Biagio Grasso e Vincenzo Romeo si recano a casa di Cucinotta presso il complesso Le Serre per consegnare duecento euro. Nel corso di altre conversazioni tuttavia è lo stesso Barbera che fa riferimento a dei soldi che devono essere dati a Cucinotta, si parla di cinquemila euro”.
“Nel dialogo che avviene in auto il 12 luglio tra Vincenzo Romeo e Biagio Grasso su quanti soldi dare a Raffaele Cucinotta, si dice in particolare che duecento euro gli potevano benissimo bastare e i due discutono poi su chi sia il soggetto che deve dare questi soldi”, ha specificato Musolino. “Inizialmente Grasso e Romeo cercano di comprendere dove si trova l’abitazione del funzionario comunale, tant’è che intorno alle ore 13 c’è un tentativo di chiamata nei confronti della persona che avevano assunto per conto di Raffaele Cucinotta. In precedenza, Biagio Grasso aveva assunto nello specifico due persone, una all’interno dell’ufficio, tale Antonina D’Arrigo, e il fratello che si chiamava Giacomo D’Arrigo nel cantiere di costruzione della XP Immobiliare. Erano stati Stefano Barbera Stefano e Donatella Raffaele, la sua compagna, a fare riferimento al fatto che avevano assunto all’interno della XP Immobiliare la sorella del genero del Raffaele. Effettivamente accertiamo che la persona indicata era proprio Antonina D’Arrigo. Per comprendere meglio le relazioni parentali, Raffaele Cucinotta è coniugato con Lucrezia De Leo e aveva a carico all’interno dello stato di famiglia Manuela Raniolo, che era la figlia di Cinzia De Leo, la sorella della moglie. Manuela Raniolo era stata controllata proprio con Giacomo D’Arrigo, il soggetto poi assunto all’interno dell’XP Immobiliare”.
Come staccare la luce all’imprenditore della Curia
Un altro importante episodio su cui si è soffermato l’inquirente ha riguardato la cooperativa edilizia Sabrina che doveva sorgere nella zona dell’Annunziata. “La moglie di Raffaele Cucinotta, Lucrezia de Leo, era proprietaria di una delle villette ed era vicepresidente all’interno della cooperativa”, ha riferito Musolino. “La concessione edilizia era del 2011 ed i lavori erano iniziati il 4 aprile dello stesso anno, commissionati ad una ditta edile che era la Progemir S.r.l. che aveva come socio unico Leonida Mirisola. Nel corso di una conversazione del 3 aprile 2014 tra Raffaele Cucinotta e Stefano Barbera, quest’ultimo fa riferimento al fatto che Enzo sta facendo tutte le cose lui e che adesso gli taglia la luce. La lettura ce la dà un’altra conversazione che avviene l’8 aprile 2014 tra il Barbera e Donatella Raffaele. In essa Barbera riferisce alla compagna che la cooperativa è bloccata dal costruttore, che lo stesso non vuole andare via dal cantiere e che pertanto si erano rivolti ad Enzo Romeo. Barbera si era da poco incontrato con Romeo e quindi faceva proprio riferimento al fatto che Mirisola doveva essere allontanato per lasciare l’area di cantiere. Il presidente della cooperativa spesso si recava da Grasso all’interno dell’ufficio della XP Immobiliare per vedere di ricominciare la costruzione”.
“Il proprietario della ditta costruttrice, Leonida Mirisola, a noi sconosciuto, in virtù di quello che diceva Barbera era una persona malfamata, queste erano le sue parole”, ha aggiunto l’inquirente. “Pertanto chiediamo notizia alla Sezione anticrimine di Caltanissetta in quanto il Mirisola era un soggetto di quelle zone ed essa ci indica che egli non aveva precedenti penali. Il padre, Giuseppe Mirisola, era stato tuttavia condannato a quattro anni e otto mesi per tentato omicidio ed altro (La condanna è stata riportata nel primo grado di giudizio; in appello, la pena è stata ridotta a due anni e un mese e il reato da tentato omicidio è stato derubricato in lesioni – i fatti sono avvenuti nel 1963 NdA). I fratelli, Alfonso e Michele Mirisola, venivano ritenuti contigui alla famiglia mafiosa di Mazzarino, la Varsalona-Bonaffini, e si erano resi protagonisti di fatti di sangue negli anni ’80-‘90. Come dicevo prima, il presidente della cooperativa Sabrina, Pietro Maugeri si era recato all’interno degli uffici della XP Immobiliare per parlare con Biagio Grasso in merito al Mirisola e Grasso riferiva che con Mirisola ci aveva parlato il suo amico, facendo riferimento proprio ad Enzo. Il riscontro noi lo ricaviamo da altre conversazioni che avvengono innanzitutto tra Biagio Grasso e Daniele Mancuso, un soggetto proprietario di una ditta di movimento terra di Messina al quale Grasso e Vincenzo Romeo avevano chiesto alcuni lavori anche nell’ambito della costruzione delle palazzine di Fondo Fucile. Nel corso di queste conversazioni si faceva riferimento al fatto che Enzo conosceva Antonino De Casale, uno dei dipendenti della Costmir S.r.l., un’altra ditta di Leonida Mirisola. L’esigenza da parte dell’ingegnere Cucinotta era quella che Leonida Mirisola con la sua ditta che al momento non stava lavorando nella costruzione delle palazzine all’Annunziata ma che teneva in realtà i mezzi all’interno della cooperativa, non voleva lasciare l’area di cantiere che era ormai bloccata da quasi due anni, quindi vi erano soltanto poche ville realizzate a rustico. La richiesta da parte di Raffaele Cucinotta era di allontanare Mirisola e quindi farlo recedere dal contratto con la cooperativa. In particolare, l’8 aprile del 2014 avviene una conversazione tra Vincenzo Romeo e tale Giuseppe Panio dove si fa riferimento al suocero di questi. Ebbene Antonino De Casale ha una figlia che si chiama Giusy De Casale, coniugata proprio con Giuseppe Panio, che sarebbe il capocantiere e uomo di fiducia di Leonida Mirisola. Ho fatto riferimento al fatto che il Romeo avesse riferito a Stefano Barbera che avrebbe tagliato la luce a Mirisola. Effettivamente la Progemir è proprietaria di un immobile nella via Orso Corbino; accanto ad esso vi è un altro immobile di cui risultano proprietari Caterina Di Pietro e Vincenzo Romeo. Quindi è probabile che in quel caso Romeo Vincenzo fornisse la luce proprio alla Progemir. Alla fine i lavori della cooperativa Sabrina sono stati sbloccati; si è riaperta la procedura per la scelta della ditta che doveva costruire le palazzine e Leonida Mirisola ha lasciato l’area di cantiere dell’Annunziata. A completare i lavori è stata una ditta di Villafranca che era vicina a Stefano Barbera”.
L’imprenditore Leonida Mirisola, comunque estraneo al procedimento penale che ha portato al processo Beta, ricopre l’incarico di direttore tecnico della Progemir S.r.l., azienda sorta nel 1997 con scopo sociale la costruzione, manutenzione e restauro di edifici (amministratore unico è Giovanna Paolillo). La Progemir, in particolare, ha eseguito i lavori di somma urgenza presso la Cattedrale di Messina, nonché il restauro del Campanile del Duomo e di numerose chiese di Messina, Milazzo, Fondachelli Fantina e Santa Lucia del Mela (il principale cliente è infatti la Conferenza Episcopale Italiana). Alla seconda azienda nella disponibilità di Mirisola, la Costmir S.r.l., lo scorso 9 luglio il Dipartimento lavori pubblici del Comune di Messina ha invece aggiudicato i “lavori di pronto intervento e messa in sicurezza delle strade e relative pertinenze nell’area centro sud della città” (importo complessivo dell’appalto 200.000 euro, con un ribasso del 35,8%). Leonida Mirisola ha ricoperto in passato l’incarico di consigliere di amministrazione della Fondazione Conservatori e Scandurra Riuniti - Opera Pia, su designazione di Monsignor Calogero La Piana, arcivescovo della diocesidi Messina-Santa Lucia del Mela dal 2006 al 2015 e dal settembre 2018 “canonico” della Basilica di San Pietro in Vaticano. Stando a quanto riportato dal settimanale Centonove, l’imprenditore sarebbe “nipote” dell’alto prelato. Alle elezioni amministrative del 2013, Leonida Mirisola è stato pure candidato al consiglio comunale con la lista di centro destra “Nuova Alleanza”, ottenendo 268 voti.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 29 luglio 2019, http://www.stampalibera.it/2019/07/29/processo-beta-dagli-alloggi-popolari-di-fondo-fucile-alle-cooperative-dellannunziata-la-mano-dura-della-famiglia-santapaola-romeo/?fbclid=IwAR2zP3fcKissjW91P-ZdyTFA-KocK0ZAH9r_sG9QCLIbxgIIvc5QUwwVNnU

Tutti i soci-prestanome dei Romeo-Santapaola per l’affaire case popolari di Fondo Fucile

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Era l’occasione d’oro per fare ingresso nel mercato degli alloggi popolari e moltiplicare il giro d’affari, ma una serie di imprevisti e la mancanza di denaro liquido ha trasformato l’affaire delle palazzine di Fondo Fucile in causa di attrito tra la famigliadei Romeo-Santapaola e gli innumerevoli partner siciliani. E’ quanto emerso nel corso dell’ultima udienza del processo antimafia Beta che vede imputati i componenti della cellula peloritana dell’onnipotente clan dei Santapaola di Catania e alcuni colletti bianchi del sodalizio criminale. La realizzazione degli alloggi nella periferia sud di Messina da vendere all’amministrazione comunale in vista dello sbaraccamento di Fondo Fucile è certamente una delle vicende chiave per comprendere il livello di penetrazione mafiosa nel tessuto sociale, economico e politico della città dello Stretto. L’inchiesta giudiziaria ne aveva rivelato ampiamente contorni e retroscena ma al processo stanno emergendo ulteriori elementi che rendono lo scenario ancora più complesso e inquietante.
“Quando ad un certo punto il gruppo Romeo si rende conto dell’impossibilità di procedere alla realizzazione delle palazzine di Fondo Fucile nonostante sia stata presentata il 14 maggio 2014, cioè il giorno prima della data di scadenza del bando, l’offerta degli alloggi al Comune di Messina, nei mesi successivi noi registriamo la ricerca di un socio capace di poter continuare la costruzione degli immobili”, ha riferito in udienza il maresciallo maggiore dell’Arma dei carabinieri Vincenzo Musolino, in forza al Raggruppamento Operativo Speciale - R.O.S.. “Questa ricerca non è stata facile. Loro chiedono questo socio per un duplice motivo. Innanzitutto era accaduto che il costruttore Grasso Biagio aveva paura di ricevere un’altra informativa antimafia a causa di un’errata compilazione nelle date, 2014 invece di 2012, dell’informativa antimafia della Procura di Messina. Questa paura viene espressa in parte durante un colloquio tra Biagio Grasso e il padre e, successivamente, il 24 giugno 2014, in una conversazione tra il costruttore e Lorenzo Mazzullo, un dipendente della Procura della Repubblica di Messina. Stavolta Biagio Grasso ha paura che sia stata messa una microspia o che qualcuno sia entrato all’interno dell’ufficio. Nel corso di questa conversazione addirittura la paranoia di Grasso aveva determinato la richiesta a Lorenzo Mazzullo di chiedere alla moglie, Pasqua Cacciola, dipendente della Polizia, di poter effettuare qualche accertamento in banca dati che lo riguardavano. Alla fine viene trovato un nuovo socio anche grazie all’intermediazione di Salvatore Turi Boninelli, una persona originaria di Paternò che ricopriva la carica di presidente dell’Associazione Polo Regionale dell’Agricoltura, con sede legale a Motta Sant’Anastasia. Boninelli presenta al gruppo due possibili soci che potevano realizzare la costruzione. Questi erano Carmelo Laudani e Salvatore Galvagno, originari entrambi dell’hinterland catanese”.
I soldi (pochi) dei catanesi
“Abbiamo verificato se ci potesse essere un’eventuale vicinanza di Carmelo Laudani e Salvatore Galvagno alla criminalità organizzata etnea. Comprendevamo però che non si trattava di soggetti pericolosi in quanto era lo stesso Vincenzo Romeo, nel momento in cui sente il nome dei soggetti, a mostrare di non sapere chi fossero. Visto che lui conosceva bene o male l’organigramma della criminalità organizzata catanese, si reca da tale Alessandro Marchese per comprendere chi fossero i due. Tuttavia, dalle informazioni che noi ricaviamo dallo Sdi, verifichiamo che Salvatore Galvagno era stato identificato nel corso di alcuni controlli insieme ad elementi del clan catanese dei Toscano. Inoltre il defunto padre di Galvagno era stato tratto in arresto dalla Compagnia carabinieri di Paternò per associazione mafiosa nell’ambito dell’indagine n. 1195/94. Comunque non ci siamo soffermati su ciò anche perché non si trattava di soggetti di spicco della criminalità organizzata”. Per completezza, va tuttavia segnalato che nell’Informativa di reato Beta emessa il 7 settembre 2015 dal R.O.S. dei Carabinieri di Messina, si riporta che l’intermediario Salvatore Bolinelli “è stato controllato il 23 novembre 1996 con Alfio Parisi, nato a Paternò, inteso u biondu, all’epoca con precedenti penali in materia di armi e nel tempo divenuto elemento di spicco del clan mafioso Alleruzzo–Assinnata di Paternò riconducibile a Cosa Nostra e, quindi, tratto in arresto il 22 marzo 2007 nell’ambito dell’operazione denominata Montagna della Procura di Messina ed il 27 novembre 2008 nell’ambito dell’operazione Padrini della Procura di Catania”. Relativamente alle figure di Carmelo Laudani e Salvatore Galvagno, nella stessa informativa Beta si scrive che “essi sono destinati in seguito a rilevare temporaneamente il cantiere per la realizzazione del complesso immobiliare denominato Parco delle Felci, tramite una società istituita ad hoc ed amministrata da un prestanome in ragione della contiguità dei medesimi alla criminalità organizzata”. In particolare si specifica che il Galvagno “risulta essere stato controllato il 12 dicembre 2008 in compagnia di Maurizio Calamidaro, nato a Biancavilla (Ct), fratello di Roberto, quest’ultimo ucciso in agguato di mafia il 23 dicembre 2012 a Biancavilla e già personaggio di spicco del clan Toscano, operante nello stesso territorio ed in quello di Santa Maria di Licodia e  riconducibile a Cosa Nostra catanese”. Relativamente alla figura di Carmelo Laudani, il R.O.S. riporta che “pur non essendo mai emerso in attività investigative, risulta essere stato controllato con Salvatore Leanza, nato a Catania, inteso Turi padedda, in vita elemento apicale del clan Alleruzzo–Assinnata, ucciso da ignoti sicari in agguato di mafia il 27 giugno 2014; Luigi Castelli, nato a Paternò, inteso pinnacchia, tratto in arresto dall’Arma dei Carabinieri nelle operazioni antimafia denominate Uragano e Santa Barbara2; Salvatore Tilenni Scaglione, nato a Paternò, affiliato al clan Alleruzzo–Assinnata, tratto in arresto, tra l’altro, nell’ambito dell’operazione antimafia Santa Barbara1 ed il 24 febbraio 2003 perché ritenuto responsabile di concorso nell’omicidio di Antonino Paternò avvenuto nel 1990; Antonino Giamblanco, nato a Catania, uomo di fiducia del sopra citato Leanza, vittima di un tentato omicidio dallo stesso denunciato il 30 luglio 2014”.
Nel corso della sua audizione, il maresciallo maggiore Vincenzo Musolino ha poi ricostruito le fasi di “avvicinamento” del gruppo Grasso-Romeo ai due potenziali soci catanesi. “Il 22 luglio 2014 noi registriamo una conversazione dove Salvatore Boninelli e Biagio Grasso fanno riferimento all’incontro che doveva avvenire a Messina”, ha riferito il teste. “Si parla anche di contattare Carmelo, facendo quindi riferimento ad uno dei soggetti. Ma è un’altra la conversazione che ci fa comprendere la necessità e anche l’affidamento a Turi Boninelli dell’incarico di individuare nuovi soci. Essa avviene il 14 luglio 2014, quindi appena qualche giorno prima, in cui gli interlocutori si danno il compito di contattare Turi per vedersi. Veniva effettuato un servizio di osservazione specifico giorno 23 luglio che registrava un incontro tra Salvatore Boninelli, Biagio Grasso e altri due soggetti che noi inizialmente non conoscevamo ma che poi vengono identificati in Carmelo Laudani e Salvatore Galvagno. Questo incontro avviene all’interno degli uffici della XP Immobiliare: Grasso e Boninelli, che fa da mediatore tra il gruppo catanese e quello di Messina, discutono proprio dell’affare della vendita degli alloggi al Comune. Nel corso della conversazione si fa riferimento anche alla capacità da parte del gruppo di avere una copertura economica per poter realizzare tutto questo, tant’è che Salvatore Boninelli dice che avrebbero portato cinquecento, nel senso di cinquecentomila euro e che li aveva in una valigetta insieme a due assegni da seicentocinquantamila euro. Sempre durante l’incontro tra il gruppo catanese e quello messinese del 23 luglio 2014 si fa riferimento a chi era al tempo l’amministratore di Parco delle Felci S.r.l., cioè Silvia Gentile e ancora una volta alla paura da parte di Biagio Grasso di poter essere oggetto di un’altra informativa antimafia anche in considerazione del fatto che c’era il procedimento a Milano che riguardava l’indagine Buco Nero che lo vedeva indagato. Si fa poi riferimento a come dovevano essere dati questi soldi, alla presenza di denaro in nero, cioè in black come gli stessi dicono. Infine viene riferito da Grasso quali saranno gli utili e i benefici per il gruppo catanese e quello dei messinesi nella realizzazione dell’opera. Un’altra singolare conversazione è quando Boninelli spiega la necessità di trovare un punto di incontro tra Messina e Catania, com’era una volta. Quello che però noi registriamo è soprattutto la paura…”.
“Il fatto che a questo affare sia in qualche modo interessato anche Vincenzo Romeo è emerso sia nella conversazione dove si dice di contattare Turi per farlo venire, ma soprattutto nel corso dell’incontro nell’ufficio della XP Immobiliare, quando Biagio Grasso contatta proprio Vincenzo Romeo al fine di farlo venire sul posto per salutarli”, ha aggiunto l’inquirente. “Alla fine Vincenzo Romeo non viene, però viene informato da loro. La sera stessa, infatti, Biagio Grasso si incontra con Romeo e non fa altro che riferirgli dell’esito dell’incontro con i catanesi. In particolare il costruttore fa riferimento a un milione trecentocinquanta mila euro, all’ammontare del guadagno che sarebbe stato diviso ad entrambi e al fatto che i catanesi avrebbero dato momentaneamente cinquantamila euro in nero. Si tratta della stessa cifra che i catanesi pretenderanno al momento dell’uscita dall’affare, quando si recheranno a casa di Francesco Romeo”.
Teste di legno per aziende pulite al 101%
Vincenzo Musolino ha riferito al Pubblico ministero Antonella Fradà che all’incontro in cui furono stabiliti i termini dell’accordo tra il gruppo Grasso-Romeo e i catanesi non era presente proprio l’intestatario delle quote della società R.D. Costruzioni S.r.l., il geometra Giuseppe Amenta. “Diciamo che in tutto questo passaggio di vendita ai catanesi, Giuseppe Amenta non è mai stato presente né ha mai partecipato”, ha dichiarato il teste. “Amenta era poi il soggetto che aveva effettuato la richiesta al Comune di Messina per il bando degli alloggi di Fondo Fucile. Era stata la R.D. Costruzioni di cui faceva parte la Parco delle Felci S.r.l. a presentare nel maggio del 2014 la richiesta al Comune per la vendita e l’amministratore unico all’epoca era per l’appunto Giuseppe Amenta. Sempre nel corso dell’incontro tra Grasso, Boninelli, Laudani e Galvagno, essi parleranno della creazione di una società ex novo, totalmente libera da impegni precedenti e quindi di non facile individuazione. Così il 19 settembre 2014 viene creata Le Costruzioni dello Stretto, pochi mesi prima del passaggio delle quote. L’amministratore sarà individuato in Antonio Amato che era un altro soggetto originario di Catania sempre presente con Salvatore Galvagno. Noi però non lo abbiamo mai sentito dialogare o prendere parte alle decisioni in merito al passaggio delle quote alla Costruzioni dello Stretto o nella successiva vendita a Biagio Grasso quando fallirà il progetto edilizio con i catanesi. Come aveva riferito lo stesso Carmelo Laudani, ci doveva essere una società pulita al 101% e per questo viene messo quale amministratore Antonio Amato. Facendo la visura di questa società, all’interno della stessa non risultano né il Laudani né Salvatore Galvagno”.
“Il 28 ottobre 2014 noi abbiamo registrato pure un incontro tra Vincenzo Romeo, il Laudani e Galvagno nei pressi del bar Doddis in via Garibaldi”, ha riferito Musolino. “La data è importate: siamo quasi nel periodo in cui si potrà comprendere quali erano le ditte che si erano aggiudicate il bando del Comune di Messina e cominciava a circolare la voce della possibilità della diminuzione dell’importo della Regione per acquistare gli immobili. Questo avrebbe determinato un possibile minor introito e meno vendite al Comune. Ebbene, noi registriamo questa preoccupazione da parte degli indagati. Dopo l’incontro che avviene tra Carmelo Laudani e Vincenzo Romeo, quest’ultimo cerca di mettersi in contatto con l’ingegnere Raffaele Cucinotta mentre è ancora presente il catanese. Il Romeo comunque evitava di contattare direttamente Cucinotta. Il momento è di crisi perché la mancata vendita al Comune di Messina avrebbe fatto saltare l’affare, così la sera del 24 ottobre documentiamo una conversazione tra Stefano Barbera e Raffaele Cucinotta. La chiave di lettura la registriamo successivamente nel corso di un colloquio tra Biagio Grasso e Vincenzo Romeo in cui si dirà che il Laudani era molto più tranquillo dopo l’incontro. In verità questa cosa poi non accade in quanto il 28 ottobre, nel corso di un nuovo incontro tra Barbera e Cucinotta, si faceva espressamente riferimento alla diminuzione degli alloggi da vendere al Comune. Il 14 novembre 2014 Biagio Grasso chiede a Vincenzo Romeo se si è visto con Compassoe l’altro dice: Sì per il fatto del 14. Quattordici è il riferimento al numero degli alloggi venduti al Comune di Messina. Lo stesso giorno viene invece registrato nella stanza della XP un colloquio tra Vincenzo Romeo e Carmelo Laudani, in cui il messinese riferisce di aver avuto rassicurazioni che almeno quattordici appartamenti saranno venduti al Comune e che, quindi, trovando altri fondi, successivamente avrebbero potuto venderne altri. La mancata vendita al Comune di Messina provocherà però una crisi nel rapporto tra il gruppo catanese e i messinesi. Bisognava affidarsi infatti al mercato immobiliare e iniziare a rivendere ai privati gli altri immobili. Ciò non era facile anche perché gli alloggi non erano stati completati, la maggior parte delle palazzine erano rustici. Quell’operazione era stata presentata nel colloquio in cui era presente anche Boninelli come una cosa da effettuare in poco tempo, invece adesso comportava una realizzazione molto più lunga e non c’era l’interesse da parte dei catanesi di procedere ad una vendita ai privati. Loro pensavano di realizzare tutto e subito. Così i rapporti economici tra le parti vengono regolati attraverso un pegno di duecentodiecimila euro che viene messo all’interno della XP Immobiliare e che noi ricaviamo dalla visura di Parco delle Felci S.r.l., ma soprattutto con la restituzione di cinquantamila euro che erano stati dati inizialmente dal gruppo ai catanesi e che noi non abbiamo mai rinvenuto probabilmente perché si trattava di soldi in nero. Nel colloquio registrato il 2 febbraio del 2015, Enzo Romeo riferisce a Biagio Grasso di avere un appuntamento con il padre. Il servizio di osservazione che avevamo al momento all’Hospital Bar ha evidenziato che Vincenzo Romeo si è incontrato con Carmelo Laudani e Salvatore Galvagno. La stessa mattina invece, al Room Café, il bar del fratello di Vincenzo, Gianluca Romeo, che si trova nei pressi dello stadio Celeste, si erano visti Francesco Romeo e i figli Vincenzo e Maurizio. Il passaggio dei soldi ci è stato riferito da Grasso Biagio. Il riscontro ce lo dà però il colloquio del 2 febbraio 2015 tra il Grasso e la compagna Silvia Gentile, quando si dice espressamente che i soldi dei catanesi erano stati dati al padre di Vincenzo Romeo. Silvia Gentile comprende che si tratta di una cosa grave se essi si erano rivolti all’anziano per ricevere questi soldi. E’ in quell’occasione che si afferma pure che ognuno di questi fratelli Romeo ha una propria dote, cioè un proprio ambito di competenza. La restituzione di cinquantamila euro ai catanesi preoccupava tanto Biagio Grasso quanto Silvia Gentile, perché non era mai stato contattato e disturbato Francesco Romeo...”.
Come sfogare la rabbia a schiaffi e calci
Vincenzo Musolino ha spiegato che il gruppo Grasso-Romeo ebbe qualche difficoltà a restituire il denaro ricevuto dai catanesi, nonostante si trattasse di una cifra non rilevante e ci fosse già stato qualche privato che aveva versato la quota per l’acquisto degli altri appartamenti delle palazzine di Fondo Fucile. “C’erano problemi di liquidità”, ha dichiarato. “E’ in questa fase che registriamo un episodio relativo ad un’aggressione nei confronti di Christian Alessi, il socio della For.Edil S.n.c., una società che forniva materiale al gruppo. Il 30 agosto 2014 Biagio Grasso e Vincenzo Romeo si erano recati ad incontrare Christian Alessi, perché lui non stava più fornendo il materiale per il cantiere di costruzione a Fondo Fucile. Grasso e Romeo si erano dati appuntamento con Christian e il fratello di questi, Giuseppe Alessi, nei pressi del cimitero che si trova sulla Panoramica. All’incontro Vincenzo Romeo colpirà con uno schiaffo e un calcio Christian Alessi, lasciandolo a terra. Noi sentiamo i colpi inferti, addirittura viene sbattuto contro la macchina e Grasso allontana poi Vincenzo Romeo che esprime l’intenzione di bruciare i mezzi di Alessi. Cos’è che dava fastidio al Romeo anche in virtù della sua posizione? Il fatto che Christian Alessi era un suo cugino, come lui asseriva, anche se il grado di parentela non era diretto. L’aggressione ha tuttavia il suo risultato, perché poi proseguirà la consegna dei materiali nei confronti della XP Immobiliare”.
“Con l’uscita dei catanesi, l’evoluzione societaria della Costruzioni dello Stretto è comunque proseguita ed è stato individuato un nuovo socio, Gaetano Lombardo, soggetto che era legato a Pasqualino Romeo, un fratello di Vincenzo Romeo, forse suo vecchio compagno di scuola”, ha aggiunto l’inquirente. “Inizialmente avevano cercato di contattare altri costruttori messinesi per terminare l’opera, in particolare lo stesso Vincenzo Vinciullo, noto imprenditore locale. Però non avevano trovato né l’aggancio per parlare con Vinciullo e probabilmente nemmeno la volontà da parte del costruttore di completare l’opera stessa. Pertanto viene organizzato un incontro presso gli uffici della XP Immobiliare con Gaetano Lombardo, inteso Tanino, che era il titolare della Airclimadi S.n.c., un’impresa che si occupava più che altro di impianti di climatizzazione. L’incontro avviene il 22 novembre 2014 e in quell’occasione viene presentato a Lombardo il progetto di costruzione e gli viene chiesto se si sente in grado di gestire questo cantiere. Il ruolo del Lombardo doveva essere quello di riprendere in mano l’attività: il cantiere era fermo, non stavano lavorando più, era fallita la vendita al Comune, ma poiché erano stati effettuati diversi compromessi con privati la costruzione doveva proseguire. Viene pure effettuata una riunione all’interno degli uffici della XP Immobiliare con alcuni dipendenti della stessa società, come ad esempio Orazio Jhonny Faralla, soggetto con pregressa appartenenza al sodalizio mafioso messinese operante nel rione denominato Mangialupi. Così, dopo qualche mese, avviene il passaggio delle quote de Le Costruzioni dello Stretto e quindi la Parco delle Felci ritorna alla XP Immobiliare e noi registriamo la presenza in cantiere di Gaetano Lombardo. Solo dopo l’esecuzione delle misure restrittive con l’Operazione Beta, accerteremo che era stata creata una nuova società, la Procoim, azienda che noi sequestreremo e che altro non era che il cambiamento di denominazione della XP Immobiliare. Il passaggio societario era stato registrato nel gennaio 2015, quindi in data successiva. I soggetti effettivamente interessati alla Procoim erano ancora Vincenzo Romeo e Biagio Grasso, ovviamente tramite l’uomo di fiducia del Romeo che era Gaetano Lombardo ed una donna, Simona Ganassi. Quest’ultima, in realtà, era una signora anziana originaria di Reggio Emilia che già avevamo visto nell’ambito degli affari milanesi di Biagio Grasso. Si trattava di un membro esterno del Ministero, coniugata con un signore americano, che nulla aveva a che vedere con la costruzione delle palazzine e che non conosceva nemmeno dove esso si trovava”. Da rilevare come l’informativa Beta del R.O.S. dei Carabinieri abbia fornito ulteriori particolari sull’identità dei nuovi partner finanziari del sodalizio Grasso-Romeo-Santapaola. “Occorre evidenziare che a carico di Gaetano Lombardo non compaiono precedenti penali di rilievo o controlli di interesse, tranne una denuncia a suo carico per violazione delle norme sulla prevenzione infortuni per lavori svolti nel cantiere edile sito a villaggio Pistunina a Messina, di proprietà del noto pluripregiudicato Sarino Bonaffini”, annota il R.O.S.. “Le informazioni acquisite sul conto di Simona Ganassi, definita da Biagio Grasso come la vecchiao la professoressa, ci consentivano di rilevare che la predetta ha intrattenuto, quale ruolo di esperta, numerosi rapporti con la pubblica amministrazione. La stessa è stata contattata da parte del Grasso per canalizzare un flusso di denaro dagli Stati Uniti ed è emerso che in passato ha fatto pervenire all’indagato cospicue somme di denaro”. Gli inquirenti hanno pure accertato che il figlio di Simona Ganassi, Simon Anise Danny Agger, è stato socio del padre di Biagio Grasso all’interno della A & G Costruzioni Generali S.r.l., società oggetto d’indagine nel procedimento Buco Nero.
Nonostante la girandola di nomi susseguitisi alla guida delle varie società protagoniste dell’affaire di Fondo Fucile, il maresciallo maggiore Vincenzo Musolino ha evidenziato che sin dall’inizio dell’operazione compare però sempre la figura dell’imprenditore Giuseppe Sicuro, titolare dei terreni destinati alle opere di costruzione. “Giuseppe Sicuro era quello che aspettava il pagamento per i terreni che erano stati venduti al Comune di Messina”, ha concluso il militare. “Egli si era accorto del passaggio societario da Rosario Di Stefano a Biagio Grasso ma si era accorto anche dell’uscita di scena dei catanesi nel febbraio 2015. Giuseppe Sicuro si era pure informato su chi fosse Vincenzo Romeo. Il 10 aprile 2014 lo aveva chiesto a Biagio Grasso che aveva risposto che è gente forte, che hanno Lottomatica. Grasso arriva a dire: Quello la testa gliela taglia davvero, non scherza per nulla, riferendosi molto probabilmente a Rosario Di Stefano che continuava a creare problemi per la restituzione dei soldi. Nel corso di questa conversazione Sicuro fa riferimento alle sue parentele anche con soggetti mafiosi, in particolare a tale Giuseppe Spampinato. Giuseppe Sicuro ha fatto pure accenno ad una sua parentela con tale Giuseppe Panzera, il genero di Giuseppe Morabito inteso Tiradritto, ma noi questa parentela non l’abbiamo per niente registrata”. Giuseppe Spampinato, inteso Peppe, è un pluripregiudicato originario di Gravina di Catania, ritenuto organico al clan mafioso dei Cappello. Giuseppe Panzera, ex Primario dell’Ospedale di Melito di Porto Salvo, è stato arrestato invece per aver favorito la latitanza del suocero Morabito, storico boss della ‘ndrina di Africo, avendolo curato mentre si sottraeva alla cattura.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 31 luglio 2019, http://www.stampalibera.it/2019/07/31/linchiesta-tutti-i-soci-prestanome-dei-romeo-santapaola-per-laffaire-case-popolari-di-fondo-fucile/

Processo Terzo livello. Quelle anomalie nelle assunzioni indirette all’Atm Messina

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Da sempre al centro di denunce per gravi inefficienze e disservizi, sprechi milionari, assunzioni clientelari, violazioni dei diritti sindacali, ecc., l’Atm – Azienda Trasporti di Messina ha fatto gola a tutti i politici di razza della città dello Stretto. Un ambitissimo bacino elettorale che ha drenato enormi risorse finanziarie, contribuendo al dissesto de facto dell’amministrazione comunale e che adesso sindaco Cateno De Luca e consiglio comunale hanno messo in liquidazione per accelerare la privatizzazione del sistema dei trasporti locali. Intanto si moltiplicano le azioni giudiziarie di quei precari “assunti” con contratti-capestro attraverso le agenzie di lavoro interinale e con un bando concorsuale finito in uno dei fascicoli dell’inchiesta Terzo livello su malapolitica e affari. Il processo in corso presso il tribunale peloritano vede imputati, tra gli altri, l’ex presidente del consiglio comunale Emilia Barrile (già Pd, poi Forza Italia, infine in corsa da indipendente alle ultime elezioni a sindaco di Messina) e il dottore Daniele De Almagro, prima direttore amministrativo e poi direttore generale dell’Atm.
Daniele De Almagro ha condotto il carrozzone-trasporti di Messina negli anni della sindacatura di Renato Accorinti dopo aver ricoperto l’incarico di direttore generale e amministrativo di Gesip Palermo S.p.A. (la società di gestione del verde, pulizia scuole e uffici e trasporto disabili, con socio unico il Comune del capoluogo siciliano). Odierno tesoriere di Asstra Sicilia, l’associazione che raccoglie tutte le imprese di trasporto regionale, Daniele De Almagro è stato anche funzionario del Comune di Palermo per la riscossione Ici ed ex ragioniere capo del Comune di Raddusa (Catania), liquidatore della Servizi per l’occupazione S.r.l. (la società interamente controllata da Gesip che dal 2004 al 2010 ha gestito il Piano per l’occupazione dei soggetti svantaggiati dell’area metropolitana di Palermo) e per un breve periodo anche direttore finanziario di Aeroviaggi S.p.A., tra i più importanti tour operator siciliani. Al processo Terzo livello deve rispondere dell’accusa di aver “agevolato” – su pressione dell’allora presidente del consiglio Barrile – uno dei candidati al concorso per l’assunzione “temporanea” di autisti dell’Atm.
Con lui o con lei, basta che a comandare ci resto io…
Lo scorso 3 luglio, la controversa gara concorsuale è stata ricostruita in parte all’udienza del processo Terzo livello dall’ispettore Giannantonio Spadaro, in servizio presso la sezione operativa D.I.A. di Messina. “L’attività che ho svolto io era quella relativa all’induzione indebita a dare o promettere utilità in relazione all’interesse di Emilia Barrile nell’assunzione di personale presso l’Azienda di Trasporti Municipalizzata Atm di Messina”, ha esordito l’inquirente. “Premetto che nel periodo di intercettazione operato nei confronti della signora Barrile si ha avuto modo di censire diverse conversazioni tra le quali una è avvenuta con il signor Daniele De Almagro che all’epoca dei fatti era il direttore amministrativo in carica dell’Atm, nominato a seguito della delibera commissariale n. 48 del 13 maggio 2015. Egli aveva vinto un bando di concorso con contratto a tempo determinato per tre anni, dal 4 giugno 2015 al 3 giugno 2018. Le conversazioni sono state captate a cominciare dal 21 gennaio 2016. In quell’occasione la Barrile è stata contattata tramite un’utenza dell’Atm. La persona che si è presentata in questa telefonata era il dottore De Almagro. Chiedeva alla donna d’incontrarsi nella stessa mattinata in piazza Antonello. Dopo il contatto con De Almagro, Emilia Barrile telefonava immediatamente a Marco Ardizzone, indagato anch’egli in questo procedimento, riferendogli di essere stata chiamata dal direttore dell’Atm e che le aveva chiesto un incontro. Poi ha aggiunto di sapere già che era da alcuni giorni che lui le voleva parlare. Ardizzone le consigliava di mettere in atto una serie di cautele perché non conosceva direttamente la persona e quindi di verificare quello che vuole e di parlare sempre con una certa attenzione… Specificatamente le diceva: La gente non sai chi sono e quindi fai molta attenzione. Il motivo dell’incontro richiesto da De Almagro era finalizzato ad ottenere una copia degli emendamenti al contratto dei servizi che era stato votato perché, le aveva detto, non riusciva ad averli. Ardizzone allora domanda perché non li aveva chiesti con una domanda ufficiale e la donna gli rispondeva che doveva fargli solo una cortesia e che per lei non era un problema trovargli questi emendamenti. Come poi riferito dalla Barrile ad Ardizzone subito dopo l’incontro con De Almagro, quest’ultimo le avrebbe riferito che presso l’Azienda Trasporti Messina doveva essere bandito da lì a breve un concorso per la selezione di un difensore e di un revisore contabile. Quindi dice: Cercano un avvocato e un commercialista con un indennizzo annuale. Barrile aggiunge che, se fosse ancora interessata, riferendosi verosimilmente all’avvocato del foro di Messina Elisa Ardizzone, sorella di Marco Ardizzone, avrebbe potuto farla partecipare. Alla richiesta di Ardizzone di cosa si trattava e della ciccia, riferendosi alla retribuzione, Barrile gli rispondeva: Dieci all’anno. Verosimilmente dovrebbero essere diecimila euro l’anno. Da questa conversazione appare evidente che la richiesta delle delibere era solo una scusa…”.
“Nella stessa giornata, la signora Barrile ha provveduto a recuperare le delibere e ha fissato un appuntamento per consegnarle a De Almagro nei pressi del cinema Apollo in via Cesare Battisti, esercizio ubicato poco distante dall’abitazione della donna”, ha aggiunto l’ispettore Spadaro. “Dopo qualche giorno Emilia Barrile fa una telefonata con Elisa Ardizzone. Nel colloquio l’Ardizzone le dice che era intenzionata a fare un concorso presso l’avvocatura dello Stato. La signora Barrile le suggeriva di partecipare ad esso e contestualmente le diceva: Guarda, oltre a questo qua, dovrebbe uscire a breve un concorso locale, forse in settimana e quindi lo devi presentare. La Barrile si era poi lamentata sul malfunzionamento del telefono cellulare e quindi la invitava ad incontrarsi di persona nel pomeriggio, verosimilmente per evitare di parlarne al telefono. Prima di chiudere le dice: Questa cosa è discretuccia, mi hanno chiamata appositamente perché tu la faccia”.
Il 4 febbraio del 2016 gli inquirenti registrano una telefonata di Emilia Barrile a Daniele De Almagro per fissare un nuovo appuntamento. “Mentre squillava il telefono si sentiva la signora Barrile che conversava con un altro soggetto non identificato”, ha riferito l’inquirente. “Così sono state captate in modalità ambientale delle frasi dove si parlava di assunzioni all’Amam e all’Atm in qualità di autisti. Questa persona con cui conversava la signora Barrile le diceva che era da diversi anni che non lavorava e quindi aveva la necessità di trovare un’occupazione. Lei rispondeva: Va bene, ora vediamo, due mesi saranno... Quindi era evidente che l’interesse di Emilia Barrile verso Daniele De Almagro era anche quello di creare un canale diretto per il concorso che sarebbe uscito a breve per l’assunzione di persone presso l’Atm. A distanza di poco tempo, infatti, la Barrile viene chiamata da tale Francesco Macrì. Dopo aver discusso del più e del meno, la donna gli chiede se avesse effettuato il concorso, se avesse presentato la domanda… Emilia Barrile si riferiva in questo caso alla presentazione dell’istanza per partecipare al concorso per la selezione di autisti per l’Atm. Ciò grazie alla registrazione da parte del candidato su una piattaforma online di una società, la Temporary S.p.A., che aveva vinto il bando per la selezione del personale (Il bando era stato emesso a seguito della deliberazione commissariale dell’Atm, la n. 124 del 2 dicembre 2015, avente per oggetto l’Impegno di spesa per l’affidamento del servizio di somministrazione lavoro a tempo determinato per n. 20 unità da adibire alla guida dei mezzi aziendali, per la durata di mesi quattro, termine poi prorogato, N.d.A). In seguito a questa conversazione, il 16 febbraio 2016 la signora Barrile contatta telefonicamente De Almagro per chiedergli d’incontrarsi. Durante la conversazione De Almagro le dice però che non vorrebbe entrare al Comune perché vorrebbe evitare di farsi vedere in compagniadella Barrile, preferendo un posto più riparato nei pressi del teatro Vittorio Emanuele. L’esito di questo incontro, avvenuto in un pub, viene poi riferito dalla Barrile ancora una volta a Marco Ardizzone. Nello specifico gli racconta che si è fatta spiegare da De Almagro alcune cose inerenti l’iter del concorso per l’assunzione degli autisti. Barrile riferisce altresì che De Almagro le aveva fatto uno strano discorso in merito al loro rapporto di amicizia. Il direttore dell’Atm le aveva detto che l’amicizia doveva rimanere segreta in quanto lui era stato nominato dall’amministrazione in carica all’epoca dei fatti, quella con il sindaco Renato Accorinti, mentre Emilia Barrile era in una situazione contrastante con l’amministrazione. In quel momento la situazione politica era abbastanza traballante; vi era il rischio che potesse decadere il sindaco e quindi tutta la giunta e De Almagro, nominato dal sindaco Accorinti, poteva anch’egli perdere tale occupazione. In questa conversazione la Barrile quasi fa capire a De Almagro che se rimangono amici tra di loro, nel caso in cui il sindaco Accorinti vada via, lei, avendo delle forti conoscenze, potrebbe aiutarlo a farlo rimanere nel suo incarico o, eventualmente, a fargliene concedere altri. Lo sai che gli ho detto a lui?, riferisce testualmente la donna. Ma è anche vero, tu hai un contratto a tre anni, no? Possibilmente rinnovabile, è facile che un altro anno l’amministrazione se ne va, giusto? Come si dice, poche parole, no? In base a quello che la Barrile dice ad Ardizzone, il signor De Almagro si manifesta in maniera assolutamente disponibile per questa prospettazione”.
Un cugino tu, un figlio lei, un amico suo…
Nei giorni successivi Emilia Barrile fissa nuovi incontri con Daniele De Almagro anche per conoscere meglio le procedure previste per l’assunzione dei nuovi autisti. “Nel pomeriggio del 25 febbraio 2016, l’esponente politica si reca all’Atm per parlare direttamente con De Almagro, ma anche stavolta preferiscono vedersi all’esterno, di fronte la Banca Sviluppo”, aggiunge Giannantonio Spadaro. “Durante una conversazione si sente in modalità ambientale Barrile discutere con una terza persona di un’assunzione. Lo prendono a tempo indeterminato… Ora vediamo, sto un po’ pressando perché lo facciano a contratto definito, dice la donna. Il succo delle sue conversazioni è quindi sempre legato all’Atm. Infatti da poco è stato pubblicato il bando e inizia la vera vicenda della selezione del personale che diventa sempre più centrale nelle comunicazioni tra la Barrile e De Almagro. In questa fase, Daniele De Almagro si fa parte attiva promettendole di interessarsi a raccomandare direttamente presso la società incaricata le persone da lei segnalate. Il 26 febbraio, cioè il giorno seguente all’incontro con il direttore dell’azienda trasporti, mentre Emilia Barrile si trova in auto con l’ingegnere Francesco Clemente, la donna gli chiede se un suo parente ha fatto l’istanza per partecipare alla selezione presso l’Atm. Espressamente gli dice che la settimana successiva gli deve dare i nomi. Pochi istanti prima Francesco Clemente le aveva detto: Senza che ti angosci, che ti fai. Mia mamma era andata perché ora abbiamo il figlio del fratello di mia mamma a carico. E la Barrile: E’ autista, mi dicevano. Ma l’ha fatto il coso all’Atm? Non l’ha fatta l’iscrizione? Francesco Clemente: Forse l’ha fatta, non lo so. Lo deve fare? La sera prima Emilia Barrile si era incontrata con De Almagro e quest’ultimo le aveva chiesto i nomi delle persone da segnalare a chi gestiva a Palermo la società di selezione, cioè il direttore Orazio Giordano. La società ha la sede legale a Milano ma una delle diverse sedi operative è a Palermo ed è quella che si era aggiudicata il bando di gara per il personale per l’Atm. Da qui si capisce l’interesse vero e proprio di De Almagro… Egli era originario di Palermo, aveva avuto già incarichi presso vari enti pubblici palermitani e quindi si muoveva su Palermo anche per questo…”.
“Sempre in riferimento alla situazione di Francesco Clemente, a distanza di qualche giorno Emilia Barrile contatta il professionista e gli chiede il nominativo del cugino e se questi avesse alla fine presentato l’istanza per il concorso”, ha aggiunto l’inquirente. “Clemente le risponde che aveva provveduto a trasmetterla tramite pec. Per ricordare l’impegno con la Barrile, il 2 marzo 2016 l’ingegnere Clemente le invia un sms con il nome del cugino: Giuseppe Antonuccio. Lo stesso giorno Daniele De Almagro contatta la Barrile e utilizzando un linguaggio criptico le chiede i nominativi a cui lei era interessata. Le propone di incontrarsi per poter ricevere quelle tre delibere che mi dicevi che mi possono essere utili. L’ipotesi investigativa è che le tre delibere si riferiscano ai tre soggetti che sono stati segnalati dalla Barrile, cioè Giuseppe Antonuccio, Francesco Macrì e Giuseppe Cannaò. Di questi tre, solo uno, Francesco Macrì, alla fine verrà effettivamente assunto”.
Alla presidente Emilia si dovrebbe fare una statua…
Dopo la prima fase di selezione, il gruppo di candidati promosso viene convocato per il 7 aprile 2016 per svolgere un colloquio con la società Temporary presso l’Europa Palace Hotel di Messina. “Alla vigilia di quell’appuntamento si registrano una serie di conversazioni tra il signor Francesco Macrì ed Emilia Barrile e parallelamente vi sono altre conversazioni tra quest’ultima e Daniele De Almagro”, ha precisato Spadaro. “In particolare, il 5 aprile De Almagro contatta la Barrile e le chiede di vedersi presso il bar Fumia, vicino al Municipio. Nel pomeriggio della stessa giornata ci sarà un altro incontro tra la Barrile e Francesco Macrì. Il giorno del colloquio, prima di recarsi all’Europa Palace Hotel, Macrì va direttamente in Comune a parlare con la signora Barrile. Concluse le prove di selezione, Francesco Macrì chiama nuovamente l’esponente politica che gli dice: domani mi vedo, riferendosi con ragionevole certezza al signor De Almagro, al fine di acquisire delle notizie circa l’esito del colloquio. Emilia Barrile non ha fatto specificatamente il nome, ma dovrebbe essere lui. In realtà che cosa accade? Che la Barrile e De Almagro si vedono lo stesso pomeriggio nei pressi dell’Apollo. Prima di raggiungere l’uomo, Emilia Barrile chiama Macrì per dirgli di raggiungerli. E quindi si incontrano il signor Macrì, la Barrile e De Almagro. In serata Macrì chiama nuovamente Emilia Barrile e le spiega che non poteva scrivere una lettera per l’indomani, facendo riferimento anche ad una visita che lui doveva fare al cuore, verosimilmente una visita medica per la presentazione di documentazione inerente alle prove selettive. Anche in questo caso la signora Barrile si mette a disposizione… Il giorno seguente al colloquio, l’8 aprile, De Almagro contatta la Barrile e, parlando in modo criptico, le chiede se tutto andava per il verso giusto. De Almagro le chiede pure se avesse già fatto quella cosa, e la Barrile lo rassicura dicendo che aveva fatto anche un’altra cosa che gli avevano chiesto. Verosimilmente si riferivano sempre al Macrì e all’iter di questo concorso. La settimana successiva avvengono ancora altri incontri. L’11 aprile, in particolare, De Almagro chiama Emilia Barrile per vedersi con il suo amico la sera stessa. L’amico a cui si riferiscono era certamente Francesco Macrì perché a distanza di qualche minuto da questa conversazione, la Barrile chiama Macrì e lo invita a venire per le 20 davanti al cinema Apollo, specificando che ci sarebbe stato anche quell’altro suo amico, cioè De Almagro. Di questo la signora Barrile prontamente dà notizia a Marco Ardizzone dicendogli che si doveva vedere con quello dell’Atm insieme a quel ragazzo. Dopo l’incontro, Emilia Barrile informa Ardizzone del buon esito dell’accordo e che verosimilmente sarebbe stata effettuata l’assunzione di Macrì. Gli dice nello specifico: Tutto fatto, penso che questa cosa l’ho fatta e che è tutto a posto. Ne abbiamo sistemato un altro…”.
Il 22 aprile 2016, la società di selezione invia una mail ai candidati risultati idonei convocandoli per una visita medica da svolgere a Catania nei giorni 28 e 29 aprile. “Il giorno stesso, la signora Rosalba Cattareggia, madre di Giuseppe Cannaò, contatta Emila Barrile, sua conoscente, per verificare se nella lista dei candidati idonei vi fosse il figlio”, ha riferito l’inquirente. “L’esponente politica le risponde che le sembrava troppo presto per questa cosa, ma la Cattareggia si lamenta che il figlio non risultava in questa lista e che la notizia gli era stata data da persone che erano all’interno dell’Atm. Emilia Barrile replica che ancora la cosa non era definita o che comunque poteva non essere veritiera, dando, tra virgolette, delle speranze all’interlocutrice. Subito dopo, comunque, la Barrile chiama direttamente De Almagro chiedendogli informazioni sulla lista. De Almagro le dà conferma della sua pubblicazione e della prossima convocazione a Catania dei candidati risultati idonei. Il 3 maggio 2016 c’è un nuovo contatto telefonico tra Emilia Barrile e Daniele De Almagro. Lei gli ricorda che aspettava ancora una risposta: Quel nome lì che c’era, che dovevamo vedere un attimino…. I due decidono d’incontrarsi nel pomeriggio. Il giorno successivo viene pubblicata la graduatoria definitiva, con l’ordine di servizio n. 60 a firma del direttore amministrativo Daniele De Almagro e del direttore generale Giovanni Foti. Tra questi candidati, alla terza posizione, si trova il signor Francesco Macrì, che appena saputa la notizia contatta la Barrile per ringraziarla. Volevo darti due baci, dice espressamente Macrì. A tale affermazione la donna capisce qual era il motivo della telefonata e quindi gli chiede se fosse stata pubblicata la graduatoria e quando avrebbe iniziato a lavorare. Macrì non nasconde la gioia di aver vinto il concorso ma dice che ancora non sapeva e che doveva presentare qualche altra pratica burocratica. La notizia l’ho comunicata anche a Nazzareno e lui mi ha detto che ti dovrei fare una statua, aggiungeva Macrì. Alla fine i due prendono accordi per risentirsi nei giorni successivi”.
Le varianti in corso d’opera del concorso anomalo  
Da quel momento in poi non si registreranno più contatti tra Emilia Barrile e Daniele De Almagro. Solo il 4 luglio 2016 sarà captata una chiamata della Barrile in cui si chiedeva un appuntamento a De Almagro presso un bar di Piazza Cairoli. “Due giorni prima l’esponente politica si era sentita con Francesco Macrì per fissare una cena”, ha riportato Giannantonio Spadaro. “I contatti tra Macrì e Barrile proseguono invece nel tempo, anche perché questo concorso aveva una durata prestabilita di quattro mesi. Il 16 novembre 2016, quando stava per scadere il termine del contratto, ecco che Macrì chiama la Barrile per chiederle ancora aiuto in vista di una proroga per altri due mesi. Durante queste conversazioni la Barrile gli diceva di non preoccuparsi, che al 90% per lui non ci sarebbero problemi e che avrebbe provveduto a contattare anche De Almagro per verificare un po’ la situazione”.
Su domanda del Pubblico ministero Fabrizio Monaco, l’ispettore Spadaro si è soffermato sulle procedure adottate dal concorso per la selezione dei nuovi autisti Atm. “Noi abbiamo effettuato una serie di acquisizioni di documentazioni iniziando da quelle inerenti l’espletamento della gara per la scelta della società a cui affidare la selezione dei candidati”, ha specificato l’inquirente. “Si è appurato che la gara per il valore di duecentomila euro è stata aggiudicata alla Temporary S.p.A., agenzia per il lavoro. La Temporary aveva ottenuto lo stesso punteggio dell’altra società partecipante, mi sembra la Gi Group. Quindi si è proceduto a sorteggio e la Temporary ha ottenuto la procedura. Come abbiamo detto si trattava dell’assunzione di venti autisti presso l’Atm, di un contratto per quattro mesi successivamente prorogati. Abbiamo sentito pure a sommarie informazioni il signor Orazio Giordano, legale rappresentante della Temporary S.p.A., filiale di Palermo, quindi la persona che si è interfacciata con Daniele De Almagro circa l’iter espletato per la selezione del personale. Dall’esame dei documenti e della tabella con i nomi dei settanta candidati idonei per la prosecuzione dell’iter di selezione, si sono rilevate delle incongruenze sia nella fase selettiva che nel metodo per l’assegnazione dei punteggi. Quando viene individuata la Temporary, viene fissato l’intero iter che essa dovrà svolgere per selezionare il personale. Si prevedono quattro step: analisi, ricerca, selezione e presentazione dei candidati. Dovevano essere fatti dei test psicoattitudinali, screening, curricula, interviste, ecc.. Questo in teoria. In pratica succede che una volta terminata la presentazione delle domande il 17 febbraio 2016, ci sono 588 domande. In data successiva, la direzione dell’Atm di Messina trasmette via mail all’attenzione del signor Orazio Giordano, responsabile della Temporary, una nota – classificata come n. 5 del 2016 - in cui si spiega inizialmente come essa nasceva da un incontro tenutosi tra il direttore amministrativo De Almagro, il direttore generale Foti e il direttore della Temporary di Palermo, in cui erano stati stabiliti i nuovi sistemi di selezione, totalmente diversi da quelli che erano stati valutati positivamente dalla commissione appositamente creata per valutare la società a cui affidare la selezione. Nello specifico venivano stabiliti per l’attribuzione del punteggio tre criteri aziendali e tre criteri sociali, uno legato all’esperienza lavorativa di autista di mezzo di trasporto di persone, un altro all’età, l’altro ancora alla residenza, all’anzianità di disoccupazione, ecc.. Tutti gli altri step di selezione originariamente indicati, la somministrazione di test psicoattitudinali, le prove tecniche, ecc., vengono invece eliminati totalmente. Effettivamente si crea una procedura molto più fluida rispetto a quella concordata in precedenza, situazione che ci è apparsa abbastanza strana (Secondo quanto rilevato nel corso del controesame del teste da parte dall’avvocato Andrea Schifilliti, legale di Danilo De Almagro, in data 15 febbraio 2016 l’Atm aveva inviato alla Temporary S.p.A. una nota con protocollo 4/2016 in cui si chiedeva di “conoscere anticipatamente alla fase di selezione, i criteri che la società intende adottare per la selezione dei curricula dei candidati e le modalità di definizione del punteggio”. Nella nota, il direttore generale Giovanni Foti e il commissario speciale Domenico Manna  scrivevano inoltre che “in accordo con l’amministrazione comunale, sarebbe auspicabile  dare preferenza ai seguenti parametri: esperienza di guida di bus; età; residenza anagrafica ecc.”. La nota è stata prodotta in sede processuale NdA)”.
“In una prima fase vengono selezionati cinquanta candidati su 588 curricula presentati, quelli che avevano ottenuto il maggior punteggio”, ha aggiunto Giannantonio Spadaro. “Essi vengono sottoposti ad un colloquio in cui veniva attribuito un punteggio da parte dei selettori. Nel proprio curriculum, il signor Francesco Macrì attestava tra le esperienze lavorative di essere titolare dell’impresa individuale Ciservice, con inizio attività nel gennaio 2012 e cancellata il 2 novembre 2016. L’attività prevalente dell’azienda era quella di vigilanza privata, esercitata anche con trasporto di taxi e noleggio autovetture con conducente. Nel periodo compreso tra il 2010 e la data di presentazione del curriculum alla società selettrice, Macrì asserisce di svolgere l’attività di noleggio con conducente e tra le altre attività lavorative espletate negli anni precedenti nessuna di esse riguarda la guida di autobus, quella per la quale effettivamente viene bandito il concorso dall’Atm. Quando Macrì supera le prime fasi delle selezioni, il 14 marzo 2016 produce una dichiarazione sostitutiva di certificazione nella quale attesta di essere disoccupato dal 31 luglio 2009. Questa certificazione permette al Macrì di ottenere, in base agli indici di valutazione stabiliti dalla nota n. 5 del 2016, un punteggio pari a 5, ovvero il massimo ottenibile. Differentemente, se avesse dichiarato che sino al 7 dicembre 2015, data di uscita del bando di concorso, era regolarmente occupato in quanto titolare di un’impresa individuale, Macrì avrebbe ottenuto come punteggio zero. Abbiamo fatto anche un altro accertamento chiedendo all’Inps di verificare la disoccupazione. Ebbene anche l’Inps ci attesta che l’uomo risultava effettivamente impiegato in qualità di titolare di una società. Quindi in questo caso non poteva produrre quell’attestazione. Abbiamo fatto infine gli accertamenti per verificare quali veicoli fossero a lui riconducibili per accertare il criterio aziendale dell’esperienza lavorativa di autista di mezzi di trasporto. Anche in questo caso egli ha ottenuto un punteggio elevatissimo, dieci, il massimo ottenibile, sulla base anche di un’interpretazione benevola del suo curriculum vitae. Lui viene valutato infatti come un autista di mezzi di autobus mentre effettivamente svolgeva l’attività alla guida di taxi. Così alla fine Francesco Macrì ottiene quindici punti in più rispetto ad altri. Non abbiamo però fatto un confronto tra il punteggio del Macrì e quello degli altri soggetti che hanno vinto il concorso perché il nostro interesse investigativo in quella fase era solo il soggetto in questione, dati i riscontri telefonici con Emilia Barrile. Non abbiamo verificato in verità neanche i curricula e le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà degli altri diciannove soggetti avviati al lavoro…”.
Sin qui il racconto dell’ispettore Giannantonio Spadaro della D.I.A. di Messina. In realtà il capitolo Atm non sembra mostrare l’incisività e la completezza degli altri filoni chiave dell’indagine Terzo livello (ad esempio quelli sui presunti pressing da parte di alcuni imputati sugli uffici comunali e/o sull’Azienda Meridionale Acque Messina per accelerare l’iter di delibere e licenze, pagamenti, ecc..). Eppure non erano mancati in passato gli affondi da parte di consiglieri comunali degli opposti schieramenti e di sindacalisti contro le modalità con cui erano state scelte le figure guida dell’Azienda trasporti o lo stesso iter concorsuale per l’individuazione dei nuovi autisti a tempo determinato. Ad accendere le micce, l’1 febbraio 2016, erano stati in particolare i consiglieri comunali Francesco Pagano e Daniele Zuccarello che in un’interrogazione al sindaco Accorinti lamentavano l’anomalia di affidare alla Temporary S.p.A. la selezione degli autisti Atm, stigmatizzando in particolare quanto affermato in II^ Commissione consiliare dall’allora assessore responsabile e vicesindaco Gaetano Cacciola (“la scelta di servirsi di una società di lavoro interinale e non di un bando per un concorso pubblico è stata fatta per motivi di tempo”). Nell’atto ispettivo Pagano e Zuccarello chiedevano inoltre come mai l’Atm non si fosse rivolta direttamente a un ente regionale come il Centro per l’impiego invece di ricorrere ad un’agenzia milanese. Un mese dopo erano i consiglieri Nina Lo Presti e Gino Sturniolo (eletti con la lista Cambiamo Messina dal Basso e successivamente dimessisi per l’insanabile frattura politica con l’amministrazione Accorinti), a rilevare gravi lacune finanziarie nei piani industriali dell’Atm e perfino alcune questioni di legittimità nella stessa governance dell’azienda. “Giovanni Foti ha i requisiti previsti dallo Statuto dell’Atm per ricoprire l’incarico di direttore generale?”, chiedevano Lo Presti e Sturniolo. “E’ legittima la sospensione del bando di concorso pubblico per la figura di direttore che l’Atm aveva avviato nel febbraio 2014 per poi ritirarlo appena due mesi dopo su input dell’amministrazione? Ed è legittima la permanenza del Commissario straordinario Domenico Manna, nominato in virtù dello stato d’emergenza traffico nella città di Messina dichiarato dalla presidenza del Consiglio dei ministri e poi cessato il 30 settembre 2012?”. Come abbiamo visto, l’intero iter concorsuale era stato “legittimato” proprio da una serie di delibere commissariali.
Il 14 novembre 2016 era il segretario regionale dell’organizzazione sindacale OR.S.A., Mariano Massaro, a chiedere formalmente la revoca del bando di affidamento all’agenzia di lavoro interinale per nuove assunzioni di personale Atm, denunciando come questo procedimento stesse creando “un danno per i contribuenti e la collettività” (secondo Massaro, l’Atm aveva impegnato in bilancio di 1.105.000 euro a favore delle agenzie interinali in previsione di 37 nuove assunzioni a tempo determinato, 435.000 euro in più se l’azienda avesse adottato altre formule di assunzione). Nelle stesse settimane anche il consigliere Libero Gioveni esprimeva il proprio dissenso sull’intenzione da parte dell’amministrazione comunale e dei vertici Atm di ricorrere alle agenzie interinali per le assunzioni indirette, dato che le ingenti somme destinate “potevano permettere un’assunzione diretta tramite concorso pubblico a tempo determinato per un anno garantendo senz’altro più trasparenza e meritocrazia fra i partecipanti”. L’ultima stoccata, in ordine cronologico, giungeva nell’autunno del 2016 dopo la pubblicazione della graduatoria finale del personale selezionato da Temporary S.p.A.. La consigliera Donatella Sindoni denunciava infatti che tra i nominativi risultati idonei “c’erano alcuni figli di personale già impiegato e prestante servizio presso l’Atm”. Donatella Sindoni esprimeva pure forti perplessità sulla legittimità del bando di gara con scadenza il 7 dicembre 2016 per la “somministrazione lavoro a tempo determinato per 37 autisti (30 per dodici mesi e 7 per mesi sei)”, in quanto il contratto nazionale per la categoria prevedeva che “nel caso di cessazione di appalti pubblici nei quali l’ente appaltante proceda ad una nuova aggiudicazione ad agenzia anche diversa dalla precedente, l’agenzia è tenuta a garantire il mantenimento organico di tutti i lavoratori già utilizzati”. Ai rilievi dei consiglieri e dei sindacalisti, amministratori locali ed Atm hanno risposto innalzando un enorme muro di gomma…
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 2 agosto 2019, http://www.stampalibera.it/2019/08/02/processo-terzo-livello-quelle-anomalie-nelle-assunzioni-indirette-allatm-messina/

Matteo Messina Denaro operato in un ospedale di Messina sotto false generalità

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Il superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa Nostra trapanese,  sarebbe stato operato in un ospedale di Messina sotto false generalità, protetto a vista dai reggenti della famiglia stragista di Brancaccio. La dirompente rivelazione è giunta all’ultima udienza del processo Borsellino quater contro gli autori della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, in svolgimento presso la Corte d’Appello di Caltanissetta. Autore Gaspare Spatuzza, l’ex boss di Brancaccio responsabile dell’omicidio di padre Pino Puglisi, che dopo essersi convertito in carcere alla fede cristiana è divenuto il collaboratore di giustizia più importante per far luce su alcuni dei misteri delle stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Firenze e Milano e sul fallito attentato allo stadio Olimpico del 23 gennaio 1994.
Il breve ma inquietante accenno al ricovero nella città dello Stretto dell’imprendibileMatteo Messina Denaro detto Diabolikè stato fatto da Spatuzza rispondendo all’avvocato Fabio Repici, legale di parte civile di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato palermitano. L’avvocato Repici aveva chiesto al collaboratore di giustizia  di soffermarsi sulla provenienza di parte dell’esplosivo utilizzato per la sanguinosa offensiva mafiosa del biennio 1992-93. “Oltre a quello recuperato in mare, sentii dire che l’esplosivo veniva da Messina o da Catania”, ha riferito Gaspare Spatuzza. “In fase di macinatura, sia da dei discorsi che si facevano un po’ il Cosimo Lo Nigro e Fifetto Cannella e l’alto soggetto che era Renzino Tinnirello. A casa si faceva il conto di quello che noi eravamo in possesso… dell’esplosivo che doveva arrivare da fuori… Era esplosivo con gelatina, confezionato in salsicciotti trasparenti… Quindi quell’esplosivo a me estraneo l’ho collegato a quello che potesse arrivare da Messina o da Catania… Ho appreso successivamente alle stragi, che i fratelli Garofalo erano stati coinvolti in una situazione, che dovevano reperire delle armi… E che in tale circostanza era coinvolto il Renzino Tinnirello. Questo credo che riguardasse Catania… Su Messina, inerente all’esplosivo, non mi è stato detto… Non ricordo… C’è un particolare da Messina, però, ma credo che era per una problematica di Matteo Messina Denaro… So un particolare, in cui Matteo Messina Denaro ha subito un intervento agli occhi a Messina… In questa vicenda era coinvolto Nino Mangano… Messina Denaro all’epoca si andò a curare sotto il nome di Giorgio Pizzo, un uomo del nostro gruppo, della famiglia di Brancaccio. Andò a curarsi  Messina sotto il controllo di Nino Mangano…”.
Gaspare Spatuzza non ha fornito elementi utili a determinare la data in cui sarebbe stato effettuato l’intervento oculistico al superlatitante trapanese, ma è presumibile che esso si sia verificato in un arco temporale compreso tra la strage di Capaci (23 maggio 1992) e il dicembre 1995, quando con l’operazione antimafia Spartacus finirono in carcere numerosi appartenenti alla cosca di Brancaccio, tra cui proprio l’allora reggente Nino Mangano e quel Giorgio Pizzo che avrebbe prestatoil proprio nome e documenti per occultare la vera identità di Messina Denaro. Dopo gli arresti, Gaspare Spatuzza venne promosso a capomandamento in rappresentanza dei fratelli Graviano, con il pieno sostegno, tra gli altri, del superpadrino Diabolik.
Spatuzza, oltre ad autoaccusarsi di una quarantina di omicidi, ha ammesso la propria diretta partecipazione alle stragi, in particolare nelle delicate attività di predisposizione dei potenti ordigni utilizzati. Il collaboratore ha riferito che alla vigilia dell’attentato in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicilio e Antonio Montinaro, fu proprio lui insieme ai mafiosi Fifetto Cannella, Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro a recuperare buona parte dell’esplosivo in un peschereccio ormeggiato nella frazione di Porticello, comune di Santa Flavia. “Ricordo che Fifetto Cannella mi chiese, circa un mese – un mese e mezzo prima della strage di Capaci, di procurargli una macchina voluminosa per recuperare delle cose”, ha verbalizzato Gaspare Spatuzza il 3 luglio 2008. “Ci recammo, pertanto, con l’autovettura di mio fratello a piazza san Erasmo ove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro e dove avremmo dovuto incontrare Renzino Tinnirello, il quale però tardò ad arrivare. Ci recammo quindi egualmente a Porticello, ove trovammo un certo Cosimo di circa 30 anni (persona conosciuta da Cosimo Lo Nigro il cui padre aveva un peschereccio ed usava utilizzare dell’esplosivo per la pesca di frodo, esplosivo che gli forniva proprio il Cosimo in questione) ed assieme a lui ci recammo su di un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di cm. 50 per 1 mt. legati con delle funi sulle pareti della barca. Successivamente constatai che al loro interno vi erano delle bombe. Il Cosimo verosimilmente era all’oscuro delle finalità per cui noi ci stavamo approvvigionando dell’esplosivo in questione, avendo a lui detto che serviva al padre di Cosimo Lo Nigro per la pesca di frodo”.
“Il rapporto col Cosimo, per quanto è a mia conoscenza, è durato nel tempo, avendo noi, a partire dalla strage di Capaci in poi, continua necessità di esplosivo per via della campagna stragista che era stata portata avanti da Cosa Nostra”, ha aggiunto Spatuzza. “Recuperati i fusti li caricammo sulla mia autovettura per dirigerci verso la mia abitazione; durante il tragitto ricordo che ebbi un problema in conseguenza di un posto di blocco dei carabinieri all’altezza dello Sperone. Una volta arrivato a casa di mia madre, scaricammo i bidoni all’interno di una casa diroccata di mia zia, ubicata a fianco e che noi usavamo come magazzino, prendendo accordi con Fifetto Cannella per vederci l’indomani. In quell’occasione il Cannella mi disse, pure, che dentro i cilindri vi erano delle bombe e che il giorno seguente avremmo dovuto fare un lavoretto. Il giorno successivo io e Cosimo Lo Nigro trasportammo i bidoni in un magazzino nella mia disponibilità a Brancaccio, magazzino che ricordo fosse sottoposto a sequestro del Tribunale. Iniziammo quindi a fare la procedura, tagliando la lamiera dei cilindri con scalpello e martello ed estraendo il contenuto…”.
Il materiale fu poi trasferito in un altro magazzino nelle zona industriale di Brancaccio di proprietà della ditta di trasporti presso cui lavorava Spatuzza e nuovamente presso l’abitazione diroccata di proprietà dei congiunti, dove fu avviata la “lavorazione” dell’esplosivo. “Allorquando vennero Cosimo Lo Nigro, Fifetto Cannella e Renzino Tinnirello, vedendo il materiale, conclusero che era poco”, ha aggiunto Gaspare Spatuzza. “Avendo necessità di fare in fretta, si decise che la procedura sarebbe stata svolta anche da altre persone e, quindi, oltre a me si aggregarono il Tinnirella, Cannella, Giorgio Pizzo e Peppe Barranca. Il Cannella e il Tinnirello tuttavia lavorarono poco l’esplosivo poiché impegnati in altre situazioni e dai discorsi che facevano alla mia presenza capii che stavano seguendo gli spostamenti di qualcuno (…) Il Cannella mi disse espressamente che quel giorno avremmo dovuto fare 10 kg. di esplosivo che avrei dovuto consegnare il giorno seguente a Giuseppe Graviano, cosa che effettivamente avvenne. In seguito ho capito a cosa fosse servito quell’esplosivo allorquando mi fu dato l’incarico di far saltare un’autocivetta della polizia ed in quella circostanza mi fu detto che 10 kg. erano abbastanza per far saltare una blindata”.
“Successivamente e sempre nello stesso periodo, io, Cosimo Lo Nigro, Barranca, Pizzo, Tinnirello e Cannella ci recammo a prelevare altri due bidoni alla Cala sempre legati ad un peschereccio. Li caricammo sulla moto ape di Lo Nigro occultandoli con una rete di pescatori e li portammo alla casa diroccata di mia zia. L’esplosivo che macinavamo era solido, di colore tra giallo chiaro e panna e lo macinavamo schiacciandolo con un mazzuolo, lo setacciavamo con lo scolapasta sino a portarlo allo stato di sabbia. Una volta che era piovuto ho avuto modo di notare che a contatto con l’acqua diventava di colore giallo ruggine. L’involucro ove era contenuto non lo buttavamo nella spazzatura ma lo gettavamo a mare. All’incirca ogni bomba conteneva 100 kg. di esplosivo. Nessuno mi ha mai detto esplicitamente a cosa servisse l’esplosivo che ricavavamo; il giorno stesso in cui avvenne la strage di Capaci venne qualcuno, forse Cannella, a chiamarmi per dirmi di fare sparire l’esplosivo (si trattava di parecchi kg.) che io ancora custodivo nella casa diroccata di mia zia (…) Questa rimanente parte di esplosivo fu poi da me consegnata a Cannella, cosa che avvenne sicuramente prima della strage di via D’Amelio, poiché rammento che, in quel momento, non avevo più la disponibilità di esplosivo”.
Il 6 febbraio 2019, nel corso di un interrogatorio con il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Caltanissetta Amedeo Bertone e il sostituto procuratore Pasquale Pacifico, Gaspare Spatuzza ha fornito altri importanti elementi sull’origine, la composizione e le modalità con cui furono preparati gli ordigni per la campagna stragista del biennio 1992-93. “Confermo le mie precedenti dichiarazioni in merito alla circostanza che mentre stavamo eseguendo la mietitura dell’esplosivo utilizzato per la strage di Capaci con il Tinnirello ed il Lo Nigro, si discuteva che, nel tenere il computo dell’esplosivo da utilizzare, bisognava tenere conto di altro esplosivo proveniente da Catania o da Messina”, si legge nel verbale d’interrogatorio ancora in buona parte omissato. “Detto esplosivo, effettivamente, arrivò prima della strage di Capaci; era di consistenza gelatinosa ed aveva la forma di salsicciotti. Io lo utilizzai, effettivamente per le stragi del continente ed in particolare a Firenze e a Milano. Detto esplosivo, poiché era molto potente, lo utilizzavamo come detonante per fare esplodere l’esplosivo recuperato in mare. I detonatori li infilavamo proprio in questo esplosivo, che determinava un amplificarsi dell’effetto dell’esplosione. Sono certo che questo esplosivo sia arrivato prima della strage di Capaci ed utilizzato in detta occasione poiché, quando poi lo utilizzammo per gli altri attentati, ci fu raccomandato di utilizzarlo con parsimonia, perché stava già per finire e ne avevamo poco. A riprova di ciò, per il fallito attentato allo stadio Olimpico, lo stesso esplosivo non fu mai utilizzato perché era terminato”.
Gaspare Spatuzza e il gruppo di fuoco di Brancaccio parteciparono attivamente anche alla preparazione ed esecuzione delle stragi di Firenze, Roma e Milano del 1993. Alla vigilia del fallito attentato di via Ruggero Fauro contro il presentatore televisivo  Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), al clan di Brancaccio fu chiesto di preparare una grossa quantità di esplosivo. “Venni a sapere che Peppuccio Barranca, Cosimo Lo Nigro e Fifetto Cannella dovevano recarsi a Roma”, ha riferito Spatuzza. “Successivamente venni pure a sapere del tentativo fallito in via Fauro e mi informai dell’accaduto da coloro che si erano recati a Roma, una volta che riscesero in Sicilia. I ragazzi si lamentarono del comportamento avuto da Cannella nell’occasione sicché io assunsi il ruolo di responsabile di questo gruppo di fuoco per espressa indicazione di Giuseppe Graviano. Circa le motivazioni dell’attentato a Costanzo posso dire che lo stesso parlava male della mafia…”. Gli inquirenti hanno accertato che tra gli autori degli attentati di via Fauro a Roma, via Georgofili a Firenze (27 maggio 1993), via Palestro a Milano (27 luglio 1993), alla Basilica di San Giovanni in Laterano ed alla chiesa di San Giorgio al Velabro, Roma (la notte del 27-29 luglio 1993), c’erano sempre gli stessi personaggi “vicini” al clan diretto dai fratelli Graviano: Gaspare Spatuzza, Pietro Carra, Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca e Francesco Giuliano. Identica la miscela esplodente impiegata: tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina…

CARA di Mineo, l’inesorabile agonia di un modello incapace di garantire diritti e dignità

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I numeri non consentono false interpretazioni. Dall’1 gennaio al 30 aprile 2019 sono sbarcati 812 migranti in fuga dalle guerre e dai crimini socio-ambientali del continente africano. Erano stati 9.467 nello stesso periodo del 2018. Di contro, i morti in mare nella rotta del Mediterraneo centrale nel primo quadrimestre di quest’anno sono stati 257, un po’ di più, 379, nel 2018. Come dire però che c’è stato un crollo di oltre il – 93% negli arrivi, mentre per ogni tre persone che sono riuscite a giungere in un porto italiano, una ha perso la vita nel solcare le acque del canale di Sicilia. Sono i dati ufficiali dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, che testimoniano il tributo di sangue prodotto dalle dissennate politiche di contrasto ai flussi migratori del governo italiano e dei partner Ue e nordafricani. Effetto immediato della forte flessione degli sbarchi il progressivo svuotamento di buona parte dei centri di prima accoglienza per i richiedenti asilo sorti un po’ dappertutto nel nostro paese, processo particolarmente complesso e con preoccupanti incognite per il futuro degli ex ospiti, che tuttavia viene strumentalmente (ed elettoralmente) utilizzato dal ministro Matteo Salvini per provare il successo del “pugno di ferro” imposto sul fronte migrazione ed accoglienza dopo la sua ascesa al Viminale.      
Il caso più emblematico è quello del CARA di Mineo, il centro di “accoglienza” (leggasi semidetenzione) dei richiedenti asilo sorto nel febbraio 2011 in un ex residence per i militari USA di Sigonella, a una cinquantina di chilometri dalla città di Catania. Secondo il piano sgomberi previsto dal ministero dell’Interno, quello che è stato il centro più affollato d’Europa (sino a 4.500 presenze) dovrebbe essere svuotato del tutto entro la fine dell’anno e “riconvertito” ad altre funzioni. Da febbraio sono state avviate vere e proprie deportazioni dei migranti verso altri centri d’accoglienza straordinaria (CAS) della Sicilia, ma a contribuire alla notevole flessione del numero degli “ospiti” hanno contribuito in particolare le diserzioni volontarie di chi è fortemente preoccupato di poter essere presto vittima di espulsioni, rimpatri o ricollocazioni in paesi terzi. Nel CARA di Mineo erano ospitati 1.244 migranti a fine gennaio; da aprile il numero si è ridotto a meno di 500. Ovviamente è stato notevolmente ridimensionato il personale destinato ai servizi di gestione e assistenza del centro; dagli oltre 400 addetti nel momento di massima espansione, oggi se ne contano 150 e alcuni di essi non ricevono stipendi da mesi. L’inesorabile agonia di un modello di accoglienza del tutto fallimentare, sicuritario-emergenziale, inutilmente dispendioso, incapace di garantire diritti e dignità, utile però a generare malaffare, clientele locali e precarietà occupazionale e fomentare il clima di insicurezza tra l’opinione pubblica.
Storia tutta da raccontare quella relativa all’invenzione del CARA di Mineo. Il peccato originale risale al gennaio 2010, quando la società Pizzarotti di Parma ricevette una comunicazione dal Comando militare di Sigonella che annunciava la revoca del contratto d’affitto del residence, troppo distante dalla grande base aeronavale statunitense. I manager di Pizzarotti proposero così agli amministratori regionali e locali la riconversione a uso civile degli spazi. “Il nostro amministratore è già andato a parlare con i ministri Roberto Maroni e Altero Mattioli e il governo prevede di destinare alla Sicilia 38 milioni di euro per social housing”, annunciò a fine 2010 l’ingegnere Fabrizio Rubino della Pizzarotti. Alla fine l’affaire sfumò, ma dopo la crisi umanitaria del 2011 in nord Africa, il governo Berlusconi-Maroni ordinò  la requisizione dell’ex villaggio per destinarlo a struttura dove sperimentare la “migliore accoglienza” dei richiedenti asilo fuggiti dal conflitto libico. Il CARA di Mineo fu inaugurato il 18 marzo 2011; non oltre 1.600 ospiti nelle 400 villette fu l’impegno del governo, ma già pochi mesi dopo il centro mostrava l’assoluta insostenibilità socio-abitativa di una decisione dettata solo dall’odore dei soldi, tanti, troppi soldi.
“A Mineo si tende a perpetuare piuttosto la logica della segregazione e del ghetto che quella dell’accoglienza”, denunciò per prima la Rete antirazzista catanese. “Il CARA è un centro con caratteristiche tali da non garantire in alcun modo l’integrazione nel tessuto sociale dei richiedenti asilo, come potrebbero essere invece con modelli di accoglienza di minori dimensioni e diffusi sul territorio”, commentò l’associazione Borderline Sicilia. Profetico il report consegnato nel 2012 dall’ARCI Catania ad una delegazione di parlamentari europei in visita al centro: “Il Villaggio degli aranciè il non luogo dove si consuma la spersonalizzazione; è l’antitesi dell’integrazione e mina la sicurezza del territorio animando scontri e tensioni fra comunità”.
Le ispezioni ufficiali documentarono sovraffollamento, violazioni dei diritti dei soggetti più vulnerabili (minori non accompagnati, donne vittime di violenza e coloro che erano stati sottoposti a pene inumane nei carceri libici), standard di vivibilità nettamente inferiori a quelli previsti dalle leggi, tempi di attesa insostenibili (dai 18 mesi in su). Immediate pure le critiche sulle modalità di affidamento gestionale della struttura. Inizialmente fu nominato soggetto attuatore la Croce Rossa provinciale di Catania. Poi il 18 luglio 2011 la funzione passò al presidente della Provincia etnea (al tempo l’on. Giuseppe Castiglione, uomo di vertice del PdL), quando invece essa era solitamente svolta da un viceprefetto vicario presso la Prefettura del capoluogo di Regione. Fu rilevato subito pure l’enorme e incontrollato flusso di risorse pubbliche per il funzionamento del CARA. Sempre le Ong antirazziste documentarono che solo per l’affitto del villaggio, lo Stato versava 6 milioni di euro all’anno alla Pizzarotti; mentre per le spese dirette del centro (cibo, indumenti, ecc.), “con il CARA a pieno regime, duemila ospiti, il consorzio di cooperative affidatario può arrivare a fatturare sino a 17.736.000 euro più Iva e oneri di sicurezza”. Nel 2014 i richiedenti asilo a Mineo supereranno però le 3.000 unità, 4.000 l’anno dopo.
Il 28 dicembre 2012 venne costituito da 9 comuni il consorzio “Calatino Terra d’accoglienza”; presidente fu nominato ancora l’on. Castiglione. Un anno dopo fu stipulata una convenzione tra la Prefettura di Catania e il Consorzio dei comuni e quest’ultimo ottenne la qualifica di stazione appaltante. Nel giugno 2014 fu aggiudicato il bando di gara per la gestione a quella che fu l’unica offerta, il consorzio “Casa della Solidarietà”, con capogruppo Senis Hospes di Senise (Pz), Sol. Calatino di Caltagirone, il consorzio Sisifo di Palermo (LegaCoop), La Cascina Global Service di Roma, la Pizzarotti di Parma e la Croce Rossa di Catania per un importo a base d’asta di 96.907.500 euro e un ribasso dell’1%. La legittimità delle procedure amministrative adottate finì al vaglio di alcune Procure. Il 30 Settembre 2015, a seguito del parere dell’Anac, la Prefettura di Catania nominò come commissari straordinari l’ingegnere Giuseppe Di Natale e il prof. Giuseppe Caruso che solo a fine settembre 2018 assegneranno la gestione del CARA (con un bando di gara stavolta suddiviso in lotti) ai nuovi consorzi di cooperative per una spesa di circa 40 milioni di euro e la conseguente drastica riduzione di personale e servizi (specie nell’area della mediazione culturale e linguistica e dell’assistenza medica e psicologica). A perdere il posto di lavoro sono state oltre 170 addetti. Intanto le inchieste sulla malagestione del centro furono unificate in un unico procedimento penale e si sono concluse con il rinvio a giudizio di 15 imputati per turbativa d’asta e falso (tra essi il politico Giuseppe Castiglione, già sottosegretario alle Politiche agricole; la sindaca di Mineo, Anna Aloisi; l’ex presidente del consorzio Sol.Calatino Paolo Ragusa; l’ex direttore del consorzio “Calatino terra d’accoglienza” Giovanni Ferrera). Il processo ha preso il via presso il Tribunale di Catania solo il20 marzo scorso.
Mentre intanto è stato accelerato lo smantellamento dell’ex megacentro di Mineo, altre strutture siciliane di “ospitalità”, paradossalmente ancora peggiori dal punto di vista infrastrutturale, risorgono a nuova vita. Tra esse spicca l’ex caserma “Gasparro” dell’esercito italiano nel rione Bisconte di Messina, utilizzata contestualmente come centro di prima accoglienza e hotspot in ambito Frontex-Ue per le procedure di identificazione ed espulsione dei migranti. Il fatiscente centro peloritano si riempie all’inverosimile o si svuota quasi del tutto in tempi brevissimi, a secondo di quanto accada a Mineo o nei porti siciliani utilizzati per gli sbarchi. A Messina sono stati trasferiti i rifugiati prima soccorsi e poi di fatto sequestrati arbitrariamente a bordo della nave “Diciotti” in rada a Catania (fine agosto 2018) e lo scorso 10 maggio i 36 migranti (tra cui 5 bambini), tratti in salvo a largo delle coste libiche dall’unità “Stromboli” e autorizzati a sbarcare ad Augusta dopo l’immancabile braccio di ferro tra il ministero della Difesa e Matteo Salvini. All’hotspot di Messina sono giunti in questi mesi anche numerosi richiedenti asilo provenienti da Mineo, nonostante le dure proteste da parte delle associazioni antirazziste. Con una lettera al Ministero dell’Interno ed alla Prefettura di Messina, ASGI, ARCI, Action Aid e IndieWatch hanno chiesto a fine febbraio di ottenere informazioni sulla condizione giuridica delle persone spostate a Messina e sulle procedure adottate per il loro trasferimento, ricordando tuttavia che esse “devono essere considerati richiedenti protezione internazionale e avere accesso alle procedure previste dalla normativa vigente” e che comunque “la redistribuzione non può avvenire in assenza di esplicito consenso da parte dell’interessato”. Il 22 aprile è stato il Fatto quotidiano a pubblicare le foto scattate con i cellulari dagli “ospiti” di Bisconte per denunciare il sovraffollamento e le pessime condizioni di vita all’interno della caserma-hotspot. “È impossibile stare lì dentro, per questo molti dei migranti sgomberati da Mineo se ne vanno e si ritrovano per strada”, ha denunciato Emiliano Abramo, presidente della Comunità di Sant’Egidio a Catania. “Le immagini ci mostrano una sala con decine e decine di letti a castello, sistemati uno accanto all’altro. Uno spazio riempito fino all’ultimo centimetro, tanto da rendere difficile camminare o trovare un angolo per riporre le proprie cose. I bagni sono esterni alla struttura e sono pochi per tutte quelle persone. Lì i migranti aspettano di avere il colloquio con la commissione per la richiesta d’asilo oppure aspettano la risposta alla loro domanda di protezione”.
Visto dall’esterno il centro sembra più una baraccopoli con decine di container di lamiere di zinco accatastate, tendostrutture, recinzioni e cancellate divisorie. “Si tratta di un moderno e infame lager per le politiche governative di contenimento e controllo dell’immigrazione, aperto nell’agosto 2014 e ampliato tre anni dopo con un’area riservata alle procedure di identificazione, detenzione ed espulsione dei migranti indesiderati”, denuncia la sociologa Tania Poguisch dell’associazione Migralab di Messina. Condizioni di vita insostenibili, disumane; un inferno invisibile, ben protetto dagli occhi della città da invalicabili mura”.
L’iter progettuale per ampliare e hotspotizzare l’ex caserma “Gasparro” è stato segnato da tortuosi passaggi burocratici e inattesi colpi di scena. Il bando per la “realizzazione di una struttura  temporanea costituita da tendostrutture e moduli prefabbricati” era stato pubblicato il 13 giugno 2016. In autunno c’era stato un primo affidamento dei lavori ad una nota azienda modenese, seguito da due ricorsi al Tar di Catania da parte delle imprese escluse, la loro riammissione, un secondo affidamento poi sospeso per l’offerta anomala della nuova azienda risultata vincitrice e, infine, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 2017 dell’’assegnazione definitiva dell’appalto alla “Tomasino Metalzinco” di Cammarata (Ag) con un ribasso  del 35,3% rispetto al valore complessivo a base d’asta di 1.932.000 euro. Per l’avvio dei valori a Bisconte si è dovuto attendere l’1 luglio 2017 e la consegna della baraccopoli è avvenuta ai primi di settembre.Un’ispezione del novembre successivo di Borderline Sicilia forniva uno scenario altamente preoccupante. “E’ possibile constatare come le norme di sicurezza siano evidentemente inadeguate: si nota infatti l’esistenza di un’unica uscita, e se pensiamo che gli ospiti sono arrivati ad essere anche più di 600, possiamo facilmente immaginare l’impossibilità di gestione in caso di pericolo”, denunciava l’ONG.L’inefficienza dei lavori risulta ancora più evidente ascoltando i racconti di molti ospiti del Centro: a causa di forti allagamenti degli spazi in seguito alle recenti piogge, molti di loro sono stati costretti a dormire su brandine collocate all’interno di grandi tendoni. La precarietà organizzativa della struttura è facilmente percepibile sin dal primo impatto visivo esterno: gli spazi sociali sono nulli, i migranti sono obbligati a stendere i panni sulla rete divisoria, alcuni dei bagni sono chimici; l’acqua calda è disponibile solo in pochi momenti della giornata. Inoltre i vestiti e le calzature vengono distribuiti solamente al momento dell’ingresso e rimangono i medesimi per l’intero arco dell’accoglienza”.
“Gli ospiti dell’ex caserma sono, dunque, costretti a sopravvivere quotidianamente sotto il peso di un’accoglienza che fa acqua da tutte le parti e in un limbo di attesa senza data di fine; attesa che ha evidentemente il risultato, se non l’obiettivo, di incentivare la maggior parte degli ospiti a scappare da quest’apatia allontanandosi dal centro, complicando sempre di più il percorso del riconoscimento della protezione e la conseguente inclusione”, concludeva Borderline Sicilia. “Siamo di fronte ad un circolo che si autoalimenta e che non fa altro che produrre da un lato irregolarità e dall’altro odio, xenofobia e pregiudizio. Specchio di questa realtà sono le diversificate proteste portate avanti sia dai dei residenti del Rione Bisconte sia dai migranti, che in numerose occasioni hanno provato a far sentire il proprio malcontento”.
Qualche mese fa è stato rinvenuto negli archivi del Municipio di Messina un documento sino ad allora incomprensibilmente secretato, che documentava come le opere realizzate per l’hotspot fossero palesemente abusive. Redatto dal Dipartimento comunale di edilizia in data 10 maggio 2017 (due mesi prima cioè dell’avvio dei lavori), l’atto indirizzato alla società vincitrice della gara segnalava che “l’intervento programmato all’interno dell’ex caserma contrasta con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie del P.R.G. (Piano Regolatore Generale) e del P.P.R. (Piano Paesaggistico Regionale) Bisconte, ricadendo l’area in questione in zona Verde pubblico e parco urbano”. A supporto delle gravi considerazioni espresse, il responsabile del Dipartimento allegava una relazione del tecnico comunale predisposto all’esame del progetto. “Si rileva che la documentazione in atti non risulta adeguatamente supportata da un grafico progettuale dettagliato”, riportava il funzionario comunale. “Considerato quanto sopra si rileva una incompatibilità del tipo di intervento con la zona di ricadenza del P.R.G.. Resta da valutare se il tipo di insediamento è tale da garantire la vivibilità e la permanenza di persone”. Ed era proprio su questo punto che venivano espresse le riserve maggiori sulla realizzazione dell’hotspot di Messina. “I moduli abitativi sono composti da un monoblocco delle dimensioni di metri 5x6 da 12 posti letto, sprovvisti di idonee aperture per la ventilazione e l’illuminazione naturale (...) Sono collocati in linea ed accostati uno all’altro, posti lungo il perimetro dell’area di sedime, adiacenti al muro di confine alto circa 4/5 metri e a distanza di circa metri 1; tale collocazione oltre a non essere regolamentare, non permette l’areazione dei locali”. Opere dunque in contrasto con le normative urbanistiche e del tutto disumane; ad oggi però nessuno in sede amministrativa o giudiziaria ha ritenuto doveroso avviare un’indagine per comprendere le responsabilità o le eventuali omissioni che ne hanno consentito la realizzazione con un pesante esborso di denaro pubblico.

Articolo pubblicato in Polizia e Democrazia, n. 193, giugno-luglio 2019.

Come lottizzare a Salina e vivere tutti amici e contenti

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L’inchiesta giudiziaria Isola Verde sugli innumerevoli casi di abusivismo edilizio perpetrati a Salina, una delle perle dell’arcipelago delle Eolie, rischia di generare uno tsumani che potrebbe investire la Sicilia intera e in particolare la città di Messina. Tra gli 84 avvisi di garanzia emessi dalla Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto compaiono infatti nomi eccellenti: amministratori vecchi e nuovi, industriali, funzionari regionali, professionisti, ecc.. Tra essi, in particolare, ce ne sono due che stanno creando malesseri nel mondo dell’editoria e presso gli stessi uffici di presidenza della Regione siciliana. Nei loro confronti, la Compagnia dell’Arma dei Carabinieri di Milazzo chiamata a indagare sul presunto sacco dell’isola di Salina, aveva perfino chiesto nell’informativa di reato inviata il 4 ottobre 2017 in Procura, l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari “onde evitare l’inquinamento delle prove e la reiterazione delle medesime condotte illegali”. Il provvedimento non è stato autorizzato dai giudici che hanno pure respinto la richiesta di sequestro preventivo dell’area oggetto del piano di lottizzazione di un complesso turistico stagionale nella frazione di Lingua di Santa Marina Salina, ritenuto illegittimo e di cui proprio uno dei due indagati è il titolare proponente. Lui è il noto giornalista-avvocato Primo Mario Cavaleri, sino al dicembre 2018 caposervizio del quotidiano Gazzetta del Sud, nonché delegato peloritano dell’associazione ambientalista Marevivo. L’altro vip scivolato sul piano di lottizzazione di Lingua è invece l’architetta Mirella Vinci, da fine giugno sovrintendente ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina (la nomina è del Presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci), già responsabile della sezione beni artistici della Soprintendenza ed ex progettista e direttrice lavori della Biblioteca regionale della città capoluogo dello Stretto.
Presunti corrotti e corruttori della regina delle Eolie
Secondo quanto si legge nell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari dell’inchiesta Isola Verde, emesso il 20 agosto dal Pubblico ministero della Procura della Repubblica di Barcellona, dottoressa Federica Paiola, al giornalista Primo Mario Cavaleri viene contestato il reato di corruzione in concorso con l’ex sindaco di Santa Marina Salina Massimo Lo Schiavo e il geometra Giuseppe Caravaglio, responsabile dell’U.T.C. presso il medesimo Comune, “in quanto Caravaglio, con la complicità di Lo Schiavo, rilasciava in favore di Cavaleri, nella veste di committente delle opere edili da realizzarsi nella località Lingua, la C.E. n. 1 del 31 ottobre 2016 avente ad oggetto piano di lottizzazione di un complesso turistico stagionale in zona C3, nonostante fosse a conoscenza che le abitazioni avrebbero avuto l’effettiva destinazione d’uso di private dimore, in contrasto con quanto previsto dagli strumenti urbanistici vigenti – ricevevano dal predetto Cavalieri, rispettivamente (Giuseppe Caravaglio) la promessa di un dono e (Massimo Lo Schiavo) la promessa di utilità di consistente nell’intercessione del Cavaleri affinché lo stesso fosse nominato assessore regionale e nella redazione, da parte del Cavalieri, di articoli di stampa a lui favorevoli”. A Mario Cavaleri, Giuseppe Caravaglio e Antonio Battaglini (altro geometra in servizio presso l’U.T.C. del Comune di Santa Marina Salina), viene pure contestato il reato di abuso d’ufficio, “perché con azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, agendo in concorso e comunque previo concerto tra loro (…) nell’esercizio della pubblica funzione (Caravaglio e Battaglini), ovvero, comunque, agendo in qualità di concorrente morale e/o istigatore (Cavaleri) del pubblico ufficiale, in violazione di legge, in data 28 febbraio 2017 nel corso del sopralluogo effettuato nel cantiere delle opere relative al piano di lottizzazione in località Lingua, omettevano di adottare le misure sanzionatorie e cautelari (sequestro) conseguenti alle violazioni riscontrate, limitandosi unicamente ad emettere, nei giorni seguenti, una ordinanza di sospensione dei lavori, e così intenzionalmente procuravano a Primo Mario Cavaleri, un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel mancato spossessamento delle opere in questione”. Il Pubblico ministero di Barcellona Pozzo di Gotto contesta infine al giornalista Cavaleri e alla neo-soprintendente Mirella Vinci il reato di cui agli artt. 319 e 321 del codice penale, “perché l’architetto Vinci, nella qualità di dirigente dell’U.O. IV della Soprintendenza di Messina, riceveva per sé o per altri l’utilità consistente nel pagamento – a carico dell’associazione Prima Sicilia della quale è presidente Massimiliano Cavalieri, figlio di Primo Mario Cavalieri – di un soggiorno nell’isola di Salina dal 2 al 5 agosto 2014, per un totale di 660 euro, al fine di compiere e/per aver compiuto un atto contrario ai doveri del suo ufficio, in particolare in quanto la stessa rilasciava in favore di Cavalieri, l’8 luglio 2014 il parere n. 4303 ed in data 15 giugno 2016 il parere n. 4329, relativamente alle opere di lottizzazione sopra descritte, nonostante fossero in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti”.
Come cementificare pure la Lingua
Il controverso iter realizzativo del progetto edilizio predisposto da Mario Cavaleri è ampiamente documentato nell’informativa Isola Verde della Compagnia dei Carabinieri di Milazzo. “Durante l’ascolto dell’ambientale installata presso l’UTC del Comune di Santa Marina Salina, si prestava attenzione anche ad alcuni colloqui relativi ad un progetto di lottizzazione in programma nella frazione di Lingua”, riportano gli inquirenti. “Tale progetto prevedeva che per il rilascio dell’autorizzazione si doveva passare anche per il Consiglio  Comunale, dove viene portato per la prima volta il 21 novembre 2014. Il progetto, nei giorni precedenti, era stato oggetto di alcune polemiche, sviluppatesi sui social network e sui blog on-line, in quanto la zona C3, nell’art.36 del nuovo Piano Regolatore di Santa Marina Salina, veniva definita come parti di territorio comunale che, pur prevedendo degli insediamenti edilizi, tendono a salvaguardare l’attuale vocazione agricola, agevolando i processi di ricomposizione fondiaria. Sempre il medesimo articolo prevedeva che la zona fosse destinata a Turistico-stagionale nel rispetto dei caratteri agricoli, produttivi e paesaggistici del territorio. Poiché si tratta di zone estremamente interessanti dal punto di vista ambientale, gli insediamenti dovranno essere realizzati nella massima salvaguardia di tali valori; si dovranno incrementare e salvaguardare in particolare le colture esistenti e l’andamento naturale del terreno evitando il taglio delle alberature esistenti e modifiche del sito con sbancamenti e riporti”.
Ulteriori perplessità sorgevano anche dal fatto che nella legge regionale n. 3 del 26 febbraio 2010 che disciplina l’Agriturismo in Sicilia, si prevedano regole e requisiti assai differenti da quelle presenti nel progetto di Mario Cavaleri. Il piano di lottizzazione presentato in Consiglio comunale prevedeva infatti la realizzazione in zona Orto del Comune di Santa Marina Salina di 4-5 villette di circa 110 mq ciascuno, più terrazzi coperti ed alcune piccole piscine. Il progetto aveva tuttavia ricevuto tutti i pareri autorizzativi, compreso quello della Soprintendenza di Messina, a firma dell’architetta Mirella Vinci e durante il dibattito in consiglio, il Responsabile dell’Ufficio Tecnico geom. Giuseppe Caravaglio, il Sindaco Massimo Lo Schiavo e finanche lo stesso capogruppo di minoranza Marcello Saija (noto docente di Storia delle istituzioni politiche prima presso l’Ateneo di Messina e poi a Palermo), esprimevano il proprio favore all’approvazione. “La discussione – riportano gli inquirenti - a seguito di una richiesta di un altro consigliere di minoranza che chiedeva un’attestazione scritta da parte dell’Ufficio Tecnico sulla fattibilità del progetto, veniva rinviata ed il via libero definitivo da parte del Consiglio Comunale avveniva il 31 marzo 2015, giorno seguente all’arresto per peculato del Sindaco Massimo Lo Schiavo, che come emerso dalle attività tecniche relative a quel procedimento, non avrebbe comunque partecipato, sicuramente per lavarsi le mani di fronte alle polemiche che un’approvazione avrebbe comportato”.
L’Arcipelago del siamo tutti amici e contenti
Secondo quanto documentato dai Carabinieri di Milazzo, “il terreno dove deve sorgere l’opera è di proprietà di Mario Primo Cavaleri, giornalista della Gazzetta del Sud, che da anni frequenta l’Isola di Salina ove il figlio, Massimo Cavaleri, è organizzatore del Mare Festival, manifestazione artistica che riscuote un buon successo e che anche grazie alle amicizie del padre, ottiene risalto nella stampa locale e nazionale e assicurandosi, tra l’altro, contributi economici dal Comune di Salina”. “Alla luce di ciò e di molte amicizie politiche, Mario Primo Cavaleri intrattiene un ottimo rapporto con il Sindaco e con il Prof. Marcello Saija (capogruppo minoranza)”, scrivono ancora gli inquirenti. “Cavaleri, infatti, oltre ad essere Caporedattore Politico della Gazzetta del Sud, è anche direttore Responsabile del giornale on-line Qui Sicilia, di cui il Prof. Saija è membro del comitato di redazione”.
L’indebito interesse di alcuni tecnici ed amministratori di Santa Marina Salina al piano di lottizzazione del potente giornalista sarebbe provato dal tenore di alcune intercettazioni registrate all’interno degli uffici comunali. Colloquio di un certo interesse è certamente quello avvenuto il 5 giugno 2014 tra il geometra Giuseppe Caravaglio e l’ingegnere Antonino Famulari, al tempo vicesindaco del Comune di Santa Teresa di Riva (primo cittadino Cateno De Luca, odierno sindaco di Messina). “Da quanto riferito, si capisce che la destinazione finale del complesso non sarà certamente agrituristica ma residenziale”, scrivono gli inquirenti. “I due infatti discutono, in particolare, del fatto che tale Cavaleri voleva trovare una ditta disposta a realizzare cinque villette, lasciandone in cambio due alla stessa. I due sono molto interessati alla cosa, tant’é che Caravaglio consegna il progetto a Famulari, che dovrà studiare una proposta da fare al Cavaleri”. Il geometra in forza all’UTC di Santa Marina Salina spiega all’amico che Cavaleri ha 3.000 mq di terreno…“Lottizza da solo”, aggiunge Caravaglio. “Vorrebbe un’impresa. Questo se lo fa lui, però, per fatti suoi… Se c’è anche qualcuno, se c’è un impresa disposta… Ma l’impresa gli conviene? (…) Giustamente lui dice: ma io vorrei realizzare una casa di questa, quanto mi costa realizzare duemila euro al metro quadro… Supponiamo a te impresa a Salina qua a tremila euro al metro quadro, la vendi a seimila e cinque sette mila euro, per cui gli sembra poco il trenta percento di permuta… L’impresa gli conviene perché quando hanno realizzato le case, se li vendono a un milione e mezzo di euro, te lo dico subito…”.
Dall’inchiesta emergerebbe anche l’interesse diretto all’affaire da parte dell’allora sindaco del piccolo comune eoliano. L’8 luglio 2014, Mario Cavaleri, non riuscendo a parlare con Caravaglio, chiamava Massimo Lo Schiavo avvisandolo che il progetto era stato firmato dalla Soprintendenza e che nei giorni seguenti avrebbe portato direttamente lui in Comune la copia vistata.“Massimuccio - esordiva il giornalista - visto che il tuo capo ufficio tecnico non risponde... mi dicevano in Soprintendenza di ritirarmi anche la copia vostra del Comune e di portarvela a mano, perché loro per ora sono senza fondi… Prima di poter fare una raccomandata e spedirvelo chissà quanto passa”. E Lo Schiavo: “Se si può fare, la porti tu e la mettiamo al protocollo”. Mario Cavaleri: “Sì, sì, loro stesso me l’hanno suggerito perché lo fanno anche con altri, per ora l’amministrazione non ha soldi, quindi ci si arrangia così. Va bene, allora me la prendo e te la porto io. Ti lascio, a domani… Tu da pubblicare, da dire, da fare, non hai niente per ora? Poi sono in ferie...”. Lo Schiavo: “No, speriamo di darti qualche notizia prima, dai…”.
E a Crocetta gli facciamo recuperare lo smalto…
Secondo i Carabinieri di Milazzo, il sindaco Lo Schiavo avrebbe avuto tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con Mario Cavaleri e a far sì che il progetto di quest’ultimo venisse approvato “non solo per amicizia o per il fatto che il figlio organizza un festival a Santa Marina Salina, ma anche perché Cavaleri è utile per avere degli articoli sul suo Comune e soprattutto sulla sua persona, oltre al fatto di essere anche ben addentrato politicamente, cosa questa che il Sindaco può utilizzare per favori personali, come quello di parlare con Rosario Crocetta per farlo nominare Assessore Regionale”. Agli atti c’è l’intercettazione di una telefonata intercorsa il 28 luglio 2014 tra Lo Schiavo e Cavaleri. “Mi sembra un bel colpaccio, io pensavo che mi avevi fatto fare Assessore Regionale”, riferisce il primo cittadino del comune eoliano. Cavaleri: “Intanto sono a Palermo dove si stanno riunendo... Sto andando a Santo Stefano, ti ho mandato l’invito, c'è questo dibattito. Comunque iniziano la finanziaria, ma è un bla bla bla inutile, tant'è che Ardizzone molla, lascia l’aula e viene a Santo Stefano”. Lo Schiavo: “Ma senti, ma Crocetta tu lo vedi?”. E Cavaleri: “Ormai sto partendo da Palermo per andare a Santo Stefano, sono già partito”. Lo Schiavo: “Ho capito… ma gli parli di me, gli parli di me come Assessore Regionale, mizzica, va?”. Cavaleri: “Adesso io torno, anche perché l’ho invitato a Rosario per venire a Salina. Mi ha detto che dopo che finisce questo bordello che... se io riesco a portarmelo a Salina, noi dobbiamo stare insieme a cena”. Lo Schiavo: “Se viene a Salina gli devi dire che recupera un pò di smalto... Gli facciamo fare un’uscita sulle isole minori... Digli che se viene a Salina gli facciamo fare una bella figura”. Cavaleri: “Sì, ora spero che in almeno una di queste serate lui riesca a venire, dipende anche da come evolve la situazione qua.. Ma, dico, non dovrebbero esserci problemi anche se stanno facendo emendamenti su emendamenti”.
Dieci giorni prima, l’architetta Elena Caruso, altra dipendente dell’U.T.C. di Santa Marina Salina, aveva riferito al collega Giuseppe Caravaglio che la Soprintendenza aveva approvato il progetto del Cavaleri. “Io apprezzo Marisa che è una gran lavoratrice, però non è che può ringraziare a Cavalieri per tutta la vita”, rispondeva il geometra già a conoscenza della cosa. “Marisa, dico, si sta ripagando bene dal favore”, riferendosi certamente a Marisa Mercurio, responsabile dell’U.O. 6 della Soprintendenza di Messina, cognata di Sergio Santamarina, titolare del noto locale Papagayo di Santa Marina Salina e dell’appartamento utilizzato da Mario Cavaleri durante la sua permanenza sull’isola. “Poco dopo – annotano gli inquirenti - Caravaglio fa quasi intendere di essere contrario al progetto, tant’è che con tono ironico dice all’architetta Caruso che bisognerebbe mandare alla Soprintendenza copia del P.R.G., come a dire che questo non è stato tenuto in considerazione”.
Il 21 luglio 2014 era lo stesso giornalista messinese a recarsi presso l’Ufficio Tecnico per interloquire con il geometra Caravaglio. “La conversazione ha toni molto amichevoli e Caravaglio dice a Cavaleri che ha parlato anche a Palermo con tale Maurizio Denaro (uno dei componenti della commissione regionale urbanistica che ha approvato il PRG di Santa Marina Salina), il quale gli ha detto che nella zona C3 è possibile fare qualunque cosa purché la destinazione resti quella di agriturismo”, riporta l’informativa Isola Verde. “Caravaglio, pertanto, più volte dice che bisogna riportare nel progetto la destinazione d’uso di agriturismo, precisando che basta aggiungerla nel frontespizio e poi, che è comunque possibile vendere purché, appunto, restino come agriturismo”. Nel corso del colloquio, il funzionario si mostra tuttavia un po’ preoccupato. “Mario, dobbiamo stare attenti, non ci vuole niente a bloccare la lottizzazione”, riferiva al giornalista. “Lo dobbiamo vedere bene, ci vuole per ora un attimo, sai come le concessioni le revocano, come le annullano con sentenze del TAR. Ci vuole niente, per cui dobbiamo fare delle cose che stanno in piedi (…) Io mi auguro che possiamo fare qualcosa di diverso, però ce la dobbiamo studiare Mario. Parlane ancora con Saitta, fagli vedere bene, bene… Comunque sia dobbiamo parlare con un avvocato, amministrativista o urbanista”.Alla proposta di Cavaleri di non rispondere così il progetto è di fatto approvato, Caravaglio rispondeva che però essa sarebbe dovuta passare in consiglio comunale e che comunque in passato il G.I.P. di Barcellona, anche sul silenzio assenso, aveva disposto il sequestro di alcuni manufattinel Comune isolano. “Qua ci denunciano pure se la canna è più chiara o più scura…”, lamentava Caravaglio. “Per Franza sono venuti qua, voglio vedere i progetti, si spaventano, Franza non vede l’ora, capisci, che vende qui sopra”. Cavaleri: “Ma lui ha già avuto approvato tutto”. Caravaglio: “No, dopo di te, mettono vendesi, no poi prendono e glielo tolgono…”.
E Cavaleri e i Franza vengono rinviati a settembre 
Il 29 luglio Mario Cavaleri si presentava nuovamente in Comune per incontrare Caravaglio che però ancora una volta esprimeva le sue inquietudini sulla fattibilità del progetto in una zona destinata ai soli insediamenti agroturistici. Il geometra suggeriva però all’interlocutore di chiedere ai progettisti di presentare il programma insediativo come attività agrituristica. “Metti che ‘sta cosa ti arriva domani”, rispondeva Cavaleri. “No, non la porto, ad agosto non ne porto cose in Consiglio, ho quella di Franza bloccata completamente”, replicava il tecnico comunale. “A settembre Mario, prima devo fare tutte le relazioni di istruttoria, devo fare un sacco di cose. Andremo in Consiglio, gliela devo spiegare. C’è l’argomento degli oneri concessori… Fammi avere queste due copie di progetto, che io piano piano me lo istruisco, poi a settembre lo passiamo in consiglio comunale, insieme a quello di Franza. Li porto separati… Quelli poi cominciano a fare storie…”. E Cavaleri: “Franza è una parabola più impegnativa, più articolata, più grande. Non vorrei che si assimilassero le cose”. Caravaglio: “ll Sindaco mi ha detto che non è d’accordo sulle piscine”. Cavaleri: “Ma mica si faranno tutte quante…”. Caravaglio: “E lo so. Non sono io. Il Sindaco decide, io devo dare il mio sta bene. Sì, però non è che glielo vai a dire…”. Cavaleri: “No, no, io devo capire se lui è amico vero o vuole fare quattro cazzi contemporaneamente… Non si può essere un braccino corto, un braccino lungo a ‘sto punto… Dopodiché non è che sono gran piscine olimpioniche, stiamo parlando di una macchia azzurra. Scusa, questo che cavolo ve ne frega a voi come Comune? Qua il problema, semmai, doveva essere del paesaggio della Sovrintendenza. La Sovrintendenza dice sì, voi perché dovreste dire no? Ma qual è l’aspetto che paesaggisticamente ti turba? Dobbiamo guardare ai prossimi trenta anni, una casa che nasce ora è una casa che deve guardare ai prossimi quaranta anni...”. Poi, abbassando improvvisamente il tono della voce, Mario Cavaleri riferiva a Caravaglio che aveva un regalo per il suo compleanno, ma glielo darà fuori dal Comune. “E andiamo tutti….”, commentava Caravaglio. “Non ti scantare”, era la replica di Cavaleri. Nel prosieguo della discussione, il Cavaleri asseriva di aver già parlato con un costruttore catanese in grado di realizzare le opere, invitando comunque Caravaglio a indicargli qualcuno per seguire il cantiere:“In questo senso tu, basta che mi segnali qualcuno, lo facciamo lavorare come addetto. Io pago tutti, non c’è problema”. Caravaglio: “Ah ah, pure ‘u pizzo paghi!”. Cavaleri: “Tu sei un tecnico, quindi fai il politico pure quando parliamo di granite…”.
Un’ospite d’onore al Festival di Salina
Prima di lasciarsi, il geometra Caravaglio chiedeva conferma a Cavaleri se fosse già giunta nell’isola di Salina l’architetta Mirella Vinci, firmataria del parere favorevole al progetto di Cavaleri. “L’interlocutore dice che la Vinci sarebbe arrivata il 3 agosto e si sarebbe fermata sino al 6”, scrivono gli inquirenti. “Caravaglio gli chiede se alloggeranno da Marcello (sicuramente riferendosi a Marcello Saija, capogruppo della minoranza e proprietario di un albergo a Santa Marina) ma Cavaleri risponde che loro saranno alloggiati in un appartamento sopra Sergio (riferito a Sergio Santamarina, cognato dell’architetta Marisa Mercurio, titolare del locale Papagayo  in piazza Santa Marina), mentre la Vinci sarà sua ospite al Bellavista. I due si accordano anche per far sì che Caravaglio si incontri con la Vinci”.
Il 13 agosto c’era un ulteriore incontro tra Giuseppe Caravaglio e Mario Cavaleri. Il giornalista esordiva invitando il geometra a rientrare a Milazzo in barca con lui e poi, dopo aver chiesto se ci fossero delle novità sul progetto, faceva nuovamente riferimento al regalo pronto per Caravaglio: “Non è che mi lasci ‘stu pensierino per te a fare la muffa?”. No, assolutamente, adesso che lo so, vengo”, rispondeva il tecnico comunale. “Dal colloquio si capisce inoltre che molto probabilmente può trattarsi anche di denaro”, annota la Compagnia dei Carabinieri di Milazzo. “Infatti Cavaleri dice: le cose, non sono cose che scadono…”.
Della presenza a Salina dell’architetta Mirella Vinci e dell’incontro tra quest’ultima e il geometra Caravaglio, gli inquirenti avevano conferma il 4 agosto 2014 grazie a due conversazioni telefoniche tra il sindaco Massimo Lo Schiavo e Mario Cavaleri. “Mirella sta per arrivare”, annunciava il giornalista. “L’aspetto al Comune?”, domandava il primo cittadino. Cavaleri: “Al chioschetto, così sono rimasti ieri sera”. Lo Schiavo: “Però volevo che c’era pure Caravaglio, magari scendo con lui”. Cavaleri: “Si sono visti ieri sera in piazzetta con Caravaglio (…) Lei andava al chioschetto... Se mai mandi qualcuno, la vai a trovare e te la porti al Comune. Digli a Caravaglio di raggiungerla e di portartela al Comune...”. In relazione alla permanenza a Santa Marina Salina dell’arch. Mirella Vinci, i Carabinieri avevano modo di accertare che la stessa, unitamente ai propri figli, era stata ospite proprio di Mario Cavaleri, presso l’Hotel Bellavista. “Si acquisiva la ricevuta di pagamento di tre notti d’albergo, per due stanze, dal 2 al 5 agosto 2014, per un totale di 660 euro intestata all’Associazione Prima Sicilia, il cui presidente si identifica in Massimiliano Cavaleri, figlio di Mario”, riportano gli inquirenti. “Il primo parere al progetto di Cavaleri, in particolare, è stato rilasciato dalla Soprintendenza l’8 luglio 2014, dopo appena 40 giorni dalla presentazione dell’istanza e un mese prima del regalo del soggiorno, mentre il secondo parere rilasciato in Variante, a seguito della convenzione stipulata con il Comune, veniva rilasciato in data 15 giugno 2016, soltanto dopo 20 giorni la presentazione dell’istanza”.
Regalie e difformità ma il progetto è adesso finito
“Considerato quanto sopra riportato – conclude l’informativa Isola Verde - è palese ritenere che quello che si vuol far passare come un progetto per la realizzazione di cinque villette (con la possibilità, in futuro, di realizzarne altre tre con destinazione agrituristica) è, a tutti gli effetti, un progetto per realizzare delle residenze private, e che Cavaleri, per ottenere le autorizzazioni dei vari Uffici, oltre a sfruttare le proprie conoscenze, abbia promesso in cambio denaro o altra utilità sia all’arch. Mirella Vinci, sia al geom. Giuseppe Caravaglio, nonché al Sindaco Massimo Lo Schiavo. Attualmente i lavori sono in corso di realizzazione ed è doveroso riportare che l’Arma di Salina veniva informalmente a conoscenza che il 28 febbraio 2017, l’Ufficio Tecnico del Comune di Santa Marina Salina, in seguito ad una richiesta dell’Amministrazione Comunale sollecitata da un privato cittadino, effettuava un sopralluogo nel cantiere acquisendo la documentazione e ravvisando delle difformità rispetto ai progetti autorizzati. Si accertava in particolare che nel corpo D il piano seminterrato era stato realizzato ad una quota più alta rispetto alla strada e con la conseguenza che l’intero corpo, una volta ultimato, avrà un’altezza fuori terra maggiore di quella prevista. Il solaio del piano semi-interrato, inoltre, risultava già armato e pronto per il getto del conglomerato cementizio. In seguito a quanto sopra, con nota pari data, la ditta comunicava all’U.T.C. che si erano rese necessarie alcune modifiche per garantire un maggior deflusso delle acque meteoriche, aggiungendo inoltre che i lavori erano stati sospesi e che si restava in attesa di una variante. L’Ufficio Tecnico, a seguito della nota di cui sopra, comunicava il tutto al Sindaco pro-tempore il quale avrebbe provveduto ad emettere una ordinanza cautelativa di sospensione lavori, cosa che avveniva il 3 marzo 2017. Quanto sopra, dimostra ulteriormente che la ditta proprietaria veniva nuovamente favorita: infatti le difformità riscontrate avrebbero comportato, in casi normali, il sequestro dell’immobile in corso di realizzazione, mentre i tecnici comunali Caravaglio e Battaglini si limitavano, soltanto tre giorni dopo l’accertamento, ad emettere ordinanza di sospensione, dando la possibilità alla ditta di smontare l’armatura del solaio del piano semi-interrato”.

Guerre e alleanze dell’ex sindaco podestà dell’isola di Salina

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Associazione per delinquere, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, peculato, falsità ideologica e materiale, abuso d’ufficio, omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale, rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità. Sono queste le ipotesi di reato che il Pubblico ministero della Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto, dottoressa Federica Paiola, contesta a Massimo Lo Schiavo, ex primo cittadino di Santa Marina Salina, nell’ambito dell’inchiesta Isola Verde sugli innumerevoli casi di abusivismo edilizio perpetrati negli ultimi anni a Santa Marina Salina, piccolo comune di Salina (isole Eolie). Lo scorso 20 agosto è stato firmato l’avviso di conclusioni delle indagini preliminari con l’emissione di 84 avvisi di garanzia nei confronti di amministratori locali vecchi e nuovi, tecnici comunali, professionisti e alcuni Vip proprietari di immobili realizzati in violazione delle norme urbanistiche.
Indagato number oneè appunto l’ex sindaco Massimo Lo Schiavo (ben 37 i capi d’imputazione contestatigli); primo cittadino di Santa Marina Salina dal 2007 (e prima ancora vicesindaco), lo Schiavo si era ricandidato nel 2012 ottenendo uno schiacciante successo sul suo avversario, il prof. Marcello Sajia, docente universitario negli atenei di Messina e Palermo. “Il risultato (oltre l’82% dei consensi) è l’evidente sintomo della piena fiducia dei cittadini che lo stesso ha ottenuto mediante promesse di assunzioni e/o incarichi ma soprattutto grazie ad una politica volta a favorire l’abusivismo edilizio e ad ostacolare, anche abusando dei suoi poteri, quei pochi che si permettevano di criticarlo o schierarsi palesemente contro di lui”, annota la Compagnia dell’Arma dei Carabinieri di Milazzo nell’informativa di reato sul presunto sacco di Salina, inviata il 4 ottobre 2017 alla Procura di Barcellona.
Ancora nel 2012 Massimo Lo Schiavo concorreva alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana, candidandosi con il Partito dei Siciliani – MPA capitanato dal medico messinese Giuseppe Picciolo, ottenendo 1.805 voti. Il 30 marzo 2015, Massimo Lo Schiavo veniva raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, nell’ambito di un’inchiesta su un illegittimo trattenimento di una somma di denaro di proprietà di due anziane donne poi decedute. Nell’ottobre 2016, a seguito della condanna in primo grado a tre anni per peculato (in appello ridotta a due anni dopo la richiesta di patteggiamento), Lo Schiavo veniva sospeso dalle funzioni di sindaco con provvedimento del Prefetto di Messina. “Lo stesso, nonostante ciò, ha continuato, e continua tuttora, a frequentare il Comune ed a presenziare in maniera attiva a riunioni attinenti l’amministrazione”, aggiungono i Carabinieri di Milazzo.
Il sindaco podestà dell’(ex) Isola Verde
La complessa attività d’indagine sui presunti illeciti nella vita amministrativa di Santa Marina Salina e Malfa ha preso avvio nel giugno 2013 dopo una serie di esposti anonimi nei quali venivano riferiti fatti che interessavano gli uffici tecnici comunali, con specifico riferimento a gare di appalto, rilascio di concessione edilizie, demolizione e ricostruzione di ruderi, ecc… Gran parte degli illeciti menzionati negli esposti anonimi ruotavano attorno alla figura del geometra Antonio Podetti, libero professionista, con studio privato a Malfa, già sindaco del Comune di Leni. Secondo gli inquirenti, l’incarico assegnato a Podetti “sicuramente gli ha permesso di stringere delle amicizienei ruoli chiave degli uffici centrali in materia di edilizia quali Genio Civile e Ministero BB.AA.CC.”. Il geometra Antonio Podetti, nel periodo compreso tra il 2010 e il 2017, ha redatto la quasi totalità dei progetti di edilizia privata realizzati sull’intera isola di Salina. “Lo stesso, inoltre, vanta ottimi rapporti con Massimo Lo Schiavo, all’epoca dei fatti primo cittadino di Santa Marina Salina, e per quello stesso Comune, in passato, ha prestato servizio presso l’U.T.C. mentre a tutt’oggi svolge degli incarichi affidatigli direttamente dal sindaco Domenico Arabia (altro indagato eccellente di Isola Verde e vicesindaco ai tempi della sindacatura di Lo Schiavo Nda) o dal geom. Giuseppe Caravaglio, Capo Ufficio tecnico della predetta Amministrazione”.
A partire del marzo 2014, i Carabinieri di Milazzo avviavano le intercettazioni ambientali e telefoniche nei confronti di Antonio Podetti e Massimo Lo Schiavo, nonché all’interno dell’Ufficio Tecnico Comunale. “Nel corso dell’attività investigativa il Podetti, unitamente al geometra Giuseppe Caravaglio e soprattutto al sindaco Massimo Lo Schiavo, si sono dimostrati i personaggi chiave dell’intera vicenda e si ritiene che proprio il primo cittadino abbia affidato, o fatto affidare, al Podetti incarichi professionali presso il Comune di Santa Marina Salina, indirizzando altresì alcuni privati a rivolgersi allo stesso proprio per ottenere in cambio dei favori quali progettazioni gratuite per i suoi immobili”, riporta l’informativa Isola Verde. “Massimo Lo Schiavo si interessa in particolar modo a persone che hanno disponibilità economica e che ricoprono buone posizioni al fine di poterle utilizzare per interessi privati. Il sindaco sfrutta la propria posizione politica anche per far assumere persone presso la Compagnia delle Isole (ex Siremar), una società a compartecipazione pubblica e privata, che riceveva anche finanziamenti nazionali. Nonostante spesso sia stata attaccata sugli organi di stampa dagli altri sindaci delle Eolie, il suo operato è comunque stato sempre difeso da Lo Schiavo”.
La gestione personale del Comune da parte di Massimo Lo Schiavo, sempre secondo gli investigatori, lo rendeva autore di singolari provvedimenti: l’autorizzazione a favore del proprio vicesindaco “ad ospitare persone presso uno stabile di proprietà del Comune e destinato ad Ostello della Gioventù o a far sì che all’interno della farmacia comunale vengano esposti dei prodotti di erboristeriaottenendo poi un regalo”. Il Lo Schiavo si sarebbe poi interessato in prima persona all’esito di alcune gare relative a servizi vari da effettuare nel Comune nel periodo estivo. Alla vigilia dell’affidamento del servizio di guardiania della banchina turistica di Santa Marina Salina, attività svolta sino al 2014 sempre dalla Salina Relax Boats, l’amministrazione era costretta a bandire una gara pubblica che però andava deserta. Il sindaco contattava allora direttamente l’imprenditore barcellonese Carmelo Porcino della Profis&Service, affidandogli il servizio. “I contatti continuavano anche i giorni seguenti poiché Lo Schiavo aveva il nominativo di una persona da far assumere”, annotano gli inquirenti. “Il sindaco inoltre, in questo contesto, manifesta la volontà di far affidare al Porcino anche la pulizia di spiagge e strade, sempre per un interesse personale che si ravvisava nella necessità di far assumere altre persone a lui vicine e/o segnalate”.
Affamato di soldi e di potere…
“Il sindaco inoltre, in gravi difficoltà economiche, sfrutta la sua posizione per ottenere prestiti personali da privati cittadini, ai quali appunto promette, e spesso permette, di realizzare opere con procedure illecite”, aggiungono i militari dell’Arma. “Effettua lui stesso dei lavori abusivi all’interno del suo albergo; è proprietario di un tabacchi sito, fino al 2016, in un immobile mancante di tutte le autorizzazioni edilizie, dal quale è stato costretto a traslocare solo in seguito a controlli dei Carabinieri; fa concedere incarichi a persone a lui utili o che poi svolgono dei lavori nelle sue proprietà o con le quali mantiene stretti legami di amicizia. Utilizza dei soldi raccolti mediante la vendita delle azalee dell’AIRC, per pagare le utenzedell’acqua del 2011 per i quali è moroso, pagamento che si affretta ad eseguire poiché avvisato dagli uffici che i Carabinieri si stanno interessando a tale argomento. Addirittura raccoglie in prima persona dei soldi, con lo scopo di pagare lo spettacolo dei fuochi pirotecnici del 15 agosto, anche se poi è il Comune a pagare la ditta Costa che ha eseguito gli stessi”.
Quello che emerge dalle indagini è la figura di una persona caratterizzata da una personalità affamata di potere, un ego un gradino più basso da dio e comunque due o tre sopra quelli dei comuni mortali. Qua io comando…., dirà Massimo Lo Schiavo nel corso di un colloquio intercettato dopo la cerimonia per la ricorrenza dell’affondamento del piroscafo “Santa Marina”. Poi loro, si sono fermati due scalini sotto di me… Io gli ho fatto segnale con il dito, io gli ho detto voi altri qua dovete stareE ho fattocome Napolitano, ieri mi sono visto a Napolitano come fare l’altare della Patria. il “loro” era riferito ai due Carabinieri che dopo aver deposto una corona d’alloro a memoria dei defunti, erano stati fermati due scalini sotto di lui.
In Capitaneria c’è però chi non si mette ancora sull’attenti e in riga…
Ma Santo Dio, qua comanda Brancato?, domandava irato Lo Schiavo quando il Capo della Delegazione dispiaggia della Capitaneria di Salina, Antonio Brancato, si era lamentato delposizionamento sul porto di alcuni cassonetti con l’assessore Elio Benenati (altro indagato di Isola Verde, nonché Caposervizio delle Guardie della Riserva Orientata “Monte Fossa delle Felci” di Salina). “Verso il predetto Brancato il sindaco nutre un astio particolare, dovuto comunque al fatto che deve proteggere i propri amici utili nel momento del bisogno”, spiegano gli inquirenti. “E’ il caso dei signori Bartolo e Anselmo Taranto, proprietari della TarNav Navigazioni, che avevano organizzato una sfilata di moda a Salina a bordo della motonave Eolian Queen, la sera del 15 agosto 2014 e che stavano per essere verbalizzati proprio dal Comandante Brancato poiché, sprovvisti di autorizzazione”. Subito dopo i controlli a bordo da parte del militare, i Taranto avevano contattato immediatamente Lo Schiavo che poi, sul porto stesso e davanti a numerose persone, aveva una discussione anche con il Brancato. “Ciò portava il sindaco, sentitosi attaccato in pubblico, ad effettuare una serie di chiamate verso i superiori diretti e a commentare con il Taranto la vicenda”, riporta l’informativa.
Agli atti è allegato il testo degli sms che sindaco e titolari della TarNav si inviarono nelle ore della querelle con il delegato della Capitaneria di porto. Intervengo io a modo mio! Stai tranquillo!!, digitava Lo Schiavo la notte del 15 agosto. Dimmi se devo salire!era invece l’sms del giorno successivo. Siamo sempre i numeri uno, gli rispondeva Anselmo Taranto. Sono nero! E nn sai cosa gli ho detto sopra! (Massimo Lo Schiavo). Dagli il culo! (Taranto). Sei un grande! (Lo Schiavo). Fagli il culo (Taranto). Appunto!Quando mi hai chiamato urlando lo denuncio alla procura cosa aveva detto o fatto? (Lo Schiavo). Mi ha minacciato voleva bloccare la nave a salina non so per quale motivo....E' pazzo(Taranto).
A cena con l’ammiraglio e consorte
Per denunciare lo sgarbo di Antonio Brancato, il sindaco chiamava a tarda ora sia il Comandante della capitaneria di Porto di Milazzo Matteo Lo Presti, superiore del militare, e “sia l’ammiraglio Picchio con cui lo stesso intrattiene rapporti per una pratica edilizia sospetta”. Alessandro Picchio, già consigliere militare dei Presidenti del Consiglio Silvio Berlusconi e Mario Monti ed ex consigliere militare italiano all’Onu, è noto alle cronache per le sue esternazioni in tema di lotta al flusso “illegale” di migranti. “Nel Mediterraneo – ha dichiarato l’ammiraglio il 3 luglio 2017 – ci sono organizzazioni che con la scusa di essere non governative, si lasciano guidare da uno spirito anarchico (…) Sono navi che in teoria non hanno uno Stato di riferimento, ma chi le finanzia, e i finanziatori spesso non sono italiani. Chi vuol creare difficoltà all’Italia? Da un lato le Ong seguono proprie logiche, dall’altro sottostanno a interessi finalizzati a ostacolare il nostro Paese”. In verità l’ammiraglio Alessandro Picchio non è tra gli 84 indagati di Isola Verde. Tra essi compare invece il nome della moglie Luisa Mantegazza, residente a Rho (Milano), relativamente per una concessione edilizia per un immobile posseduto a Santa Marina Salina, con opere che sarebbero “difformi dagli strumenti urbanistici ed in contrasto con i vincoli di fascia di rispetto cimiteriale e stradale”. Per questa vicenda Luisa Mantegazza è indagata insieme all’ex sindaco Lo Schiavo e ai tecnici Podetti e Caravaglio.
Agli atti d’indagine è allegata la trascrizione di un inquietante colloquio telefonico intercorso il 14 aprile 2014 tra l’allora sindaco e i coniugi Picchio-Mantegazza.
Luisa Mantegazza: “Senti, allora adesso ti dico una cosa… Ieri, no, l’altro ieri...”.
Alessandro Picchio: “Che lì in comune sono andati a prendere le copie di un certo numero di progetti”.
Mantegazza: “C’hanno detto che in comune sono andati a prendere un certo numeri di copie di progetti e tra questi c’è anche il nostro. Allora, noi volevamo sapere, chi fa queste azioni? Perché non è una procedura lecita… Tu non ne sai niente?”.
Massimo Lo Schiavo: “Non ti so rispondere, perché se sono andati a prenderli i Carabinieri ci sarà una delega di indagine”.
Mantegazza: “Allora, se... Non sa... Lui dice (rivolgendosi al marito) che se sono andati a prenderli i Carabinieri, vuol dire che c’è in corso qualche indagine”.
Picchio: “Della magistratura?”.
Lo Schiavo: Eh sì, della procura, sì, ritengo di sì”.
Mantegazza: “Tu puoi verificare questo?”
Lo Schiavo: “Eh no, perché a me non lo dicono”.
Mantegazza: “No, no, no... se è vero che sono andati a prendere alcuni progetti…”.
Lo Schiavo: “Ah, appena torno a Salina sì, posso verificarlo”.
Mantegazza: “Perché... e posso capire, per che cosa, cosa c’è, cosa stanno...”.
Lo Schiavo: “E questo non ho idea, posso verificare se sono...”.
Mantegazza: “Se poi sei riuscito a parlare con il comandante provinciale...”.
Lo Schiavo: “Eh, meglio di loro!”.
Mantegazza: “No, no, tu sei riuscito a parlare con il comandante provinciale, mi chiede Alessandro”.
Lo Schiavo: “Ah, non ancora. L’ho detto al nostro comandante che ha avvisato il capitano. E adesso, ormai, non penso di riuscirci prima di Pasqua. Subito dopo Pasqua fisso l’appuntamento, cioè lo fisso prima, ma lo vado a trovare dopo Pasqua”.
Mantegazza: “Va bene, va bene, a capire che cosa c’è sotto, perché insomma è una cosa...”.
Lo Schiavo: “Io vado per il discorso della manifestazione. Non posso chiedere altre cose figurati”.
Mantegazza: “Sì, sì, lui parla del discorso della magistratura quando va (rivolgendosi al coniuge). Aspetta che ti passo Alessandro che ti saluta, un bacio grande”.
Picchio: “Ciao Massimo, scusa”.
Lo Schiavo: “Ciao, come stai?”.
Picchio: “Bene, bene. E a te come va?”
Lo Schiavo: “Tutto bene, tutto bene. Ma guarda... io queste vicende mi mettono anche a me un po’ in difficoltà perché io non riesco più a lavorare con gli uffici con tutti questi controlli che fanno. Materialmente ho l’ufficio bloccato. L’altro giorno ne parlavo pure con la segretaria”.
Picchio: “Ma lì che cosa è… L’unica autorità che potrebbe aver disposto delle indagini è la magistratura”.
Lo Schiavo: “Sì, sì. Probabilmente se loro hanno fatto questa richiesta, ci sarà una delega. Ma questo, figurati, a me il comandante della stazione né glie lo chiedo né me lo direbbe... Figurati poi: per loro ormai noi sindaci siamo tutti quanti colpevoli di qualche cosa, quindi...”.
Picchio: “Certo, e sì, vabbè, insomma, sono un po’ assurdi... No, più che altro, e vabbè, perchè lì adesso noi, vabbè hanno messo anche il tetto, potrebbero... Perchè mi dicevano, perché l’altro giorno ho sentito il prof. Giuffrè, ha detto che lì ci sono alcuni in paese, poi credo che siano sempre i soliti insomma, che dicono che la costruzione non era così grande etc, perché loro vedevano solo la parte...”.
Lo Schiavo: “Ma figurati, c’è tutta la documentazione fotografica...”.
Picchio: “Esatto, ma poi anche quando abbiamo tolto le macerie, è venuto fuori proprio il forno, il palmento etc… Quindi insomma è un po’ pretestuoso quello che dicono...”.
Lo Schiavo: “Vabbè ma questo è il solito soggetto... purtroppo”.
Picchio: “E’ sempre lui?”.
Lo Schiavo: “Eh figurati, lui ha fatto partire sicuramente la denuncia”.
Picchio: “Lui col suo gruppo insomma, perché non è che è da solo, da quello che dicono”.
Lo Schiavo: “No, c’è anche sicuramente uno dei miei consiglieri di opposizione, un certo Giuffrè...”.
“Lo Schiavo, che si trova fuori isola, riferisce agli interlocutori che al suo rientro si informerà se sono stati acquisiti anche i loro progetti, ma aggiunge che non può saperne il motivo”, riportano a conclusione gli inquirenti. “Inoltre nella seconda metà di maggio 2014, Podetti, Lo Schiavo e i coniugi Picchio-Mantegazza, si incontravano a cena presso il Ristorante NNi Lausta, sito in Santa Marina Salina, come emerge da una discussione avvenuta sempre tra Podetti e Lo Schiavo”.
Anche l’allora vicesindaco e odierno primo cittadino Domenico Arabia non avrebbe nutrito simpatia per il Delegato della Capitaneria di porto di Salina. A seguito ad una nota inviata al Comune da Antonio Brancato per il posizionamento di alcune bancarelle sul lungomare e per l’apposizione di un cartello di divieto di transito, Arabia riportava con un sms il proprio stato d’animo a Massimo Lo Schiavo: Da oggi x quanto mi riguarda è guerra con Brancato... ha scritto x le bancarelle. Immediata la risposta del sindaco: E guerra sia!. Poi con un altro sms, Lo Schiavo chiedeva ad Arabia di inviare la nota del militare rompiscatole al Comandante della Capitaneria di Milazzo, Matteo Lo Presti.

Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 6 settembre 2019, http://www.stampalibera.it/2019/09/06/linchiesta-isola-verde-affamato-di-soldi-e-di-potere-ecco-tutte-le-accuse-al-sindaco-podesta-massimo-lo-schiavo/?fbclid=IwAR174R4J1Kxffp1VXVIofBGxVFxDuD92JDm92KS8T7p1trgESox5K_4DPQ8

L’inchiesta Isola Verde non ferma i generosi contributi pubblici ai Festival di Salina

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Un’inchiesta giudiziaria su un inverosimile numero di illeciti amministrativi si abbatte come uno tsunami sull’isola di Salina, Eolie (84 gli indagati, tra cui i due ultimi sindaci di Santa Marina Salina, ex assessori, alcuni tecnici ed impiegati comunali), ma la macchina burocratica trova le energie e il tempo di attingere al magrissimo bilancio comunale e liquidare un contributo a favore di un promoter di eventi culturali, il cui nome compare nella lunga lista degli indagati. Il 20 agosto scorso la Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto ha emesso l’avviso di conclusioni indagini per l’inchiesta Isola Verdecon la contestuale notifica dei capi d’imputazione (l’atto è stato depositato in cancelleria giorno 27, mentre la notizia criminis era di pubblico dominio il 30). Mercoledì 4 settembre, con determina della Responsabile del settore amministrativo del Comune di Santa Marina Salina, Anna Maria Carugno, sono stati liquidati 6.000 euro all’Associazione Prima Sicilia di Messina (“presidente e legale rappresentante il signore Massimiliano Cavallaro”), organizzatrice del MareFestival Salina-Premio Troisi 2019, tenutosi nell’Isola dall’11 al 14 luglio. Secondo quanto riportato nella determina, la rendicontazione delle spese da parte dell’associazione era stata protocollata in Comune il 30 agosto 2019.  Quattro giorni prima, l’amministrazione di Santa Marina Salina aveva liquidato altri 6.000 euro all’Associazione culturale Onde, con sede a Milano, quale contributo spese per l’organizzazione del Salina Festival, tenutosi dal 24 al 28 luglio. Legale rappresentante di Ondeè ancora “Massimiliano Cavallaro” (in verità il nome esatto è Massimo Cavallaro e la sede associativa corrisponde al luogo di residenza del professionista di origini messinesi). In questo caso la rendicontazione era stata presentata e protocollata in Comune il 31 luglio. Era stata la Giunta comunale guidata dal sindaco Domenico Arabia (uno degli indagati eccellenti di Isola Verde) a deliberare il 3 luglio precedente la concessione dei due generosi contributi, in tutto 12.000 euro che, dato il numero di abitanti nel piccolo centro eoliano (poco meno di 900), vuol dire un obolo di 13 euro e 50 centesimi pro capite a favore delle due associazioni rappresentate dal signor Cavallaro.
Quello dall’amministrazione di Santa Marina Salina non è l’unico contributo pubblico per l’organizzazione dei due importanti eventi. Il 14 agosto, anche il vicino Comunale di Malfa ha deliberato l’impegno e la contestuale liquidazione di 3.000 euro a favore dell’Associazione Onde per il Salina Festival. C’è poi il patrocinio oneroso della Regione Siciliana; per l’edizione 2018 del MareFestivale del Salina Festival, l’Assessorato del Turismo, Sport e Spettacolo ha versato 10.000 euro alle due associazioni, mentre dai fondi di rappresentanza del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, l’on. Gianfranco Micciché, sono stati attinti altri 1.000 euro per il Premio Troisi (Ass. Prima Sicilia). Ciononostante, sul sito ufficiale del MareFestival si legge che l’evento, “patrocinato dal Comune di Santa Marina Salina, è sostenuto prevalentemente da imprenditori sensibili alla cultura e alla promozione turistica del territorio”.
Pure il nome del promoter degli eventi estivi a Salina compare nel lungo elenco degli indagati di Isola Verde. Il Pubblico ministero del Tribunale di Barcellona ha contestato a Massimo Cavallaro, congiuntamente all’ex sindaco-dominus di Santa Marina Salina, Massimo Lo Schiavo, i reati di cui agli artt. 319quater e 312 del codice penale, in quanto (Lo Schiavo) “agendo in qualità di primo cittadino ed in tale veste pubblico ufficiale, abusando della sua qualità o dei suoi poteri - e segnatamente prospettando a Cavallaro che se non avesse ristampato i volantini pubblicitari del festivalda quest’ultimo organizzato sull’isola, dacché riportanti un’immagine creata da Sergio Santamarina, portatore di idee politiche contrarie allo stesso sindaco ed oppositore dell’amministrazione comunale, avrebbe fatto sì da ostacolare la futura organizzazione del festival, induceva Massimo Cavallaro a ristampare detti volantini e così a dargli l’utilità consistente nel vantaggio politico correlato al danno derivatone al Santamarina per la mancata pubblicità legata alla distribuzione dei volantini”.
La vicenda risale all’edizione 2014 del Salina Festival ed è ricostruita nell’informativa sui presunti atti illeciti perpetrati a Salina dall’allora sindaco Massimo Lo Schiavo & C., redatta nell’ottobre 2017 dalla Compagnia dei Carabinieri di Milazzo. “Il sindaco ha ottenuto la fiducia dei cittadini mediante promesse di assunzioni e/o incarichi ma soprattutto grazie ad una politica volta a favorire l’abusivismo edilizio e ad ostacolare, anche abusando dei suoi poteri, quei pochi che si permettevano di criticarlo o schierarsi palesemente contro di lui”, annotano gli inquirenti. “E’ il caso di Sergio Santamarina, proprietario del locale Le Papagayo e contrario alla politica dell’amministratore, nei confronti del quale venne emanata un’apposita ordinanza sulla proroga degli orari di diffusione di musica e imponendo all’organizzatore di un festival, patrocinato dal Comune, la rimozione, dalla locandina di pubblicizzazione dell’evento, di un immagine creata appunto dal Santamarina”.
“Il Comune di Santa Marina Salina da qualche anno, patrocina una manifestazione culturale denominata Salina Festival e per l’anno 2014 ha stanziato per tale opera un contributo di 5.000 euro”, si legge ancora nell’informativa. “L’organizzatore dell’evento, tale Massimo Cavallaro, per promuovere la manifestazione aveva preparato una brochure con un quadro del signor Sergio Santamarina, artista, da anni residente a Santa Marina Salina ed in contrasto con la sua amministrazione. Il sindaco, venuto a conoscenza della cosa, contattava immediatamente il Cavallaro, minacciandolo di non fargli più fare il festival e diffamando lo stesso Santamarina”.
Illuminante in tal senso un colloquio tra il primo cittadino ed il legale rappresentante delle associazioni Prima Sicilia e Onde, intercettato dai Carabinieri il 15 luglio 2014 e riprodotto nell’informativa Isola Verde. “Te lo metto così”, esordiva Lo Schiavo. “Tu lo sai che sono molto schietto e sincero: ho visto il manifesto e che venga messa praticamente in prima istanza l’immagine di un dipinto fatto da una persona che discredita costantemente l’amministrazione comunale di Santa Marina Salina, anche con atti vandalici, non mi piace”. “Mi dispiace moltissimo, ma io non so assolutamente nulla”, rispondeva Cavallaro. Lo Schiavo: “Eh, ma tu prima di fare il festival nel mio Comune…. Allora dovresti, come avevi buona abitudine prima, venire a discutere, concordare, perché così, io la figura di quello che praticamente si prende gli insulti delle persone e paga per poi dargli visibilità, non l’accetto, non l’accetto, sono molto amareggiato… Il fatto che tu non sei venuto neanche una volta, qui a definire alcune cose come si faceva gli altri anni”. Cavallaro: “Mi dispiace moltissimo, Massimo. Purtroppo non sono potuto venire, purtroppo”. Lo Schiavo: “E non si fanno i festival allora, Massimo, quando non si possono fare delle cose concordate. Io non sono solamente l’ente rogatore della pecunia… Io sono una persona  che con te ha lavorato per disegnare questo festival, per quanto è possibile il mio grado di conoscenza”. Cavallaro: “Ma io, Massimo, perdonami se ti interrompo, ma io ho condiviso a gennaio-febbraio il programma con Linda (Linda Sidoti, al tempo assessore di Santa Marina Salina nda)”. Lo Schiavo: “Ma, il programma, il programma non è che significa praticamente mettere, alcune cose…”. Cavallaro: “Ma c’era il quadro, il quadro c’era, cioè io ho scelto un quadro, non ho scelto la persona, Massimo eh… E’ un’opera d’arte”. Lo Schiavo: “Di una persona che comunque nei nostri confronti, sta facendo le peggiori cose, quindi, oltre il danno anche la beffa (…) Io sono stato costretto a fare una denuncia ai Carabinieri, per alcuni atti che vengono fatti sul mio territorio, di cui non conosco l’artefice… Premesso questo, ma se due più due fa ancora quattro in matematica lo posso intuire, dopodiché, dico la merda continua che spara contro i miei assessori e contro di me a più non posso, sinceramente…”.
Cavallaro: “Massimo mi dispiace moltissimo… Credi nella mia totale buona fede, io ho scelto un artista, cioè ho scelto un volto che mi piaceva rispetto al tema del festival”. Lo Schiavo: “Poi le cose si incancreniscono, io continuo, per il ruolo che rivesto a fare, buon viso a cattivo gioco, però doveva avere lui la sensibilità di dirti guarda che sto facendo il pezzo di merda contro questa amministrazione, doveva avere questa sensibilità”. Cavallaro: “Ti dico che è veramente un fulmine a ciel sereno, ma io ti prego comunque anche di una cosa, per quanto lo sforzo ti possa sembrare strano, cioè l’immagine che io ho scelto, l’ho scelta a prescindere dal fatto che l’abbia da lui o da un’altra persona, perché era funzionale a questo tema della manifestazione. Non c’è nient’altro, quindi anche tu liberati dal legame con la persona”. Lo Schiavo: “Massimo, ma liberati di che cosa? Ma se uno continua a sputare fango contro un’amministrazione che ha sempre cercato nei limiti di quello che è possibile fare di tutelare tutti quanti, che mi devo sforzare? Non per qualche cosa, per l’amor di Dio, io mi rendo conto delle tue difficoltà di essere presente…”. Cavallaro: “Ma tu lo che non ci crederai, io l’ho fatto anche perché, quando ho visto che tu non mi rispondevi, ho detto bè, avrà tante di altre, altre priorità a cui pensare, per cui giustamente ha delegato a Linda… E come hai notato io non ti ho chiamato proprio, ho parlato con Linda”.
Lo Schiavo: “Però, io dico, neanche una volta a venire qua… A parte che Linda neanche aveva visto la bozza di questo coso, perché altrimenti immediatamente ti avrebbe detto abbiamo qualche dubbio, non di no, quindi la bozza del manifesto Linda non l’ha mai vista (…) Però tu devi renderti conto, in questa difficoltà a questo punto è meglio che il festival non lo fa più, perché tu non puoi venire, Leni non c’è, Malfa ti dà buca. Rimane il Comune di Santa Marina Salina, con la buona volontà sempre dimostrata, nonostante le difficoltà enormi in cui ci stiamo ritrovando, perché il primo anno senza bilancio, cerca di sostenere tutto e tutti, ma na bozza, na bozza di volantino all’amministrazione che praticamente paga questo appuntamento, la potevi pure mandare nonostante la tua assenza no? Perché immediatamente ti avremmo detto, mah un confronto, no guarda… In questo modo, come è stato fatto negli altri anni”. Cavallaro: “Hai ragione sono stato affrettato,  sono stato affrettato, non lo so, può essere che siamo arrivati molto in ritardo, non lo so, ehm ehm Massimo, mhmh sì… Io ho continuato a parlare con Linda”. Lo Schiavo: “Sì ma una bozza della brochure, Linda mica l’ha vista, non ce l’hai mandata, altrimenti Linda ti avrebbe detto guarda che forse abbiamo qualche dubbio. Poi ognuno è libero di fare quello che vuole per l’amor di Dio, ma è ridicolo il fatto che io debba mettere praticamente un quadro riconducibile ad una persona che mi sta facendo i chiodi. Nel peggiore dei modi, è insopportabile, è insopportabile… Fammi chiudere la telefonata perché sono troppo amareggiato, quindi, poi purtroppo, rischio di…”.
Poco dopo la conversazione, Massimo Cavallaro, mediante un sms ed una chiamata, chiedeva al sindaco il permesso per procedere a ristampare il tutto. Ottenuto l’ok, il promotore dei festival, sempre mediante un sms, avvisava Lo Schiavo che il giorno seguente sarebbero arrivate le nuove brochure. Il primo cittadino contattava allora l’assessore Linda Sidoti per riferirle del cambio di brochure e chiederle di non pubblicizzare le precedenti che vanno buttate. “L’astio del sindaco verso Sergio Santamarina, già danneggiato da un’ordinanza sindacale per la diffusione di musica, in seguito alla quale il locale di proprietà non poteva ottenere deroghe poiché lo spazio all’aperto ricadeva su suolo pubblico comunale, si esplicita anche in seguito ad una lite avvenuta tra quest’ultimo ed il vicesindaco Domenico Arabia”, annotano gli inquirenti. Tiinformo che sono stato allacciato dal signor Santamarina. Alle 16.30 ho appuntamento in caserma x denuncia. Ora basta, scriveva Arabia nell’sms inviato    al sindaco. Portati i testimoni - Parla con Terenzio e picchia duro! Ricorda che sei un pubblico ufficiale, l’immediata risposta di Lo Schiavo.E’ doveroso riportare inoltre anche al fine di far denotare una continuità di gestione tra l’amministrazione Lo Schiavo e l’attuale sindaco Domenico Arabia, ex vice sindaco, che nel marzo 2017, mentre era sindaco facente funzioni, al fine di danneggiare maggiormente il Santamarina, emetteva una nuova ordinanza sulla diffusione di musica, ancora più restrittiva nei confronti dei locali che utilizzano spazi all’aperto in concessione e cioè soltanto Le Papagayo”, concludono gli inquirenti.
L’informativa Isola Verdesi sofferma incidentalmente sui festival di Salina anche relativamente ad un’altra ben più complessa vicenda su cui ha indagato la Procura della Repubblica di Barcellona, relativa alla realizzazione di un controverso piano di lottizzazione di un complesso turistico nella fragile località di Lingua, sempre a Santa Marina Salina. Il terreno dove deve sorgere l’opera è di proprietà di Mario Primo Cavaleri, giornalista della Gazzetta del Sud (in pensione da fine dicembre 2018, Nda), che da anni frequenta l’Isola di Salina ove il figlio, Massimo Cavaleri (in verità, lui sì, Massimiliano, Nda), è organizzatore del MareFestival, manifestazione artistica che riscuote un buon successo e che anche grazie alle amicizie del padre, ottiene risalto nella stampa locale e nazionale, assicurandosi, tra l’altro, contributi economici dal Comune di Salina”, riportano gli inquirenti. Dell’evento estivo, Massimiliano Cavaleri, anch’egli giornalista, è ideatore, direttore artistico nonché instancabile conduttore-presentatore. Cavaleri junior è amministratore unico di Europa Due Media & Congress (già Studio Europa Uno di Mario Primo Cavaleri), agenzia che opera nel settore delle pubbliche relazioni e dell’organizzazione di congressi nazionali e internazionali (tra gli eventi più significativi il vertice del G7 a Taormina nel maggio 2017). Europa Due Media, in particolare, ha curato le edizioni del catalogo delle ultime sette edizioni di MareFestival Salina – Premio Troisi. In verità, da quanto emerge dalle cronache stampa, sarebbe proprio Massimiliano Cavaleri (e non Massimiliano Cavallarocome si legge invece nella determina del Comune di Santa Marina Salina) a ricoprire l’incarico di presidente dell’Associazione culturale Prima Sicilia, vicepresidente Patrizia Casale, collaboratrice della sezione cultura e spettacoli della Gazzetta del Sud. E sono gli stessi inquirenti, nell’informativa Isola Verde, a sottolineare come sia stata proprio Prima Sicilia,“il cui presidente si identifica in Massimiliano Cavaleri” ad effettuare il pagamento di 660 euro per il soggiorno di tre giorni in hotel nell’agosto 2014 della neo Soprintendente ai Beni ambientali e culturali di Messina, dottoressa Mirella Vinci, finita anche lei sotto inchiesta per l’affaire della lottizzazione di Lingua promossa dal noto giornalista Mario Primo Cavaleri, padre di Massimiliano.
Parafrasando Erodoto, la fretta genera l’errore in ogni cosa


Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 9 settembre 2019, http://www.stampalibera.it/2019/09/09/le-intercettazioni-linchiesta-isola-verde-non-ferma-i-contributi-ai-festival-di-salina/

Ecco come il Pentagono condiziona e finanzia la ricerca scientifica in Italia

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Ecco come il Pentagono condiziona e finanzia la ricerca scientifica in Italia
di Antonio Mazzeo
La ricerca scientifica nelle università e nei laboratori di istituti pubblici e privati italiani? Sempre più finalizzata allo sviluppo di armi e tecnologie belliche e con il generoso contributo delle forze armate degli Stati Uniti d’America. E’ quanto emerge dall’analisi del data base relativo alle spese effettuate dal governo di Washington, consultabile liberamente in rete (vedi https://gov.data2www.com). La sistematizzazione dei dati, non certo facile per l’enorme mole degli indicatori e delle informazioni contenute, ha permesso di documentare come a partire dal 2010 ad oggi il Dipartimento della Difesa USA, congiuntamente a US Army, US Air Force e US Navy abbia sovvenzionato con oltre 15 milioni di dollari programmi, sperimentazioni, conferenze, workshop e scambi internazionali delle università e dei più noti centri di ricerca nazionali.
Principali beneficiarie delle sovvenzioni dell’apparato militare a stelle e strisce sono, in ordine, l’Università degli Studi di Padova (22 i progetti per un ammontare complessivo di 1.427.549 dollari, di cui erogati 1.125.267); il Politecnico di Milano (1.183.353 dollari, di cui utilizzati in parte per un controverso studio sui mammiferi marini d’interesse della Marina militare statunitense); l’Università di Trieste (1.061.080); la Sapienza di Roma (957.194). A seguire ci sono poi l’Università di Bologna (602.620 dollari); Genova (454.388); la Cattolica del Sacro Cuore di Milano (432.000 per un programma di ricerca scientifica applicatasulla “modulazione delle funzioni cerebrali”, appena conclusosi); Catania (372.500 dollari, prima tra le università meridionali grazie ai programmi elaborati dal Dipartimento di Ingegneria Elettronica ed Informatica); Parma (363.500 dollari, in buona parte destinati alla ricerca e allo sviluppo del “Low Cost 3rd Vision”, presumibilmente visori di ultima generazione per militari e robot); il Politecnico di Bari (346.000); l’Università di Siena (316.000); Pisa (317.000, tutti al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione); Brescia (300.500), L’Aquila (264.000); Firenze (260.346); Milano (224.050); la Federico II di Napoli (230.940 dollari, in buona parte per un progetto triennale di ricerca sulla “sopravvivenza dei materiali compositi in ambiente marino”, che si concluderà a fine settembre 2019); l’Università di Trieste (211.345 dollari, quasi tutti al Dipartimento di Fisica e un modestissimo contributo al Dipartimento di Scienze Politiche per coprire parzialmente le spese di viaggio per una conferenza sugli Stati Uniti); l’Università Politecnica delle Marche (207.000); Bari (200.000); Perugia (192.500, tutti al Dipartimento di Fisica); l’Università degli Studi della Calabria (169.000); dell’Insubria di Varese (153.500); del Sannio di Benevento (128.229 dollari su un capitolo-fondi dell’Istituto per le tecnologie USA per “misurare il sistema di calibramento” delle famigerate electroshock-weapon, le armi elettro-schock entrate di moda tra le forze armate e di polizia di mezzo mondo); Udine (125.850); Torino (100.000). Sovvenzioni minori e/o simboliche sono state erogate dal Dipartimento della Difesa e dalle forze armate USA all’Università degli Studi di Roma 3 (76.000 dollari); all’Ateneo di Bergamo (70.000); al Politecnico di Torino (59.353 dollari per una ricerca sui sistemi operativi satellitari dell’US Air Force); all’Università di Camerino (27.000); Pavia (25.000); alla Fondazione degli Studi Universitari di Vicenza (20.000); Roma Tor Vergata (10.000).
Inquietante l’ammontare dei contributi del Pentagono a favore di diversi istituti del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il maggiore ente pubblico scientifico italiano. Si tratta complessivamente di 1.538.920 dollari (1.053.800 già erogati); beneficiari, in ordine di valore, l’Istituto di Ingegneria del Mare (CNR-INM) di Roma (894.000 dollari in buona parte per ricerche di idrodinamica e sul funzionamento dei mezzi navali ad alta velocità); l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (CNR-ISTEC) di Faenza (195.000 dollari); l’Istituto per i Polimeri Composti e Biomateriali (CNR-IPCB) di Napoli (150.000 dollari per il programma Shedding Light on Brain Microdomains,avviato nel febbraio 2017 e che si concluderà a fine gennaio 2020); l’Istituto Nanoscienze (CNR-NANO) di Pisa (93.419); l’Istituto Superconduttori Materiali Innovativi (CNR-SPIN) di Genova (55.000); l’Istituto dei Materiali per l’Elettronica ed il Magnetismo (CNR-IMEM) di Parma (100.000); l’Istituto di Scienze Marine (CNR-ISMAR) di Venezia (26.000); l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie (CNR-IFN) di Padova (10.000); l’Istituto delle Metodologie Inorganiche e dei Plasmi (CNR-IMIP) di Bari (10.000);  l’Istituto per la Microelettronica e Microsistemi (CNR-IMM) di Catania (5.000).
A riprova dell’interesse strategico rivestito dal Pentagono per le aree marittime, va segnalato l’imponente contributo (861.621 dollari) a favore delle ricerche dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste, noto anche come OGS - Osservatorio Geofisico di Trieste, denominazione in vigore fino al 1999, anno di trasformazione in ente pubblico nazionale. In particolare il Dipartimento della Difesa USA ha contribuito agli studi dell’osservatorio triestino sulle correnti marine nell’area orientale del Mar Mediterraneo, del Mar di Marmara (tra l’Egeo e il Mar Nero), nell’Oceano Atlantico a ridosso delle coste del Senegal. Sorprendenti per alcuni versi, invece, i contributi delle forze armate USA alle ricerche di due dei più prestigiosi centri medico-sanitari privati italiani, l’Istituto Europeo di Oncologia e l’Istituto Ortopedico “Galeazzi”, entrambi con sede centrale a Milano. Nello specifico, al primo sono stati erogati 519.311 dollari per analizzare i potenziali rischi dell’esposizione ai raggi X con la tomografia computerizzata. Al “Galeazzi” sono andati invece 349.689 dollari per “ricerche medico-militari” sulla diffusione delle metastasi. Il Pentagono ha inoltre sovvenzionato con 16.000 dollari il Centro Internazionale di Fisica Teorica (ICTP) “Abdus Salam” di Trieste e pure l’ENEA, l’ente pubblico di ricerca nazionale che opera nei settori dell’energia e delle nuove tecnologie (5.000 dollari). Sovvenzioni sono state effettuate pure a favore di società private (50.000 dollari alle Industrie Bitossi S.p.A. di Vinci, Firenze per una ricerca sulle leghe di alluminio “per applicazioni balistiche” e 10.000 dollari alla EAAT Design e Prototyping di Napoli per la “ricerca applicata Eurocorror 2014”) e ad alcuni ricercatori italiani: 150.020 dollari all’ingegnere aeronautico Sara Cerri di Gattinara, Vercelli (collaborazione al programma co-finanziato dall’Unione europea di sviluppo delle fonti energetiche alle isole Hawaii) e 90.000 dollari all’ingegnere elettronico pugliese Vito Roppo, per uno studio sui semiconduttori negli anni 2010-2016 (nel curriculum vitae del dottor Roppo si fa anche riferimento al coordinamento di “5 progetti per un valore complessivo di 120mila euro” presso il Centro di ricerca d’ingegneria missilistica dell’aviazione di US Army di Huntsville, Alabama, novembre 2007-settembre 2012).
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America ha infine contribuito economicamente ad alcuni progetti di sviluppo di sistemi da guerra sottomarini realizzati dal NATO Centre for Maritime Research & Experimentation, il Centro per la ricerca e la sperimentazione marittima con sede a La Spezia, sotto il controllo dell’agenzia della NATO che si occupa di scienza e nuovi sistemi tecnologici. Complessivamente al centro ligure sono stati erogati 816.840 dollari. Anche in questo caso è presumibile che una parte del denaro sia stato utilizzato per programmi a cui hanno collaborato gli istituti universitari e i centri di ricerca pubblici e privati italiani partner. Presso il Centro Interuniversitario di Ricerca sui Sistemi Integrati per l’Ambiente Marino (ISME), attivato nell’ateneo di Genova, sono operativi infatti i laboratori di Oceanic engineering per la “progettazione e lo sviluppo di robot, veicoli autonomi e droni navali e sottomarini”, in collaborazione con la struttura NATO di La Spezia, le industrie belliche e la Marina militare italiana. Nel marzo 2015, il Polo “Guglielmo Marconi” di La Spezia dell’Università degli Studi di Genova, ha inoltre sottoscritto un accordo di collaborazione con il NATO Centre for Maritime Research & Experimentation per lo “sviluppo di sistemi robotici e ingegneristici e tecnologie di comunicazione sottomarini”. Un master di II livello sull’elettroacustica subacquea è stato attivato invece dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa, sempre in collaborazione con il Centro NATO di La Spezia e alcune importanti aziende del complesso militare industriale nazionale.

Processo terzo livello. Raccomandati con curriculum al centro migranti di Messina

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I
Il fiore all’occhiello dell’ex amministrazione comunale, osannato dai sostenitori e finanche dai più strenui oppositori, compresi xenofobi e lega-razzisti dell’ultima ora. E’ il modello dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) implementato a Messina a colpi di provvedimenti emergenziali di Prefettura e sindaco, quasi tutto in mano all’impresa-cooperativa che ha pure cogestito i centri lager per migranti di Mineo, Pozzallo e, nella città dello Stretto, della famigerata tendopoli dell’Annunziata e dell’ex caserma “Gasparro” di Bisconte. Un sistema caratterizzato dall’assenza di controlli e monitoraggi da parte delle istituzioni che ha consentito in certi periodi agli enti gestori di “ospitare” a Messina più minori stranieri di quelli che erano accolti in regioni come il Friuli o il Veneto, incamerando profitti record e un consenso globale anche grazie al proliferare delle assunzioni di centinaia di operatori super-precari.
E’ bastata un’udienza del processo Terzo livello sul presunto condizionamento illecito della recente vita politico-amministrativa peloritana (tra gli imputati chiave, Emilia Barrile, ex Presidente del consiglio comunale e candidata a sindaco indipendente all’ultima tornata elettorale), a evidenziare certi limiti e le contraddizioni del sistema-business dell’accoglienza. Il merito, nello specifico, va alla scivolosa deposizione come teste dell’indiscusso protagonista del modello MSNA (e anche di quello dei centri per gli adulti richiedenti asilo), l’imprenditore Benedetto Bonaffini detto Benny, responsabile locale del noto gruppo di ristorazione collettiva “Cascina Global Service” di Roma e della coop “Medihospes” di Bari, nonché consigliere della Camera di Commercio ed ex presidente di Confesercenti Messina.
“Io ho un contratto dirigenziale per un’azienda, una cooperativa sociale, si chiama Medihospes e nel 2016 espletavo la stessa attività professionale”, ha esordito il professionista al processo Terzo livello. “Ho conosciuto la signora Emilia Barrile negli anni scorsi, ora non ricordo bene esattamente in quale circostanza. Abbiamo avuto sempre rapporti di amicizia e cordiali negli anni. Nella sua qualità di Presidente del Consiglio, i rapporti li ho avuti perché facendo parte di un’organizzazione datoriale del commercio, spesso capitavano delle convocazioni del consiglio comunale per fatti tecnici e quindi più volte negli anni mi è capitato, sia quando era consigliere comunale e sia quando era Presidente. Capitava che ci sentivamo anche telefonicamente”.
“Nel 2016 ero responsabile del Centro Ahmed, una struttura di prima accoglienza, istituita nel 2014 e finalizzata ad ospitare i minori stranieri non accompagnati che provenivano dagli sbarchi”, ha aggiunto Bonaffini. “Nell’immediatezza di questo arrivo venivano ospitati fin quando poi il sistema dell’accoglienza procedeva a trasferirli o in una seconda accoglienza o viceversa diventavano maggiorenni e quindi entravano in altre strutture. Nell’ambito di questi rapporti con la signora Barrile capitava ciclicamente quando la incontravo, che mi chiedeva informazioni se erano previste assunzioni e così via. In realtà noi in quel periodo abbiamo fatto circa 180 assunzioni e quindi capitava che erano previsti anche degli avvisi da mettere sui giornali e così via, e quindi procedevamo alle stesse. Le assunzioni funzionano così: sostanzialmente queste erano a ondate… Man mano che questo fenomeno emergenziale invece di andarsi a ridurre o stabilizzarsi andava in quegli anni amplificandosi, allora nascevano nuove esigenze di nuove strutture. Chiaramente queste strutture avevano bisogno di autorizzazioni, a volte dei lavori preliminari e così via. Quindi, per esempio, tu stavi lavorando per ristrutturare un determinato immobile in vista magari di un qualche avviso pubblico da parte del Governo, cioè attraverso la Prefettura, e quindi in questa previsione nel frattempo immaginavi che se fossi stati aggiudicatario di questo servizio avresti avuto bisogno di personale. Siccome però quando poi questo accadeva, la necessità di assumere persone era immediata, allora noi ci portavamo avanti pubblicando degli avvisi. Ma, devo dire, che chiunque mi chiedeva, io non avevo comunque problemi ad informalo. Cioè, che ne so, fra qualche mese o fra qualche settimana probabilmente apriremo qualche struttura e quindi avremo bisogno di personale… Che il Centro Ahmed o comunque queste strutture in quel determinato momento potevano o dovevano assumere determinate persone non è che era una notizia riservata o segreta. Voglio dire perché il flusso era quasi una dinamica sotto gli occhi di tutti…”.
Sempre in riferimento al personale preposto alla gestione dei centri di accoglienza, l’avvocato Salvatore Silvestro, legale di Emilia Barrile, ha domandato al teste se altri consiglieri comunali gli avessero mai chiesto di assumere qualche persona. “Ma, guardi, a me non è che mi chiedevano se io potevo assumere qualcuno in particolare…”, ha risposto Bonaffini. “La dinamica qual era? Noi abbiamo il sito dove facciamo le selezioni e le facevamo per tutte le figure, non so, per assistenti sociali, operai, eccetera. Quindi manda i curriculum perché poi quando è ora sarà fatta la selezione. Poi la selezione la facevano i miei colleghi perché in realtà la mia forma mentis era quella là, che preferivo che venivano selezionati dai miei colleghi perché poi sarebbero andati a lavorare con i vari responsabili e io non volevo avere problemi di avere scelto una persona che invece poi si rilevava non idonea. E quindi preferivo che i miei colleghi sceglievano loro le persone, stante ovviamente un curriculum di base che dovevano dare e i requisiti che dovevano essere espletati. Man mano si facevano le selezioni, loro facevano le selezioni e si preparavano. Quando poi partiva veramente il servizio, allora si faceva il punto sui curriculum arrivati, sulle selezioni che erano state fatte e si chiamavano le persone. Nella scelta dell’idoneità dei soggetti da avviare al lavoro, la signora Barrile non ha avuto qualche influenza”.
Avv. Salvatore Silvestro: “Senta, la signora Barrile nell’ambito di queste sue attività, ha in qualche modo mai prospettato la possibilità di favorire nuovi appalti?”
Benedetto Bonaffini: “No”.
Successivamente il teste è stato interrogato dal pubblico ministero, il dottore Fabrizio Monaco.
PM Monaco: “Può specificare questo tipo di interlocuzione che lei ebbe con la signora Barrile, all’epoca Presidente del Consiglio Comunale di Messina, con riguardo in particolare all’assunzione di personale presso questo Centro di accoglienza per migranti?”
Bonaffini: “Sostanzialmente capitava ciclicamente la signora Barrile e mi chiedeva se effettivamente, se c’erano, se erano previste assunzioni nel futuro e io non avevo problemi a informarla di cose che comunque sapevano tutti e rispetto ai quali noi comunque informavamo. Si tenga presente che in realtà a volte avevamo un’esigenza veramente immediata e anche notevole di persone, quindi io avevo anche l’interesse ad allargare il più possibile la voce fra tutte le persone che conoscevo… E mi contattavano, perché più curriculum avevo e più questo mi consentiva di fare una vera e propria selezione”.
PM Monaco: “Nell’ambito di questa interlocuzione, se ho capito bene, lei si rivolgeva a una serie di soggetti e riceveva comunque indicazioni da loro per l’assunzione del personale…”.
Bonaffini: “Sì, io la informavo di questa possibilità che c’era mandando i curriculum e di queste selezioni che erano previste”.
PM Monaco: “Era lei che si rivolgeva alla signora Barrile dicendole dammi dei nominativi quanti più ne hai o era la signora Barrile che si rivolgeva a lei?”
Bonaffini: “Sostanzialmente la Barrile non mi parlava di persone in particolare, mi chiedeva se c’era la possibilità di fare assunzioni. Io la informavo che c’era questa possibilità e di far mandare i curriculum da tutte le persone interessate a un indirizzo che noi avevamo e che poi, nelle successive settimane o a breve, secondo quando queste situazioni si sboccavano, se avessero superato la selezione poi a suo tempo sarebbero state chiamate. A queste selezioni procedevano i miei colleghi, Andrea Minotta e Giuseppe Silvestro, solo questi due. Loro facevano la supervisione della selezione. Poi, se per esempio la selezione riguardava gli assistenti sociali, partecipava l’assistente sociale con più esperienza. Se erano educatori partecipavano l’educatore con più esperienza; se erano mediatori partecipavano gli esperti linguistici e così via. Questo per poi avere una garanzia di qualità, cioè di capacità, di competenza delle persone selezionate. I fondi con cui veniva pagato questo personale erano e sono statali, stanziati dal Ministero dell’Interno. Ci sono due sistemi: un sistema è la prima accoglienza, o meglio c’è un sistema per gli adulti e un sistema per i minori. Il sistema per gli adulti sono convenzioni fatte direttamente con la Prefettura a seguito di avvisi e quindi poi con questi fondi vengono pagate direttamente le ditte che hanno queste convenzioni. Poi invece ci sono i fondi per minori e i progetti cosiddetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Nda), la seconda accoglienza. Questi avvengono attraverso una selezione che fa prima il Comune. Poi chi si aggiudica la selezione presenta, coprogetta con il Comune appunto, un progetto di accoglienza; lo invia al Ministero e se il punteggio consente di accedere al finanziamento allora il Ministero finanzia il 95% del progetto con una compartecipazione del Comune al 5%. Io mi ero reso aggiudicatario anche di uno Sprar con la cooperativa Medihospes. Si tenga presente che la Medihospes ha cambiato nome: prima si chiamava Senis Hospes ma è la stessa cooperativa. Il Centro Ahmed è un’altra cosa. Non è uno Sprar: il Centro Ahmed era una struttura tra il 2014–2015 in convenzione con la Prefettura di Messina. Dal 2015 al 2018, quando poi ha chiuso perché non c’è stata più richiesta di minori, era invece in convenzione con il Comune di Messina”.
PM Monaco: “Senta, lei ha avuto rapporti, contatti con responsabili della Città del Ragazzo?”
Bonaffini: “Io sono andato alla Città del Ragazzo qualche anno fa per svolgere un sopralluogo perché in quel periodo stavamo cercando degli immobili per sviluppare l’accoglienza, che potessero essere adibiti per ospitare migranti. In quel caso non ricordo se erano minori. La Città del Ragazzo è salendo sempre via Tommaso Cannizzaro, superando l’incrocio con viale Italia; dopo circa 500 metri, sulla destra, c’è un grande plesso. E’ nel quartiere di Gravitelli. Sono andato, ho fatto un sopralluogo, ma in realtà poi non ho dato seguito perché la struttura non era idonea dal punto di vista dell’agibilità. Là c’era un responsabile, un signore anziano, tale De Domenico (si tratta di Antonino De Domenico, professore in pensione, NdA). Se non ricordo male, fu la signora Barrile a mettermi in contatto con questo signore. Perché sostanzialmente era un fenomeno tale che non era semplice poterlo sostenere e quindi io gli avevo detto in realtà che stavamo cercando delle strutture e lei mi aveva detto che conosceva delle persone che ne avevano una che poteva essere adeguata. Ho detto: Va bene, se mi metti in contatto, eventualmente ci posso anche fare un sopralluogo”.
PM Monaco: “C’è qualche ragione per la quale il reperimento di un immobile debba passare dall’interlocuzione con un politico?”
Bonaffini: “No, nessuna”.
PM Monaco: “Nessuna. Cioè lei avrebbe potuto rivolgersi, che so, a sue conoscenze, a sui contatti imprenditoriali, agenzie immobiliari, mille altri canali…”.
Bonaffini: “Sì dottore, sostanzialmente sì”.
PM Monaco: “Si rivolse però alla signora Barrile”.
Bonaffini: “No, in realtà non è che mi sono rivolto… Nell’ambito di un dialogo è uscito fuori questo discorso. Io stavo spiegando che in quel momento avevo difficoltà lavorative perché sostanzialmente la struttura dove lavoravo, non aveva più capienza. Quindi in quel periodo c’erano queste difficoltà e…”.
PM Monaco: “Qual era questa struttura?”
Bonaffini: “Casa Ahmed che è in via Sacro Cuore di Gesù. Ha presente la via Felice Bisazza alle spalle del bar Venuti, in via Tommaso Cannizzaro? A destra c’è via San Sebastiano: a salire c’è un Ipab che si chiama Fondazione Scandurra e Conservatori Riuniti. E’ una struttura che noi avevamo affittato nel 2014 da questa proprietà pubblica, da questo Ipab. La necessità di individuare un nuovo immobile era perché in quel periodo, quando c’erano gli sbarchi, era accaduto che c’erano state delle ospitalità addirittura molto discutibili come la Scuola Pascoli, il palazzetto dello Sport di Gravitelli dove pioveva dentro e così via. Quindi tutti i nostri interlocutori, Prefetture e così via, ci chiedevano se potevamo attrezzarci per far fronte a questa ospitalità, però non c’erano immobili perché il problema è l’agibilità”.
PM Monaco: “In quel contesto vi erano anche ospitalità fornite da alberghi?”
Bonaffini: “Ora non ricordo bene in quale anno… Ospitalità negli alberghi sì, a Messina ce ne era una in via Primo Settembre, l’ex Hotel Liberty”.
PM Monaco: “Ci sono evidentemente altri imprenditori, altri soggetti che operano in questo settore… Per esempio ci sono alcuni che ospitano migranti nell’Hotel Liberty. Lei opera nello stesso contesto e ha interesse a reperire degli immobili che siano evidentemente più funzionali, rispetto a una struttura alberghiera, è corretto?”
Bonaffini: “È corretto nel senso che quella alberghiera per sua natura è una struttura perfetta per l’accoglienza perché già ha l’agibilità per accogliere le persone, intrinsecamente. Sostanzialmente anche se tu invece di ospitare i turisti ospiti degli immigrati, dal punto di vista della agibilità, essendo un albergo, tutte le norme ce l’hai già assolte”.
La seconda parte delle domande del Pubblico Ministero sono state riservate all’assunzione da parte della cooperativa Senis Hospes di due operatori che - secondo gli inquirenti di Terzo livello - sarebbero stati caldeggiati proprio da Emilia Barrile: Natale Bertuccio, residente a Gravitelli, feudo elettorale dell’esponente politica, già dipendente della cooperativa Universo e Ambiente e Giacomo Crupi, cugino acquisito della Barrile e per molti anni amministratore unico della stessa cooperativa controllata dalla stessa donna.
PM Monaco: “Senta, le dice nulla il nome di un tale Bertuccio, Bertuccio Davide e Bertuccio Natale?”
Bonaffini: “Noi abbiamo un socio della cooperativa Senis Hospes e lavoratore che si chiama Natale Bertuccio. Tutt’ora è un dipendente della cooperativa. Questa persona è stata individuata attraverso una delle varie selezioni che abbiamo fatto nel tempo. Dopo un anno di lavoro si propone ai lavoratori di diventare soci della cooperativa. La proposta viene fatta ai… E’ una cooperativa sociale quindi poi devono anche dimostrare una vocazione rispetto al sociale. Se la persona dimostra questo tipo di vocazione allora gli viene proposto di diventare socio della cooperativa”.
PM Monaco: “Non vi fu una segnalazione da parte di nessuno perché questo soggetto prestasse lavoro alle dipendenze della cooperativa?”
Bonaffini: “Ma devo dire nell’ambito dei vari curriculum che…”
PM Monaco: “Perché risulterebbero entrambi, comunque i Bertuccio, dipendenti della cooperativa Universo Ambiente. Non ricorda segnalazioni, raccomandazioni con riguardo a questo soggetto?”
Bonaffini: “No, in particolare no”.
PM Monaco: “Senta, che cos’è la Humangest S.p.A.?”
Bonaffini: “Humangest è una società di lavoro interinale. La cooperativa per cui io lavoro, Senis Hospes, ha una convenzione con Humangest. Essa riguarda per il lavoro interinale perché questo tipo di aziende sono solite, a volte per fatti più che altro finanziari, ad utilizzare lavoro interinale per alcuni piccoli periodi”.
PM Monaco: “Senta, Crupi Giacomo sa chi è?”
Bonaffini: “Sì, con noi c’è un socio lavoratore, è Crupi Giacomo”.
PM Monaco: “Per essere assunto, vi sono state segnalazioni da parte di taluno?
Bonaffini: “No, sempre attraverso il sistema delle selezioni di questi curriculum che arrivavano man mano nel tempo. Crupi Giacomo lo ricordo in particolare perché è un ottimo scerbatore”.
PM Monaco: “E cioè, che cosa ha a che fare con i migranti? Perché a che serve uno scerbatore?”
Bonaffini: “Nei centri per migranti ci sono vari ruoli, alcuni sono cosiddetti ruoli professionali. Altri invece sono ruoli che attengono alle manutenzioni, alle cucine e così via e che rientrano nella qualifica di operaio dell’accoglienza. Quindi durante la selezione, quando dal colloquio finalizzato ad essa emerge che hanno delle competenze specifiche e possono essere utili…”.
PM Monaco: “Cioè nel senso che uno scerbatore serve a insegnare ai migranti come si fanno i lavori di scerbatura?”
Bonaffini: “No dottore, serve a fare le scerbature dei centri, perché essi hanno il verde e così via. Questo consente di evitare di rivolgersi a una ditta di fornitura esterna”.
PM Monaco: “Questa circostanza che fosse soggetto in qualche modo riferibile alla cooperativa Universo Ambiente è una circostanza che a lei viene nota oggi?”
Bonaffini: “No, dottore, sinceramente… Non so neanche cos’è l’Universo Ambiente. È la prima volta che la sento nominare”.
PM Monaco: “Immagino che non sapesse neppure che vi erano dei rapporti di parentela con la signora Barrile”.
Bonaffini: “No, assolutamente. Non ero a conoscenza. In venti anni mi è capitato di avere ricevuto segnalazioni, però anche di qualcuno che magari faceva la politica e così via, però il sistema che ho sempre avuto è sempre stato quello attraverso delle selezioni, perché io mi sono formato a livello manageriale negli anno ’90 quando già era entrata in vigore Bassanini, che comunque distingueva tutto l’aspetto politico dall’aspetto burocratico. Quindi non ho mai… ho sempre cercato di… Se c’era anche una qualche richiesta da parte di chi faceva la politica, a prescindere di quale fosse la sua provenienza, ho sempre valutato se fosse un fatto realmente di bisogno oppure no. E se era un fatto di bisogno comunque ho sempre detto di mandare i curriculum attraverso i miei colleghi perché questa era l’unica cosa, era l’unico aspetto che mi dava la possibilità di capire se veramente la persona era idonea”.
Presidente dott.ssa Letteria Silipigni: “In questi casi le venivano fatti dei nomi?”
Bonaffini: “No”.
Presidente Silipigni: “Le sono stati fatti dei nomi, perché se lei dice una questione di bisogni, le venivano prospettate delle persone in particolare o no?”
Bonaffini: “No, mai con nomi, sempre con curriculum mandati e poi selezionati…”.
Presidente Silipigni: “Siccome lei dice: Se mi venivano prospettate dei bisogni, delle esigenze.. Ma le venivano quindi anche indicati dei nomi? C’è Tizio, Caio che ha un problema nella famiglia, è senza lavoro, ha figli piccoli, le venivano anche indicati dei nominativi?”
Bonaffini: “No proprio così. Com’è che funziona? Funziona che una volta che viene comunque indicato che c’è questa possibilità e si manda il curriculum, una volta che…”.
Presidente Silipigni: “Sì, ma lei va alla fase successiva. Vorremmo capire la fase precedente, cioè al momento del contatto con il fantomatico politico che lei, se si ricorda qualche nome, dico giusto per comprendere la concretezza del suo contatto… Lei è molto bravo un po’ a svicolare, io voglio capire”.
Bonaffini: “No, lo faccio per farmi capire Presidente. Se oggi incontro una persona qualsiasi, anche una persona che magari fa politica, le dico qual è la dinamica che ho seguito sempre negli anni”.
Presidente Silipigni: “Ma io non voglio sapere cosa farebbe lei oggi, io voglio sapere cosa ha fatto prima”.
Bonaffini: La risposta era: Mandate i curriculum all’indirizzo quando faremo le assunzioni…”.
Presidente Silipigni: “Però lei non risponde alla domanda sempre. Le venivano indicati i nomi?”
Bonaffini: “No. Si mandano i curriculum direttamente”.
Presidente Silipigni: “Esigenze, diciamo quindi, generiche”.
Bonaffini: “Si mandano i curriculum direttamente. Poi dopodiché al momento della selezione la persona…”.
Presidente Silipigni: “L’ho compreso e questa è un’attività che non svolgeva lei, questo l’abbiamo compreso che non voleva avere lei contatti e quant’altro. Ma nelle interlocuzione con il politico, il politico che cosa le chiedeva? Delle assunzioni?”
Bonaffini: “Sì, può succedere”.
Presidente: “Sì, ma rispetto a X a Y, Tizio, Caio, Sempronio o assunzioni?”
Bonaffini: “No, assunzioni in generale”.
Presidente Silipigni: “Va bene, può andare….”.

Il superdirigente del Comune di Messina: “Quei concerti sono pericolosi e non vanno fatti. Ma fanno cassa…”

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Per gli enormi problemi di sicurezza e per il dispendio di risorse e personale, fosse proprio per me, di concerti come quelli dei Pooh, Jovanotti e Ligabue, a Messina non ne farei mai. Valutazione gravissima, soprattutto perché non proviene da un funzionario qualunque mentre era seduto al bar a sorseggiare un caffè. L’autore, infatti, è il superdirigente tuttofare del Comune di Messina  Salvatore De Francesco, recentemente promosso dal sindaco Cateno De Luca a capo della Polizia municipale e, ad interim, del Dipartimento delle Politiche sociali. Location dell’esternazione, l’aula bunker del Tribunale di Messina, dove il dottore De Francesco è stato chiamato a deporre come teste in occasione dell’ultima udienza del processo Terzo livellosul presunto condizionamento della vita politica e amministrativa della città capoluogo dello Stretto, imputati l’ex Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile e importanti professionisti e imprenditori locali. Oggetto di buona parte delle domande del Pubblico ministero e degli avvocati difensori, la modalità con cui tre anni fa l’amministrazione comunale decise di assegnare lo stadio San Filippo per organizzare il maxi-concerto dei Pooh e se, soprattutto, la signor Emilia Barrile avesse esercitato in quell’occasione un indebito pressing per far gestire i parcheggi agli imprenditori Angelo e Giuseppe Pernicone, anch’essi imputati di Terzo livello e notoriamente grandi elettori dell’on. Francantonio Genovese, al tempo capo indiscusso del Pd peloritano in cui militava la Presidente del consiglio (sui Pernicone e l’on. Genovese gravano pesantissime richieste di condanna al processo Matassa su politica, affari e criminalità e la sentenza è attesa entro la fine dell’anno). Innumerevoli i non ricordo del potente dirigente comunale, apparso in verità stanco e provato. Ma nonostante la prosa colorita e sgrammaticata e - alla fine - una caduta di stile sul pericolo immigrati, Salvatore De Francesco ha evidenziato la totale insostenibilità e i plurimi costi del modello grandi eventi a Messina, ponendo finanche gravi dubbi sulla reale agibilità degli impianti.
“Io attualmente sono dirigente alla Polizia municipale e di altri otto dipartimenti, evito, nonché la Protezione civile, Politiche culturali, Servizi al cittadino, Pubblica istruzione, ecc.; sono totalmente distrutto, non ce la faccio proprio più”, ha esordito il dirigente Salvatore De Francesco in udienza. “Nel maggio del 2016 ero alle Politiche culturali ed educative. Non mi ricordo se allora sostituivo il dottore Giardina al Commercio, al dipartimento Servizio alle imprese, perché l’attuale Sindaco avrebbe detto che faccio il jolly, anche in quel periodo l’amministrazione mi metteva in sostituzione in altri dipartimenti. Non me lo ricordo, potrebbe essere, come potrebbe essere anche che avevo il Servizio al personale. Dovrei verificare le varie ordinanze di assegnazioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato la mia carriera. Ricordo comunque che in quel periodo si stava organizzando un concerto presso lo stadio San Filippo. Probabilmente erano i Pooh, ma negli anni, compreso l’ultimo evento che c’è stato ora, ci sono stati anche Ligabue, Jovanotti, ci sono stati vari concerti. Con un provvedimento di Giunta, attraverso rapporti che prendeva l’amministrazione con i vari organizzatori, venivano organizzati degli avvenimenti allo stadio Scoglio-San Filippo”.
“Io mi limito solo a predisporre la proposta di Giunta, che viene adottata dall’amministrazione, dove si dà mandato agli organizzatori di tutte le attività, nonché le responsabilità, perché nella realizzazione di questi concerti la cosa più importante è la responsabilità nella sua realizzazione e per fortuna in questi anni non è mai successo niente”, ha aggiunto il dottore De Francesco. “Quindi, io mi limito a fare gli atti e poi a presenziare le varie commissioni prefettizie, per le autorizzazioni di rito. Io faccio il provvedimento di assegnazione all’organizzatore dell’evento che si occuperà proprio per motivi di sicurezza, di organizzazione all’interno, compresi i parcheggi; attraverso le riunioni, sia del GOS, il Gruppo Operativo di Sicurezza, dove io faccio pure parte e componente, che nella Commissione prefettizia, devono essere garantiti il numero dei componenti dei parcheggi, delle assegnazioni interne, perché deve essere tutto sotto controllo. Ma non sono provvedimenti che faccio io. Io faccio la proposta alla Giunta e poi sarà essa che sceglierà chi opererà; io non ho rapporti con questi soggetti, di nessun genere, io solo con chi organizza l’evento. E non ce l’ho io, perché se fossi io, le assicuro che eventi al San Filippo, come in altre strutture, non ne farei, perché i problemi sono enormi: di sicurezza, di personale, di Forze dell’Ordine. Proprio perché faccio parte del GOS e l’ultimo concerto l’ho vissuto anche come componente della Polizia municipale, glielo giuro che è un dispiego di forze enormi. Sia di personale della Polizia municipale, sia di personale della Questura e di altre Forze dell’Ordine. Quindi io non ne farei mai, proprio. Però, giustamente, io parlo da dirigente, da funzionario; l’amministrazione deve dare l’evento alla città. Quindi, nella città arrivano i Pooh; quest’anno c’è stato Ligabue, due eventi abbiamo, Antonacci con la Pausini. Ligabue è stato un flop, purtroppo. Mentre l’Antonacci e l’Amoroso ha fatto il boom. È chiaro che l’amministrazione, sia le passate, sia l’attuale, sia quelle future, hanno soltanto l’interesse a far venire, per la città, eventi del genere, come fanno tutte le città”.
“Per il concerto dei Pooh, l’organizzazione era La Ferlita di Catania, ma tutti da Catania vengono quelli che organizzano gli eventi. Poi loro si avvalgono di persone di Messina, ma che io non ho a che fare. Quelli che organizzano, quindi uno dei tre, negli ultimi eventi sono stati, io non mi ricordo i nomi delle società, però chiaramente visivamente li so: Costa, La Ferlita e nel passato la Di Sarda. Però la Di Sarda ora eventi non ne ha fatto più perché poi si è istaurato un contenzioso col Comune per un mancato pagamento che lui si opponeva di dare e quindi non abbiamo poi più avviato il procedimento. In occasione del concerto dei Pooh, per ciò che riguarda l’assegnazione della gestione del parcheggio io mi ricordo che c’è stato un passaggio proprio col Presidente del Consiglio (Emilia Barrile, NdA) che allora mi chiamò per sapere, e poi mi ricordo che poi mi mandò delle persone. Sono saliti, sono venuti nel mio ufficio, però io avevo una riunione e mi ricordo che li ho visti e gli dissi: Guardi, io non c’entro niente, è inutile che venite da me. Ma non mi ricordo i soggetti e chi erano. Io sono uno di quei dirigenti che non ha segreteria, nonostante tutti i dipartimenti. Chi mi conosce lo sa. La mia porta è aperta a tutti, io ci ho una stanza al quinto piano del Palacultura, aperto, chi vuole entrare, io dico sempre: Chi vuole mandare, mandi, io posso dare informazioni di atti (…) Ricordo comunque che la signora Barrile mi telefonò, mi pare che fu una telefonata, mi chiese notizie e informazioni, se era sta aggiudicata. Io gli ho detto: Guardi, è inutile parlare con me, io ho fatto una proposta, deve andare in Giunta. Non mi ricordo se la delibera era stata già adottata o doveva essere adottata. Infatti mi sembra, che io dissi: Guardi, non so ancora se il provvedimento è adottato, perché l’amministrazione potrebbe pure decidere all’ultimo momento che non l’adotta la proposta e quindi non l’assegna”.
“Poi la Barrile non mi chiamò più, non abbiamo più avuto modo di parlarne, perché non ci erano più motivi, in quanto non ero io che dovevo rilasciare i provvedimenti”. ha specificato Salvatore De Francesco. “Io certo non è che ricordo tutti i passaggi in questo momento, dovrei rileggerli, ma gli atti parlano. Io non ho scritto niente, né avevo competenze e lo dissi. Né mi ricordo che lei manifestò un interesse articolato, io, no. Mi ricordo solo che mi disse che mi volevano parlare, ma io gli dissi che poi sarà l’amministrazione a stabilire l’organizzazione dell’evento, ma non i parcheggi. Quello non c’entra, perché gli organizzatori dell’evento possono prendere chi vogliono loro nella realizzazione dell’attività del concerto”.
Al dirigente comunale, l’avvocato Salvatore Silvestro, difensore di Emilia Barrile, ha chiesto allora se la propria assistita gli avesse mai chiesto di intercedere con l’organizzatore per fare assegnare le aree del San Filippo destinate a parcheggi. “No, non ricordo questo”, ha risposto De Francesco.
Avv. Silvestro: “No, dico, non lo ricorda o lo esclude?”
De Francesco: “Se l’avrà chiesto io non lo ricordo, ma se me lo avesse chiesto io gli avrei detto: Non sono io a doverlo dire, eventualmente sono altri a doverne parlare, ma non io. Cioè, se c’è un’intercessione per un problema amministrativo, concreto, di personale, di assunzione di personale, perché sono problemi quotidiani. Io mi ricordo che occupandomi di Pubblica istruzione, Emilia Barrile mi mandò in tutti i vari anni non so quanti genitori, bambini di scuole, che avevano problemi, proprio per problemi attinenti alle scuole. Io non entro nel merito, non è il mio ruolo. Il mio ruolo è quello amministrativo, io faccio un provvedimento, poi io non me ne occupo più, non sta a me l’intercedere, parlare con terzi”.
Avv. Silvestro: “Questa richiesta di informazioni che le ha avanzato la signora Barrile, o questa richiesta di incontro con queste persone, lei la interpretò come un qualcosa di assolutamente consuetudinario per tutti i consiglieri o era una cosa che ha fatto soltanto lei?”
De Francesco: “Ho fatto una premessa: allora, io sono libero, il mio telefono è aperto a tutti… Io forse ho il difetto di rispondere sempre a tutti, io avrò mille telefonate con Emilia Barrile, così come avrò mille telefonate con consiglieri comunali, consiglieri di quartiere, presidi di scuole, singoli cittadini, perché io ho un mio numero di telefono che non è di servizio, ho un mio telefono personale che do a tutti. E si pensi ora con otto dipartimenti quello che vuol dire per me. Almeno oggi, in questa giornata, ho evitato di rispondere al telefono. Io do il mio telefono a tutti, quindi tutti mi telefonano. Mi hanno telefonato consiglieri, assessori… Mi telefonavano nel passato, chiedendomi sempre notizie di procedure, di pratiche, di situazioni di scuole. Quindi per me non è una novità o una cosa nuova, lo fanno tutti, così come mi telefonano i singoli cittadini per problemi. Perché, ripeto, io svolgo attività che riguardano soprattutto il servizio alla persona e quindi che riguardano le attività delle scuole, degli impianti sportivi e quindi mi chiamano tutti. Non solo: caratterialmente io credo molto nei rapporti personali. Quindi, uso proprio una confidenza, io generalmente do il tu a tutti, chiamo amore mio, chiamo gioia mia, perché sono fatto così. Probabilmente ormai a 60 anni difficilmente potrò cambiare. E siccome ormai tutti mi conoscono sanno che io sono fatto così”.
Avv. Silvestro: “Senta dottore: lei ha mai ricevuto dalla signora Barrile richieste che esulassero la semplice richiesta di informazione, o la semplice richiesta di incontri con persone che avevano necessità di relazionarsi con lei?”
De Francesco: “No, sono sempre state formulate richieste per attività in generale. Mi ricordo anche alcuni episodi relativi agli impianti sportivi, che lei mi telefonò, posso elencarli. Lei mi poneva anche problemi amministrativi, per esempio, sugli impianti sportivi. Noi non abbiamo mai avuto un regolamento, quindi veniva adottato un atto della Giunta che disciplinava i turni e gli utilizzi, che firmavo io. Dato che non c’è regolamento, per non lasciare nessuna discrezionalità, allora si adottò un atto che stabiliva dei turni, delle applicazioni che io facevo adottare all’amministrazione. Lei più di una volta mi sosteneva che doveva esserci un atto del consiglio comunale e io ho sempre detto: Sicuramente sì, ma fino a quando non ci sarà un regolamento del consiglio, io mi atterrò a quelle che sono le disposizioni dell’atto di indirizzo della Giunta. E con questo io lo facevo applicare attraverso le varie disposizioni. Quindi i motivi sono tanti e in questi anni mi chiamava per tanti motivi, nel ruolo di Presidente del Consiglio”.
Avv. Silvestro: “Concentriamoci sempre sull’organizzazione di questo evento. Lei ricorda se con la signora Barrile vi siete dati appuntamento in un bar?”
De Francesco: “Lei una volta mi chiamò dicendomi… Però più di una volta mi diceva: Ci vediamo al bar, perché io rapporti al di fuori con la Barrile non ne avevo, sempre nell’ufficio. Sì, mi pare che una volta mi chiamò, mi disse: Ci vediamo al bar, ma non mi ricordo l’oggetto, la situazione. Poi molte volte ci parlavamo per vari problemi che riguardavano eventuali interrogazioni, atti. Ma non è che io mi posso ricordare gli episodi dopo tanto tempo e con tutto. Certo che mi chiamava, mi diceva: Ci vediamo al bar. Ma stiamo parlando di un organo istituzionale”.
Avv. Silvestro: “Risulta di un appuntamento che vi siete dati il 4 maggio del 2016 al Bar Torino a Messina”.
De Francesco: “Sì, mi pare che mi chiamò allora, ma non mi ricordo l’oggetto qual’era”.
Avv. Silvestro: “Dalla conversazione emerge che vi dovevate incontrare perché dovevate parlare di una cosa importante”.
De Francesco: “No, non mi ricordo”.
Avv. Silvestro: “Può essere che dovevate parlare dello stadio?”
De Francesco: “Può essere che c’era qualche problema, voleva sapere di assegnazione dello stadio, ma non me lo ricordo. Molte volte è capitato, quindi non è che me lo posso ricordare”.
Avv. Silvestro: “Lei conosce Pernicone Angelo?”
De Francesco: “Io lo conosco perché è venuto quel giorno che io gli dissi: Guardi, io non ho niente a che vedere. Poi l’ho visto nel giornale e ho capito chi era, ma non lo conoscevo prima. Cioè, io so che poi era venuto quel giorno, era quel signor Pernicone, ma io non è che ho rapporti. Infatti io allora gli dissi: Con me non devi dire niente, io non c’entro niente, ma io non sapevo chi fosse. L’ho saputo successivamente chi era il soggetto. E quindi dissi proprio che con me non aveva nessun tipo di rapporto perché io non dovevo dare nessuna assegnazione. Con Pernicone Angelo mi sono incontrato solo quella volta, mi pare, quella volta là che mi è stato chiamato. Mi pare che era lui, non sono sicuro, ma credo che sia stato lui”.
Avv. Silvestro: “Ricorda se in quella circostanza, lei ebbe a conferire telefonicamente anche con la signora Barrile?”
De Francesco: “No”.
Avv. Silvestro: “Guardi, noi abbiamo una conversazione intercettata il 10 maggio del 2016. La Barrile la chiama per comunicargli che ci sono quelli di Catania. Lei risponde che le persone sono già da lui, e secondo quelle che sono le interpretazioni che offre l’autorità di Polizia Giudiziaria, gli passa la telefonata, gli passa il telefono con una persona che è lì con lei”.
De Francesco: “Non me lo ricordo se c’era qualcuno”.
Avv. Silvestro: “E secondo quello che scrivono gli investigatori dovrebbe identificarsi in Pernicone Angelo”.
De Francesco: “Non me lo ricordo, probabilmente sì, ma io gli dissi che non me lo ricordo se c’era questo episodio, io non me lo ricordo. Io non sapevo chi fossero. Dopo, successivamente, ho capito chi erano i soggetti. Ma io non avevo rapporti, né dovevo fare procedimenti con loro”.
Avv. Silvestro: “Ricorda se a distanza di circa 20 minuti lei richiama la Barrile?”
De Francesco: “Non me lo ricordo”.
Avv. Silvestro: “Abbiamo anche questa conversazione”.
De Francesco: “Eh, può darsi”.
Avv. Silvestro: “È lei che chiama la Barrile: Gioia, ascoltami, dove sei? La Barrile: Io, 10 minuti e sono da te. Lei: No, non vale la pena, stanno venendo loro perché io gli ho detto tutta la situazione e quello che devono fare”.
De Francesco: “Che io non ci entravo niente, sì”.
Avv. Silvestro: “Lei aggiunge: Loro già le sanno, hanno bisogno di te, ma più lì che qui, quindi stanno venendo da te. E dove stanno venendo, tu dove sei? Barrile: Io sono all’Urbanistica, ora vado al Comune, in caso gli dici di vederci davanti al Comune”.
De Francesco: “Dove io ho detto che io non dovevo fare nessun atto. Che siccome me lo chiedevano, io ho detto: Io non devo fare provvedimenti, non devo fare assegnazioni, non sono io, dovete vedervela con gli organizzatori se vi vogliono prendere, ma non io”.
Avv. Silvestro: “Dottore le chiedo scusa, con quale modalità il signor Pernicone Angelo le veicolò questa richiesta? Lei sta dicendo: è venuto e mi ha chiesto se gli potevamo assegnare, ma con quale modalità? Era, intanto, un affidamento…”.
De Francesco: “Io non me lo ricordo preciso il passaggio. Io non faccio provvedimenti di affidamenti per parcheggi, per posteggi. Io ho fatto solo una proposta di delibera. Dovevano loro, se li voleva, gli organizzatori degli eventi potevano… Non dovevano parlare con me e dovevano vedere se gli organizzatori, non mi ricordo se era La Ferlito o altri, avevano intenzione di prendere gente per fare i parcheggi, o non l’avevano. Se la dovevano vedere con loro, ma non con provvedimenti miei, perché io non ne faccio di questi provvedimenti”.
Avv. Silvestro: “Le faccio la domanda diretta. Pernicone le ha detto: Guarda, sono qui perché mi manda Emilia, mi devi dare i parcheggi?”
De Francesco: “No, assolutamente, mi ha chiesto notizia, informazioni dei parcheggi. E io allora risposi: La realizzazione dell’evento è la Giunta che realizza, e ho spiegato anche le motivazioni. Tutto quello che è il contorno dell’evento, quindi il bar, cose, parcheggi, sono scelte che fa l’organizzatore, quindi con me era inutile. Io, lo ripeto, la mia porta è aperta a tutti, parlo con tutti. Io non so prima; dopo, è chiaro che se io poi so che un soggetto è un tipo di soggetto, io certo non lo faccio più entrare nella mia stanza. Dopo questo momento, io con l’organizzatore mi sono confrontato, ma non per i parcheggi, per altri motivi che sono della sicurezza, in quanto componente della commissione prefettizia e quindi per interventi, lavori, per tutto quello che si deve fare per la realizzazione dell’evento, ma non per questo”.
Avv. Silvestro: “Le faccio un’altra domanda diretta: ha mai la signora Barrile abusato della sua funzione, della sua posizione per chiedere o per ottenere, con lei?”
De Francesco: “Mai, no… Io devo dire che ho passato vari momenti della mia carriera, compresa l’ultima, proprio con la lealtà amministrativa, istituzionale… La Barrile, tutte le volte… Io mi ricordo l’esempio di un lido, c’era un lido che lei mi chiamò più volte e io le dissi: Guarda, questa è un’area demaniale, non si può fare. In quel periodo che ero al Commercio avevo fatto la revoca dell’autorizzazione proprio perché non era a norma, e quindi poi sono andati al TAR e abbiamo vinto pure la sentenza al TAR, e non disse mai niente, né mi forzò. Per esempio per il lido che era a Punto Faro, lei sosteneva che il demanio gli avesse concesso l’autorizzazione. Invece dagli atti da me avuti non era così. Infatti ho fatto la revoca, poi siamo andati al TAR, ma lei poi stessa non mi disse più niente, ma chiaramente poi non l’ho più seguita io. Io ho seguito tutta la fase della chiusura fino alla revoca, poi subentrò il mio collega Giardina, ma già là finì il rapporto. Ma così come per altri eventi, io non ho mai avuto pressione. Anzi, quando poi, come sempre, per gli impianti che lei mi poneva il problema dell’atto di Giunta, perché c’erano delle società che non potevano giocare il calcetto, addirittura in un episodio c’era pure sua figlia che giocava in una squadra di pallamano e mi manifestò il disagio che avevano questi ragazzi che giocavano là, io gli dissi: Io ho fatto un atto di Giunta, l’atto di indirizzo è questo… O tu fai, tu Consiglio Comunale, in quanto rappresentante del civico consenso, un provvedimento di regolamento… Cosa che siamo riusciti ad ottenere ora, per fortuna, con l’ultima amministrazione e quindi riusciamo a disciplinare meglio. E anche attraverso il SalvaMessina, l’esternalizzazione degli impianti, io gli dissi: Oppure io applico e riferisco al mio assessore allo Sport, cosa che io ho sempre fatto. Dove io gliele comunicavo: Guarda che sono arrivate le lamentele delle società, anche del Presidente del Consiglio, addirittura una nota del Presidente della commissione consigliare sport, che mi evidenziava le difficoltà di alcune squadre e li portavo, ma sempre come azione di informazione, di atti amministrativi. E io poi dicevo: Tu sei il Presidente del Consiglio, tu sei…, ma nello scambio reciproco di collaborazione tra un dirigente e un organo amministrativo. Usa tu la l’interrogazione, usa l’atto amministrativo che ti consente di potere intervenire sul provvedimento. Ritengo anche che avevamo un rapporto, proprio, lavorativo, di scambi di idee, perché, ripeto, gioia e amore io lo dico a tutto il mondo intero e chi mi conosce lo sa bene. Perché io avevo a che fare con la seconda carica istituzionale del Comune di Messina, il Sindaco e il Presidente del Consiglio, in quanto eletti direttamente dal popolo. Quindi il rapporto mio istituzionale è di massima lealtà, era così con lei, così come con tutti gli altri amministratori. Non ho mai avuto pressioni da nessuno in genere”.
Avv. Silvestro: “Qualcuno ebbe mai a rappresentarle di comportamenti, chiamiamoli invasivi o posti in essere dalla signora Barrile?”
De Francesco: “Assolutamente no”.
Avv. Silvestro: “O richieste extra legge o contro legge?”
De Francesco: “No. Io con i miei colleghi ho sempre avuto un buonissimo rapporto di scambi di idee, da Giovanni Bruno, ad altri… In quel periodo il dottore Bruno era vicesegretario e quindi lavorava come attività con la Presidente del Consiglio. Così come altri, mai parlato di pressioni o di altro del Presidente del Consiglio. Non mi risulta totalmente, da parte dei miei colleghi”.
E’ stato poi il Pubblico ministero Fabrizio Monaco a condurre il controesame di Salvatore De Francesco.
PM Monaco: “A noi risulta che in effetti è proprio lo stesso 10 maggio 2016, la data di questa conversazione, che il dipartimento Politiche culturali e ricreative da lei diretto, istruisce e propone la pratica alla Giunta, che l’approva nello stesso giorno”.
De Francesco: “Ma io la proposta l’ho mandata, l’ho proposta, perché mi è stata chiesta dalla Giunta, dall’amministrazione. Come c’erano i tempi dell’organizzazione e la dovevano adottare… Eravamo in ritardo e mi erano stato chiesto, che la loro proposta quando veniva adottata. E allora io l’ho istruita perché il concerto era dopo un mese, mi pare. E quindi l’ho mandata (…) Poi la Giunta adotta il provvedimento. In occasione di quel colloquio mi chiedevano notizie del provvedimento, poi se l’assegnazione dei parcheggi, del bar, mi si chiedeva notizie su tutto… Io ora mi ricordo che proprio era La Ferlita che sollecitava il provvedimento, perché ancora non aveva i tempi, aveva paura che non riusciva a fare la commissione prefettizia. Perché l’organizzazione di un concerto comporta una serie di lavori nello stadio, proprio per motivi di sicurezza, che ti portano a fare le commissioni prefettizie. Io ho predisposto la proposta, l’ho mandata in Giunta, nonostante vari solleciti, perché poi alla fine l’ho fatta all’ultimo periodo”.
PM Monaco: “Chi gliele sollecitò?”
De Francesco: “Proprio La Ferlita, non è che io mi ricordo”.
PM Monaco: “Solo in quella occasione o anche in precedenza lei aveva avuto incontri con questo signore?”
De Francesco: “No, io questo non me lo ricordo”.
PM Monaco: “Quindi una volta questo signore viene da lei?”
De Francesco: “Ma anche poi, mi pare, dall’amministrazione. Perché poi i tempi erano già ridotti. Quindi io non è che mi ricordo tutti i passaggi. La Giunta poi affida all’organizzazione degli eventi, da quel momento per me diventa solo un problema di commissione prefettizia, affinché la struttura sia messa a norma”.
PM Monaco: “Perché Angelo Pernicone partecipa pure a questo incontro?”
De Francesco: “Non lo so. E allora, Angelo Pernicone perché, se è Angelo, io non lo so. C’erano due persone, io poi ho visto dopo chi fosse la persona e il cognome. Perché questo io non glielo so dire”.
PM Monaco: “Lei ricorda come fu formalizzata la concessione relativa alla gestione dei parcheggi per questo concerto?”
De Francesco: “No, non me lo ricordo. Assolutamente”.
PM Monaco: “Chi decide a chi affidare la gestione dei parcheggi?”
De Francesco: “Non io”.
PM Monaco: “E sa perché a distanza di qualche settimana, poco prima dello svolgimento del concerto, la Giunta, su proposta che ha istruito lei come dirigente di questo dipartimento, ha autorizzato la società della La Ferlita a gestire i parcheggi?”
De Francesco: “Esatto, certo”.
PM Monaco: “Quindi, scusi, l’autorizza lei La Ferlita a gestire i parcheggi?”
De Francesco: “Ma la società…”.
PM Monaco: “Siccome aveva detto che non aveva autorizzato nulla…”.
De Francesco: “Io do alla società. Facciamo questo provvedimento perché nel passato questa gestione dei parcheggi avveniva addirittura gratuitamente. Da quando ci sono io, noi che facciamo? La diamo sempre alla società, ma prevediamo intanto che loro si assumano tutte le responsabilità, perché se succede un incidente risponde la società e no così il Comune di Messina. E per fortuna, in tutti gli eventi che ci sono stati noi siamo sempre stati sollevati da tutte le responsabilità. Sia nei parcheggi, sia fuori. Io non do, come posso spiegare, la sub-concessione, io do l’organizzazione, l’amministrazione, io faccio la proposta. Perché poi è l’amministrazione che mi dice: Fai questo provvedimento. Così come per i parcheggi si è fatta la proposta che sia data alla società. Poi decide lei di chi vuole prendere, se la gestiscono in maniera autonoma, se prendono un terzo. Comunque le devono presidiare perché poi in sede di commissione prefettizia, uno degli elementi fondamentali è il controllo, proprio per evitare incidenti, soprattutto quando ci sono eventi con oltre quarantamila persone. Cioè, a me dirigente, faccio l’atto che mi interessa per la tutela delle persone, per la gestione del servizio. Questo è un atto cui io posso fare perché è una gestione a pagamento per il Comune, quindi posso fare l’affidamento a quelle società. Infatti noi ogni anno rivediamo tutte le società che fanno richiesta, le articoliamo sul calendario, le assegniamo…”.
PM Monaco: “Comprese che questo Angelo (Pernicone, NdA) avrebbe gestito i parcheggi con La Ferlita?”
De Francesco: “Dopo, io, no. Io non è che ho appreso, ho capito, io addirittura pensavo che erano insieme, che organizzavano insieme. Ma io poi ho capito chi erano le persone. M a me non mi interessa, perché io non ho rapporto con lui, con La Ferlita. Cioè, l’amministrazione ha rapporto”.
PM Monaco: “Sì, La Ferlita che viene accompagnato da un uomo con il quale lei parla al telefono della Barrile”.
De Francesco: “Ma a me non mi interessa chi viene e chi non viene. Io non mi metto a guardare. Io nella mia stanza ho un miliardo di persone che entrano, perché io sono un impiegato del Comune col ruolo di dirigente, che devo dare dei servizi dove do sempre la disponibilità di aiutare a tutti”.
PM Monaco: “Sa per cosa era stato arrestato Pernicone?”
De Francesco: “Ma io non ho rapporti con lui, io avevo rapporti con La Ferlita. E né io chiedo i rapporti che ha lui, a me interessa che La Ferlita mi gestisca la struttura, mi paghi le quote che sono previste, faccia i lavori di sistemazione dello stadio e soprattutto si assume tutte le responsabilità penali e civili sull’utilizzo del San Filippo. Questo è il mio ruolo”.
PM Monaco: “Nel corso di una delle conversazioni a cui si è fatto riferimento, questo Angelo che parla al telefono con la Barrile, tramite il suo telefono, dice: Con De Francesco si conoscono da 40 anni”.
De Francesco: “Io non ho ricordi. Mi ricordo che questo mi chiamava, ho detto: Guardi, gliela passo la Barrile, le faccio vedere che qua non deve parlare niente con me, ma se ne deve andare via. Mi ricordo questo passaggio”.
PM Monaco: “Sì, dice:Si conoscono da 40 anni. Non vi conoscevate da 40 anni?”
De Francesco: “No, io, guardi, visivamente sì, ma non è che ho mai avuto rapporti di atti, di gestioni o di cose, assolutamente. L’avevo visto altre volte la persona, non mi ricordo, forse allo stadio, perché io sono componente del GOS, quindi avevo una visione della persona, che conoscevo. Ma non è che avevo mai avuto dei rapporti o di altro, no, assolutamente (…) Io più di aver fatto la proposta, non dovevo fare altro. Perché se io faccio dei rapporti come Pubblica amministrazione, chiedo le referenziale, il DURC, il casello giudiziario, perché sono obbligato a fare. Io i rapporti ce li ho soltanto con la società che organizza gli eventi”.
PM Monaco: “Scusi, quando lei dice alla signora Barrile: Hanno bisogno di te, ma più lì che qui, che significa?”
De Francesco: “Da te per vedere se l’atto viene adottato, quindi chiedere informazione attraverso il protocollo al servizio degli affari di Giunta, perché c’è tutta la predisposizione degli atti, e vedere se l’atto viene affidato. Da me non dovevano fare niente, né io potevo fare qualcosa, né avevo intenzione di fare niente…”.
Prima di lasciare l’aula bunker, il dirigente Salvatore De Francesco è sottoposto al controesame dell’avvocato Billè, legale di Angelo e Giuseppe Pernicone.
Avv. Billè: “Torniamo alla questione della concessione dello stadio per il concerto dei Pooh. Lei ricorda quanto tempo prima La Ferlita, quindi Musica e Suoni, che era la società che La Ferlita rappresentava, aveva chiesto la disponibilità dello stadio San Filippo?”
De Francesco: “No, io le date non me le ricordo”.
Avv. Billè: “È stata acquisita agli atti una nota con la richiesta che è protocollata, novembre 2015, ma la richiesta è datata 30 ottobre 2015. Ora io le chiedo, era un fatto normale, atteso che il concerto era previsto per il 18 giugno, che ancora alla data del 10 maggio la Giunta non avesse…”.
De Francesco: “Ma è normalissimo. Noi ora l’abbiamo fatti un mese prima, perché poi l’amministrazione questi atti li adotta all’ultimo momento. Quindi a me non mi viene l’indicazione poi di predisporlo, perché poi, alla fine, me lo si deve dire. Perché la Giunta decide di fare l’evento, se non mi si dice, io non predispongo”.
Avv. Billé: “Ma il La Ferlita lamentava che questa vicinanza dell’evento fosse un problema?”
De Francesco: “Sì, di tempi, di sicurezza e di realizzazione dell’evento. Questo passaggio me lo ricordo, un po’ come è successo anche quest’anno per questi altri eventi. Perché poi alla fine, quando si mette in moto la macchina organizzativa di concerti, prevede una serie di passaggi… La commissione prefettizia, la messa a norma, perché la struttura poi non è a norma per quarantamila spettatori, essa è a norma per duemila spettatori, quelle da piccole partite. E quindi abbiamo una parte della struttura dello stadio che rimane chiusa…”.
Avv. Billè: “Questo, una volta che la Giunta delibera, grava sull’imprenditore, cioè, su quello che organizza l’evento?”
De Francesco: “Tutto lui, sì”.
Avv. Billé: “Quindi, quello ha l’interesse che la concessione se deve essere data, venga fatta il prima possibile…”.
De Francesco: “Certo, perché deve fare i lavori, perché se no gli salta il concerto e perde i soldi. Perché l’artista lo deve pagare e gli artisti li pagano prima. Perché un Ligabue, dico Ligabue, anche se ora ha dato più scarsa fortuna, ma un Biagio Antonacci e un Amoroso, loro un anno prima fanno i contratti e li paghi. Quindi questo rischio grava solo sull’imprenditore, non grava certamente sul Comune”.
Avv. Billè: “Nella specie, risulta che la concessione dello stadio e quella dei parcheggi furono fatte con due delibere distinte e separate, per altro distanti nel tempo di un mese, perché mentre è vero quello che la delibera che ha concesso lo stadio fosse del 10 maggio, quella dei parcheggi risulta essere del 14 giugno. Il concerto era soltanto il 18. Come mai questa discrasia?”
De Francesco: “Capita, perché prima ci sono alcuni atti dove si dà interamente tutto. Poi per i parcheggi, certe volte, si cerca di capire se ci sia disponibilità, che ne so, della società che ti propone una percentuale maggiore. Quindi acquisire maggiori risorse. Perché come ente abbiamo una percentuale economica maggiore. Io non me lo ricordo a quanto è stato dato questo”.
Avv. Billè: “Al 15%. Avete anche, con la delibera, stabilito le tariffe, addirittura”.
De Francesco: “Cambia, quindi alla fine l’amministrazione, l’assessore, va a fare proprio una concertazione con gli organizzatori, cercando di acquisire il maggiore aspetto economico che va al Comune”.
Avv. Billè: “Poi invece dopo la concessione dei parcheggi fu data in un tempo successivo…”.
De Francesco: “Successivo, perché probabilmente non vi era ancora l’accordo su quale percentuale, come dargliela. E quindi poi ci sono alcuni casi che arriva già la richiesta. Ti dicono: ti facciamo i parcheggi al 15%, 20%, in alcuni casi no. A questo punto noi si fa due atti, ma non cambia il contenuto. Tu gli dai prima la gestione, proprio per convocare in Prefettura la commissione e avviare dei procedimenti e fare i lavori vogliono la delibera, la concessione. Se no non gliene possono fare. E poi si fa, se non ci sono i tempi, quelli del parcheggio”.
Avv. Billè: “E fui dato allo stesso La Ferlita, anche in quel caso?”
De Francesco: “Ma per forza, lo ripeto, noi si dà agli organizzatori in tutti i provvedimenti. Perché quando si fa il tavolo del GOS, gli organizzatori a chi hanno dentro deve essere gente di sicurezza. Cioè, il rapporto deve essere diretto tra l’organizzazione e tutti quelli… Perché poi se succede un attentato, se succede quello perché c’era lo Srilankese, un modo di dire, perché c’era quello, chi l’ha fatto entrare all’interno dello stadio? Quindi deve essere una cosa totalmente fatta dagli organizzatori, ma soprattutto perché se ne assumono la responsabilità e soprattutto per i motivi di sicurezza. Perché quando si ha a che fare con quarantamila spettatori non si scherza. E io devo dire grazie a Dio in questi anni che sono stato alla gestione del dipartimento, problemi di questa natura, per fortuna non ce ne sono stati. Quelli sì che mi fanno piangere”.

Soldi, cartelli d’imprese, minacce. Ecco a voi il Casino Amam Acque Messina

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Un cartello d’imprese amiche capace di spartirsi commesse e affidamenti di opere e servizi e di scambiarsi addetti, mezzi meccanici e favori. Promesse di dazioni di denaro per accelerare il disbrigo di pratiche e pagamenti. Intimidazioni e minacce di ritorsioni politiche contro i funzionari non più disposti a ripetere sempre signorsì. E’ la descrizione di ciò che accadeva all’interno dell’Amam -- Azienda Meridionale Acque Messina che l’ex presidente del consiglio d’amministrazione Leonardo Termini ha fatto ai giudici nel corso dell’ultima udienza del processo Terzo livello che lo vede imputato accanto all’ex presidente del consiglio comunale Emilia Barrile e ad altri più o meno noti professionisti e imprenditori messinesi. Una deposizione autodifensiva, forse tardiva, che si è tramutata in un grave atto d’accusa contro il sistema consociativo che ha retto per decenni la vita amministrativa delle maggiori società partecipate del Comune di Messina e che la parentesi dell’amministrazione del cambiamentoche aveva promosso il commercialista Termini alla guida di Amam non è stato in grado di scalfire.
“Io sono stato nominato presidente dell’Amam il 15 maggio 2015 e sono rimasto in azienda sino all’aprile 2018; in quel momento l’amministrazione comunale era del sindaco Renato Accorinti”, ha esordito Leonardo Termini nel corso dell’esame condotto dal proprio legale, l’avvocato Fabio Repici. “In epoca precedente alla mia nomina all’Amam ero stato nominato esperto del sindaco per le società partecipate, per la verifica dei bilanci e quindi per vedere la bontà degli stessi nell’ambito poi del bilancio comunale in genere. In quel momento, il mio compito di esperto a titolo gratuito dall’amministrazione Accorinti era di vedere la veridicità dei bilanci, gli atti che erano stati posti in essere con particolare riferimento a Messinambiente, Amam e Atm in seguito Ato. In particolare in Messinambiente e in Atm c’erano tutta una serie di attività poste in essere che non erano conformi né al dettato civilistico né alle procedure del testo unico degli appalti. Queste attività mi portavano ad interloquire con il sindaco in persona, con il professore Guido Signorino che era vicesindaco e assessore al bilancio, con il professore Daniele Ialacqua e con l’assessore Sergio De Cola”.
“Nel momento in cui si sono verificati i bilanci delle partecipate e in particolare di Messinambiente dove all’epoca sono stati portati dei dossier completi al dottor Sebastiano Ardita, la conoscenza dell’azienda era molto analitica pertanto nella mia successiva nomina a presidente Amam si chiedevano tutte quelle indicazioni che venivano fuori dai bilanci precedenti e di porre in essere quelle azioni affinché tutte queste attività potessero portare beneficio all’economia e all’azienda. Tra le criticità c’erano i crediti verso gli utenti, in particolare c’era questo rapporto della Fire S.p.A. a cui avevamo prestato particolare attenzione, un rapporto, francamente, fuori da ogni buona regola dal punto di vista societario e del codice degli appalti. Soprattutto il primo periodo alla presidenza Amam è stato quello di intendere come certi meccanismi funzionavano, mi riferisco a quel cartello che si creava tra le aziende e a quei crediti verso gli utenti che erano abnormi nonostante la società di recupero crediti Fire che era lì presente da dieci anni ma con delle funzioni avulse, con la stessa bollettazione e fatturazione dell’azienda, che anche quello con una ditta esterna, in maniera francamente singolare. Chiaramente io informavo sempre l’amministrazione di tutte queste criticità e si attendeva di avere delle documentazioni complete affinché, nell’interesse della comunità e della città, si mettesse tutto alla luce dell’autorità giudiziaria”.
Due esposti in sette giorni…
“Con l’assessore De Cola eravamo in costante contatto: lui era sempre informato di tutto quello che avveniva in azienda”, ha aggiunto il commercialista Termini. “In particolare abbiamo elaborato insieme l’esposto che presentammo alla Procura della repubblica l’1 agosto 2016. Nella maturazione di quelli che dovevano essere i documenti oggettivi che dovevano essere portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria c’è stato lo scatto in avanti del Movimento Cambiamo Messina dal Basso (il riferimento è al dossier-esposto che il gruppo, insieme al sindaco Renato Accorinti, aveva presentato in Procura il 26 luglio precedente per denunciare alcune anomalie nell’affidamento lavori di Amam negli anni 2013-2016, NdA). Mentre tutte le attività che ponevamo in essere con l’amministrazione avevano soltanto non uno scopo politico ma quello di riportare una normalità di una buona condotta aziendale, il fatto che una denuncia all’autorità giudiziaria venisse effettuata e l’indomani riportata sui giornali certamente non poteva avere dei riflessi positivi ma anzi veniva utilizzata ai fini politici e, tra virgolette, strumentalizzare l’autorità giudiziaria in tal senso. L’assessore De Cola che era allora ai lavori pubblici con la delega all’acquedotto, si è indispettito perché non era stato coinvolto e in particolare decise di voler concludere questo esposto e di depositarlo perché in quel periodo, dopo la famosa crisi idrica della città, ci furono una serie di interventi che vedeva presente sempre una ditta. L’assessore De Cola ha visto in quello di Cambiamo Messina dal Basso un esposto politicamente strumentalizzato e dato in pasto ai giornali quando di certo un’attività del genere, anche nel rispetto degli organi inquirenti, non andava sbandierata. L’intento dell’assessore De Cola e mio era quello di denunciare dei fatti per cercare di cambiare la vita di questa azienda e di certo non saremmo andati a fare una conferenza stampa. Di tutti gli esposti che ho fatto io non ho mai fatto una conferenza stampa. Non l’ho mai detto. Non era motivo di vanto o di avere acclamazione pubblica, cittadina (…) Il testo di quell’esposto lo abbiamo elaborato nell’assessorato di De Cola, lo abbiamo stampato e lo abbiamo portato presso la Sezione di Polizia giudiziaria insieme a una corposa documentazione. Io, in contatto sia col dottor Fabio Ettaro che con un’altra funzionaria, ho sempre portato tutta la documentazione, sia quella richiesta che altra che reputavo importante per la stessa esposizione. Gli allegati li ho raccolti io presso l’azienda. Ad un certo punto ho pure consegnato il mio telefono cellulare alla Polizia giudiziaria. Un giorno mi è stato detto dal dottor Ettaro che venivo sentito come persona informata sui fatti dal dottore Francesco Massara. Durante questo interrogatorio, siccome mi sono stati chiesti se vi erano messaggi sms tra me e la signora Emilia Barrile, io ho fatto vedere quella che era la mia messaggistica. Allora il dottore Massara mi chiese se poteva avere questi messaggi e ho detto: Okay. Dopodiché il magistrato mi ha detto: Ma il telefono, eventualmente, lo possiamo avere? e gliel’ho consegnato spontaneamente. Nel telefono erano contenute registrazioni di conversazioni e messaggi con la signora Barrile. All’interno del telefono non c’era nulla di cancellato, dal 2012, 2013… (…) Io avvertivo sempre l’assessore De Cola ogni qualvolta andavo negli uffici della Polizia giudiziaria e certamente scambiavamo via sms o whatsapp l’evoluzione dell’esposto presentato. Informavo l’amministrazione nelle persone del sindaco, del professore Signorino, dell’ingegnere De Cola di ogni fatto particolare che avveniva sia nell’azienda sia interno che esterno. Mi permetto di aggiungere che poi ho incominciato ad informare anche il dottore Antonio Le Donne, Segretario generale, Direttore generale del Comune di Messina”.
Tante gare per un solo cartello
Leonardo Termini ha poi spiegato come al centro delle attenzioni sue e dell’amministrazione c’era il sistema dei cartelli d’imprese che avrebbe monopolizzato gare e affidamenti dell’azienda acque di Messina. “L’Amam nella sua gestione è diventata complessa nel senso che le ditte specializzate in determinati lavori come l’acquedotto sono poche, pertanto tutte queste aziende si conoscevano tra di loro e anche non avendo rapporti con le persone preposte, i dirigenti dell’Amam, riuscivano a gestire determinate gare. Questo è stato denunciato, ovvero che all’interno di una gara le ditte che partecipavano, che venivano invitate, facevano tra di loro una spartizione dei vari lavori, l’acquedotto, la fognatura, Messina Nord, Messina Sud, centro, villaggi, in maniera tale che loro, o chi per loro, potevano eseguire i lavori. Cosa capitava? Che in questa gestione che tra di loro autonomamente si organizzavano, i dipendenti di una ditta venivano comandati nell’altra ditta, noleggio a freddo di attrezzature, ecc.. Quindi diciamo che riuscivano a creare questocartelloper gestirsi gli appalti. Dopodiché c’erano delle cooperative che avevano l’interesse di persone vicine alla politica. C’erano due tipi di interessi: uno era quello di verificare la pratica o la procedura o un discorso temporale; altro, invece, anche oggetto del mio esposto, come quello di una cooperativa che aveva allora il call centerall’interno dell’Amam. C’era proprio una pressione costante, minacce affinché venissero proseguite delle attività o venisse data in affidamento diretto la stessa gestione. Ora non ricordo esattamente qual è la cooperativa ma c’era da gran tempo prima che io arrivassi e l’esponente politico che mi faceva pressioni in tal senso era il consigliere Burrascano (Angelo Burrascano, in consiglio comunale dal 2005 al 2008 con Forza Italia, dal 2008 al 2018 con il Pd, non rieletto alle ultime amministrative, NdA). Stesso consigliere Burrascano che durante queste pressioni, una volta è capitato pure ai margini di un consiglio comunale, c’era con me presente l’assessore Signorino ed io davanti a Signorino ho detto: Vedi, mi minaccia! (…) C’erano minacce che se non veniva data prosecuzione all’appalto del call center lui avrebbe mandato la commissione di inchiesta, avrebbe fatto l’accesso agli atti… Ci sono i protocolli dell’Amam tappezzati dalla richiesta di documentazioni su mille aspetti e sempre diversi da parte del consigliere Burrascano”.
Stando a quanto riferito in udienza dal commercialista Termini, sia l’allora presidente del consiglio Emilia Barrile che altri consiglieri comunali gli avrebbero sollecitato il pagamento di fatture da parte dell’Amam ad alcune aziende fiduciarie. “Per il pagamento delle fatture non c’è stato mai un atto aggressivo, ma il discorso era: Hanno bisogno, devono pagare le tasse, ma perché non gli paghi queste fatture? Degli altri consiglieri chi si informava quando c’è stato, per esempio, l’assunzione temporanea dei dipendenti; chi chiedeva, chi voleva vedere gli elenchi, chi voleva guardare la documentazione, ecc.. Scadeva la gara per le analisi delle acque: E allora quando fate la gara? E mi avvertite quando la fate? (…) C’erano i consiglieri comunali che facevano richieste di atti, richieste di documentazione, accesso agli atti di questa gara, di quell’altra, il consigliere Santi Zuccarello più volte… I consiglieri comunali chiedevano informazioni dopo che c’è stata l’emergenza idrica, addirittura si voleva fare la commissione di inchiesta per l’Amam, io li ho invitati a farla”.
Io ad Emilia le volevo bene
Su specifica domanda dell’avvocato difensore Fabio Repici, l’ex presidente Amam si è poi soffermato sui suoi rapporti con l’allora presidente del consiglio comunale Emilia Barrile. “Quando sono stato nominato esperto del sindaco sono andato una sera in consiglio comunale e la consigliera in forza al Pd, avvocato Antonella Russo, mi ha presentato la signora Barrile”, ha detto Termini. “Considerata la carica che ricopriva, mi sembrava opportuno conoscerla e presentarmi. Siamo alla fine del 2013. Con la signora Barrile c’erano rapporti formali, di una cordialità però sempre nell’ambito del ruolo che avevo per quanto io fossi stato nominato dall’amministrazione. Dopodiché nell’aprile del 2014, andando un giorno al Comune, mi sono diretto verso il bar a prendere un caffè e l’allora commissario o liquidatore di Messinambiente Armando Di Maria, mi presentò l’avvocato Elisa Ardizzone, mia attuale compagna (Elisa Ardizzone è sorella dell’imputato Marco Ardizzone, commercialista e fidato consigliere di Emilia Barrile, NdA). Elisa era lì che aspettava la signora Barrile che uscisse perché era in consiglio comunale. Ci siamo conosciuti lì, in quella sede, e poi cominciò il nostro rapporto. La Barrile era amica di Elisa, ci siamo frequentati regolarmente da amici al punto che durante il periodo in cui i rapporti tra me e la mia compagna erano tesi io mi confidavo con la Barrile, ero anch’io a cercarla spesso e anche lei mi cercava. In epoca precedente alla mia nomina all’Amam, Elisa Ardizzone aveva ricevuto un incarico legale dall’allora presidente Alessandro Anastasi per quanto riguarda la società Fire. Io però non le ho assolutamente conferito nuovi incarichi. C’è stato solo un proseguimento di quell’incarico perché è arrivato un pignoramento da parte dell’Amam, anzi specifico che il giorno in cui mi sono insediato, era il maggio del 2015, il presidente Anastasi le aveva dato tutta una serie di incarichi che l’avvocato Ardizzone tramite pec ha respinto scrivendo: Per motivi di ovvia opportunità non accetto i presenti incarichi”.
Leonardo Termini ha poi fatto il punto sul presunto pressing di Emilia Barrile a favore di una coop di servizi a lei notoriamente vicina. “Anche i muri dell’Amam sapevano della vicinanza tra la signora Barrile e la cooperativa Universo e Ambiente”, ha dichiarato. “Non c’è dipendente che non lo sapeva, ma che la signora Barrile potesse essere la titolare occulta della società però no. Quando lei mi parlava della cooperativa mi diceva sempre: Vedi se gli puoi fare il pagamento perché sunnu cunzumati. Ma parlava di una terza persona… La Cooperativa Universo e Ambiente aveva avuto rapporti con l’Amam in epoca precedente all’assunzione da parte mia del ruolo di presidente”, ha aggiunto. “Ha avuto rapporti sia per quanto riguarda l’appalto precedente, sempre inerente alla gestione delle pulizie dei locali dell’Amam per due anni (2014-2016) e, se non ricordo male, relativamente alla gestione delle fontane comunali. C’era stato un affidamento diretto. Sotto la mia presidenza non furono invece assegnati lavori in affidamento diretto alla Universo e Ambiente. Il rappresentante legale della cooperativa era il signor Giovanni Luciano. Ci conoscevamo perché veniva anche ad informarsi presso l’Amam in funzione della cooperativa, quelli che erano i pagamenti o come le cose si svolgevano. Parlava con me o con altri. Io ricordo che un giorno il signor Luciano venne allarmato in azienda in quanto mi riferiva che non era presente nell’elenco dei fornitori fiduciari perché era in scadenza di contratto, aspettavano che venisse fatta la nuova gara. Dice: Io non sono presente. Siccome in passato ho avuto altri problemi, come mai non ci sono? Può verificare questa cosa? Da quello che mi veniva detto, sembrerebbe che c’è stato un periodo in cui l’ufficio dell’Amam che si occupava dell’inserimento delle ditte all’interno dell’elenco dei fornitori fiduciari, in maniera strumentale non li avessero inseriti in questi elenchi. Questo elenco delle aziende fiduciarie si doveva rinnovare ogni anno, previa produzione di tutte le certificazioni. Dopodiché era l’ufficio dell’Amam che, vagliata la documentazione, decideva sì, no, puoi rientrare o non in questo servizio. Io ho verificato che la cooperativa non era inserita e l’ho comunicato al signor Luciano. Questi, non ricordo se il giorno stesso o quello dopo, mi rappresentava di avere l’attestazione della presentazione della richiesta. Al che ho detto: Bene, se è così vai presso il protocollo della signora Beccalli e sistemati questa cosa. Cosa che il signor Luciano ha fatto autonomamente nella piena legittimità. Io da questo punto di vista non ho mai interferito né tantomeno ho mai avuto interesse a vedere se una ditta fosse iscritta o meno all’albo”.
“Del mancato inserimento nell’elenco della cooperativa Universo e Ambiente io ne ho parlato poi anche con la signora Barrile”, ha aggiunto Leonardo Termini. “Sapevo che c’erano rapporti di conoscenza tra il signor Luciano e la signora Barrile. Lei a volte mi ha anche nominato il signor Luciano…. Io ne parlo con lei perché… la signora Barrile, come altre persone o altri consiglieri comunali che venivano per informarsi dell’elenco dei dipendenti a tempo determinato, delle gare che venivano fatte, delle analisi cliniche, era un chiedere, un’informazione, lei come di altri, al contrario di quello che ho detto prima che è stata una pressione vera e propria nel voler imporre una cooperativa o di volerle prolungare un contratto. Siccome era un’informazione in merito ad un’iscrizione o meno, ho reputato di dargliela. Ma senza nessun’altro problema: la signora attenzionava questo discorso perché questa cooperativa nell’anno precedente era stata esclusa ma anche per la mancanza da parte dell’Amam di verificare se questa azienda… L’Amam in quel momento non ha preso completamente in considerazione né il protocollo né la valutazione dell’azienda creando un’omissione. E io, in qualità di legale rappresentante, non mi potevo permettere di avere un contenzioso anche perché in quel periodo c’era stata l’emergenza idrica e l’Amam è stata costretta a dover prorogare il termine entro il quale le aziende potevano presentare le proprie domande di inserimento… C’è stato un consiglio di amministrazione o un’assemblea dei soci che ha deliberato questa proroga perché si era creata una confusione immane”.
Se tu lo paghi, lui ti ripaga…
“La signora Barrile conosceva l’Amam a menadito da sempre, sia per il ruolo politico che ha avuto sia per i rapporti con altre persone, quindi non aveva bisogno di me…”, ha riferito l’ex presidente dell’azienda acque. “Se non ricordo male l’ho chiamata io anche dal telefono dell’Amam e poi ci siamo visti un attimo sotto, fuori. Con la signora Barrile ci sentivamo non in maniera insistente però ci si sentiva all’inizio anche in maniera quotidiana, soprattutto all’inizio del mio rapporto con Elisa quando si creavano certe indiscrezioni o dei sospetti per separazione, per questioni personali…. Devo dire che ero io stesso a disturbare la signora Barrile anche a sfogarmi, mi è stata molto vicino, questo è assolutamente vero. Quindi c’era un rapporto umano. Io non ho avuto ruolo né nella gara per il servizio di pulizie nei locali dell’Amam né in alcuna gara. La procedura era la seguente: il direttore generale, in relazione all’eseguimento di un servizio o alla scadenza di un appalto o all’esaurimento delle somme, diceva: Vedi presidente, sta scadendo la gare sulle fognature Messina Nord, bisogna fare un nuovo appalto per centocinquantamila euro, centomila euro… Allora per presa visione mettevo una sigla, basta. Poi tutto il resto lo vedevano loro. Chiaro è che nel momento in cui si sono viste certe criticità allora io… Veramente è stato un qualcosa che si è visto insieme con il direttore generale che era prima l’ingegnere Luigi La Rosa e poi il facente funzione ingegnere Francesco Cardile. Della selezione delle ditte si occupava dunque il direttore generale o le persone adibite alla gara perché c’era una commissione. Io non ho, ripeto, né in questa gara né in tre anni, mai partecipato, presieduto, neanche come spettatore o nelle fasi prodromi che alla procedura alla gara, all’aspetto invito ditte. E non ho ricevuto assolutamente alcuna pressione da parte del Luciano o della signora Barrile… Uscivamo fuori da un’emergenza idrica, dopodiché abbiamo avuto l’incendio dei tubi a Calatabiano che è stato a luglio, c’è stato proprio un susseguirsi di queste problematiche e quindi c’è stata la proroga dell’appalto delle pulizie. Ma nelle more che fosse prorogato per poco, l’appalto è stato sospeso per quattro o cinque giorni e l’Amam non ebbe la pulizia dei locali. Io ho detto al direttore generale: Hai fatto la proroga? Se non l’hai fatta stai attento a quello che si fa perché non possiamo stare in questo modo. Non può lavorare un’azienda senza un titolo, un contratto perché ne siamo responsabili direttamente. E quindi l’azienda è stata temporaneamente allontanata (…) Per l’esclusione dell’Universo e Ambiente dagli albi degli elenchi, Emilia Barrile era molto esacerbata e pertanto poteva anche intervenire in qualità di presidente del consiglio con accesso agli atti, con richieste di documentazione, eccetera. Poi, nel momento in cui c’è stato il cambio di statuto dell’Amam e in particolare con la legge Madia si riduceva il numero dei consiglieri d’amministrazione da tre ad uno, c’era già un vociare all’interno del consiglio di volermi sfiduciare… Addirittura questo me lo ha detto anche il signor Barillà, che c’era una volontà da parte del consiglio comunale, di qualcuno dell’amministrazione su intese con la signora Barrile… Si parlava di una fine prossima del consiglio di amministrazione e addirittura è stata fatta una battuta in tal senso dalla signora Barrile con un consigliere comunale di cui in questo momento non ricordo il nome che si era prossimi ad andare via e che addirittura questo consigliere sarebbe entrato all’Amam”.
Ben diverso sarebbe stato invece il comportamento assunto dall’esponente politica nei confronti di Leonardo Termini relativamente alla Fire S.p.A., la società che curava il recupero crediti per conto dell’Azienda Meridionale Acque Messina. “Con la Barrile mi trovai a parlare anche di un’altra azienda, la Fire. Anche questo è stato motivo di esposto sia presso gli organi giudiziari che presso la Corte dei Conti. La Fire era presente da dieci anni in Amam con una gara francamente singolare, ovvero un appalto da trenta milioni di euro; è stato fatto un invito diretto a cinque ditte, dopodiché, dal 2004 in poi, questa azienda non ha fatto mai più una gara, proroga o rinnovo. Dopodiché, siccome il Comune di Messina ha fatto transitare i dipendenti della Feluca in Amam, coloro che avevano particolare esperienza nel settore informatico dovevano occuparsi del recupero crediti. Pertanto noi abbiamo fatto un consiglio di amministrazione dove abbiamo cessato il contratto con Fire, deliberando che si concludesse al 31 dicembre per motivi di bilancio e di opportunità aziendale e dopodiché il recupero dei crediti è avvenuto sempre all’interno dell’Amam. Devo dire che veniva espletato anche con ottimi risultati…”.
“Le interlocuzioni con la Barrile erano che siccome l’Amam doveva, presuntivamente, un milione e duecentomila euro a Fire, praticamente mi veniva solleticato personalmente prima dal signor Sergio Bommarito, presidente del consiglio d’amministrazione, e poi anche dalla signora Barrile il pagamento di questi mandati in favore della società. Sì, la signora Barrile mi sollecitava il pagamento di questi mandati in favore della Fire per i rapporti con il signor Bommarito. E poi ci fu un’occasione dove mi ha offerto un importo in denaro affinché si pagassero questi mandati. E’ accaduto nell’estate del 2016. L’offerta mi fu fatta vicino al bar Apollo. Questa cosa l’ho riferita alla Polizia giudiziaria. Lei mi ha fatto presente che era in difficoltà per i mandati pagati da Amam alla Fire S.p.A. e che il dottor Bommarito, titolare della Fire, a fronte dei suddetti pagamenti aveva delle somme di denaro per me. La signora Barrile mi disse: Provvedi a questi pagamenti che ti vengono dati tremila euro per i pagamenti. E io ho detto: Ma che cosa stai dicendo, sono loro che devono dare soldi a noi per tutto quello che hanno combinato in dieci anni. Emilia Barrile mi ha esortato nuovamente a pagare i mandati. Dopo questo incontro io mi sono sentito in difficoltà e perciò ho iniziato a rispondere sempre più raramente alle sue chiamate. Qualche tempo dopo, saranno passati circa dieci giorni, ho risposto ad una sua chiamata e lei mi ha chiesto un nuovo incontro, mi ha dato appuntamento al bar Fumia, nei pressi della piazza del municipio. Lì mi ha ribadito il concetto di pagare i mandati di Fire perchè era in difficoltà con Bommarito e che comunque ci sarebbe stato un pensiero in denaro per me”.
“La signora Barrile mi parlò di ulteriori questioni relative all’Amam e dei crediti di privati nei confronti dell’azienda”, ha aggiunto Termini. “Mi veniva richiesto il pagamento di determinate ditte però senza nessuna promessa in denaro, ma soltanto nel cercare di facilitare il loro incasso che io non avevo pagato e non avevo intenzione di pagare perché le somme mi venivano richieste da terze persone. Le ditte erano quelle dei due fratelli Micali, del signor Barillà, del signor Celesti, io però non ho posto nulla in pagamento. La signora Barrile mi ha detto in un’occasione che uno dei fratelli Micali, non mi ricordo se il titolare della Intercontinentale o l’altro fratello, lamentava il mancato pagamento dei mandati e se io li avessi pagati questa persona mi avrebbe fatto una regalia di due o tremila euro per ciascun mandato pagato. In quel momento i miei rapporti con la signora Barrile erano assolutamente freddi e cercavo sempre di eliminare queste interferenze, anche se certo mi dispiaceva umanamente dover andare a rappresentare determinate cose. Per quanto riguarda Micali e Fire è un qualcosa che mi è stato proposto dalla signora Barrile; per quanto riguarda Celesti è stato il Celesti direttamente a farmi l’offerta della percentuale sui mandati di pagamento: mi voleva dare il 20 o il 25% di ogni mandato che pagavo, una follia! Ovviamente ho denunciato subito questa cosa (…) I pagamenti poi li fece successivamente il direttore Cipollini (Claudio Cipollini, ex amministratore unico di Smarter S.r.l., società di consulenza per l’innovazione e direttore generale di Amam dal febbraio 2017 al dicembre 2018, NdA). Tutte quelle aziende e professionisti che io non ho pagato, poi sono state pagate dal nuovo direttore generale Cipollini. E Cipollini dava proroghe di otto mesi per determinati servizi o appalti”.
C’eravamo tanto amati…
La nomina del manager romano alla direzione dell’azienda causò un’insanabile frizione nelle relazioni tra il commercialista Termini e l’amministrazione Accorinti, soprattutto con lo stesso assessore-amico Sergio De Cola. “C’è stata una selezione pubblica che l’architetto Cipollini ha vinto. Fino al suo arrivo non fu emesso alcun pagamento tra quelli sollecitati dalla signora Barrile: Bommarito-Fire, la ditta di Barrillà, Celesti, Micali… Anzi di Micali ho chiesto anche la rescissione del contratto perché si passavano i dipendenti da un lato all’altro, utilizzavano un solo mezzo per fare due appalti e l’ho chiesto al direttore generale con nota scritta. Il direttore facente funzioni ha provveduto immediatamente a richiamarli una prima volta e poi eliminarli (…) Io gli ho detto una cosa: Claudio, guarda che queste ditte hanno questi collegamenti, queste altre ditte hanno questi collegamenti, queste ditte… Prima di fare pagamenti guardatene bene. Da quello che io so, lui certamente ha pagato un legale che io non pagavo, tutte queste ditte che io non pagavo… Lui ha pensato di pagarle perché diceva: Hanno titolo, hanno le fatture, non sono state contestate e vanno pagate”.
“L’architetto Cipollini ha creato immediato dissapore tra me e l’amministrazione comunale dove lui pretendeva che il consiglio di amministrazione facesse da spettatore nell’evoluzione dell’azienda, di approvare tutti gli atti che faceva, tutti i pagamenti. Prima accadeva che i pagamenti erano determinati dal direttore generale e c’era anche la firma del presidente anche perché in banca doveva andare con la firma del legale rappresentante. Quando è arrivato il direttore Cipollini la prima cosa che ha fatto ha avocato a sé tutti i pagamenti. Certamente non poteva essere pagata Fire perché c’era una causa incredibile con l’esposto alla Procura della Repubblica, cosa che io ho rappresentato a Cipollini. Che ho detto a Cipollini? Sai, caro mio, cosa fai? Vieni con me alla Digos, siediti e comincia ad assumerti anche tu le tue responsabilità. Cosa che non fece mai ovviamente”.
“Il mio con l’amministrazione Accorinti è stato sempre un rapporto diverso anche quando ci sono stati dei periodi di crisi, così come l’ultimo periodo dove i rapporti con l’assessore De Cola si erano raffreddati, erano molto tesi perché Cipollini aveva un ascendente diretto nei suoi confronti”, ha spiegato l’ex presidente Amam. “Nell’ultimo periodo con l’assessore De Cola siamo stati ai ferri cortissimi perché anche lì sono state tutta una serie di cose, a me non garbava la selezione con la quale è stato nominato Cipollini, che la documentazione è stata pure portata presso i carabinieri. Guardi, c’è stato un esposto mio verso Siciliacque per quanto riguarda la concessione del Fiumefreddo… (…) Io lì, all’interno dell’Amam, ero da solo soprattutto quando venne Cipollini, perché all’interno dell’azienda non c’era più una classe dirigente particolarmente attenta. Quindi all’interno dell’Amam eravamo il consiglio di amministrazione che si spendeva quotidianamente e poi c’era il dottore Cipollini che si faceva gli affari suoi dall’altro lato. Era un ambiente completamente ostile, quindi io ho reputato opportuno crearmi determinate precauzioni che ho rappresentato sempre agli organi inquirenti”.


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Maremoto AMAM Messina. C’è una nuova inchiesta giudiziaria

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Al terremoto generato dall’inchiesta sul cosiddetto Terzo livello che avrebbe condizionato la vita politica, amministrativa e diversi affari economici e urbanistici della città di Messina, potrebbe seguire presto un’ondata di maremoto. Sì, perché e di acque e acquedotti che si parla e dell’azienda preposta al rifornimento idrico, interamente controllata dal Comune. C’è un nuovo filone d’indagine aperto dalla Procura della Repubblica di Messina per verificare legittimità e congruità degli appalti e degli affidamenti di cottimi fiduciari da parte dell’AMAM - Azienda Meridionale Acque Messina ad alcune imprese siciliane nel periodo compreso tra il 2013 e il 2016. L’esistenza dell’inchiesta e l’identità di due degli indagati è trapelata incidentalmente nel corso del processo Terzo livello che vede imputati chiave l’ex presidente del Consiglio comunale Emilia Barrile, noti professionisti e commercialisti, imprenditori e l’ex presidente del Consiglio d’amministrazione AMAM, Leonardo Termini. Chiamati a deporre come testi, l’ex direttore generale dell’azienda acque ed acquedotti, ingegnere Luigi La Rosa, e il funzionario AMAM ingegnere Francesco Cardile, hanno appreso dal Pubblico ministero dottor Fabrizio Monaco di essere stati iscritti nel registro degli indagati in relazione ad un procedimento connesso all’inchiesta sul Terzo livello, relativamente a una serie di appalti affidati dall’azienda peloritana. “Si tratta del procedimento n. 3592/2017 con stralcio di relativi atti nell’ambito di questo processo e risulta ancora pendente”, ha spiegato il Pm. Un vero e proprio colpo di scena che ha sorpreso gli ingegneri La Rosa e Cardile, alcuni degli imputati e i difensori presenti in aula. I due professionisti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e l’udienza è proseguita con l’esame di altri testimoni.
Così, dopo l’ex presidente Termini, finiscono sotto i riflettori l’ex direttore generale Luigi La Rosa che dopo aver abbandonato l’AMAM per limiti d’età era stato chiamato dal Consiglio d’amministrazione a collaborare “a titolo gratuito” con i nuovi vertici aziendali e il dirigente Francesco Cardile, vera e propria memoria storica di AMAM, responsabile del settore amministrativo e dei sistemi informatici ed ex direttore generale facente funzioni dopo il pensionamento dell’ingegnere La Rosa. Gli inquirenti contesterebbero ai due professionisti il reato d’abuso d’ufficio, commesso in precedenza alla data del 24 giugno 2016. Dagli atti depositati al processo sul Terzo livelloè possibile documentare che l’iscrizione nel registro degli indagati risale al 12 giugno 2017 e che per il procedimento n. 3592/17 sono stati denunciati dalla Procura della Repubblica anche l’ex presidente del consiglio Emilia Barrile, l’ex consigliere comunale del Pd Angelo Burrascano, gli imprenditori Mauro Leva e Maria Carmela Richichi (contitolari del capitale sociale di Italsat S.r.l.); i legali rappresentanti della Cooperativa Sociale Universo e Ambiente Giacomo Crupi e Giovanni Luciano; l’amministratore e socio unico della Ecol 2000 S.r.l. Giuseppe Micali e il fratello Natale Micali, amministratore dell’Intercontinentale Servizio Igiene S.r.l.; l’amministratore della C.M.S. S.r.l. di Fiumefreddo di Sicilia, Salvatore Brischetto e uno dei soci, Isidoro Maria Susinni; l’amministratrice e socia al 95% della Pettinato S.r.l. Santa Tavilla e l’imprenditore edile originario di Fondachelli Fantina, Giuseppe Pettinato; i coniugi Gaetano Celesti ed Angela Sacco, il primo direttore tecnico e socio all’81,43% della Celesti Costruzioni S.r.l., mentre la moglie amministratrice della stessa società e socia accomandataria delle Edilcondotte S.a.S.. Il 26 febbraio 2018 i Pubblici ministeri Federica Rende e Francesco Massara hanno ottenuto dal Gip del Tribunale di Messina la proroga delle indagini, pertanto alla data odierna i termini sono definitivamente scaduti e quindi la Procura deve decidere se chiedere l’archiviazione o mettere avviso di chiusura indagini nella prospettiva di un nuovo processo. Sempre nel febbraio dello scorso anno il Gip aveva disposto la separazione degli atti e l’iscrizione a mod. 21 di autonomo fascicolo a carico di Emilia Barrile per il delitto di cui all’art 322 comma secondo del codice penale (istigazione alla corruzione) e per quello previsto dagli artt. 56-353 (tentata turbata libertà degli incanti). Contestualmente veniva prodotto dagli inquirenti un certificato del casellario giudiziale di Emilia Barrile da cui si evince che la stessa, con sentenza del Tribunale di Messina dell’11 febbraio 2005, irrevocabile dall’11 giugno 2005, ha subito la condanna a un mese e 5.500 euro d’ammenda per violazione delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia e delle prescrizioni sulle costruzioni in zone sismiche, più altri 400 euro di multa per invasione di terreni; alla Barrile è stato concesso tuttavia il beneficio della non menzione.
La Sezione della Polizia Giudiziaria della P.S. di Messina ha rilevato alcune sospette anomalie nella gestione dei bandi di gara AMAM e nelle modalità di affidamento dei lavori a imprese esterne. “I lavori o servizi commissionati sotto forma di affidamento diretto rappresentano nella quasi totalità dei casi proroghe di appalti già aggiudicati ad una determinata ditta per il tempo necessario all’espletamento delle nuove gare”, si legge nel rapporto presentato il 4 maggio 2017 in Procura, a firma del vicequestore aggiunto Fabio Ettaro. “A tal riguardo si ritiene che la prassi dell’AMAM di indire la nuova gara solamente allo scadere della precedente possa costituire un’anomalia nella gestione degli appalti. Infatti la maggior parte dei lavori o servizi prorogati prevedendo una durata variabile tra i 6 e i 12 mesi, avrebbero consentito una tempestiva programmazione e reso evitabile il continuo ricorso a proroghe con affidamento diretto nelle more dell’espletamento di nuove gare”.
Sempre secondo gli inquirenti, queste criticità si sarebbero evidenziate particolarmente nelle procedure di gara aggiudicate alla C.M.S. S.r.l., importante azienda che ha sede nella zona industriale di Fiumefreddo di Sicilia e che opera nella realizzazione, riparazione e manutenzione di acquedotti, gasdotti, oleodotti ed opere di irrigazione. Nel periodo 2013-2016, l’AMAM ha aggiudicato alla C.M.S. tre cottimi, uno per annualità, aventi tutti il medesimo oggetto ovvero il servizio di gestione, controllo e presidio degli impianti di sollevamento dell’acquedotto del Fiumefreddo, Bufardo-Torrerossa, del serbatoio di Piedimonte Etneo e delle condotte ricadenti nella provincia di Catania. “Sono queste tra le gare AMAM di maggiore importo, con un valore di oltre 400.000 euro”, annota la Sezione della Polizia Giudiziaria di Messina. “Nell’avviso di manifestazione d’interesse per la gara 2015, l’AMAM richiedeva alle aziende alcuni requisiti minimi di partecipazione (esperienze pregresse, espletamento negli ultimi tre anni precedenti identici servizi, ecc.). Sebbene la procedura in questione si caratterizzi per la pubblicità che dovrebbe consentire la più ampia partecipazione possibile, in realtà sembrerebbe una procedura finalizzata all’affidamento del servizio proprio alla ditta C.M.S.. La combinazione di due requisiti sopra evidenziati, ovvero la precedente esperienza e la disponibilità di un’adeguata officina nelle immediate vicinanze degli impianti da gestire, di fatto riducono drasticamente qualunque forma di concorrenza. Tale ipotesi sembrerebbe provata proprio dal fatto che a differenza delle precedenti gare ove si erano presentate anche altre ditte, nella procedura in questione la C.M.S. è stata l’unica a manifestare l’interesse a parteciparvi”.
“Per ogni annualità esaminata dal 2013 al 2016 si è visto che il Direttore Generale Luigi La Rosa, nella fase di indizione della gara, ha puntualmente prorogato il servizio in corso per i tempi strettamente necessari all’espletamento delle procedure di gara per periodi variabili dai 30 ai 90 giorni”, aggiungono gli inquirenti. “Per tali proroghe sono stati impegnati gli importi corrispondenti ai ribassi d’asta offerti dalla ditta aggiudicatrice della gara prorogata, cioè sempre la C.M.S.. Ciò che desta maggiore perplessità è poi il ripetersi di disfunzioni correlate alla programmazione degli affidamenti del servizio di gestione, controllo e presidio dell’impianto acquedottistico, trattandosi di un servizio di primaria importanza e assoluta necessità ed avendo durata annuale potrebbe esser indetto con maggior tempestività. E’ accaduto invece che per quanto riguarda le procedure esaminate i primi atti necessari allo svolgimento delle gare, ovvero le richieste autorizzazione al legale rappresentante siano state protocollate e quindi fino a prova contraria inoltrate proprio nei periodi coincidenti con la fine del servizio in corso”.
Altra azienda committente AMAM sotto indagine è l’Italsat S.r.l. di Messina, con oggetto sociale la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti e la gestione delle reti fognarie. In particolare è a questa che nel 2014 l’allora direttore generale Luigi La Rosa, “attesa l’urgenza”, assegna i lavori di realizzazione del sistema di ricircolo delle fontane monumentali comunali La Pigna e Gennaro (importo 10.540 euro). “La messa in funzione delle suddette fontane darà la possibilità alla cittadinanza di una migliore vivibilità della città oltre che ad un ritorno d’immagine e di efficienza alle istituzioni e a questa Azienda”, motivava la scelta l’odierno indagato. Sempre nel 2014, l’Italsat di Mauro Leva e Maria Carmela Richichi otteneva affidamento diretto del servizio di clorazione acque potabili distribuite dall’azienda, “in pendenza di effettuazione della nuova gara” (durata 90 giorni con un impegno di spesa poco inferiore ai 42.000 euro). Previa richiesta di autorizzazione al cottimo fiduciario da parte dell’ingegnere La Rosa, la commissione di gara ha poi affidato alla stessa azienda la potabilizzazione delle acque (anni 2014-2015) per un importo di 188.356 euro. Al bando di gara si erano presentate solo due società, la Italsat S.r.l. e la Gullifa Francesco, quest’ultima però era stata esclusa per la mancata presentazione della polizza fideiussoria. Nel 2015 la società di Mauro Leva e Maria Carmela Richichi ha ottenuto da AMAM un altro cottimo fiduciario per la clorazione acque (anni 2015-2016), stavolta per un importo di 181.000 euro. “In questo caso Italsat è stata l’unica società a manifestare interesse alla partecipazione alla gara”, annota la Polizia di Stato.Occorre sottolineare che nella procedura in questione il Dirigente Generale La Rosa ha inoltre prorogato alla ditta Italsat per un periodo di mesi due, tempo necessario all’espletamento delle procedure di gara per l’affidamento del servizio, lo svolgimento del medesimo servizio precedentemente aggiudicato; per tale proroga è stato autorizzato l’impegno di spesa di 23.294 euro”.
“In conclusione la Italsat ha espletato il servizio di clorazione per il periodo d’interesse senza soluzione di continuità, ovvero negli anni 2014-2015 e 2015-2016 ma anche in precedenza il servizio era stato espletato dalla medesima ditta”, aggiungono gli inquirenti. Proprio relativamente all’attività di clorazione svolta da Italsat, l’allora Presidente del Cda di AMAM, il commercialista Leonardo Termini, aveva precisato l’1 marzo 2017 ai giudici peloritani che l’acquisto del cloro e delle attrezzature per la sua immissione nei serbatoi era a carico dell’azienda. “Pertanto si tratta di un servizio di mera esecuzione che si potrebbe svolgere mediante personale interno previa formazione dello stesso ma che viene conferito a una ditta esterna per il sottodimensionamento dell’organico a differenza del passato”, riferiva Termini. L’affermazione non ha tuttavia del tutto convinto gli inquirenti che nel loro report alla Procura della Repubblica annotano che “il personale stabilmente impiegato dalla Italsat S.r.l. è di sole quattro unità e quindi atteso che il ricorso ad una ditta esterna sarebbe stato determinato da carenze di organico dell’AMAM, il reale apporto di manodopera sembrerebbe assai marginale”.
All’Intercontinentale Servizio Igiene S.r.l., amministratore unico l’imprenditore Natale Micali, l’Azienda Meridionale Acque Messina ha commissionato un gran numero di lavori: nel 2013 il servizio autoespurgo della 5^ e 6^ Circoscrizione comunale (impegno di spesa 11.500 euro); nel 2014 la manutenzione ordinaria delle reti fognarie della 3^ e 4^ Circoscrizione (44.819 euro), la pulizia delle vasche e dei sistemi di aspirazione del depuratore di Mili (la gara di 148.200 euro è stata vinta grazie a un ribasso record del 43,92%), con affidamento diretto ancora il servizio autoespurgo della 5^ e 6^ Circoscrizione (32.375 euro), la scerbatura e pitturazione degli impianti idrici e fognari del Comune di Messina (50.000 euro). Nel 2015 l’AMAM ha invece affidato alla società di Natale Micali i lavori di rifacimento della rete idrica di alimentazione del serbatoio Portella a servizio dei villaggi collinari della zona Nord (177.000 euro, a cui poi con perizia tecnica di variante si sono aggiunti altri 23.010 euro); i lavori per il ripristino della funzionalità delle reti fognarie della 1^ e 2^ Circoscrizione (117.325 euro); i lavori di somma urgenza per il ripristino del canale di convogliamento dei fanghi di uscita dal depuratore di Mili (50.200 euro). Nel 2016, l’Intercontinentale Servizio Igiene s.r.l. si è invece aggiudicata la gara per l’esecuzione del servizio di autoespurgo delle Circoscrizioni 1^ e 2^ con un’offerta di -33.3% rispetto alla somma impegnata nel bando (183.000 euro). Nello stesso anno, l’AMAM ha affidato alla Ecol 2000 S.r.l., nella titolarità di Giuseppe Micali, fratello di Natale Micali, i lavori di ripristino della funzionalità delle reti fognarie della 1^ e 2^ Circoscrizione comunale (importo a base d’asta 150.000 euro, offerta con un ribasso dell’11,13%).
Rilevanti anche le somme capitalizzate dalla Pettinato Costruzioni S.r.l. di Messina, amministratrice unica e socia al 95% la signora Santa Tavilla, coniuge del dominus-dirigente della società, Giuseppe Pettinato. Nel 2013 l’AMAM ha affidato alla ditta i lavori di somma urgenza per il ripristino della funzionalità dell’impianto fognario posto nel torrente Vallone a San Filippo Inferiore (55.000 euro). “In questo caso le perplessità derivano dalla mancanza sia di un evento particolare che di una tempistica nell’intervento congruente con il ricorso all’istituto della somma urgenza”, annota la Sezione della Polizia Giudiziaria. L’anno successivo, la Pettinato Costruzioni ha vinto il bando di gara per la manutenzione ordinaria delle reti idriche della città, zona Nord e Sud (245.765 euro impegnati, ribasso 10%). Sempre nel 2014, l’AMAM le ha affidato gli stessi lavori di manutenzione in continuazione al precedente cottimo, per un importo di 37.000 euro.
Pesanti i rilievi della Polizia di Stato nei riguardi della Cooperativa Sociale Universo e Ambiente, ritenuta vicinissima all’allora Presidente del consiglio comunale Emilia Barrile. “L’analisi della documentazione ha consentito di rilevare diverse anomalie negli affidamenti da parte di AMAM; ci si riferisce soprattutto al frequente ricorso ad affidamenti diretti e proroghe di cottimi fiduciari che consentivano alla medesima ditta di gestire in modo ininterrotto, nel periodo d’interesse, vari servizi di pulizia”, si legge nell’informativa del 4 maggio 2017. “Questo dato oggettivo non può esser interpretato prescindendo dal ruolo politico rivestito da Emilia Barrile e dal potere di influenza che ne deriva (si ricorda che AMAM è una partecipata del Comune di Messina), ma ancor di più da specificiinteressi che la predetta sembra avere in AMAM e che esulano da possibili trattamenti di favore nei confronti della cooperativa”. Le indagini hanno pure accertato che le due figlie di Emilia Barrile, Rosaria Triolo e Stefania Triolo, hanno lavorato e percepito redditi da lavoro dipendente dalla Cooperativa Universo e Ambiente in periodi diversi tra il 2010 e il 2012 e che l’amministratore unico della coop dal giugno 2012 al gennaio 2016 è risultato essere Giacomo Crupi, cugino acquisito della Barrile.
Dulcis in fundo la Celesti Costruzioni S.r.l. di Messina, società che nel periodo compreso tra il 2013 e il 2016 ha messo la propria firma su ben 15 lavori commissionati da AMAM, per un importo complessivo di oltre un milione e 100.000 euro. L’azienda controllata dall’imprenditore Gaetano Celesti e dalla moglie Angela Sacco si è aggiudicata in particolare nel 2013 i lavori di somma urgenza per il ripristino dell’acquedotto del Fiumefreddo, zona Letojanni e d’intervento per l’eliminazione dell’infiltrazione idrica nei locali del Tribunale di Messina. “Nel verbale di somma urgenza non è presente alcun riferimento alla data effettiva di constatazione urgenza a Letojanni e presso il Tribunale peloritano né di quando effettivamente siano stati effettuati i lavori”, evidenziano gli inquirenti. Alla Edilcondotte S.a.S. che vede Angela Sacco socia accomandataria e Gaetano Celesti socio accomandante, sono stati affidati invece nel giugno 2016 i lavori di manutenzione ordinaria delle reti idriche dei Villaggi Sud del Comune di Messina (l’azienda ha presentato un’offerta con un ribasso dell’11,1% rispetto all’importo a base d’asta di 190.000 euro). Presidente della commissione giudicatrice di quella gara era l’allora direttore generale AMAM facente funzioni, l’ingegnere Francesco Cardile.

Quelle zone d’ombra del sistema AMAM Acque-Messina

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Saranno presto i giudici del Tribunale peloritano a decidere se archiviare le indagini sul presunto cartello d’imprese che avrebbe condizionato la gestione dei servizi e dei lavori dell’AMAM – Agenzia Meridionale Acque Messina o avviare l’iter per una seconda tranche processuale sul Terzo livello, ma il procedimento penale avviato dopo uno screening sull’entità e le modalità di aggiudicazione delle gare d’appalto e di affidamento delle opere di somma urgenza negli anni 2013-2016 ha comunque delineato troppe zone d’ombra nel funzionamento dell’azienda interamente controllata (e scarsamente attenzionata) dal Comune di Messina. Il procedimento n. 3592/17 che ha visto il 12 giugno 2017 l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex direttore generale di AMAM, Luigi La Rosa, del dirigente Francesco Cardile, dell’allora Presidente del Consiglio comunale Emilia Barrile e dei titolari di alcune imprese committenti dell’azienda, stigmatizza l’uso disinvolto ad esternalizzare attività e funzioni che benissimo potevano essere svolte direttamente dall’AMAM, il conseguente spreco di risorse finanziarie e soprattutto il ricorrente intervento di aziende e “cooperative sociali” notoriamente amiche e/o contigue ad esponenti politici e affini.
Il carosello dei soliti noti
Nel maxifascicolo raccolto dalla Sezione della Polizia Giudiziaria della P.S. di Messina (oggi agli atti del processo Terzo livello), tra tabelle, verbali di aggiudicazione gare e affidamenti, contratti e visure camerali, ci sono anche importanti dichiarazioni rese dal commercialista Leonardo Termini (prima persona informata sui fatti, poi indagato, oggi imputato eccellente al processo Terzo livello), al tempo presidente del Consiglio d’amministrazione di AMAM - Agenzia Meridionale Acque Messina. Alcune affermazioni sono state reiterate dal dottore Termini in occasione dell’esame condotto in sede processuale dal difensore Fabio Repici e dai giudici del Tribunale, altre invece sono ancora al vaglio degli organi inquirenti. Alcune delle presunte irregolarità concernenti l’affidamento dei servizi, rilevate nel corso delle proprie funzioni di presidente AMAM, venivano rivelate da Leonardo Termini l’1 marzo 2017 ai dirigenti della Squadra mobile. “Per quanto riguarda la sussistenza di uno o più cartelli tra le ditte che regolarmente prendono parte alle gare indette dall’AMAM intendo precisare che in relazione all’attività di manutenzione delle reti idriche della città e dei villaggi nelle zone Sud e Nord, il servizio è affidato al Consorzio Grandi Opere di Lamezia Terme”, verbalizzava il commercialista. “La consegna dei lavori è stata effettuata ieri. Il servizio non ha una durata predeterminata ma è vincolato ad un budget di circa 200.000 euro che coprirà gli interventi necessari sino ad esaurimento delle somme rese disponibili. Preciso che le ditte che hanno partecipato alla relativa gara erano 47 e l’importo a base gara era di 240.000 euro. La scorsa settimana si è presentato nel mio ufficio il signor Tiberio Celesti, titolare della ditta Celesti Costruzioni S.r.l., che ha avuto in passato tutta una serie di affidamenti di servizi e lavori per conto di AMAM e che attualmente cura la manutenzione dell’impianto di sollevamento fognario e la riduzione delle forniture idriche presso gli utenti morosi dell’azienda. Il Celesti mi diceva di esser stato contattato dal Consorzio Stabile Grandi Opere senza specificare il soggetto e che questi intendevano avvalersi della sua azienda per lo svolgimento delle opere oggetto dell’appalto. Pertanto mi chiedeva se fossi d’accordo ad avallare tale intendimento. Ho detto chiaramente di essere contrario sia perché non vi era l’intenzione dell’azienda di concedere subappalti per tale servizio sebbene il bando preveda la possibilità sino al 25% di ricorrere discrezionalmente a sub-affidamenti, sia perché ero consapevole della partecipazione del Celesti alla stessa gara, sebbene attraverso una ditta formalmente rappresentata dalla moglie e denominata Edilcondotte S.A.S.. Il Celesti, a fronte delle mie obiezioni, non mancava di evidenziare che lui non aveva preso parte alla gara e che la ditta in questione era della moglie”.
“In passato vi erano stati altri episodi anomali che avevano visto protagonista sempre il Celesti”, aggiungeva Leonardo Termini. “Circa sei o otto mesi orsono, Celesti era venuto nel mio ufficio e mi aveva sollecitato il pagamento di alcune fatture di ditte a lui estranee. Se non ricordo male si trattava delle ditte Parrino, Pettinato e 2G Costruzioni per altrettanti lavori conferiti da AMAM ed eseguiti nel medesimo settore. A fronte della mia perplessità, in quella circostanza egli aveva risposto in modo evasivo adducendo la sua frequentazione in AMAM, l’invito ricevuto dagli altri imprenditori di sollecitare i detti pagamenti. In una successiva occasione, a distanza di qualche mese, Celesti mi disse chiaramente di avere un interesse diretto ai pagamenti sollecitati in quanto si trattava di somme che doveva riscuotere per dei lavori da lui direttamente effettuati per conto delle altre ditte. Se non ricordo male si trattava di circa 30.000 euro. Dissi chiaramente che non intendevo procedere a pagamenti di somme richieste da un’azienda terza per una procedura presumibilmente anomala visto quanto lui stesso mi aveva esternato. Dopo questo incontro fui nuovamente avvicinato da Celesti in occasione del funerale di un dipendente dell’AMAM, presso una chiesa che si trova in via del Santo. In quella occasione Celesti mi fece un discorso ambiguo professando la sua amicizia nei miei confronti e manifestando una piena disponibilità a venirmi incontro in eventuali miei bisogni o in qualche momento di difficoltà anche con interventi economici. Dissi in modo molto deciso di non avere bisogno di alcunché. Non contento, in un’occasione successiva Celesti fu ancora più esplicito e mi propose la disponibilità a corrispondermi il 15% sui mandati di pagamento purché fossero liquidati con particolare celerità. Per l’ennesima volta gli feci capire che tali proposte erano fuori luogo e assicurai che comunque l’azienda avrebbe effettuato regolarmente i pagamenti dovuti purché i lavori fossero effettuati correttamente”.
La presunta spartizione della torta AMAM
Nel corso della sua deposizione agli inquirenti dell’1 marzo 2017, Leonardo Termini si soffermava pure sull’allora Presidente del Consiglio comunale Emilia Barrile, con cui il professionista manteneva un rapporto di amicizia. “Vi fu una circostanza in cui un intervento di Emilia  Barrile mi mise in difficoltà”, dichiarava il Presidente di AMAM. “Mi riferisco ad un incontro in cui, oltre alla predetta, era presente Celesti e non ricordo se vi era anche Barrilà (Antonio Barillà, imprenditore e titolare di ditte edilizie committenti di AMAM, NdA), avvenuto dentro il bar Apollo, in cui mi disse di effettuare una spartizione di gare e ditte secondo un preciso schema che la stessa aveva già stabilito e concordato. In particolare le ditte oggetto della spartizione erano Celesti, Micali, Barrilà, Gullifa e Sottile. Mi sono reso conto che si trattava di un programma che aveva già concordato con Celesti e presumibilmente con le altre ditte. Il mio rifiuto fu preso dalla Barrile sotto gamba tanto che in successive circostanze ha ribadito quale fosse il suo intendimento in modo ancora più netto e a cui mi sono opposto. In una di tali circostanze era presente uno dei fratelli Micali perché la Barrile lo aveva convocato telefonicamente durante il nostro incontro. Voglio precisare che questi episodi si inquadrano in un rapporto di conoscenza e confidenzialità con la Barrile che può far comprendere perché abbia accettato di incontrarla in più occasioni, non avendo avuto subito contezza di quali fossero i suoi reali obiettivi”.
Le indagini degli organi di Polizia giudiziaria hanno rilevato un contraddittorio refuso nelle dichiarazioni di Leonardo Termini, specificatamente alla figura di Tiberio Celesti, il titolare dell’impresache lo avrebbe pressato per subappalti e pagamenti di fatture, promettendogli in cambio un indebito regalo di natura economica. “In realtà, da accertamenti effettuati tramite l’Ufficio anagrafe del Comune di Messina e la banca dati dell’Agenzia delle Entrate, l’unico Tiberio Celesti censito risulta essere il figlio di Gaetano Celesti e Angela Sacco”, annotavano gli inquirenti. “Appare quindi alquanto singolare la circostanza che nel riferirsi al titolare della Celesti Costruzioni S.r.l. il Termini riportasse il nome Tiberio che non solo non corrisponde a Gaetano Celesti, reale titolare dell’impresa, ma tantomeno ad alcun altro familiare adulto con cui avesse potuto confondere il nome; tale singolarità potrebbe essere sintomo di una conoscenza e frequentazione tra il Termini ed il Celesti (…) Per quanto riguarda invece i possibili collegamenti con le altre ditte Parrino, 2G, Pettinato e La Valle, allo stato questo Ufficio non è in possesso di elementi che possano confermare o escludere tale eventualità”. Lasciava perplessi gli inquirenti, in particolare, la trascrizione di un messaggio sms che proprio Gaetano Celesti aveva inviato all’utenza mobile intestata a Leonardo Termini, il 19 maggio 2016. Ciao Leonardo come stai? Ti auguro di trovare la forza dentro di te per superare questo momento perché il coraggio lo hai sempre dimostrato. Bisogna lottare ma si deve anche sapere che ci sarà sempre qualcuno che non crederà in te, qualcuno che riderà, qualcuno che sparirà, ma tu le regole del gioco le conosci bene e vincerai la partita. Tieni duro passerà ciao a presto. “Tale messaggio potrebbe fare riferimento a una recente vicenda giudiziaria che ha visto Termini indagato per una truffa aggravata in concorso non attinente il suo incarico all’AMAM, a seguito della quale il sindaco Renato Accorinti e la sua giunta avevano chiesto le dimissioni di Termini”, riporta la Sezione della Polizia Giudiziaria nel rapporto inviato il 4 maggio 2017 alla Procura della Repubblica.
E un consigliere minaccia per il call center
Sempre nel corso del suo interrogatorio dell’1 marzo 2017, Leonardo Termini si soffermava su un altro ambiguo episodio che vedeva protagonista l’allora consigliere comunale Angelo Burrascano, eletto prima con il Pd e poi con la lista pro-Presidente della Regione, Rosario Crocetta. “Per quanto riguarda il servizio di call center affidato alla ditta Coopservice, voglio precisare che si trattava di un affidamento diretto e quando proposi di gestire in house il servizio, atteso anche l’aumento di 15 unità dell’organico AMAM grazie agli ex dipendenti della Feluca, fui ripetutamente avvicinato dal consigliere comunale Burrascano che mi invitò a recedere da tale proposito, a volte anche con toni minacciosi”, denunciava Termini “Questa cosa potrebbe essere confermata dal prof. Guido Signorino, assessore della Giunta Accorinti, che in una circostanza era presente. Vista la mia irremovibilità, alla fine Burrascano ha avviato diverse attività ispettive in AMAM compresa quella sull’assunzione dei dipendenti Feluca già oggetto di monitoraggio dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Messina”.
Prima di lasciare gli uffici investigativi, Leonardo Termini consegnava una lunga memoria all’autorità giudiziaria, in cui si riportavano altri elementi sull’affidamento del servizio di call center alla Coopservice e su certi comportamenti di stampo nepotistico che sarebbero stati assunti all’interno di AMAM. “La cooperativa Coopservice amministrata dal signor Maurizio Carbone svolgeva il servizio per l’azienda dal venerdì al sabato”, riportava Termini nella sua memoria. “L’appalto veniva assegnato mediante affidamento diretto per un ammontare di circa 39.870 euro. In considerazione della disponibilità del personale AMAM S.p.A., il sottoscritto ha indirizzato l’allora direttore generale, l’ingegnere Luigi La Rosa, all’internalizzazione del servizio in questione al fine sia di ottimizzare i costi che per una migliore efficienza dello stesso servizio. E’ opportuno evidenziare che da una sommaria analisi della documentazione presente negli archivi aziendali, la cooperativa non rappresentava il reale orario svolto dal proprio personale, non corrispondendo allo stesso la giusta busta paga. Vi è da segnalareche nei mesi prossimi alla scadenza dell’appalto che all’atto in cui il servizio è stato internalizzato, il consigliere comunale Angelo Burrascano ha sempre forzato la riassegnazione del servizio alla medesima cooperativa. Lo stesso veniva in AMAM per caldeggiare detto appalto sia con il sottoscritto che con il direttore generale La Rosa che con l’ingegnere Francesco Cardile. Dopo l’ennesima interlocuzione con il sottoscritto dove si manifestava la mancanza di interesse per l’azienda nel proseguire il servizio, lo stesso Burrascano minacciava rappresaglie verso l’AMAM con una serie di ispezioni in azienda. Dette azioni che si sono puntualmente verificate sono state manifeste anche in presenza degli assessori Guido Signorino e Sergio De Cola”.
“In AMAM vi era un vero e proprio muro di gomma da parte dei dirigenti in carica nonché della loro evoluzione generazionale”, aggiungeva Leonardo Termini. “Infatti ognuno di essi, a mio giudizio, ha posizionato in AMAM una persona di proprio riferimento al fine di una continuità nel cambiamento, continuando a monopolizzare i diversi settori aziendali come in precedenza era fortemente avvenuto. In particolare: Ing. Luigi La Rosa, Direttore Generale - assunzione in AMAM con contratto di lavoro a tempo determinato triennale mediante concorso pubblico per due ingegneri con bando pubblicato a cavallo di ferragosto e già al vaglio degli inquirenti, l’Ing. Luigi Lamberto figlio dell’ex dipendente di AMAM Ing. Lamberto, nonché asserito da terzi e non per diretta conoscenza del sottoscritto, socio di studio dello stesso ing. La Rosa. L’ing. Luigi Lamberto è stato incaricato di seguire la direzione lavori degli appalti assegnati nonché il depuratore di Mili”.
L’allora presidente del Cda AMAM evidenziava l’anomalo comportamento del consigliere comunale di centrosinistra a favore di Coopservice anche il 18 ottobre 2016, dopo essersi recato negli uffici della Direzione Investigativa Antimafia di Messina per rendere ulteriori dichiarazioni. “Altra vicenda che voglio esporre riguarda le pressioni che ho ricevuto dal consigliere comunale Angelo Burrascano”, riferiva Leonardo Termini. “La vicenda riguarda la mia volontà di non rinnovare l’affidamento del servizio di call center che nel corso degli anni è sempre stato affidato in maniera diretta e senza gara alla società Coopservice. Io ritengo che il contratto stipulato presenti varie criticità innanzitutto perché è un costo che l’azienda può risparmiarsi internalizzando il servizio; inoltre, i lavoratori di questa cooperativa effettuano più ore di lavoro di quelle contrattualizzate ed a loro dire sono anche sottopagati, pertanto non mi pare ci siano le condizioni per protrarre questo affidamento. Circa cinque mesi orsono, alla vigilia della scadenza contrattuale, Burrascano mi ha fatto presente che invece avrei dovuto prorogare e riaffidare questo servizio sempre alla stessa società, a suo dire per tutelare i lavoratori, e se io non avessi accettato mi ha minacciato dicendo che mi avrebbe attaccato politicamente ed avrebbe avviato delle attività ispettive nei confronti di AMAM. Io non temo alcuna ispezione ma ritengo che debbano essere attività proprie e non strumentali ad ottenere i propri vantaggi. Aggiungo che queste discussioni sono state fatte in circostanze diverse anche alla presenza dell’ing. Francesco Cardile, dell’assessore Sergio De Cola e dell’assessore Guido Signorino. Quest’ultimo ha assistito ad una discussione proprio all’uscita da un consiglio comunale e ricordo che ho fatto presente all’assessore che Burrascano mi minacciava dicendo proprio queste testuali parole: Guido, lo vedi? Mi sta minacciando… So anche che Burrascano ha parlato della questione di questa cooperativa all’assessore De Cola e forse anche con il sindaco…”.
Cambiano direttori e committenti ma le facce sono le stesse
Il Presidente del Cda di AMAM riportava agli inquirenti anche le ragioni che – a parer suo - avrebbero incancrenito i rapporti con il neodirettore generale Claudio Cipollini (in carica a partire dal febbraio 2017) e, di conseguenza, con l’intera amministrazione comunale. “Da quando si è insediato il nuovo D.G. Cipollini, questi ha rivendicato la sua competenza esclusiva sull’approvazione dei mandati di pagamento e relative determine, di fatto impedendo ogni forma di controllo mia e del Cda in generale, vietando addirittura ai dipendenti di notiziare sia me che gli altri componenti del Cda di tutti gli atti di gestione, ivi compresi i pagamenti”, dichiarava alla D.I.A. il 15 luglio 2017. “So che l’architetto Cipollini si è lamentato con il sindaco Accorinti in quanto a suo dire la mia attività di controllo, per come la intendo io, risulterebbe troppo invadente nei confronti del suo operato. Addirittura lo stesso sindaco mi ha riferito che se non troviamo un punto di incontro sarà costretto a scegliere tra uno di noi due. Anche con l’insediamento del direttore generale Claudio Cipollini ho potuto riscontrare che le solite ditte, ovvero Celesti, Barillà e Micali, hanno continuato a lavorare in quanto le ditte aggiudicatarie dei nuovi appalti quali Urania Costruzioni S.r.l. di Messina, Consorzio Stabile Infrastrutture Meridionali di Lamezia Terme e Iecos di Speziale di Messina hanno affidato attraverso subappalti non sempre formalizzati e contratti di noleggio i lavori alle succitate ditte. Io stesso ho potuto verificare tale situazione poiché in alcuni cantieri ho visto che gli operai indossavano tute di lavoro con l’intestazione delle ditte sopracitate e sia perché ho potuto prendere visione dei contratti di noleggio a freddo di mezzi tra Consorzio Stabile Infrastrutture Meridionali e Celesti Costruzioni S.r.l., stipulati in data 28 febbraio 2017, e del piano operativo di sicurezza redatto dal Consorzio, dal quale si evince l’intenzione della società di avvalersi dei mezzi della Celesti, redatto invece l’1 marzo 2017”.
Il 19 luglio 2017, il commercialista Leonardo Termini varcava nuovamente gli ingressi della D.I.A. di Messina per fare nuove spontanee dichiarazioni. “Voglio aggiungere che in relazione a tutti i fatti da me narrati, nel momento in cui accadevano ne mettevo a conoscenza l’Amministrazione nelle persone del sindaco Prof. Renato Accorinti, dell’Assessore Sergio De Cola, del prof. Guido Signorino e successivamente anche del Segretario Generale dott. Antonio Le Donne. Inoltre rappresentavo alla dott.ssa Anna Spinelli Francalanci, componente del Cda AMAM S.p.A., persona di particolare onestà e trasparenza, quanto accadeva e anche l’attività che io svolgevo presso gli organi giudiziari. Tra le altre cose, alla Spinelli rappresentavo l’indecente proposta avanzatami da Emilia Barrile in merito alla questione Fire Group (la società amministrata da Sergio Bommarito a cui AMAM aveva affidato il recupero crediti, NdA), episodio del quale non ho mai posseduto alcuna registrazione”.
Uno non vede, l’altro non sente, il terzo non riesce a parlarci

Quattro giorni dopo, Leonardo Termini spiegava ai Pm Francesco Massara e Federica Rende quale fosse stata la proposta indecente che gli avrebbe fatto l’esponente politica a capo del consiglio comunale. “Confermo integralmente quanto riferito sull’offerta di denaro fattami dalla Barrile per la liquidazione delle fatture presentatemi dalla Fire Group. Le fatture di cui la Fire chiedeva la liquidazione ammontavanoa circa 1.200.000 euro e l’offerta nei miei riguardi ammontava a 3.000 euro. Aggiungo che ho notiziato dell’offerta di danaro il Sindaco di Messina Renato Accorinti che mi aveva conferito l’incarico di presidente dell’AMAM. Anche a Sergio De Cola ho raccontato quanto ho riferito ad Accorinti. Successivamente ho incontrato tutti e due nella stanza del sindaco; c’era anche Signorino presente e ho ribadito la circostanza che la Barrile mi aveva offerto del denaro, 3.000 euro, affinché io mi adoperassi per la liquidazione della Fire Group. L’ho riferito anche al segretario generale del Comune di Messina, Antonio Le Donne, in un momento in cui mi sentivo solo. A Le Donne, la sera in cui è stata votata la sfiducia ad Accorinti, ho detto che volevo riferirgli alcune circostanze inerenti l’AMAM. Le Donne mi disse che potevo andare a trovarlo. Dopo un mese circa lo andai a trovare in Comune e gli ho riferito dell’offerta di denaro fattami dalla Barrile. Per me era un obbligo dirlo all’Amministrazione ed ero sconvolto per l’offerta…”.
“Per regolamentazione, all’epoca la liquidazione delle fatture avveniva con un provvedimento a firma congiunta del presidente e del direttore generale”, concludeva Termini. “Il  provvedimento era materialmente predisposto da un ufficio interno all’AMAM. Sia Renato Accorinti che Sergio De Cola mi dissero di riferire tutto all’Autorità Giudiziaria, anzi Accorrinti aggiunse che saremmo andati insieme dal Procuratore della Repubblica. Cosa che poi non è avvenuta poiché a dire di Accorinti non era riuscito a fissare con il Procuratore un appuntamento. Io approfittai del fatto che la D.I.A. fece delle acquisizioni documentali presso l’AMAM per chiedere ai funzionari un appuntamento, che mi venne dato. Negli uffici della D.I.A. ho riferito dell’offerta di denaro che mi è stata fatta dalla Barrile (…) Lei non tornò più su di essa, ma mi disse successivamente: mi hai fatto fare una figura di merda con Sergio Bommarito. Sono riuscito in una sola occasione a registrare la Barrile quando c’era anche Celesti. In un’altra occasione, la Barrile, mentre io stavo andando al Comune, mi contattò telefonicamente dicendomi che mi voleva parlare. Appena ci incontrammo, la stessa mi disse di lasciare il telefono in auto perché in questo momento siamo tutti controllati. Eravamo al bar Fumia e la Barrile mi invitò a non contestare più gli operati della ditta di Micali e nello specifico il fatto che venissero utilizzati promiscuamente operai e mezzi di entrambe le ditte dei fratelli Micali. In quella medesima circostanza la Barrile mi rappresentò che avrei dovuto accettare i soldi offertimi da Celesti. Io le dissi siete tutti pazzi! e che questo denaro non lo avrei mai accettato. Poi Emilia Barrile chiamò Micali e davanti a lui ribadivo ancora l’illegittimità dell’utilizzo dei mezzi sui cantieri (…) Io ho ricevuto tre offerte di denaro quale presidente dell’AMAM e con causa illecita. L’altra mi è stata fatta da Angelo Milone dipendente della ditta Sottile di Terme Vigliatore. Il Milone mi rappresentò che la ditta Sottile avrebbe elargito nei miei confronti la somma di 100.000 euro qualora io avessi contribuito all’assegnazione dei lavori per la riparazione della condotta di Forza d’Agrò all’impresa Sottile. I fatti risalgono a settembre-ottobre 2016. Anche questa circostanza io l’ho riferita alla D.I.A. e all’assessore De Cola”.

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